Codice di Procedura Civile art. 277 - Pronuncia sul merito.Pronuncia sul merito. [I]. Il collegio nel deliberare sul merito deve decidere tutte le domande proposte e le relative eccezioni [112, 277, 278, 279 2], definendo il giudizio [189 2]. [II]. Tuttavia il collegio, anche quando il giudice istruttore gli ha rimesso la causa a norma dell'articolo 187, primo comma, può limitare la decisione ad alcune domande, se riconosce che per esse soltanto non sia necessaria un'ulteriore istruzione, e se la loro sollecita definizione è di interesse apprezzabile per la parte che ne ha fatto istanza [279 2 n. 5]. Inquadramento.L’art. 277 prevede che la pronuncia giurisdizionale sul merito sia, di norma, unica e tale da definire il giudizio con una sola sentenza, ma ammette la facoltà per il collegio di decidere immediatamente su alcune soltanto delle domande e di rinviare la decisione delle altre all’esito di ulteriore istruzione. Il principio della concentrazione del processoIl comma 1 dell'art. 277 delinea il principio di base del nostro sistema processuale, cui il giudice, che delibera nel merito della lite, deve definire ad un tempo il giudizio, pronunciando su tutte le domande e le eccezioni proposte dalle parti. Tale regola è tuttavia derogabile nei casi previsti dallo stesso art. 277, comma 2, nonché dall'art. 279, comma 2, n. 4, che contemplano la possibilità delle sentenze non definitive, vale a dire di quelle pronunce che non esauriscono il thema decidendum in quanto risolvono soltanto alcune delle questioni dibattute, disponendo per le altre la prosecuzione del giudizio. Nella Relazione al Codice si sottolineava il carattere derogatorio del capoverso rispetto al primo comma dell'art. 277, carattere sintetizzato dall'avversativo «tuttavia». La disposizione in esame indica quindi, come regola, il principio della concentrazione del processo, secondo cui il medesimo deve essere definito con una sola decisione che risolva tutto il merito, facendo salvi però casi eccezionali, comportanti il frazionamento delle decisioni in un contesto di pluralità di domande o di questioni, che, implicando un supplemento di indagini, abilitano all'emissione di una sentenza parziale e alla prosecuzione del processo per la parte non definita. Il processo con più domandeLa decisione su alcune domande, consentita dal secondo comma dell'art. 277, coincide quindi con l'ipotesi della sentenza non definitiva, di cui al n. 4 dell'art. 279; laddove il n. 5 dell'art. 279 si riferisce alla distinta ipotesi della decisione «definitiva» su alcune domande separate da altre. Sia la disciplina del secondo comma dell'art. 277 che la separazione cui ha riguardo l'art. 279, comma 2, n. 5 presuppongono, invero, la situazione del processo con più domande cumulate, ma la prima norma non si riferisce alla separazione di più domande. Diversi sono i requisiti per la decisione parziale, prevista dall'art. 277, comma 2, da quelli riguardanti la separazione (art. 103, comma 2, richiamato dall'art. 104, comma 2, e dall'art. 279, comma 2, n. 5): nel primo caso, occorre l'interesse apprezzabile della parte che ne ha fatto istanza alla sollecita definizione di alcune domande non bisognose di ulteriore istruzione; nell'altro caso o l'istanza di tutte le parti ovvero il ritardo o l'aggravio del processo unitario, valutati indipendentemente dalla richiesta della o delle parti. In presenza di una pluralità di domande, poste in rapporto di pregiudizialità logica, allorché la sentenza accolga la domanda logicamente pregiudiziale, senza però nulla affermare in ordine alle domande consequenziali, limitandosi soltanto a disporre la prosecuzione del giudizio per la quantificazione delle somme richieste e per l'esame dei mezzi istruttori dedotti dalle parti, non può quindi sostenersi che la sentenza non definitiva così pronunciata contenga in sé una statuizione implicita di rigetto delle domande consequenziali. In tal caso, deve piuttosto intendersi resa una sentenza ai sensi dell'art. 277, comma 2, avendo il giudice ristretto la decisione ad alcune domande, riconoscendo che per esse soltanto non fosse necessaria alcuna ulteriore istruzione. L'ambito applicativo consono all'art. 277, comma 2, è quello del coordinamento tra le pronunce che abbiano ad oggetto più domande connesse per ragioni diverse da quelle che danno luogo ad un cd. cumulo semplice: si fa l'esempio della connessione per accessorietà, per pregiudizialità-dipendenza, per oggetto con relazione di incompatibilità. In linea generale in settori di questo tipo l'esigenza principale che l'ordinamento persegue è quella del coordinamento tra le pronunce. E il simultaneo processo si presenta a tal fine solo come un modo per realizzare quell'esigenza, restando pur sempre al servizio dello stesso fine l'utilizzabilità di altri strumenti tecnici: la sospensione necessaria, l'estensione (nei limiti del possibile) della cosa giudicata ai terzi, l'estensione dei limiti oggettivi del giudicato all'antecedente logico necessario, l'opposizione di terzo ordinaria (Bove, 415). In tali fattispecie, al giudice è impedita la separazione delle cause, invero consentita, ai sensi dell'art. 279, comma 2, n. 5, solo nei casi di cumulo semplice. Il provvedimento di separazione, che distingue le ipotesi di cui all'art. 279, comma 2, n. 5, non postula l'adozione di espressioni «sacramentali», ma deve essere esplicito, in modo da rendere definitiva la decisione su una delle domande del processo originariamente cumulativo. II capo di una sentenza con cui il giudice, sul presupposto della sussistenza di plurime domande (o di questioni di merito), taluna delle quali non immediatamente definibile, disponga, con riferimento a queste ultime, la prosecuzione del giudizio per l'ulteriore istruzione, come consentito dagli artt. 277 e 279, dà luogo ad una statuizione che reca la semplice affermazione dell'esigenza dell'ulteriore istruzione, e che pertanto implica il rinvio della decisione sulla domanda o sulla questione, nonché l'ordine di prosecuzione del processo ai fini dell'espletamento dell'istruttoria supplementare e della pronuncia definitiva. In tal senso, quel capo di sentenza riveste natura meramente ordinatoria, e le affermazioni sulle quali esso si fonda non possono impegnare la decisione della causa o costituire preclusioni in sede di sentenza. Da ciò discende altresì che siffatto capo di sentenza, non avendo portata decisoria, non è suscettibile di impugnazione in una con la sentenza che abbia deciso sulle altre domande o sulle altre questioni. Sentenze parziali e sentenze non definitiveIl Codice detta molte norme per evitare giudicati contraddittori (artt. 31, 36, 40, 274, 103, 106, 107, 295, 331, 332, 335), postulando all'evidenza che la misura più efficace per scongiurare tale eventualità è il simultaneus processus, e cioè il contestuale svolgimento di tutte le cause e la decisione finale unica, con l'unica deroga di cui all'art. 277, comma 2. Poiché il simultaneus processus implica logicamente che la decisione sia unica per ciascun grado del giudizio, è evidente che il capoverso della norma in esame costituisce deroga al principio dell'unica sentenza nello stesso grado del processo e rispetto a tutte le domande in esso cumulate. Si continua inoltre a prevedere, come ipotesi di sentenza non definitiva, quella dell'art. 278; la condanna generica e la successiva liquidazione sono del pari disciplinate dalle regole delle sentenze non definitive, che peraltro tutelano la medesima situazione sostanziale. Nella fase del processo successiva alla pronunzia di una sentenza parziale, il giudice rimane vincolato dalla decisione adottata, non potendone certo rimettere in discussione il decisum, a meno che la stessa sentenza non sia stata riformata (o cassata) a seguito d'impugnazione immediata. Gli artt. 340 e 361 consentono, invero, alla parte soccombente in una sentenza non definitiva di scegliere se adire subito il giudice del gravame, ovvero attendere l'emanazione della sentenza conclusiva del giudizio. Nella prima ipotesi, l'impugnazione può peraltro riguardare ovviamente soltanto il profilo affrontato dalla sentenza non definitiva, ed il giudice superiore non può esaminare questioni ancora oggetto del processo proseguito (o eventualmente sospeso) davanti al giudice a quo. Laddove quindi il giudice di prime cure abbia reso una pronuncia definitiva, previa espressa separazione della cause fino ad allora riunite e statuizione sulle spese, egli non può tornare ad occuparsi della causa, che potrà invece proseguire e concludersi in appello, salvo che non ricorrano le ipotesi di cui all'art. 354. BibliografiaBiavati, Appunti sulla struttura della decisione e l'ordine delle questioni, in Riv. trim. dir. proc. CIV. 2009, 1301; Bove, Sentenze non definitive e riserva d'impugnazione, in Riv. trim. dir. proc. CIV. 1998, 415; Califano, Le Sezioni unite civili ripropongono l'indirizzo formale in tema di sentenze non definitive su una fra più domande cumulate nel medesimo processo, in Giust. CIV. 2000, 1, 63; Damiani, La precisazione delle conclusioni e il “collo di bottiglia” nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. CIV. 2005, 1313; Menichelli, La sospensione del giudizio di primo grado a seguito d'appello immediato avverso sentenza non definitive, in Giust. CIV. 2005, 1, 230; Merlin, Condanna generica e opposizione del convenuto alla liquidazione del quantum in separato giudizio, in Riv. dir. proc. 1987, 207; Prendini, Osservazioni in tema di condanna generica e poteri del giudice, in Resp. CIV. prev. 2000, 968; Proto Pisani, In tema di condanna generica e precisazioni delle conclusioni, in Foro it. 1986, I, 1533; Scarselli, Considerazioni sulla condanna generica (nella evoluzione giurisprudenziale e dopo la riforma), in Corr. giur. 1998, 714; Vitale, Condanna generica e separazione dei giudizi, in Giust. CIV. 1999, 4, 1095. |