Codice di Procedura Civile art. 263 - Presentazione e accettazione del conto.Presentazione e accettazione del conto. [I]. Se il giudice ordina la presentazione di un conto [560 1, 593, 676 3; 380 1, 385-389, 496-497, 531, 709 1, 723, 1129 3, 1130 2, 1713 1, 1983 1, 2261, 2552 3 c.c.], questo deve essere depositato [in cancelleria] con i documenti giustificativi, almeno cinque giorni prima dell'udienza fissata per la discussione di esso1. [II]. Se il conto viene accettato, il giudice istruttore ne dà atto nel processo verbale [126, 130] e ordina il pagamento delle somme che risultano dovute. L'ordinanza non è impugnabile e costituisce titolo esecutivo [177 3 n. 2, 474 2 n. 1]. [1] Comma modificato dall'art. 3, comma 2, lett. z) d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, che ha soppresso le parole: «in cancelleria»; ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023. Inquadramento.Gli articoli da 263 a 266 disciplinano il procedimento di rendiconto, il quale consiste nella formazione di uno stato attivo e passivo fondato sui relativi documenti giustificativi (art. 263, comma 1). La relativa domanda comporta che, se il conto è approvato, il giudice emette un’ordinanza di pagamento delle somme che costituisce titolo esecutivo (art. 263, comma 2). In ogni caso, il giudice può disporre, con ordinanza non impugnabile, il pagamento del sopravanzo che risulta dal conto o dalla discussione dello stesso (art. 264 comma 3). Presupposti e natura.Il procedimento di rendiconto di cui agli artt. 263 e ss. è fondato sul presupposto dell'esistenza dell'obbligo legale o negoziale di una delle parti di rendere il conto all'altra, facendo conoscere il risultato della propria attività in quanto influente nella sfera di interessi patrimoniali altrui o, contemporaneamente, nella altrui e nella propria, e, come tale, si ricollega all'esistenza di un rapporto di natura sostanziale e si instaura a seguito di domanda di rendiconto proposta in via principale od incidentale, sviluppandosi, quindi, come un giudizio di cognizione di merito, sia pure speciale, il cui atto terminale – in caso di accettazione del conto – è un'ordinanza non impugnabile del giudice istruttore, mentre – in caso contrario – è una sentenza (se del caso parziale, quando trattasi di procedimento promosso in via incidentale), avente attitudine ad acquisire efficacia di giudicato sul modo di essere della situazione sostanziale inerente l'obbligo di rendiconto (e ciò, o in via esclusiva, o in via strumentale, rispetto ad altra situazione costituente il diritto principale cui si ricollega l'obbligo di rendiconto) (Cass. I, n. 17283/2010). Ove vi sia controversia in ordine alla situazione od al negozio da cui si fa discendere l'obbligo di rendere il conto, l'ordine del giudice di presentazione del conto deve essere preceduto dal positivo accertamento dell'esistenza di detta situazione o negozio, che ne costituiscono la base imprescindibile (Cass. I, n. 4765/2007; Cass. I, n. 26222/2022). Il procedimento in esame, tuttavia, è dalla legge previsto come applicabile anche a taluni rapporti di natura processuale (come la tutela, la custodia e l'amministrazione giudiziaria dei beni immobili esecutati o assoggettati a sequestro, la curatela fallimentare), ma in tal caso la disciplina del procedimento non sempre è quella degli artt. 263 e ss. nella sua integralità (Cass. I, n. 12463/1999). L'obbligo di rendiconto è legittimamente adempiuto quando chi vi sia tenuto fornisca la prova, attraverso i necessari documenti giustificativi, non soltanto delle somme incassate e dell'entità causale degli esborsi, ma anche di tutti gli elementi di fatto funzionali alla individuazione ed al vaglio delle modalità di esecuzione dell'incarico, onde stabilire se il suo operato si sia adeguato a criteri di buona amministrazione (Cass. III, n. 19991/2012; Cass. II, n. 24866/2006). Si è precisato che nel giudizio di rendiconto tra un condominio e il suo ex amministratore, avente ad oggetto il rimborso a quest'ultimo delle somme anticipate e la restituzione da parte dello stesso delle somme ricevute a causa dell'incarico, traendo origine le contrapposte relazioni di debito – credito dallo stesso unico rapporto, le parti possono sollecitare in corso di causa l'accertamento contabile del saldo finale delle rispettive partite, senza che sia necessaria l'eccezione di una di esse o la proposizione di una domanda riconvenzionale e senza che operino i limiti alla compensabilità, postulando questi ultimi l'autonomia dei rapporti (Cass. VI-2, n. 12931/2022). Il rendiconto tra coeredi.L'art. 723 c.c., obbliga il coerede che abbia goduto in via esclusiva dei beni ereditari, per il fatto oggettivo della gestione, sia al rendiconto che a corrispondere i frutti agli altri eredi a decorrere dalla data di apertura della successione (o dalla data posteriore in cui abbia acquisito il possesso dei beni stessi), senza che abbia rilievo la sua buona o mala fede. La domanda di rendimento del conto include la domanda di condanna al pagamento delle somme che risultano dovute, in quanto il rendiconto, ai sensi degli artt. 263, comma 2, e 264, comma 2, è finalizzato proprio all'emissione di titoli di pagamento. Ne consegue che non viola l'art. 112 il giudice che, pur senza un'espressa domanda al riguardo, condanni chi rende il conto alla corresponsione delle somme dovute (Cass. II, n. 2148/2014; Cass. IV-2, n. 14324/2022). La norma attiene unicamente ai rapporti tra coeredi, quale operazione inserita nel procedimento divisorio. Il gestore di una comunione ereditaria ha diritto al rimborso delle spese necessarie od utili per la conservazione o il miglioramento dei beni comuni ma non può pretendere il pagamento dei debiti verso la massa da parte dei coeredi o legatari, in quanto l'obbligo di versamento, a loro carico, sorge al momento del giudizio di divisione e di resa nel conto e non nei confronti del gestore, privo del potere di rappresentanza della massa ereditaria (Cass. II, n. 12642/2016; Cass. II, n. 9269/2008). Nell'ambito dei rapporti tra coeredi, la resa dei conti di cui all'art. 723 c.c., oltre che operazione inserita nel procedimento divisorio, può anche costituire un obbligo a sé stante, fondato - così come avviene in qualsiasi situazione di comunione - sul presupposto della gestione di affari altrui condotta da uno dei partecipanti; ne consegue che l'azione di rendiconto può presentarsi anche distinta ed autonoma rispetto alla domanda di scioglimento della comunione, pur se le due domande abbiano dato luogo ad un unico giudizio, sicché le medesime possono essere scisse e decise senza reciproci condizionamenti (Cass. II, n. 30552/2011). Si è così affermato che l 'azione di rendiconto, costituendo pretesa distinta rispetto alla domanda di scioglimento della comunione, va proposta, in via riconvenzionale, a pena di inammissibilità, con la comparsa di risposta ai sensi dell'art. 167 (Cass. II, n. 15182/2019 ). BibliografiaLuiso-Sassani, La riforma del processo civile, Milano, 2006; Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche, II, Torino, 2010. |