Codice di Procedura Civile art. 244 - Modo di deduzione 1 .Modo di deduzione1. [I]. La prova per testimoni [2721 ss. c.c.] deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare [246 ss.] e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata [421 4, 621].
[1] L'art. 89 l. 26 novembre 1990, n. 353 ha abrogato i commi 2 e 3 che recitavano: «[II]. La parte contro la quale la prova è proposta, anche quando si oppone all'ammissione, deve indicare a sua volta nella prima risposta le persone che intende fare interrogare e deve dedurre per articoli separati i fatti sui quali debbono essere interrogate. [II]. Il giudice istruttore, secondo le circostanze, può assegnare un termine perentorio alle parti per formulare o integrare tali indicazioni». Inquadramento.
La prova testimoniale consiste nella narrazione di un fatto non presente, rientrante nell’esperienza del narratore e perciò fornita dalla persona che quel fatto abbia percepito, o soltanto dedotto, o lui stesso compiuto. Di regola, la dottrina processualistica ha incentrato proprio sull’elemento della percezione, o della conoscenza, l’elemento tipico del concetto di testimonianza; ma oggetto della testimonianza possono essere anche fatti che il teste abbia soltanto dedotto facendo uso delle sue speciali conoscenze tecniche, ovvero fatti che egli abbia posto in essere in prima persona. Dunque, in via astratta tutti i fatti (che non debordino in apprezzamenti o giudizi) possono essere oggetto di testimonianza: i limiti di ammissibilità che l’ordinamento pone alla rappresentazione testimoniale non derivano dalla sua ontologica consistenza, ma dall’efficacia probatoria che il legislatore vi voglia attribuire. Testimone in senso stretto si intende unicamente chi nel processo non rivesta la qualità di parte, e sia perciò terzo. Limiti di ammissibilitàIl nostro diritto sostanziale e processuale contorna la prova per testimoni di svariati limiti di ammissibilità, oggettivi e soggettivi, i quali denotano il disfavore e la tendenziale sfiducia del legislatore verso l'atto umano che è alla base di tale rappresentazione probatoria. La disciplina dei limiti oggettivi di ammissibilità della testimonianza è contenuta negli artt. 2721-2726 c.c., ed è correlata al valore dei contratti o dei pagamenti di cui si debba dar prova, alla contrarietà della circostanza rispetto ad una certa risultanza documentale, o all'esigenza formale che caratterizza determinati negozi. I limiti legali di prova di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta "ad substantiam" o "ad probationem", così come i limiti di valore previsti dall'art. 2721 c.c. per la prova testimoniale, operano esclusivamente quando il suddetto contratto sia invocato in giudizio come fonte di reciproci diritti ed obblighi tra le parti contraenti e non anche quando se ne evochi l'esistenza come semplice fatto storico influente sulla decisione del processo ed il contratto risulti stipulato non tra le parti processuali, ma tra una sola di esse ed un terzo (Cass. VI-3, n. 5880/2021). Ove il giudice di merito ritenga di non poter derogare al limite di valore previsto per la prova testimoniale dall'art. 2721 c.c., non è tenuto a esporre le ragioni della pronunzia di rigetto dell'istanza ammissione (Cass. II, n. 8181/2022). Deve, invece, essere fornita adeguata motivazione della scelta di ammettere la prova testimoniale in deroga al limite fissato dall'art. 2721, comma 1 c.c., atteso che l'art. 2721, comma 2 attribuisce al giudice un potere discrezionale il cui esercizio è ricollegato alla qualità delle parti, alla natura del contratto e ad ogni altra circostanza (Cass. II, n. 21411/2022). Poiché si assume che i limiti di valore, sanciti dall'art. 2721 c.c., non attengono all'ordine pubblico, ma sono dettati nell'esclusivo interesse delle parti private, la prova deve ritenersi ritualmente acquisita, ove la parte interessata non ne abbia tempestivamente eccepito l'inammissibilità in sede di assunzione o nella prima difesa successiva (Cass. III, n. 18971/2022). Secondo un orientamento, l'inammissibilità di una prova testimoniale per contrasto con le norme che la vietano (artt. 2722 e 2725 c.c.) non è sanata dalla mancata tempestiva opposizione della parte interessata perché la sanatoria per acquiescenza riguarda soltanto le decadenze e nullità previste per la prova testimoniale dall'art. 244 ss. (modalità di deduzione e assunzione della prova, indicazione dei testimoni e loro capacità a testimoniare), e non anche la prova testimoniale erroneamente ammessa; conseguentemente la relativa eccezione potrebbe essere utilmente formulata anche dopo l'espletamento della prova vietata (Cass. II, n. 2101/1997). Così, ad esempio, si è affermato che l'inammissibilità della prova testimoniale sull'esistenza di un contratto soggetto a forma scritta ad substantiam, discendendo da limiti dettati da ragioni di ordine pubblico, non è sanata dalla mancata tempestiva opposizione della parte interessata (Cass. II, n. 23934/2015; per l‘esclusione del rilievo d'ufficio dell'inammissibilità della prova per testi nei contratti soggetti a forma scritta ad probationem, vedi invece Cass. III, n. 7765/2010 ; anche per Cass. III, n. 3186/2006, i limiti legali di ammissibilità della prova testimoniale dei contratti non sono stabiliti per ragioni di ordine pubblico, ma nell'interesse delle parti, sicché l'inosservanza delle dette limitazioni non può essere eccepita dalla parte dopo l'espletamento della prova). La prova per testimoni del "pactum fiduciae" è sottratta ai limiti previsti dagli artt. 2721 e ss. c.c. soltanto nel caso in cui detto patto sia volto a creare obblighi connessi e collaterali rispetto al regolamento contrattuale, onde realizzare uno scopo ulteriore in rapporto a quello naturalmente inerente al tipo di contratto stipulato, senza direttamente contraddire il contenuto espresso di tale regolamento; al contrario, ove il patto si ponga in antitesi con quanto risulta dal contratto, la qualificazione dello stesso come fiduciario non è sufficiente ad impedire l'applicabilità delle disposizioni che vietano la prova testimoniale dei patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento (Cass. III, n. 7179/2022). A composizione di un contrasto di pronunce, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che l 'inammissibilità della prova testimoniale di un contratto che deve essere provato per iscritto, ai sensi dell'art. 2725, comma 1, c.c., attenendo alla tutela processuale di interessi privati, non può essere rilevata d'ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima dell'ammissione del mezzo istruttorio; qualora, nonostante l'eccezione di inammissibilità, la prova sia stata ugualmente assunta, è onere della parte interessata opporne la nullità secondo le modalità dettate dall'art. 157, comma 2, , rimanendo altrimenti la stessa ritualmente acquisita, senza che detta nullità possa più essere fatta valere in sede di impugnazione (Cass. S.U. n. . 16723/2020 ). Le modalità di deduzione della prova per testimoni sono dettate dall'art. 244, che specifica la forma e il contenuto dell'istanza di ammissione del mezzo di prova. Le nullità concernenti l'ammissione e l'espletamento della prova testimoniale hanno, tuttavia, carattere relativo, derivando dalla violazione di formalità stabilite non per ragioni di ordine pubblico, bensì nell'esclusivo interesse delle parti, sicché non sono rilevabili d'ufficio dal giudice, ma, ai sensi dell'art. 157, comma 2, vanno denunciate dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva al loro verificarsi (o alla conoscenza delle nullità stesse), nozione che include anche la richiesta di un provvedimento ordinatorio di mero rinvio e la formulazione delle conclusioni dinanzi al giudice di primo grado, dovendosene escludere, in difetto, la possibilità di farle valere in sede di impugnazione (Cass. III, n. 7110/2016). Deduzione della prova per testimoniSecondo l'art. 244, la prova testimoniale deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata. Il momento ultimo entro il quale tale istanza possa essere utilmente è segnato dal vigente comma 6, n. 2) e 3), dell'art. 183, il quale regola generalmente le preclusioni in tema di indicazione dei mezzi di prova. Sicché, l'attore (o il convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale) dovrà indicare i nominativi dei testi ed i fatti su cui assumerli fin dalla seconda memoria integrativa mentre l'altra parte, che deduca prova contraria, dovrà provvedervi con la terza memoria, altrimenti l'istanza di prova testimoniale sarà, per ciò solo, inammissibile (Pisapia, 567 ss.). La necessità di un'indicazione specifica dei fatti da provare per testimoni non viene spiegata in modo rigorosamente formalistico, ma in relazione all'oggetto della prova, cosicché, qualora questa riguardi un comportamento o un'attività che si frazioni in circostanze molteplici, si reputa sufficiente la precisazione della natura di tale comportamento o attività, in modo da permettere alla controparte di contrastarne la prova attraverso la deduzione e l'accertamento di attività o comportamenti di carattere diverso (fermo restando che nell'interpretazione del significato e della portata delle deduzioni probatorie occorre tenere presente la loro finalità, in relazione alla concreta materia del contendere). Ai fini dell'ammissibilità della deduzione di prova testimoniale, è, quindi, necessario e sufficiente che i fatti indicati nei capitoli siano sintetizzati nei loro estremi essenziali in maniera da soddisfare le citate esigenze, mentre la precisazione di tutti i dettagli da parte del teste resta riservata alla diligenza del giudice e delle parti durante l'espletamento del mezzo istruttorio;la prova deve peraltro vertere su fatti e non su connotati valutativi (Cass., n.22254/2021; Cass. II, n. 11765/2019;Cass. I, n. 11844/2006). Già con l'art. 89, comma 1, l. n. 353/1990 erano stati abrogati gli originali commi 2 e 3 dell'art. 244, e non ha quindi più fondamento normativo il potere del giudice di assegnare alle parti un termine perentorio supplementare per formulare o integrare tali indicazioni. Nella vigenza del testo dell'art. 244 anteriore alla riforma introdotta dalla l. n. 353/1990, si affermava addirittura che, qualora il giudice ammetteva la prova testimoniale e fissava l'udienza per la relativa assunzione, senza stabilire un termine perentorio per l'indicazione dei testi, doveva ritenersi che egli avesse concesso alla parte la possibilità di indicare i testi sino all'inizio della prova, avvalendosi implicitamente della facoltà, avente natura meramente discrezionale, di consentire l'indicazione tardiva dei testimoni un tempo prevista dall'ultimo comma della citata norma (Cass. III, n. 12419/2008). È, invece, ora imposto alle parti, a pena di inammissibilità, di indicare anche i nominativi dei testimoni al più tardi entro i termini concessi dal giudice per la deduzione dei capi di prova. Le preclusioni istruttorie riguardano, quindi, non solo la formulazione dei capitoli, ma anche l'indicazione dei testi: una volta che il giudice abbia provveduto sulle richieste avanzate dalle parti, non è più possibile effettuare tale indicazione o integrare la lista dei testi (Cass. II, n. 23860/2023;Cass. III, n. 11790/2016; Cass. III, n. 5082/2007; Cass. III, n. 8957/2006). La nuova formulazione dell'art. 244 non ha, invero, comportato l'abrogazione del principio di infrazionabilità e contestualità della prova testimoniale, coordinato con la regola sull'ammissione dei nuovi mezzi di prova in appello, sicché è inammissibile la prova in secondo grado non solo nel caso in cui essa verta sulle medesime circostanze che hanno già formato oggetto dell'analogo mezzo istruttorio espletato nel grado precedente, ma anche quando, malgrado la diversa formulazione dei capitoli, la stessa sia diretta ad integrare o a confortare le risultanze di quella precedentemente acquisita, riguardando fatti connessi a quelli riferiti dai testi e che ben avrebbero potuto essere accertati nel medesimo contesto (Cass. II, n. 12303/2011). L'indicazione dei testimoni può avvenire mediante individuazione indiretta di essi tramite la funzione espletata nell'ufficio o nell'ente di cui fanno parte, a condizione che questa consenta una sicura identificazione della persona che si intende chiamare come testimone, onde consentire all'altra parte, nel rispetto delle regole del contraddittorio, di individuare i testi di cui l'istante intende avvalersi (Cass. lav., n. 9150/2003). Si è affermato che, qualora nell'atto introduttivo del giudizio sia stata proposta istanza di prova testimoniale senza indicare il nome del teste, e quest'ultimo, tuttavia, sia stato successivamente indicato entro i termini che il rito consente per il completo dispiegamento delle deduzioni istruttorie, è precluso al giudice attribuire a tale legittima scelta dell'istante un significato a lui sfavorevole ex art. 116 (Cass. III, n. 14706/2016). Qualora siano stati articolati i capitoli di prova e siano stati indicati i testimoni da escutere, non è richiesto altresì, a pena di inammissibilità, che venga precisato in ordine a quali capitoli i singoli testimoni siano chiamati a deporre, presumendosi che, in difetto di specificazione, ognuno di essi potrà rispondere su tutte le circostanze dedotte (Cass. III, n. 5125/1984). La parte contro la quale la prova è portata deve indicare a sua volta, entro la maturazione delle preclusioni istruttorie, le persone che intende fare interrogare e deve dedurre per articoli separati i fatti sui quali debbono essere interrogati. L'onere della tempestiva deduzione della prova contraria - ispirato al principio della “unità” della prova - comporta preclusione per ogni successiva richiesta e tale effetto riguarda sia la prova contraria diretta, vertente cioè sugli stessi fatti dedotti dall'istante, sia la prova contraria indiretta, relativa a fatti nuovi e diversi volti a dimostrare, in via congetturale, l'insussistenza o la diversa configurazione dei fatti allegati dal deducente (Cass. I, n. 20700/ 2006; Cass. III, n. 1163/1994). Va ricordato peraltro come l'art. 281-ter attribuisca al giudice del tribunale in composizione monocratica il potere di disporre d'ufficio la prova, formulandone i relativi capitoli, quando le parti nell'esposizione dei fatti si siano riferite a persone che appaiano in grado di conoscere la verità. Nel rito del lavoro, qualora la parte abbia, con l'atto introduttivo del giudizio, proposto capitoli di prova testimoniale, specificamente indicando di volersi avvalere del relativo mezzo in ordine alle circostanze di fatto allegate, ma abbia omesso l'enunciazione delle generalità delle persone da interrogare, tale omissione non determina decadenza dalla relativa istanza istruttoria, ma concreta una mera irregolarità, che abilita il giudice all'esercizio del potere-dovere di cui all'art. 421, comma 1, avente ad oggetto l'indicazione alla parte istante della riscontrata irregolarità e l'assegnazione di un termine perentorio per porvi rimedio, formulando o integrando le indicazioni relative alle persone da interrogare o ai fatti sui quali debbono essere interrogate; l'inosservanza di detto termine produce la decadenza dalla prova, rilevabile anche d'ufficio e non sanabile nemmeno sull'accordo delle parti (Cass. lav., n. 17649/2010). La facoltà del giudice di chiedere chiarimenti e precisazioni exart. 253, di natura esclusivamente integrativa, non può tradursi in un'inammissibile sanatoria della genericità e delle deficienze dell'articolazione probatoria (Cass. II, n. 14364/2018; Cass. III, n. 3280/2008). La mancanza di indicazione specifica dei fatti nella deduzione della testimonianza, in quanto requisito di rilevanza della prova, è rilevabile d'ufficio dal giudice e rende inammissibile la testimonianza medesima (Cass. VI, n. 1294/2018). Si assume, peraltro, che le nullità previste dall'art. 244 tutelano l'interesse privato delle parti al corretto svolgimento del processo e non già l'ordine pubblico processuale, sicché non possono essere rilevate d'ufficio dal giudice, né dedotte nei successivi gradi di giudizio dalla parte che, anche implicitamente, abbia fatto acquiescenza alla assunzione del mezzo istruttorio (Cass. III, n. 21395/2014; Cass. I. n. 24292/2016). Le prescrizioni di cui all'art. 244 vanno, invero, coordinate con il principio della nullità a rilevanza variabile enucleabile dall'art. 156, comma 2, in base al quale la nullità può essere pronunciata solo quando l'atto manchi dei requisiti di forma-contenuto indispensabili al raggiungimento dello scopo, cosicché, pur dovendo il teste essere indicato in maniera sufficientemente determinata o comunque determinabile, un'imperfetta o incompleta designazione dei relativi elementi identificativi (nella specie, del nome del testimone) è idonea ad arrecare un «vulnus» alla difesa e al contraddittorio solo se provochi in concreto la citazione e l'assunzione di un soggetto realmente diverso da quello previamente indicato, così da spiazzare l'aspettativa della controparte (Cass. II, n. 26058/2013). La mancata ammissione di una prova testimoniale da parte del giudice di merito può essere denunciata in sede di ricorso per cassazione purché il ricorrente adempia all'onere di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova (non essendo sufficiente un generico rinvio agli atti difensivi delle pregresse fasi del giudizio), al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse che, per il principio di autosufficienza del ricorso, la Corte di cassazione dev'essere in grado di compiere solo sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. S.U., n. 28336/2011). Sostituzione di testi decedutiL’assunzione di testi che non siano stati preventivamente e specificamente indicati può essere consentita solamente nei casi previsti dall’art. 257: di conseguenza, la parte non può pretendere di sostituire i testi deceduti prima della assunzione, con altri che non siano stati da essa stessa indicati nei modi e nei termini di cui all’art. 244 (Cass. II, n. 8929/2019; Cass. II, n. 4071/1993). Altrimenti, si è affermato che, qualora, una volta ammessa la prova testimoniale con l’indicazione delle persone da assumere e fissata l’udienza per la loro escussione, sopravvenga il decesso di uno dei testi ammessi e la parte deducente non abbia provveduto alla sua intimazione per l’udienza di assunzione, tale parte non incorre nella decadenza prevista dal comma 1 dell’art. 104 disp. att., dovendo, piuttosto, trovare applicazione analogica - rispetto a questa ipotesi non disciplinata dal codice di rito - la norma, contemplata nel comma 2 di detta disposizione, che consente di ritenere giustificata l’omissione e legittima il giudice a fissare, con successiva ordinanza, una nuova udienza per l’assunzione della prova previa sostituzione del teste deceduto, siccome, anche in tal caso, si impone l’esigenza di evitare la decadenza determinata da un inadempimento processuale della parte che sia stato causato da un suo giustificato impedimento (Cass. III, n. 16764/2006). BibliografiaCapelli, Il principio di unità e infrazionabilità della prova come limite alle prove nuove in appello, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2001, 211 ss.; Giabardo, Nota in tema di prova testimoniale civile, in Giur. it. 2013, 1863; Pisapia, Appunti in tema di deduzioni e preclusioni istruttorie nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2000, 567 ss.; Querzola, La capacità a testimoniare tra diritto sostanziale e diritto processuale, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1998, 1393 ss.; Taruffo, Cultura e processo, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2009, 63 ss. |