Codice di Procedura Civile art. 269 - Chiamata di un terzo in causa 1 .

Antonio Scarpa

Chiamata di un terzo in causa 1.

[I]. Alla chiamata di un terzo nel processo a norma dell'articolo 106, la parte provvede mediante citazione a comparire nell'udienza fissata dal giudice istruttore ai sensi del presente articolo, osservati i termini dell'articolo 163-bis.

[II].Il convenuto che intenda chiamare un terzo in causa deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di risposta e contestualmente chiedere al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell'articolo 163-bis. Il giudice istruttore, nel termine previsto dall'articolo 171-bis, provvede con decreto a fissare la data della nuova udienza. Il decreto è comunicato dal cancelliere alle parti costituite. La citazione è notificata al terzo a cura del convenuto 2.

[III]. Ove, a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta, sia sorto l'interesse dell'attore a chiamare in causa un terzo, l'attore deve, a pena di decadenza, chiederne l'autorizzazione al giudice istruttore nella memoria di cui all'articolo 171-ter, primo comma, numero 1. Il giudice istruttore, se concede l'autorizzazione, fissa una nuova udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell'articolo 163-bis. La citazione è notificata al terzo a cura dell'attore entro il termine perentorio stabilito dal giudice3

[IV]. La parte che chiama in causa il terzo deve depositare la citazione notificata entro il termine previsto dall'articolo 165, e il terzo deve costituirsi a norma dell'articolo 166.

[V]. Nell'ipotesi prevista dal terzo comma restano ferme per le parti le preclusioni maturate anteriormente alla chiamata in causa del terzo e i termini indicati dall'articolo 171-ter decorrono nuovamente rispetto all'udienza fissata per la citazione del terzo4.

 

[1]  Articolo così sostituito dall'art. 29 l. 26 novembre 1990, n. 353. Il testo recitava: «[I]. Alla chiamata di un terzo nel processo a norma dell'articolo 106, la parte deve provvedere mediante citazione a comparire alla prima udienza, osservati i termini stabiliti nell'articolo 163-bis. [II]. Il giudice istruttore, quando ne è richiesto nella prima udienza, può concedere un termine per la chiamata del terzo, fissando all'uopo una nuova udienza. [III]. La parte che chiama un terzo deve depositare la citazione entro il termine di cui all'articolo 165, mentre il terzo può costituirsi a norma dell'articolo 166 o all'udienza».

[2] Comma così modificato dall'art. 3, comma 17, lett. c), numero 1), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 che ha sostituito, nel secondo periodo, le parole: «nel termine previsto dall'articolo 171-bis» alle parole: «entro cinque giorni dalla richiesta» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022, il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022 , come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

[3] Comma così modificato dall'art. 3, comma 17, lett. c), numero 2), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 che ha sostituito, nel primo periodo, le parole: «nella memoria di cui all'articolo 171-ter, primo comma, numero 1» alle parole: «nella prima udienza» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022, il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

[4] Comma così sostituito dall'art. 21 lett. p)l. 28 dicembre 2005, n. 263, con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 4 l. n. 263, cit., tali modifiche si applicano per i procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006. Il testo precedentemente in vigore era il seguente: «[V]. Nell'ipotesi prevista dal terzo comma, restano ferme per le parti le preclusioni ricollegate alla prima udienza di trattazione, ma il termine eventuale di cui all'ultimo comma dell'articolo 183 è fissato dal giudice istruttore nella udienza di comparizione del terzo, e i termini di cui all'articolo 184 decorrono con riferimento alla udienza successiva a quella di comparizione del terzo.». Successivamente  così modificato dall'art. 3, comma 17, lett. c), numero 3), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 che ha sostituito le parole: «maturate anteriormente alla chiamata in causa del terzo e i termini indicati dall'articolo 171-ter decorrono nuovamente rispetto all'udienza fissata per la citazione del terzo» alle parole: «ricollegate alla prima udienza di trattazione, ma i termini eventuali di cui al sesto comma dell'articolo 183 sono fissati dal giudice istruttore nella udienza di comparizione del terzo» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022, il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022 , come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

Inquadramento.

Gli articoli da 269 a 272 regolano l'intervento di terzi nel processo provocato dall'istanza di una delle parti originarie o dall'ordine del giudice, stabilendo i limiti preclusivi entro cui è consentito estendere volontariamente l'ambito soggettivo del giudizio ed attribuendo ai chiamati in causa le indispensabili facoltà difensive. 

Chiamata del terzo su istanza di parte

Lart. 269, a seguito del d.lgs. n. 149/2022,  stabilisce che il giudice, sull’istanza del convenuto che intenda chiamare un terzo in causa, deve provvedere a fissare la data della nuova udienza nel termine previsto dall’art.171-bis, mentre, ove l’attore intenda chiamare in causa un terzo, deve chiederne l’autorizzazione al giudice istruttore nella memoria di cui all’art. 171-ter, primo comma, numero 1, nel qual caso restano ferme per le parti le preclusioni maturate anteriormente alla chiamata in causa del terzo e i termini indicati dall’art.171-ter decorrono nuovamente rispetto all’udienza fissata per la citazione del terzo.

L'art. 269 dispone che la chiamata in causa del terzo avvenga mediante citazione a comparire nell'udienza fissata dal giudice, provvedendosi dall'istante alla notificazione dell'atto di chiamata in modo da assicurare al chiamato un termine di comparizione non inferiore a quello previsto dall'art. 163-bis.

Il convenuto, per poter legittimamente formulare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 167, comma 3, e 269, l'istanza di chiamata in causa di un terzo deve necessariamente costituirsi tempestivamente, ovvero nel rispetto del termine fissato dall'art. 166, sicché, in caso di tardività della costituzione, consegue la declaratoria di inammissibilità della predetta richiesta. Ai fini dell'osservanza di tale termine, per il suo computo a ritroso deve aversi riguardo esclusivamente all'udienza indicata nell'atto di citazione e non anche a quella eventualmente successiva, cui la causa sia stata rinviata d'ufficio, ai sensi dell'art. 168-bis, comma 4 (Cass. II, n. 12490/2007).

L'art. 269, comma 2, impone al convenuto il duplice onere, a pena di decadenza, di inserire nella comparsa di risposta sia la formulazione della chiamata che l'istanza di spostamento della prima udienza, sicché è inammissibile la chiamata ove il convenuto provveda solo ad uno di tali adempimenti (Cass. VI, n. 10579/2013).

Analogamente, l’art. 171-ter, n. 1),disponendo che l'attore può chiamare in causa un terzo, su autorizzazione del giudice, ai sensi degli articoli 106 e 269, terzo comma, "se l'esigenza è sorta a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta”, consente che lo stesso possa instare per la chiamata del terzo, oltre che a seguito di eccezione o domanda riconvenzionale del convenuto, anche in dipendenza di una mera difesa "in iure" o "in facto" di quest'ultimo che contesti la propria legittimazione passiva, con l'indicazione di un terzo quale soggetto effettivamente legittimato (Cass. II, n. 2331/2022).

Il sistema giustifica la preclusione dell’attore rispetto alla chiamata del terzo che non sia richiesta nella prima memoria ove il convenuto si sia difeso nella comparsa di risposta depositata a norma dell’art. 167 deducendo sul terzo stesso. Allorché, però, il convenuto si sia costituito successivamente, e così soltanto nella sua comparsa di risposta intempestiva abbia poi svolto le difese su cui possa fondarsi l’interesse dell’attore a chiamare il terzo, viene sacrificato il diritto di difesa dell’attore stesso, cui è imposto di rivolgere nella prima memoria ex art. 171-ter la richiesta di autorizzazione alla chiamata.

Può sovvenire in tale evenienza l’art. 101, comma 2, c.p.c., che investe il giudice del dovere di adottare i provvedimenti opportuni per assicurare il rispetto del contraddittorio.

Il giudice, quando all’udienza ex art. 183 autorizza l’attore alla chiamata, fissa una nuova udienza per consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell’art. 163-bis c.p.c. e stabilisce il termine perentorio entro cui l’attore deve provvedere alla notifica (art. 269, comma 3). In questa ipotesi, restano ferme per le parti originarie le preclusioni maturate anteriormente alla chiamata in causa del terzo, ma rispetto a quest’ultimo i termini indicati dall’art. 171-ter decorrono nuovamente avendo riguardo all’udienza fissata per la sua citazione, in maniera da realizzare al più presto l’armonizzazione dei diversi rapporti processuali. In effetti, la chiamata in causa del terzo non costituisce un motivo di automatica remissione in termini per le attività già precluse nel rapporto tra le parti originarie, il che significa che all’atto della costituzione in giudizio del terzo i « giochi » fra attore e convenuto si intendono irrimediabilmente fatti. Il terzo, tuttavia, potrà investire con le proprie difese anche il rapporto fra attore e convenuto, sicché costoro potranno replicare pure su questi profili.

Il terzo chiamato in causa su istanza di parte non può, comunque, eccepire l'irritualità della chiamata per mancata osservanza delle prescrizioni stabilite dall'art. 269, comma 2, atteso che il suo interesse a far valere questioni relative al rapporto processuale originario è correlato esclusivamente alla correttezza della decisione in merito o in rito su di esso e non anche alla ritualità della chiamata in giudizio (Cass. II, n. 10382/2018; Cass. III, n. 419/2017; Cass. VI, n. 10579/2013 ).

Così, nel caso di chiamata di terzo compiuta senza il rispetto delle modalità, stabilite a pena di decadenza dall'art. 269 commi 2 e 3, rispettivamente per il convenuto e per l'attore, il giudice di primo grado può rilevare d'ufficio la nullità della chiamata ma, in mancanza di tale rilievo, ove il chiamato si sia costituito senza eccepire la decadenza del chiamante, la rilevabilità officiosa del vizio, non dedotto come motivo di gravame, non si estende al grado successivo (Cass. III, n. 41383/2021).

Nel caso di declaratoria d'inammissibilità per tardività dell'istanza di chiamata in causa in garanzia, a fronte di domanda risarcitoria, l'intervento adesivo dipendente del terzo non implica, in ogni caso, l'accettazione del contraddittorio rispetto alla domanda di manleva che non ha trovato ingresso nel processo (Cass. III, n. 7407/2017).

Si è affermato in giurisprudenza che, al di fuori delle situazioni di litisconsorzio necessario ex art. 102 (ipotesi in cui è il giudice stesso a dover ordinare d'ufficio entro un termine perentorio la chiamata del soggetto pretermesso), è discrezionale il provvedimento del giudice di fissazione di una nuova prima udienza per la chiamata, come già si era osservato in rapporto al rito del lavoro (art. 420, comma 9) (Cass. S.U., n. 4309/2010; Cass. III, n. 9570/2015;  Cass. III, n. 3692/2020). Ad avviso di tale orientamento, le regole poste dall'art. 269 sarebbero state introdotte per porre un termine perentorio di ammissibilità alla richiesta di chiamata del terzo da parte del convenuto, restando ferma la natura di criterio facoltativo del litisconsorzio nelle obbligazioni solidali e mancando l'esigenza di trattare unitariamente le domande di condanna introduttive della causa con quelle di manleva dei convenuti, con conseguente separabilità dei due processi. Così, il giudice cui pure sia tempestivamente richiesta dal convenuto la chiamata in causa, in manleva o in regresso, del terzo, potrebbe perciò rifiutare di fissare una nuova prima udienza per la costituzione del terzo, motivando la trattazione separata delle cause per ragioni di economia processuale e per motivi di ragionevole durata del processo, intrinseci ad ogni sua scelta.

La soluzione da ultimo adottata in giurisprudenza (a far tempo da Cass. S.U., n. 4309/2010), in ordine alla chiamata del terzo su istanza del convenuto, andrebbe però rimeditata applicativamente, considerando come la decisione di denegare lo spostamento della prima udienza per consentire la citazione del terzo, e dunque di comprimere l'aspirazione del convenuto a realizzare nello stesso processo il litisconsorzio facoltativo con il soggetto da cui intende essere garantito, possa collidere con l'obiettivo della armonizzazione delle decisioni, nonché con la medesima esplicitata ratio di economia processuale, impedendo la trattazione unitaria della causa principale e della causa di garanzia e generando una duplicazione di procedure, di istruzioni e di pronunce su un fatto storico pressoché identico. Soprattutto, sarebbe da considerare quale ricaduta abbia l'interpretazione del comma 2 dell'art. 269 offerta da Cass., S.U., n. 4309/2010, sul principio, di pari rango costituzionale, della parità di condizioni fra le parti del processo. Tale principio si sostanzia nella garanzia che ogni parte possa fruire di poteri aventi funzione e contenuti equivalenti a quelli attribuiti all'altra parte; si insegna che il canone della parità delle armi rappresenta l'ipostatizzazione sul piano processuale del principio di eguaglianza formale ex art. 3 Cost., sicché esso è identicamente esposto soltanto a quelle stesse limitazioni tollerate da quest'ultimo. La tutela della parità delle armi deve significare eguale possibilità per le parti di disporre simmetricamente dei medesimi mezzi di difesa che la legge mette a loro disposizione nel corso dell'intero processo. Occorre richiamare l'insegnamento reso da Corte cost., n. 80/1977, che aveva dichiarato infondata la q.l.c., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 269, comma 2, proprio nella parte in cui esso non prevede che la chiamata in causa di un terzo ad opera del convenuto sia autorizzata dal giudice istruttore. Secondo la Corte costituzionale, la forma stessa di decreto, che caratterizza il provvedimento con cui il giudice istruttore, senza necessità di contraddittorio con l'attore, fissa la data della nuova udienza per la citazione del terzo richiesta dal convenuto, dimostrerebbe appunto che in questo momento non potrebbe essere esercitato alcun potere valutativo intorno all'esistenza dei presupposti della chiamata in causa. Tuttavia, per la Corte Costituzionale, la previsione dell'insindacabile facoltà per il convenuto, all'atto della sua prima difesa, di estendere l'ambito soggettivo del processo, non sarebbe affatto priva di ragionevolezza, «ove si consideri che l'attore per primo ha facoltà di convenire in giudizio qualunque soggetto, senza limitazioni di sorta e senza necessità, ovviamente, di autorizzazione alcuna. Per verificare che sia garantita alle parti un'identità di trattamento, la comparazione dei poteri ad esse attribuiti deve essere eseguita con riferimento ad uno stesso momento processuale, il quale, nella fattispecie, è da individuarsi nell'atto in cui ciascuna parte espone introduttivamente le proprie ragioni: in questo momento le parti devono essere poste in grado di compiere le medesime attività con eguali poteri. Ed in effetti, nell'indicato momento, la posizione dell'attore, che può liberamente scegliere i soggetti da convenire in giudizio, è del tutto corrispondente a quella del convenuto, cui è esattamente e correlativamente riconosciuta la facoltà di chiamare in causa qualsivoglia terzo, al quale ritenga comune la causa o dal quale pretenda essere garantito». In tal senso, soltanto l'assunto dell'obbligatorietà del differimento della prima udienza, sottintesa nel comma 2 dell'art. 269, varrebbe a porre le parti in una situazione di effettiva perfetta parità, attribuendo loro le medesime facoltà in relazione al medesimo momento processuale, come vieppiù postula il canone costituzionalizzato nel comma 2 dell'art. 111 Cost.

In ogni caso, se volesse convenirsi sulla ammissibilità di un controllo preventivo del giudice sull'istanza di chiamata in causa avanzata dal convenuto (per escludere, ad esempio, quelle chiamate aventi evidenti finalità ostruzionistiche, dilatorie o, peggio ancora, sleali, quale potrebbe essere l'evocazione in lite come terzo di un potenziale testimone indispensabile per l'attore, allo scopo di rendere lo stesso incapace a testimoniare), ciò dovrebbe comunque avvenire nel contraddittorio delle parti, e dunque nell'udienza di prima comparizione e trattazione, all'esito della quale potrebbe essere quindi pronunciato il provvedimento autorizzativo della chiamata, con conseguente eventuale rinvio dell'udienza medesima ove sia consentita la citazione del terzo.

Si assume, peraltro, che il provvedimento del giudice che concede o nega l'autorizzazione a chiamare in causa un terzo coinvolge valutazioni assolutamente discrezionali che, come tali, non possono formare oggetto di appello e di ricorso per cassazione (Cass. II, n. 2331/2022; Cass. VI-L, n. 11223/2022).

Si è affermato che il termine entro il quale, ai sensi del quarto comma dell'art. 269, deve essere depositata la citazione del terzo chiamato ha natura ordinatoria e, se non rispettato, non comporta l'improcedibilità della domanda nei confronti del chiamato (Cass. II, n. 4674/2022).

Chiamata in garanzia

In caso di chiamata in causa per garanzia di un terzo ad opera del convenuto, tanto più nell'ipotesi in cui il terzo non si limiti a contrastare il diverso ed autonomo titolo su cui si fonda la domanda di manleva, ma contesti anche il titolo dell'obbligazione principale, e, quindi, la fondatezza della domanda proposta nei confronti del proprio chiamante, il nesso che si instaura tra la domanda di manleva e la domanda principale determina l'assoggettamento delle due cause al regime della conservazione necessaria del litisconsorzio processuale instaurato nella precedente fase di giudizio, in virtù di quanto stabilito dall'art. 331, il cui ambito di applicazione non è, del resto, circoscritto alle cause inscindibili, ma si estende anche a quelle tra loro dipendenti (Cass. III, n. 20552/2014;  Cass. II, n. 21240/2009; Cass. III, n. 11055/2009).

Si è conseguentemente deciso che, in caso di chiamata in causa in garanzia dell'assicuratore della responsabilità civile, l'impugnazione - esperita esclusivamente dal terzo chiamato avverso la sentenza che abbia accolto sia la domanda principale, di affermazione della responsabilità del convenuto e di condanna dello stesso al risarcimento del danno, sia quella di garanzia da costui proposta - giova anche al soggetto assicurato, senza necessità di una sua impugnazione incidentale, indipendentemente dalla qualificazione della garanzia come propria o impropria, che ha valore puramente descrittivo ed è priva di effetti ai fini dell'applicazione degli artt. 32, 108 e 331, dovendosi comunque ravvisare un'ipotesi di litisconsorzio necessario processuale non solo se il convenuto abbia scelto soltanto di estendere l'efficacia soggettiva, nei confronti del terzo chiamato, dell'accertamento relativo al rapporto principale, ma anche quando abbia, invece, allargato l'oggetto del giudizio, evenienza, quest'ultima, ipotizzabile allorché egli, oltre ad effettuare la chiamata, chieda l'accertamento dell'esistenza del rapporto di garanzia ed, eventualmente, l'attribuzione della relativa prestazione (Cass. S.U., n. 24707/2015).

Qualora, peraltro, il convenuto in un giudizio di risarcimento dei danni chiami in causa un terzo con il quale non sussiste alcun rapporto contrattuale, indicandolo come il vero legittimato passivo, non si versa in un'ipotesi di chiamata in garanzia impropria (o manleva), la quale presuppone la non contestazione della suddetta legittimazione, ma di chiamata del terzo responsabile, con conseguente estensione automatica della domanda al terzo che il giudice può e deve esaminare senza necessità che l'attore ne faccia esplicita richiesta (Cass. I, n. 5580/2018).

Opposizione a decreto ingiuntivo

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, qualora l'opponente (il quale mantiene la veste di convenuto con riguardo sia alla ripartizione dell'onere della prova che ai poteri ed alle preclusioni processuali rispettivamente previsti per ciascuna delle parti) intenda chiamare un terzo, non può provvedere direttamente alla sua citazione, ma, ai sensi dell'art. 269, deve chiedere al giudice, con l'atto di opposizione, di essere autorizzato alla chiamata del terzo al quale ritenga comune la causa sulla base dell'esposizione dei fatti e delle considerazioni giuridiche contenute nel ricorso per decreto (Cass. I, n. 21101/2015).

Qualora peraltro l’opponente, pur avendo citato direttamente il terzo, abbia in via gradata tempestivamente richiesto l'autorizzazione di cui all'art. 269, rimane impedita la decadenza dalla chiamata, la quale deve, anzi, ritenersi implicitamente autorizzata, ove il giudice pronunci nel merito anche nei confronti del terzo (Cass. VI, n. 16336/2020).

Ciò in quanto, per effetto dell'opposizione, non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore e l'opponente quella di convenuto; peraltro, il provvedimento con il quale il giudice autorizza o nega la chiamata in causa di un terzo ad istanza di parte, ove non si verta in ipotesi di litisconsorzio necessario ex art. 102, coinvolge valutazioni assolutamente discrezionali che, come tali, non possono formare oggetto di appello né di ricorso per cassazione. Ne discende ulteriormente che, ove sia stata chiesta l'autorizzazione alla chiamata in causa di un terzo, senza che il giudice abbia neppure provveduto in merito, non può dirsi affatto che il terzo, per effetto automatico della proposizione dell'istanza di autorizzazione alla chiamata, e prima ancora di essere citato o di aver depositato una comparsa di intervento, assuma la qualità di parte nel processo, legata da un nesso di litisconsorzio necessario processuale con i soggetti originari della lite, in maniera da obbligare il giudice d'appello a rimettere la causa al primo giudice per l'integrazione del contraddittorio (Cass. II, n. 21706/2019).

 

Bibliografia

Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Principi, VI ed., a cura di V. Colesanti, E. Merlin, E.F. Ricci, Milano, 2002; Luiso-Sassani, La riforma del processo civile, Milano, 2006; Punzi, Il processo civile. Sistema e problematiche, II, Torino, 2010.

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