Codice di Procedura Civile art. 214 - Disconoscimento della scrittura privata.Disconoscimento della scrittura privata. [I]. Colui contro il quale è prodotta una scrittura privata [2702 c.c.], se intende disconoscerla [215 1 n. 2, 216], è tenuto a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione [293 3]. [II]. Gli eredi o aventi causa possono limitarsi a dichiarare di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione del loro autore. Inquadramento.L'efficacia probatoria della scrittura privata, riconosciuta dall'art. 2702 c.c. concerne la provenienza delle dichiarazioni da colui che ne risulta sottoscrittore, e non il suo contenuto, che il giudice è libero di valutare secondo il suo prudente apprezzamento in concorso con gli altri elementi istruttori acquisiti al processo. La scelta dell'aggettivo nella locuzione “scrittura privata” vale a contrapporre tale documento all'“atto pubblico” in relazione alla qualità del sottoscrittore, che non è un pubblico ufficiale. Secondo l'art. 214, comma 1, colui contro il quale è prodotta una scrittura privata, se intende disconoscerla, e così inficiarne la valenza probatoria, è tenuto a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione. Nozione di scrittura privata e sua efficacia probatoriaSi definisce propriamente « scrittura privata » qualunque documento, anche a carattere non negoziale, di cui una persona abbia assunto la paternità mediante apposizione in calce allo stesso del proprio nome. Per aversi una prova documentale riconducibile alla nozione di “scrittura privata”, è dunque essenziale la sottoscrizione della parte da cui essa proviene, ovvero del suo rappresentante legale. Ove manchi la firma autografa dell'autore non esiste giuridicamente una scrittura privata, e ciò anche se lo scritto sia tutto di mano di un determinato soggetto. La sottoscrizione svolge in pratica una funzione dichiarativa ed è strumento esclusivo per l'assunzione della paternità del documento, indipendentemente dalla sua autografia. Essendo, allora, la sottoscrizione elemento costitutivo della efficacia probatoria privilegiata di cui all'art. 2702 c.c., il disconoscimento non è ammissibile che con riferimento ad un documento provvisto di sottoscrizione riconosciuta ovvero legalmente riconosciuta, e non è pertanto necessario quando la scrittura non contenga alcuna indicazione nominativa. Né è ammissibile la procedura di verificazione di scritture non sottoscritte (Cass. lav., n. 1935/1985). In ipotesi di dichiarazione sottoscritta, pur se contenuta in più fogli dei quali solo l'ultimo firmato, poiché la sottoscrizione, ai sensi dell'art. 2702 c.c., si riferisce all'intera dichiarazione e non al solo foglio che la contiene, la scrittura privata deve ritenersi valida ed efficace nel suo complesso, rimanendo irrilevante la mancata firma dei fogli precedenti, con la conseguenza che, al fine di impedire che l'intero contenuto della scrittura faccia stato nei confronti del sottoscrittore, quest'ultimo ha l'onere di proporre querela di falso (Cass. II, n. 7681/2019). Se la parte contro la quale la scrittura privata sia stata prodotta ne riconosce la sottoscrizione, la scrittura fa piena prova della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta e ciò indipendentemente dal fatto che la dichiarazione non sia stata vergata o redatta dal sottoscrittore (Cass. I, n. 15219/ 2007). Con riguardo ad una scrittura privata, che non sia stata riconosciuta e che non debba ritenersi legalmente riconosciuta, e per la quale, pertanto, non sia necessario esperire la querela di falso, al fine di contestarne la piena efficacia probatoria (art. 2702 c.c.), la parte, che sostenga la non autenticità della propria apparente sottoscrizione, non è tenuta ad attendere di essere evocata in giudizio da chi affermi una pretesa sulla base del documento, per poi operare il disconoscimento ai sensi ed agli effetti degli art. 214 ss., ma può assumere l'iniziativa del processo, per sentire accertare, secondo le ordinarie regole probatorie, la non autenticità di detta sottoscrizione, nonché per sentir accogliere quelle domande che postulino tale accertamento (Cass. VI, n. 20882/2021; Cass. I, n. 974/2008). Le disposizioni dettate dagli artt. 2702 c.c., 214 e 215, in tema di scrittura privata riconosciuta o da considerarsi tale, trovano applicazione anche nei confronti di coloro che, essendo aventi causa del loro autore, non possono ritenersi terzi (Cass. II, n. 13926/2002). La facoltà prevista dal comma 2 dell'art. 214 secondo cui « gli eredi o aventi causa possono limitarsi a dichiarare di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione del loro autore », postula un significato dell'espressione “avente causa” contrapposta a quella di “erede” e designa colui che succede in forza di un atto a titolo particolare e non chiunque possa trarre un vantaggio mediato e diretto dalla caducazione della scrittura che si intende disconoscere (Cass. II, n. 11890/1998). La società di capitali che, però, intenda disconoscere la sottoscrizione del proprio amministratore deve procedere ad un formale disconoscimento, ai sensi dell'art. 214 comma 1, anche se l'amministratore non sia più in carica all'epoca del giudizio, e perciò il nuovo amministratore non può limitarsi a dichiarare di non riconoscere la sottoscrizione del precedente amministratore, così come è consentito agli eredi e agli aventi causa dal comma 2 dell'articolo citato (Cass. II, n. 2095/2014; Cass. I, n. 4649/1980). L'onere del disconoscimento della scrittura privata, e correlativamente l'eventuale verificarsi del riconoscimento tacito ai sensi dell'art. 215, presuppongono, invero, che il documento prodotto contro una parte provenga dalla stessa, ovvero da un soggetto che la rappresenti, in virtù di un rapporto organico (quale, per esempio, il rappresentante legale di una società, anche se non più in carica al momento del giudizio), oppure perché munito di procura (Cass. II, n. 11074/1994). La mancata contestazione di una fattura prodotta in giudizio non equivale al mancato disconoscimento di una scrittura privata avente efficacia di piena prova fino a querela di falso, ex art. 2702 c.c., tenuto conto che tale valenza è prevista nei soli confronti di chi abbia sottoscritto il documento ed è limitata alla provenienza, e non alla veridicità, delle dichiarazioni in essa riportate (Cass. II, n. 23414/2019). La disciplina processuale di cui agli artt. 215 e segg. non è applicabile nemmeno in caso di disconoscimento dell'autenticità della sottoscrizione apposta in calce alla procura operato direttamente dal difensore apparentemente costituito nell'interesse della parte, in quanto la falsità di tale sottoscrizione determina l'invalidità della procura, rilevabile anche d'ufficio, che incide sulla validità stessa dell'instaurazione del rapporto processuale (Cass. II, n. 20511/2019). La mancata contestazione della conformità della copia fotografica o fotostatica all'originale non comporta l'incontestabilità della provenienza della scrittura, giacché, mentre il disconoscimento di cui all'art. 214 è diretto ad escludere la prova della riferibilità della scrittura al soggetto che risulta esserne l'autore apparente, con il disconoscimento di cui all'art. 2719 c.c. non si pone in discussione l'autenticità del documento, ma soltanto la piena corrispondenza della riproduzione fotografica al suo originale (Cass. III, n. 6176/2020). Il disconoscimento delle fotografie non produce, cioè, gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall'art. 215, secondo comma, perché mentre questo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l'utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. III, n. 13519/2022; Cass. V, n. 1324/2022). Si è altrimenti evidenziato che l'art. 2719 c.c. - che esige un espresso disconoscimento della conformità con l'originale delle copie fotografiche o fotostatiche - è applicabile tanto alla ipotesi di disconoscimento della conformità della copia al suo originale, quanto a quella di disconoscimento della autenticità di scrittura o di sottoscrizione, ed entrambe le ipotesi sono disciplinate dagli artt. 214 e 215, con la conseguenza che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all'originale quanto nella scrittura e sottoscrizione del loro autore, se la parte comparsa non la disconosce in modo specifico ed inequivoco alla prima udienza o nella prima risposta successiva alla sua produzione (Cass. II, n. 19850/2024). DisconoscimentoL'onere del disconoscimento della scrittura privata incombe conseguentemente soltanto sul soggetto che risulti essere autore della sottoscrizione, e non invece su chi intenda contestare l'opponibilità del documento, che però non contenga alcuna firma a lui riferibile (Cass. III, n. 23155/2014; Cass. III, n. 20814/2018). Ancora, la parte che voglia contestare una scrittura privata intercorsa inter alios può farlo con ogni mezzo di prova, restando la verità di essa affidata al libero apprezzamento del giudice. Il disconoscimento della scrittura privata da parte di una persona giuridica, perché sia validamente effettuato e sia idoneo ad onerare l'avversario di richiederne la verificazione, necessita di un'articolata dichiarazione di diversità della firma risultante sul documento rispetto alle sottoscrizioni di tutti gli organi rappresentativi, specificamente identificati od identificabili, atteso che, nel caso della persona giuridica, assistita da una pluralità di organi con il potere di firmare un determinato atto, sussistono più sottoscrizioni qualificabili come proprie dell'ente (Cass. V, n. 7240/2019). Qualora, peraltro, una scrittura privata sia prodotta in giudizio dalla medesima parte che deduce la non autenticità della propria apparente sottoscrizione non trovano applicazione gli articoli 214 e 215, i quali postulano, al pari dell'art. 2702 c.c., che il documento del quale si alleghi la falsità della firma sia stato prodotto in giudizio dall'altra parte, e non dall'apparente sottoscrittore ( Cass. II, n. 3265/2024 ; Cass. I, n. 27362/2022). La produzione in giudizio di una scrittura privata non firmata da parte di chi avrebbe dovuto sottoscriverla equivale a sottoscrizione, ma non può determinare identico effetto nei confronti della controparte, neppure quando quest'ultima non ne abbia impugnato la provenienza, poiché le scritture non firmate non rientrano nel novero di quelle aventi valore giuridico formale e non producono, quindi, effetti sostanziali e probatori. Ne consegue che la parte, contro la quale esse siano state prodotte, non ha l'onere di disconoscerne l'autenticità ex art. 215, norma che si riferisce al solo riconoscimento della sottoscrizione, questa essendo, ai sensi dell'art. 2702 c.c., l'unico elemento grafico in virtù del quale - salvi i casi diversamente regolati (artt. 2705, 2707, 2708 e 2709 c.c.) - la scrittura diviene riferibile al soggetto da cui proviene e può produrre effetti a suo carico (Cass. II, n. 30948/2018). In particolare, le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite possono essere liberamente contestate dalle parti, non applicandosi alle stesse né la disciplina sostanziale di cui all'art. 2702 c.c., né quella processuale di cui all'art. 214, atteso che esse costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è meramente indiziario (Cass. S.U., n. 15169/2010; Cass. III, n. 9329/2024;Cass. lav., n. 1315/2017; Cass. II, n. 21554/2020; Cass. III, n. 6650/2020). Così anche lo scritto anonimo – pur se inutilizzabile ai fini della prova dei fatti in esso rappresentati - ben può costituire l'innesco di attività volte all'assunzione di dati conoscitivi anche in assenza di elementi di riscontro, in attuazione del principio affermato nella materia penale (Cass. V, n. 1348/2019). Ancora, il messaggio di posta elettronica (cd. e-mail) costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all'art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime (Cass. VI, n. 11606/2018). Cosi lo short message service ("SMS"), pure riconducibile nell'ambito dell'art. 2712 c.c., con la precisazione che l'eventuale disconoscimento non ha gli stessi effetti di quello della scrittura privata previsto dall'art. 215, comma 2, poiché, mentre, nel secondo caso, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, la scrittura non può essere utilizzata, nel primo non può escludersi che il giudice possa accertare la rispondenza all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. II, n. 5141/2019 ). Quanto al disconoscimento della conformità all'originale di copia analogica di un documento informatico, Cass. III, n. 23213/2024. Può essere disconosciuto ai sensi dell'art. 214 anche il documento privo di firma digitale, allegato a una PEC, dal momento che la funzione di certificazione della PEC non si estende al contenuto del docu mento allegato (Cass. III, n. 32165/2023). La parte che però contesti l'autenticità del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, e grava su di essa l'onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo. Il più recente orientamento giurisprudenziale ha, infatti, ritenuto inadeguato, al fine di superare l'efficacia probatoria di un testamento olografo, sia il ricorso al disconoscimento che la proposizione di querela di falso, prescegliendo, all'uopo, la terza via predicativa della necessità di proporre, appunto, un'azione di accertamento negativo della falsità della scheda testamentaria. Come si legge nella motivazione di tali ultime sentenze, la necessità di una siffatta azione per quaestio nullitatis consente di rispondere: «da un canto, all'esigenza di mantener il testamento olografo definitivamente circoscritto nell'orbita delle scritture private; dall'altro, di evitare la necessità di individuare un (assai problematico) criterio che consenta una soddisfacente distinzione tra la categoria delle scritture private la cui valenza probatoria risulterebbe “di incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso”, non potendosi esse “relegare nel novero delle prove atipiche” [...]; dall'altro, di non equiparare l'olografo, con inaccettabile semplificazione, ad una qualsivoglia scrittura proveniente da terzi, destinata come tale a rappresentare, quoad probationis, una ordinaria forma di scrittura privata non riconducibile alle parti in causa; dall'altro ancora, di evitare che il semplice disconoscimento di un atto caratterizzato da tale peculiarità ed efficacia dimostrativa renda troppo gravosa la posizione processuale dell'attore che si professa erede, riversando su di lui l'intero onere probatorio del processo in relazione ad un atto che, non va dimenticato, è innegabilmente caratterizzato da una sua intrinseca forza dimostrativa; infine, di evitare che la soluzione della controversia si disperda nei rivoli di un defatigante procedimento incidentale quale quello previsto per la querela di falso, consentendo di pervenire ad una soluzione tutta interna al processo, anche alla luce dei principi affermati di recente da questa stessa Corte con riguardo all'oggetto e alla funzione del processo e della stessa giurisdizione, apertamente definita “risorsa non illimitata”» (Cass. S.U., n. 12307/2015; Cass. II, n. 1995/2016). Allorché, peraltro, in un giudizio debba essere provata l'esistenza e la validità di un testamento olografo, del quale sia stata prodotta una fotocopia non autentica, la cui conformità all'originale sia stata tempestivamente contestata, la parte interessata ha l'onere di produrre l'originale del documento, non potendo la copia essere oggetto né di verificazione né di querela di falso(Cass. II, n. 6918/2019; Cass. VI , n. 711/ 2018; Cass. II, n. 1903/2009; Cass. II, n. 1831/2000). Secondo Cass. III, n. 32219/2018, la mancata produzione del documento in originale non esonera, tuttavia, la parte dall'onere di proporre querela avverso la fotocopia non disconosciuta, salvi il grado di probatorietà che gli accertamenti in tal caso possono raggiungere e la possibilità di acquisire l'originale, ove ritenuto necessario, in relazione alla natura del falso dedotto. Si è altresì affermato che, in caso di disconoscimento della sottoscrizione di scrittura privata prodotta in copia, la proposizione dell'istanza di verificazione non impedisce di far valere, dopo l'acquisizione in giudizio dell'originale del documento, il mancato rispetto dell'onere di reiterare il disconoscimento con riferimento all'originale (Cass. III, n. 7340/2022 ). Nell'ipotesi di perdita - comprendente sia il caso di smarrimento, sia quello di distruzione - della scheda testamentaria, la prova diretta alla dimostrazione dell'esistenza e alla ricostruzione, totale o parziale, del testamento è, altrimenti, soggetta alla limitazione prevista dal combinato disposto degli artt. 2724, n. 3 e 2725 c.c., operando tale limitazione anche nel caso in cui si tratti di accertare se una copia del testamento sia conforme all'originale andato smarrito, tenendo distinte, ai fini del corrispondente onere probatorio, la situazione dell'erede che abbia avuto la detenzione della scheda e quella dell'erede che non l'abbia mai avuta (Cass. II, n. 952/1967). Il disconoscimento della scrittura privata costituisce un onere per la parte contro cui tale scrittura venga prodotta, atteso che l'effetto del mancato adempimento di questo onere è il riconoscimento tacito della scrittura: pertanto, il termine della prima udienza o della prima risposta successiva alla produzione, entro cui il disconoscimento può essere effettuato a norma dell'art. 215, n. 2), ha carattere perentorio e non è, quindi, prorogabile da parte del giudice (Cass. III, n. 9159/2002). In presenza di un documento firmato da due diversi soggetti, entrambi parti del processo, il disconoscimento operato da uno di essi spiega effetti limitatamente alla sua posizione processuale, mentre nei confronti dell'altro firmatario il documento spiega piena efficacia probatoria (Cass. II, n. 18919/2020). La "prima risposta successiva alla produzione", exart. 215, comma 1, n. 2, è da individuarsi in un atto processualmente rilevante compiuto alla presenza di entrambe le parti, attesa l'esigenza dell'immediatezza della conoscenza del disconoscimento in capo al soggetto che ne è destinatario, sicché non può intendersi come prima risposta il mero deposito di note difensive autorizzate, proprio perché effettuato in assenza della controparte (Cass. lav., n. 15113/2019). Il convenuto, contro il quale l'attore, in sede di costituzione in giudizio, abbia prodotto una scrittura privata, non è onerato di disconoscerla nel termine di venti giorni prima dell'udienza di comparizione, alla stessa stregua delle eccezioni non rilevabili d'ufficio, essendo sufficiente che il disconoscimento venga effettuato nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione (Cass. III, n. 23669/2017). Con riguardo alla disciplina delle acquisizioni probatorie ex art. 183, il disconoscimento deve essere effettuato nella memoria successiva alla produzione della scrittura privata in originale, memoria che costituisce la prima risposta successiva alla produzione (Cass. II, n. 26641/2013). Peraltro, ad avviso di Cass. VI, n. 15780/2018, effettuato il deposito della scrittura privata nel secondo termine per le memorie integrative, in mancanza del deposito, ad opera della parte contro cui la scrittura è prodotta, della terza memoria, è tempestivo il disconoscimento della scrittura privata operato, ai sensi dell'art. 215, comma 1, n. 1, alla prima udienza successiva all'effettuata produzione documentale. Ciò perché, si è affermato, “essendo ancorata la scadenza del termine per il disconoscimento alla celebrazione della prima udienza ovvero alla formulazione della prima risposta, occorre, perché il termine possa dirsi spirato, che una udienza ovvero una difesa, da parte dell'onerato del disconoscimento, abbiano avuto effettivamente luogo: di guisa che la decadenza non può essere fatta dipendere, salvo ad incorrere in evidente violazione tanto della lettera quanto della ratio dell'art. 215, da una non difesa, in cui si risolve il mancato esercizio - come avvenuto nel caso in esame, a fronte del deposito della scrittura, da parte della banca, in uno con la seconda memoria integrativa della facoltà di deposito della terza memoria. Nella procedura di verificazione della scrittura privata disconosciuta, che sia stata versata in atti solamente in copia, il deposito dell'originale del documento non costituisce nuova produzione e può perciò avvenire anche dopo la scadenza dei termini per le memorie integrative (Cass. VI, n. 35167/2021). In ordine alla scrittura privata prodotta per la prima volta in grado d'appello dall'appellante, deve considerarsi tempestivo il disconoscimento effettuato dall'appellato con atto di costituzione in sede di gravame, in quanto primo atto giudiziale successivo alla produzione in argomento, essendo al tal fine irrilevante l'intervenuta precedente celebrazione di un certo numero di udienze di rinvio (Cass. III, n. 6674/2018). L'eccezione di tardività del disconoscimento è in ogni caso rimessa alla disponibilità della parte che ha prodotto il documento, in quanto unica ad avere interesse a valutare l'utilità di un accertamento positivo della provenienza della scrittura. Essa, di conseguenza, è logicamente incompatibile con l'istanza di verificazione che ne costituisce implicita rinuncia (Cass. III, n. 23636/2019; Cass. II, n. 10147/2011). Ai sensi dell'art. 214, il disconoscimento di scrittura privata, pur non richiedendo l'uso di formule sacramentali, postula che la parte contro la quale la scrittura è prodotta in giudizio impugni chiaramente l'autenticità della stessa, nella sua interezza o limitatamente alla sottoscrizione, contestando formalmente tale autenticità, ove egli sia l'autore apparente del documento prodotto, ovvero, nel caso di erede o avente causa dall'apparente sottoscrittore, dichiarando di non riconoscere la scrittura o la sottoscrizione di quest'ultimo; l'idoneità delle espressioni utilizzate dalla parte a configurare un valido disconoscimento costituisce giudizio di fatto ed è incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivata (Cass. I, n. 18491/2024 ;Cass. lav., n. 18042/2014; Cass. III, n. 9543/2002). Il disconoscimento deve, quindi, comunque rivestire i caratteri della specificità e della determinatezza e non risolversi in espressioni di stile, con la conseguenza che colui il quale deve negare l'autenticità della propria sottoscrizione è tenuto a specificare, ove più siano i documenti prodotti, se siffatta negazione si riferisca a tutti o ad alcuni soltanto di essi (Cass. III, n. 24456/2011; Cass. II, n. 1537/2018). Altro rispetto all'onere di disconoscimento dei documenti prodotti dalla controparte ex art. 214 è l'onere di contestazione, che invece concerne le sole allegazioni in punto di fatto inerenti agli elementi costitutivi della domanda che devono essere specificamente enunciati nella citazione, restando escluso che le produzioni documentali possano assurgere a funzione integrativa di una domanda priva di specificità, con l'effetto (inammissibile) di demandare alla controparte (e anche al giudice) l'individuazione, tra le varie produzioni, di quelle che l'attore ha pensato di porre a fondamento della propria domanda, senza esplicitarlo nell'atto introduttivo (Cass. n. 3022/2018). La parte che ha proposto l'eccezione di disconoscimento della conformità all'originale di un documento prodotto in copia, sulla quale il giudice di primo grado ha omesso di pronunciarsi, ove sia risultata soccombente e intenda sottoporre la relativa questione al giudice di appello, non può limitarsi a riproporre l'eccezione, ma ha l'onere di formulare uno specifico motivo di impugnazione (Cass. III, n. 15790/2016). Una volta utilizzata la scrittura privata quale base del convincimento espresso dal giudice nella sentenza di primo grado, senza che la questione del riconoscimento o disconoscimento di essa abbia costituito oggetto di doglianza in sede di appello, il giudice del gravame è, infatti, dispensato dall'onere di motivare al riguardo e sorge, per altro verso, una presunzione di rinuncia che osta a che quella doglianza possa essere avanzata, per la prima volta, con il ricorso per cassazione (Cass. I, n. 1584/2017). E' discusso se il disconoscimento preventivo della firma apposta su una scrittura privata, non ancora depositata in giudizio, sia idoneo ad impedirne il riconoscimento tacito, ai fini degli artt. 214 e 215 (Cass. II, n. 6890/2021). Differenze tra querela di falso e disconoscimentoLa querela di falso, di cui agli artt. 221 ss., ed il disconoscimento della scrittura privata, di cui all'art. 214, sono strumenti processuali volti a finalità diverse e del tutto indipendenti fra loro (indicativamente, Cass. III, n. 2152/2021). La querela di falso, sia essa proposta in via principale o in via incidentale, ha lo scopo di togliere ad un atto pubblico o ad una scrittura privata riconosciuta l'idoneità a “far fede”, a servire, cioè, come prova di atti o rapporti. Più precisamente, la querela serve ad accertare la falsità materiale dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o riconosciuta, ovvero la divergenza, in relazione all'atto pubblico, fra la dichiarazione e gli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti e quanto effettivamente avvenuto. La relativa declaratoria di falsità provoca la completa rimozione del valore giuridico del documento, a prescindere dalla concreta individuazione dell'autore della falsificazione. Ne consegue che la querela di falso è proponibile contro chiunque possa avvalersi del documento per fondare su di esso una pretesa (sia o meno, appunto, l'autore della falsificazione), e che la relativa sentenza, eliminando ogni incertezza sulla veridicità o meno del documento, riveste efficacia erga omnes (e non soltanto nei riguardi della controparte evocata in giudizio), oltre il limite del giudicato, facendosi però salva la possibilità che al relativo giudizio partecipino tutti coloro che da esso potrebbero subire qualche effetto. Il disconoscimento della scrittura privata, investendo la paternità del documento, mira invece ad impedire che la scrittura privata possa acquistare l'efficacia probatoria assegnatale dall'art. 2702 c.c.; il disconoscimento si risolve pertanto in un'impugnazione formale, diretta a confutare l'autenticità del documento che si assume contraffatto. La scrittura privata acquisisce infatti la sua efficacia in forza del riconoscimento, espresso o tacito, imputabile al soggetto contro il quale essa è prodotta; spetta allora a quest'ultimo, se voglia impedire tale riconoscimento, di operarne il disconoscimento, così ponendo a carico della controparte l'onere di dimostrare, per contro, che la scrittura provenga effettivamente dal suo apparente autore. Il giudicato conseguente al procedimento di verificazione dell'autenticità della scrittura, che sia stata ritualmente disconosciuta, resta opponibile alle sole parti presenti in giudizio. In ogni caso, alla parte, nei cui confronti sia stata prodotta una scrittura privata, si reputa consentita la facoltà alternativa di disconoscerla, così facendo carico alla controparte di chiederne la verificazione, oppure — senza riconoscere, né espressamente, né tacitamente, la scrittura medesima — di proporre querela di falso, in modo da contestare la genuinità del documento mediante utilizzo di uno strumento più gravoso per il proponente, per quanto produttivo di risultati processuali più ampi e definitivi (Cass. VI, n. 15823/2020). Così, ad esempio, per contestare la veridicità di una clausola che si assume non concordata, ma materialmente apposta e, dunque, abusivamente inserita nella scrittura privata, è necessaria la proposizione di querela di falso: Cass. III, n. 635/2024. Nell'ambito di uno stesso processo, qualora sia già stato utilizzato il disconoscimento, cui sia seguita la verificazione, la querela di falso è inammissibile se proposta al solo scopo di neutralizzare il risultato della verificata autenticità della sottoscrizione e non, invece, per contestare la verità del contenuto del documento (Cass. III, n. 3891/2020). BibliografiaLuiso-Sassani, La riforma del processo civile, Milano, 2006. |