Codice di Procedura Civile art. 246 - Incapacità a testimoniare.

Antonio Scarpa

Incapacità a testimoniare.

[I]. Non possono essere assunte come testimoni le persone aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio [105, 421 4].

Inquadramento.

L’art. art 246 stabilisce il divieto di testimonianza per le persone che abbiano nella causa un interesse tale da legittimarne l’intervento in giudizio.

Incapacità a testimoniare

Il limite soggettivo di ammissibilità della prova testimoniale di maggior rilievo è contenuto nell'art. 246, fondato sulla tradizionale incompatibilità tra parte e teste, nel senso di presumere l'incapacità a testimoniare delle persone che possano avere un interesse all'esito della lite tale da legittimare il loro intervento. Tale precetto è ormai avversato dai commentatori, che criticano l'aprioristica distinzione tra parte e terzo ai fini della capacità a testimoniare ispirata unicamente da un'illazione di non sincerità, evidenziano l'impropria sovrapposizione ad esso imputabile dei giudizi di inattendibilità e di inammissibilità (non essendo affatto più attendibile la prova di tanti testimoni che siano comunque capaci a testimoniare ai sensi dell'art. 246), e sottolineano come alla parte sia poi comunque altrimenti consentito di disporre di prove legali, aventi cioè esito vincolante per il giudice, come la confessione ed il giuramento, laddove la testimonianza della parte stessa, ove ammissibile, resterebbe pur sempre soggetta al prudente apprezzamento del magistrato. Da ciò le spinte ad un'abrogazione dell'art. 246, in maniera da recuperare al processo le conoscenze di soggetti, si “interessati” alla lite, ma che, di regola, sono i più informati sui fatti di causa, responsabilizzando maggiormente il giudice al momento di valutazione delle risultanze istruttorie.

Anzi, l'affermazione di un diritto della parte ad essere assunta come testimone nella causa propria, oltre a conformarsi agli orientamenti degli ordinamenti stranieri che adeguatamente valorizzano il sapere dei contendenti, sembrerebbe altresì prodromica ad un ripristino dell'effettività del tentativo di conciliazione delle parti (Querzola, 1393 ss.).

Si sottolinea, in proposito, come le norme che riguardano l'inammissibilità delle prove discendano da implicazioni culturali soprattutto legate alla tradizione storica: sicché, se le regole italiane di cui agli artt. 2721 ss. c.c. sono quasi completamente identiche a quelle francesi, l'incapacità a testimoniare dei soggetti che potrebbero intervenire in giudizio esiste solo in Italia (Taruffo, 63 ss.).

La Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile, in riferimento agli art. 3, 24, 111 e 117 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 246, nella parte in cui non consente di assumere come testimoni persone già presenti nel processo come parti: pur essendo consentito alla parte di essere fonte di convinzione del giudice attraverso determinati strumenti - ad esempio l'interrogatorio libero - nel sistema del processo civile, si è detta ineludibile l'antitesi fra la posizione del teste e quella della parte processuale; soltanto in capo al primo è previsto sia l'obbligo, sotto comminatoria della sanzione penale, di dire la verità, che quello stesso, presidiato a sua volta da sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 255, di rendere testimonianza (Corte cost. n. 143/2009).

Diversa dalla capacità a testimoniare (la quale, come visto, dipende dalla presenza di un interesse giuridico alla causa), è la verifica in ordine all'attendibilità del teste, la quale afferisce alla veridicità della deposizione resa dallo stesso  e forma oggetto di una valutazione discrezionale che il giudice compie alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all'eventuale interesse ad un determinato esito della lite) (Cass. II, n. 21239/2019;Cass. III, n. 7623/2016; Cass. III, n. 7763/2010).

La valutazione sull'attendibilità di un testimone ha, tuttavia, ad oggetto il contenuto della dichiarazione resa e non può essere aprioristica e per categorie di soggetti, al fine di escluderne "ex ante" la capacità a testimoniare (Cass. III. n. 19215/2015).

Non sussiste alcun principio di necessaria inattendibilità del testimone che abbia vincoli di parentela o coniugali con una delle parti, atteso che, caduto il divieto di testimoniare previsto dall'art. 247 per effetto della sentenza della Corte cost. n. 248/1974, l'attendibilità del teste legato da uno dei predetti vincoli non può essere esclusa aprioristicamente in difetto di ulteriori elementi dai quali il giudice del merito desuma la perdita di credibilità (Cass. VI, n. 98/2019 ; Cass. III, n. 25358/2015). Si è peraltro affermato che, in sede di assunzione della prova testimoniale, il giudice del merito non è un mero registratore passivo di quanto dichiarato dal testimone, ma un soggetto attivo partecipe dell'escussione, al quale l'ordinamento attribuisce il potere-dovere, non solo di sondare con zelo l'attendibilità del testimone, ma anche di acquisire da esso tutte le informazioni indispensabili per una giusta decisione, sicché egli non può, senza contraddirsi, dapprima, astenersi dal rivolgere al testimone domande a chiarimento, e, successivamente, ritenerne lacunosa la deposizione perché carente su circostanze non capitolate, sulle quali nessuno ha chiesto al testimone di riferire (Cass. III, n. 17981/2020).

Rilievo della nullità della deposizione del teste incapace

L'incapacità a deporre prevista dall'art 246 si verifica solo quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso, alla stregua dell'interesse ad agire di cui all'art. 100, tale da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia in discussione, non avendo, invece, rilevanza l'interesse di fatto a un determinato esito del processo - salva la considerazione che di ciò il giudice è tenuto a fare nella valutazione dell'attendibilità del teste - né un interesse, riferito ad azioni ipotetiche, diverse da quelle oggetto della causa in atto, proponibili dal teste medesimo o contro di lui, a meno che il loro collegamento con la materia del contendere non determini già concretamente un titolo di legittimazione alla partecipazione al giudizio (Cass. II, n. 167/2018).

Ad esempio, nei giudizi sulla responsabilità civile derivante da circolazione stradale, il terzo trasportato è incapace a deporre, ai sensi dell' art 246 , quando abbia riportato danni in conseguenza del sinistro (Cass. VI, n. 19121/2019) ; parimenti il conducente di un veicolo coinvolto nel sinistro è incapace a deporre, in quanto titolare di un interesse giuridico, e non di mero fatto, all'esito della lite introdotta da altro danneggiato contro un soggetto potenzialmente responsabile (Cass. III, n. 13501/2022).

Neppure rileva l'interesse di mero fatto che un testimone può avere a che venga decisa in un certo modo la controversia in cui depone, pendente fra altre parti, ma identica a quella vertente tra lui ed un altro soggetto, senza che assuma rilievo il fatto che quest'ultimo sia, a sua volta, parte del giudizio in cui dev'essere resa la testimonianza; né l'incapacità a testimoniare può sorgere in caso di riunione di cause connesse per identità di questioni, incidendo detta riunione solo sull'attendibilità delle deposizioni (Cass. lav. n. 26044/2023).

Si è detto che il principio di inconciliabilità della veste di testimone con quella di parte, enunciato con riferimento alle persone fisiche, ha una portata minore per quel che concerne le persone giuridiche, ferma restando l'incapacità a testimoniare della persona fisica che per statuto abbia la rappresentanza legale della società (Cass. II, n. 19498/2018).

La nullità della testimonianza resa da persona incapace (in quanto portatrice di un interesse che avrebbe potuto legittimare il suo intervento in giudizio) deve essere eccepita subito dopo l'espletamento della prova, ai sensi dell'art. 157, comma 2 (salvo che il difensore della parte interessata non sia stato presente all'assunzione del mezzo istruttorio, nel qual caso la nullità può essere eccepita nell'udienza successiva), sicché, in mancanza di tempestiva eccezione, deve intendersi sanata. La preventiva eccezione di incapacità a testimoniare, proposta a norma dell'art 246, non può ritenersi comprensiva dell'eccezione di nullità della testimonianza comunque ammessa ed assunta nonostante la previa opposizione. Ove poi l'eccezione di nullità della testimonianza resa dall'incapace venga respinta, la parte interessata ha l'onere di riproporla in sede di precisazione delle conclusioni e nei successivi atti di impugnazione, dovendosi la medesima, in caso contrario, ritenere rinunciata, con conseguente sanatoria della nullità stessa per acquiescenza, rilevabile d'ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (Cass. S.U., n. 21670/2013;Cass. VI, n. 10120/2019; Cass. III, n. 23054/2009; Cass. I, n. 8358/2007; Cass. II, n. 2995/2004). Se l'eccezione di nullità della deposizione del teste incapace, ritualmente proposta, non sia stata proprio presa in esame dal giudice davanti al quale la prova venne espletata, la stessa deve essere formulata con apposito motivo di gravame avanti il giudice di appello, ovvero, se sollevata dalla parte vittoriosa in primo grado, da questa riproposta poi nel giudizio di gravame a norma dell'art. 346 (Cass. III, n. 6555/2005; Cass. II, n. 3521/1986). 

Ove la parte non formuli la relativa eccezione prima dell'ammissione del mezzo, essa rimane definitivamente preclusa, senza che possa poi proporsi, ove la testimonianza sia ammessa ed assunta, eccezione di nullità della prova. Qualora la parte abbia formulato l'eccezione di incapacità a testimoniare, e ciò nondimeno il giudice abbia ammesso il mezzo ed abbia dato corso alla sua assunzione, la testimonianza così assunta è affetta da nullità, che, ai sensi dell'art.157, l'interessato ha l'onere di eccepire subito dopo l'escussione del teste ovvero, in caso di assenza del difensore della parte alla relativa udienza, nella prima udienza successiva, determinandosi altrimenti la sanatoria della nullità (Cass. S.U., n. 9456/2023).

Allorché , in sede di ricorso per cassazione, voglia, pertanto, dedursi l'omessa motivazione del giudice d'appello sull'eccezione di nullità della prova testimoniale per incapacità ex art. 246, il ricorrente ha l'onere, anche in virtù dell'art. 366, comma 1, n. 6, di indicare che detta eccezione è stata sollevata tempestivamente ai sensi dell'art. 157, comma 2,  subito dopo l'assunzione della prova e, se disattesa, riproposta in sede di precisazione delle conclusioni ed in appello ex art. 346, dovendo, in mancanza , ritenersi irrituale la relativa eccezione e pertanto sanata la nullità, avendo la stessa carattere relativo (Cass. II, n. 23896/2016).

Si è affermato che, nel caso in cui, a fronte di un'eccezione di incapacità a testimoniare, il giudice abbia ammesso la prova con riserva di provvedere sulla stessa, la successiva assunzione della testimonianza - non preceduta dallo scioglimento della riserva – parimenti vizia l'atto processuale di nullità relativa, da eccepire tempestivamente ai sensi dell'art. 157, comma 2, c.p.c. (Cass. III, 29714/2023).

Bibliografia

Capelli, Il principio di unità e infrazionabilità della prova come limite alle prove nuove in appello, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2001, 211 ss.; Giabardo, Nota in tema di prova testimoniale civile, in Giur. it. 2013, 1863; Pisapia, Appunti in tema di deduzioni e preclusioni istruttorie nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2000, 567 ss.; Querzola, La capacità a testimoniare tra diritto sostanziale e diritto processuale, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1998, 1393 ss.; Taruffo, Cultura e processo, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2009, 63 ss.

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