Codice di Procedura Civile art. 295 - Sospensione necessaria 1 .

Rosaria Giordano

Sospensione necessaria 1.

[I]. Il giudice dispone che il processo sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa [34, 337 2].

 

[1] Articolo così sostituito dall'art. 35 l. 26 novembre 1990, n. 353, con decorrenza 1° gennaio 1993, ai giudizi pendenti a tale data si applicano, fino al 30 aprile 1995, le disposizioni anteriormente vigenti, come stabilito dall'art. 92, della l. 353/1990 cit., come modificato dall'art. 50, comma 1, l. 21 novembre 1991, n. 374, dall'art. 2, comma 5, l. 4 dicembre 1992, n. 477 e successivamente dall'art.  6, comma 1, d.l  7 ottobre 1994, n. 571 , conv. con modif. in l. 6 dicembre 1994, n. 673. Il testo recitava: «[I]. Il giudice dispone che il processo sia sospeso nel caso previsto nell'articolo 3 del codice di procedura penale e in ogni altro caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia civile o amministrativa, dalla cui definizione dipende la decisione della causa».

Inquadramento

La sospensione c.d. necessaria del processo può essere disposta — fatta eccezione per l'ipotesi della c.d. sospensione impropria, caratterizzata dalla pendenza in altra sede di questione rilevante per la decisione (ad es. questione pregiudiziale comunitaria o costituzionale) — esclusivamente in presenza di un nesso di pregiudizialità-dipendenza sotto il profilo tecnico giuridico tra cause.

Ai fini della sospensione del procedimento, tali cause devono pendere, nello stesso grado di giudizio e tra le stesse parti, ma dinanzi ad uffici giudiziari diversi, operando altrimenti l'istituto della riunione di cui all’art. 274.

La sospensione per pregiudizialità penale è attualmente limitata all'ipotesi regolata dall'art. 75, comma 3, salvo il ricorrere dei presupposti generali indicati dalla norma in commento.

Il provvedimento che dispone la sospensione del processo non è revocabile dal giudice che lo ha emesso in quanto assoggettato ad un rimedio impugnatorio, ossia al regolamento di competenza.

Presupposti per la sospensione necessaria del processo

La sospensione del processo è una fase dello stesso nella quale non possono essere, di norma, compiuti atti del giudizio a pena di nullità degli stessi (Picardi § 174).

L'incidenza negativa della sospensione del processo sulla durata dello stesso (cfr. Cass. n. 23055/2010) è la ragione principale della tesi restrittiva, affermata soprattutto nella giurisprudenza di legittimità, in ordine ai presupposti per l'operare della sospensione necessaria del processo, intesa come sospensione c.d. propria, ossia derivante dal rapporto di pregiudizialità giuridica tra cause sul piano del diritto sostanziale.

Si realizza invece la sospensione impropria allorché l'arresto del processo è solo apparente, in quanto in realtà il giudizio prosegue in una sede speciale determinata dalla necessità di decidere una questione appartenente alla esclusiva competenza di un giudice diverso (Liebman, 174): ciò avviene quando, ad esempio, il processo è sospeso per effetto della proposizione di una questione di legittimità costituzionale o pregiudiziale comunitaria.

È fondamentale individuare, pertanto, in cosa consista il c.d. nesso di pregiudizialità-dipendenza tra cause.

A tal riguardo è in primo luogo necessario operare una distinzione tra siffatte questioni e, da un lato, le questioni pregiudiziali attinenti al processo, i.e. quelle relative all'esistenza di un presupposto per la decisione sul rapporto giuridico controverso, nonché, dall'altro, le questioni preliminari di merito richiamate dagli artt. 187, comma 2 e art. 279, comma 2, n. 2, che si identificano con quelle concernenti l'esistenza del fatto costitutivo del diritto fatto valere in giudizio dall'attore ed alla scelta di interpretazione delle norme giuridiche da applicare ad un tale fatto (Garbagnati, 69 ss.).

La dottrina sembra concordare nel ritenere che il nesso di pregiudizialità dipendenza è quello che si ritrova, , nell'ambito di un rapporto tra diritti soggettivi distinti l'uno dall'altro ma legati da un nesso tale per cui vi è un diritto di carattere pregiudiziale per la definizione della questione oggetto del giudizio. Volendo riprendere un noto esempio si può pensare alla questione relativa all'esistenza di un rapporto di parentela tra le parti ove sia dedotto in giudizio il diritto alla percezione degli alimenti ex artt. 443 ss. c.c. Tali sono le questioni pregiudiziali in senso tecnico (Luiso I, 160 ss.).

Molto più discussa è invece la categoria delle questioni pregiudiziali in senso logico.

In proposito non è inutile ricordare che l'attuale disposto dell'art. 34 si ritiene sia dovuto all'adesione del legislatore all'insegnamento del Chiovenda (o la radicalizzazione dello stesso: Menchini, 95), in omaggio al quale, sull'assunto della necessità di distinguere ciò che è semplicemente precluso, nel senso che non può essere riproposto nel medesimo processo, e ciò che è passato in giudicato, la risoluzione nel corso del processo di questioni logiche che non conducono direttamente alla decisione della causa e quindi all'attribuzione o negazione del bene della vita concretamente richiesto nella stessa, non esclude che la questione possa rinnovarsi in successivi giudizi «tutte le volte che ciò possa farsi senza attentare alla integrità della situazione delle parti fissata dal giudice rispetto al bene della vita controverso» (Chiovenda, Cosa giudicata e preclusione, in Riv. it. scien. giur., 1933, 3 ss).

In un sistema delineato in modo siffatto la decisione con efficacia di giudicato di tutte le questioni, processuali o sostanziali, pregiudiziali alla definizione della controversia poteva giustificarsi, come confermato dalla lettera dell'odierno art. 34, solo in presenza di un quid pluris, individuato dalla citata norma nella previsione di legge o nell'esplicita domanda di parte.

Nell'assetto descritto, è agevole osservare, non esisteva spazio, se non a fini essenzialmente descrittivi, per un'eventuale distinzione tra questioni pregiudiziali c.d. tecniche e c.d. logiche, distinzione sorta dall'osservazione per la quale non potevano ricondursi all'art. 34 alcune questioni di per sé pregiudiziali alla decisione semplicemente perché rientranti a pieno titolo nell'oggetto del giudizio o, meglio, pose in evidenza che la «pregiudizialità inizia laddove finisce l'oggetto del giudizio» (Satta I, 66).

A ciò consegue la necessità di distinguere, all'interno delle questioni che si pongono all'attenzione del giudice e la cui risoluzione non comporta in via diretta la decisione della controversia, quelle che tuttavia rientrano nell'oggetto del processo da quelle che, costituendo diritti sostanziali distinti ed autonomamente azionabili, ne sono fuori. A riguardo molto efficaci ed estremamente attuali appaiono gli esempi addotti per giustificare le richiamate affermazioni. Invero il giudice è chiamato naturalmente a risolvere una serie di questioni corrispondenti ad altrettanti elementi nei quali si scompone il fatto costitutivo del diritto alla base della domanda di tutela: così la decisione in ordine alla risoluzione del contratto per inadempimento implica, in omaggio agli artt. 1453 ss. c.c., un giudizio positivo circa l'esistenza del rapporto, l'inadempimento e la gravità dello stesso (Satta, 66). Simili questioni, d'altra parte, non possono essere meramente conosciute ma sono definite dal giudice con efficacia di giudicato proprio perché la relativa domanda doveva per forza di cose presupporre che tali accertamenti si svolgessero all'interno del processo.

La distinzione tra questioni pregiudiziali in senso tecnico ed in senso logico, tendente ad ampliare l'ambito oggettivo del giudicato, sembra sostenuta dalla giurisprudenza maggioritaria. Appaiono infatti coerenti con la stessa le affermazioni secondo cui in presenza di una questione pregiudiziale in senso logico, l'efficacia del giudicato copre in ogni caso non soltanto la pronuncia finale, ma anche l'accertamento che si presenta come necessaria premessa della medesima decisione, mentre con riferimento alle questioni pregiudiziali in senso tecnico, le uniche ad essere disciplinate dall'art. 34, la situazione soggettiva di carattere pregiudiziale è oggetto meramente di un accertamento incidentale, inidoneo quindi al passaggio in giudicato, tranne che una decisione con efficacia di giudicato sia richiesta per legge o consegue ad un'apposita domanda di una delle parti (Cass. n. 12739/2004).

Peraltro, ai fini della sospensione c.d. necessaria del processo rilevano le sole questioni pregiudiziali in senso tecnico.

Nella delineata prospettiva, è stata quindi chiarito che l'art. 295, nel prevedere la sospensione necessaria del giudizio civile quando la decisione «dipenda» dalla definizione di altra causa, allude ad un vincolo di stretta ed effettiva consequenzialità fra due emanande statuizioni e quindi, coerentemente con l'obiettivo di evitare un conflitto di giudicati, non ad un mero collegamento fra diverse statuizioni, per l'esistenza di una coincidenza o analogia di riscontri fattuali o di quesiti di diritto da risolvere per la loro adozione, bensì ad un collegamento per cui l'altro giudizio (civile, penale o amministrativo), oltre ad investire una questione di carattere pregiudiziale, cioè un indispensabile antecedente logico-giuridico, la soluzione del quale pregiudichi in tutto o in parte l'esito della causa da sospendere, deve essere pendente in concreto e coinvolgere le stesse parti (Cass. n. 25272/2001). In altri termini la sospensione necessaria del processo può essere disposta, a norma dell'art. 295, quando la decisione del medesimo «dipenda» dall'esito di un'altra causa, e cioè quando la pronuncia da prendersi in detta altra causa abbia portata pregiudiziale in senso stretto, ossia portata vincolante, con effetto di giudicato, all'interno della causa pregiudicata, con la conseguenza che la nozione di pregiudizialità ricorre solo quando una situazione sostanziale rappresenti fatto costitutivo o comunque elemento della fattispecie di un'altra situazione sostanziale, sicché occorre garantire uniformità di giudicati, perché la decisione del processo principale è idonea a definire in tutto o in parte il tema dibattuto (Cass. n. 27426/2009).

È quindi confermata l'impostazione della stessa dottrina dominante la quale osserva che ricorrono i presupposti per la sospensione necessaria se due cause civili sono avvinte da un nesso di “pregiudizialità-dipendenza” (Menchini, 1990, 6).

La sospensione necessaria prevista dalla norma in esame  presuppone la pendenza davanti allo stesso o ad altro giudice di una controversia avente ad oggetto questioni pregiudiziali necessariamente diverse rispetto a quelle dibattute nel giudizio da sospendere, mentre, ove si verta in ipotesi di identità di questioni in discussione innanzi al giudice del processo del quale si chiede la sospensione ed in altra, diversa sede, detto giudice conserva il potere di pronunciare sul "thema decidendum" devoluto alla sua cognizione, potendo soltanto configurarsi gli estremi per far luogo o alla riunione dei procedimenti o ad una declaratoria di litispendenza o di continenza di cause (Cass. n. 18082/2020). Nondimeno, nel senso che poiché l'art. 39, comma 2, c.p.c. non è applicabile in caso di pendenza di una causa in appello e di altra in primo grado e, quindi, in questa ipotesi, non può realizzarsi la rimessione della seconda controversia al giudice dell'impugnazione della decisione sulla prima, per il diverso grado in cui risultano trovarsi, l'esigenza di coordinamento sottesa alla disciplina della continenza deve, però, essere comunque assicurata mediante la sospensione, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., del processo che avrebbe dovuto subire l'attrazione all'altro, se avesse potuto operare detta disciplina, in attesa della definizione con sentenza passata in giudicato del giudizio che avrebbe esercitato tale attrazione, si pone la giurisprudenza di legittimità dominante (v., tra le altre, Cass. n. 10439/2020; Cass. n. 26835/2017; Cass. n. 5455/2014).

Nell'ipotesi in cui ricorrano i presupposti per la sospensione necessaria del processo ai sensi dell'art. 295, non assume alcuna rilevanza il consenso delle parti del giudizio alla sospensione, non essendo configurabile in capo alle stesse di un diritto disponibile (Cass. n. 14709/2005). Invero, la sospensione necessaria del processo per pregiudizialità, ai sensi dell'art. 295 rispondendo all'esigenza, di ordine pubblico, di evitare il conflitto di giudicati, deve essere disposta dal giudice di merito, non appena ne ravvisi i presupposti, anche d'ufficio, indipendentemente, cioè, da un'istanza di parte che, qualora formulata, equivale ad una semplice sollecitazione all'esercizio del potere officioso (Cass. n. 6572/2005).

Tuttavia, ai fini della sospensione necessaria del processo, non è configurabile un rapporto di pregiudizialità necessaria tra cause pendenti fra soggetti diversi, in quanto la parte rimasta estranea ad uno di essi può sempre eccepire l'inopponibilità, nei propri confronti, della relativa decisione (v., tra le altre, Cass. n. 6554/2009;  Cass., n. 12996/2018 ).

Si è evidenziato, tuttavia, che la decisione di una causa potrebbe spiegare comunque effetti riflessi nei confronti delle parti, parzialmente diverse, di un altro giudizio, effetti idonei a giustificare una sospensione del processo (Giussani, 616).

Più di recente, si è allora riconosciuto, in giurisprudenza, che, in tema di sospensione necessaria del processo la necessità che i due giudizi si svolgano tra le stesse parti, in ragione della influenza che la decisione del giudizio pregiudiziale assuma in quello sospeso, trova un correttivo ove, ferma la necessità della presenza in entrambi i giudizi delle medesime parti, in quello sospeso ve ne sia anche un'altra ed il titolo dedotto come legittimante all'azione sia oggetto del giudizio pregiudiziale, poiché la prosecuzione dell'altro giudizio potrebbe dar luogo a quel contrasto di giudicati che l'art. 295 c.p.c. intende impedire, attesa la contestazione del medesimo titolo nel procedimento pregiudiziale (Cass. n. 32996/2023).

Occorre considerare, sotto un distinto profilo, che ai fini dell'operare del meccanismo della sospensione del processo è necessario che la causa pregiudicante e quella pregiudicata pendano di fronte ad uffici giudiziari diversi, operando qualora invece le stesse pendano dinanzi allo stesso ufficio giudiziario il distinto meccanismo della riunione (Cass. n. 2180/2016; Cass. n. 21727/2006 tenendo conto che tra sezioni specializzate e ordinarie del medesimo tribunale non si pone una questione di competenza (Cass. n. 11634/2020, con riferimento alle sezioni specializzate in materia di impresa).

Le due controversie devono pendere, inoltre, nello stesso grado di giudizio. Si è affermato, a riguardo, che ualora tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità, la sospensione ex art. 295 c.p.c. della causa dipendente permane fintanto che la causa pregiudicante penda in primo grado, mentre, una volta che questa sia definita con sentenza non passata in giudicato, spetta al giudice della causa dipendente scegliere se conformarsi alla predetta decisione, sciogliendo il vincolo necessario della sospensione, ove una parte del giudizio pregiudicato si attivi per riassumerlo, ovvero attendere la sua stabilizzazione con il passaggio in giudicato, mantenendo lo stato di sospensione (ovvero di quiescenza) attraverso però il ricorso all'esercizio del potere facoltativo di sospensione previsto dall'art. 337, comma 2, c.p.c., ovvero decidere in senso difforme quando, sulla base di una ragionevole valutazione prognostica, ritenga che tale sentenza possa essere riformata o cassata (Cass. S.U., n. 21763/2021).

In generale, la S.C., ribadendo l'assunto per il quale la sospensione del processo presuppone che il rapporto di pregiudizialità tra le due cause di cui si tratta sia non solo concreto, ma anche attuale, nel senso che la causa ritenuta pregiudiziale sia tuttora pendente, non avendo altrimenti il provvedimento alcuna ragion d'essere, e traducendosi anzi in un inutile intralcio all'esercizio della giurisdizione (Cass. n. 16361/2019), ha evidenziato  che ove una sentenza venga censurata in cassazione per non essere stato il giudizio di merito sospeso in presenza di altra causa pregiudiziale, incombe al ricorrente l'onere di dimostrare che quest'altra causa è tuttora pendente, e che presumibilmente lo sarà anche nel momento in cui il ricorso verrà accolto, dovendosi ritenere, in difetto, che manchi la prova dell'interesse concreto e attuale che deve sorreggere il ricorso, non potendo né la Corte di cassazione, né un eventuale giudice di rinvio disporre la sospensione del giudizio, in attesa della definizione di un'altra causa che non risulti più effettivamente in corso (Cass. n. 7048/2016).

In sostanza, la sospensione del processo contemplata dall'art. 295 per l'ipotesi in cui la decisione dipenda dalla definizione di una diversa causa implicando la collocazione del processo in uno stato di quiescenza fino al momento della conclusione di tale altra causa, postula che: a) la causa pregiudiziale sia effettivamente pendente e in grado di approdare alla pronuncia ritenuta pregiudiziale, o b) la questione pregiudiziale, oggetto della diversa controversia pendente davanti allo stesso o ad altro giudice, non sia stata sottoposta, neanche implicitamente, all'esame del giudice della causa "pregiudicata" . La prima ipotesi difetta quando la causa, in tesi "pregiudicante", sia stata già sospesa, perché a sua volta ritenuta "pregiudicata" dalla definizione dell'altra, ovvero dalla definizione di una terza causa, perché una nuova sospensione si tradurrebbe in un'inammissibile paralisi del rapporto processuale. La seconda ipotesi consegue al fatto che il giudice , investito della questione, ha il potere - dovere di decidere, a meno che non ricorra, con l'altra controversia, la fattispecie della riunione, della litispendenza o della continenza di cause (Cass. n. 24742/2006).

Peraltro, la sussistenza di una causa di sospensione del giudizio relativamente ad una sola di più domande cumulate nello stesso processo non è idonea, di per sé, a giustificare la sospensione del processo relativamente a tutte le dette domande, giacché l'art. 103, comma 2, richiamato dal successivo art. 104, comma 2, attribuisce al giudice il potere di disporre la separazione delle cause quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo ovvero di non procedervi ove tale separazione sia inopportuna. Ne deriva che, poiché la sospensione rappresenta, quindi, un'evenienza che interferisce sul normale svolgimento del processo, incidendo sul principio della ragionevole durata, compete al giudice, qualora venga in rilievo una ipotesi di sospensione relativa ad una delle domande cumulate, ponderare ed adeguatamente motivare le ragioni del mancato esercizio dei suoi poteri discrezionali di separazione e la decisione di estendere l'ambito di operatività della sospensione a tutte le domande (Cass. n. 30738/2018).

L'istanza di sospensione del giudizio, in attesa della definizione di altra controversia, è inammissibile se proposta per la prima volta in cassazione, in quanto il provvedimento richiesto esula dalla funzione istituzionale della Corte Suprema, cui è demandato soltanto il sindacato di legittimità delle anteriori decisioni di merito (Cass. SU, n. 20172/2020).

Su un piano generale, è stato recentemente chiarito che in tema di sospensione del processo ex art. 295, se nel giudizio pregiudicato si pone una questione pregiudiziale di rito idonea alla sua definizione, il giudice dello stesso non può adottare il provvedimento di sospensione senza avere prima deciso tale questione, in quanto la sua eventuale fondatezza rende irrilevante il vincolo di pregiudizialità, né rileva in contrario la possibilità, prevista dall'art. 187, comma 3, di definirla unitamente al merito, atteso che il principio della c.d. ragionevole durata del processo preclude che possa esercitarsi tale potere e nel contempo farsi luogo alla sospensione per la pregiudizialità dell'altro procedimento (Cass. n. 14469/2017).

In ordine al generale ambito applicativo dell'istituto, in relazione al rito prescelto, la S.C. ha affermato il principio in forza del quale ove nel corso di un procedimento introdotto con il rito sommario di cognizione, di cui all'art. 702-bis, insorga una questione di pregiudizialità rispetto ad altra controversia, che imponga un provvedimento di sospensione necessaria, ai sensi dell'art. 295, o venga invocata l'autorità di una sentenza resa in altro giudizio e tuttora impugnata, ai sensi dell'art. 337, comma 2, si determina la necessità di un'istruzione non sommaria e, quindi, il giudice deve, a norma dell'art. 702-ter, comma 3, disporre il passaggio al rito della cognizione piena, sicché, nell'ambito del rito sommario, è illegittima l'adozione di un provvedimento di sospensione ai sensi dell'art. 295 o dell'art. 337, comma 2 (Cass. n. 25660/2020Cass. n. 21914/2015).

Sempre con riferimento all'ambito applicativo della norma in esame, è stato poi chiarito che la stessa opera anche nel processo tributario (Cass. n. 21765/2017).

Per altro verso, superando l'orientamento affermato da una parte della giurisprudenza di legittimità, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, hanno chiarito che a norma dell'art. 39, comma 1, qualora una stessa causa venga proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito è tenuto a dichiarare la litispendenza, anche se la controversia iniziata in precedenza sia stata già decisa in primo grado e penda ormai davanti al giudice dell'impugnazione, senza che sia possibile la sospensione del processo instaurato per secondo, ai sensi dell'art. 295 o dell'art. 337, comma 2, a ciò ostando l'identità delle domande formulate nei due diversi giudizi (Cass. S.U., n. 27846/2013).

Casistica. Fattispecie nelle quali deve essere disposta la sospensione

Sulla scorta delle richiamate e generali indicazioni in ordine ai presupposti, rigorosamente individuati dalla S.C., per la sospensione necessaria del processo ai sensi dell'art. 295, possiamo ricordare, in via meramente esemplificativa, alcune fattispecie nelle quali la recente giurisprudenza ha ritenuto sussistente il nesso di pregiudizialità-dipendenza tra cause pendenti dinanzi a diversi uffici giudiziari tra le stesse parti idoneo a determinare la sospensione del giudizio c.d. pregiudicato.

In particolare si è affermato che:

la pendenza di una lite sulla validità dell'accordo giustificativo della separazione consensuale tra coniugi pregiudica, in senso tecnico giuridico, l'esito del giudizio, contemporaneamente pendente, di cessazione degli effetti civili del loro matrimonio, e ne comporta la sospensione ex art. 295, perché l'eventuale annullamento di quell'accordo determinerebbe il venir meno, con effetto ex tunc, di un presupposto indispensabile della pronuncia di divorzio (Cass. n. 25861/2014, Giustiziacivile.com 2015, con nota di Ianni): poiché il rapporto di pregiudizialità-dipendenza che, a norma dell'art. 295, legittima la sospensione del processo, va apprezzato in modo oggettivo, e, quindi, con riferimento ad entrambi gli esiti possibili del giudizio pregiudicante, si è affermato che lo stesso sussiste fra un giudizio di rilascio di un immobile — goduto secondo l'attore in comodato precario dal convenuto — nel quale quest'ultimo abbia eccepito il suo diritto di permanere nel godimento in virtù della pattuizione intervenuta in una donazione remuneratoria stipulata con l'attore, e il giudizio in cui il convenuto abbia chiesto l'accertamento della simulazione del contratto di donazione remuneratoria in forza del quale egli ha trasferito al comodante altro immobile (nella specie in asserita remunerazione del precario) e nel contempo sia stata pattuita la protrazione del comodato invocato nell'altro giudizio, poiché l'accertamento positivo o negativo della simulazione, infatti, determinando l'accertamento della validità o meno anche della clausola relativa alla protrazione del comodato, pregiudica l'eccezione prospettata nel giudizio di rilascio iure commodati (Cass. n. 23914/2010);

tra il giudizio promosso dall'affittuario del fondo rustico per l'accertamento del proprio diritto di riscatto in seguito al trasferimento oneroso della proprietà del fondo ed il giudizio instaurato dal terzo acquirente per ottenere il rilascio del fondo sussiste il presupposto per la sospensione necessaria del processo pregiudicato se la domanda di rilascio è fondata su fatti successivi al sorgere del diritto di riscatto e va escluso se i fatti, sui quali si basa la domanda stessa, sono anteriori (Cass. n. 21870/2004);

tra l'opposizione (ex art. 615, comma 2, c.p.c.) all'esecuzione degli obblighi di fare e di non fare e l'opposizione al decreto ex art. 614 c.p.c. relativo alle spese anticipate dal procedente per i lavori già effettuati, giacché il primo giudizio ha ad oggetto l'accertamento del diritto di procedere ad esecuzione forzata, il quale costituisce presupposto del diritto al rimborso delle spese della procedura (cfr. Cass. n. 12466/2023, per la quale, tuttavia, qualora non sia stata disposta la riunione delle controversie per ragioni di connessione, né si sia proceduto alla sospensione necessaria del secondo giudizio ex art. 295 c.p.c. il definitivo accoglimento dell'opposizione all'esecuzione va rilevato anche d'ufficio dal giudice dell'opposizione al decreto ingiuntivo, in forza dell'effetto espansivo "esterno" di cui all'art. 336, comma 2, c.p.c., con conseguente definitivo carico al procedente delle spese anticipate per l'esecuzione).

il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto la domanda di restituzione del canone pagato in eccedenza, a causa di aggiornamenti Istat applicati in misura superiore a quelli previsti per legge, deve essere sospeso ex art. 295 per la contemporanea pendenza del giudizio relativo alla determinazione del canone dovuto, in quanto lo stesso si pone come pregiudiziale rispetto al giudizio monitorio per la restituzione dell'eccedenza (Cass. n. 13443/2001); tra un giudizio di accertamento negativo della pretesa contributiva e quello di opposizione a ruolo e a cartella per lo stesso credito sussiste un vincolo di stretta ed effettiva consequenzialità, che legittima la sospensione ex art. 295 dell'opposizione, di cui la decisione del giudizio di accertamento costituisce un indispensabile antecedente logico-giuridico (Cass. n. 23879/2015); n tema di imposte sui redditi IVA, nell'ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, l'accertamento relativo agli utili extracontabili della società, anche se non definitivo, è presupposto dell'accertamento presuntivo nei riguardi del singolo socio, in ragione della sua quota di partecipazione agli utili sociali, sicché l'impugnazione dell'accertamento "pregiudicante" costituisce, fino al passaggio in giudicato della pronuncia che lo riguarda, condizione sospensiva, ex art. 295, ai fini della decisione della lite sull'accertamento "pregiudicato" relativo al singolo socio, la cui esistenza e persistenza grava sul contribuente che la invochi sotto forma di allegazione e prova del processo scaturente dall'impugnazione del provvedimento impositivo (Cass. n. 1574/2021Cass. n. 4485/2016);  tra la controversia che oppone il contribuente all'Agenzia del territorio in ordine all'impugnazione della rendita catastale attribuita ad un immobile e la controversia, che oppone lo stesso contribuente al Comune, avente ad oggetto l'impugnazione della liquidazione dell'ICI gravante sull'immobile cui sia stata attribuita la rendita contestata, sussiste un rapporto di pregiudizialità che impone la sospensione del secondo giudizio, ai sensi dell'art. 295, fino alla definizione del primo con autorità di giudicato, in quanto la decisione sulla determinazione della rendita si riflette necessariamente, condizionandola, sulla decisione sulla liquidazione dell'imposta (Cass. n. 26380/2006); in tema di contenzioso tributario, il giudice, preso atto della pendenza di altro giudizio tra le stesse parti, avente ad oggetto il rifiuto dell'amministrazione finanziaria di riconoscere il diritto alle esenzioni previste per gli insediamenti nel Mezzogiorno, è tenuto a sospendere il processo, concernente la legittimità, sotto il profilo della spettanza di dette agevolazioni, dell'avviso di accertamento relativo a singoli anni d'imposta, essendo evidente il carattere pregiudiziale del primo giudizio rispetto al secondo (Cass. n. 24408/2005); la decisione sull'istanza di nullità del brevetto comunitario presentata all'Ufficio per l'Armonizzazione del Mercato Interno (UAMI) ha carattere pregiudiziale rispetto alla domanda di concorrenza sleale basata sul medesimo brevetto, costituendo la validità della privativa l'elemento fondante di tale azione ed implicando, pertanto, la sospensione del processo ex artt. 88, comma 2, del Reg. CE n. 6/2002 e 295, esorbitando le controversie in tema di concorrenza sleale dal campo di applicazione del citato regolamento (Cass. n. 7450/2016).

Segue . Ipotesi nelle quali non sussistono i presupposti per la sospensione necessaria

La tendenza della giurisprudenza più recente è quella di restringere il novero delle ipotesi nelle quali ricorrono i presupposti per la sospensione necessaria del processo, specialmente considerata l'incidenza negativa della stasi processuale determinata dal periodo di sospensione sulla durata complessiva del giudizio.

Su un piano generale, la Corte di legittimità ha recentemente sottolineato che nel rapporto fra il giudizio di impugnazione di una sentenza che ha dichiarato la giurisdizione e quello che sia proseguito davanti al giudice che l'ha pronunciata, o dinanzi al quale la causa sia stata rimessa ai sensi dell'art. 353, l'unica possibilità di sospensione di quest'ultimo giudizio é quella su richiesta concorde delle parti, ai sensi dell'art. 279, comma 4, restando esclusa sia la sospensione ai sensi dell'art. 295 sia la sospensione ex art. 337, comma 2, e senza che sia possibile un'applicazione analogica dell'art. 367, trattandosi di un unico giudizio la cui decisione di merito è condizionata al riconoscimento della giurisdizione da parte delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. n. 1581/2019).

Di recente si è evidenziato che tra la domanda di risarcimento del danno relativa all'"an debeatur" e quella relativa al "quantum debeatur" non si pone un rapporto di piena alternatività, ma un rapporto di pregiudizialità logica, non soggetta all'applicazione dell'art. 34 c.p.c., che, invece, riguarda la diversa fattispecie della pregiudizialità tecnica; ne consegue che, nell'ipotesi in cui le due domande siano proposte contemporaneamente davanti a due giudici diversi, non deve procedersi alla sospensione necessaria del giudizio sul "quantum" in attesa della definizione di quello sull'"an", mentre, in caso di contemporanea proposizione delle domande al medesimo giudice, quella pregiudiziale non deve essere decisa autonomamente, poiché l'accertamento sul diritto pregiudicato (oggetto della domanda di condanna specifica) implica quello sul rapporto pregiudicante (oggetto della domanda di condanna generica), a cui si estende l'effetto di giudicato (Cass. n. 20351/2024).

Sotto un distinto profilo, e sempre in via meramente esemplificativa, occorre ricordare che la giurisprudenza della S.C. è ormai consolidata nel senso che tra il giudizio di nullità del matrimonio concordatario e quello avente ad oggetto la cessazione degli effetti civili dello stesso non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità, così che il secondo debba essere necessariamente sospeso, ex art. 295, a causa della pendenza del primo ed in attesa della sua definizione, trattandosi di procedimenti autonomi, sfocianti in decisioni di natura diversa ed aventi finalità e presupposti diversi, di specifico rilievo in ordinamenti distinti (v., tra le molte, Cass. n. 6754/2014).

In tema di sospensione del processo, la pendenza di un giudizio per la dichiarazione di paternità naturale promosso nei confronti degli eredi di un soggetto deceduto in un incidente stradale non giustifica la sospensione ex art. 295 del processo intrapreso dagli stessi eredi nei confronti di terzi per il risarcimento dei danni subiti a causa della morte della vittima del sinistro, ove in quest'ultimo processo non abbia spiegato intervento, affermando il proprio "status" di figlio naturale e proponendo domanda risarcitoria, l'attore del giudizio relativo alla dichiarazione di paternità (Cass. n. 23989/2019).

Superati i precedenti contrasti sulla questione, la giurisprudenza di legittimità e di merito è ormai consolidata, premesso che per l'esperimento dell'azione revocatoria, è sufficiente l'esistenza di una ragione di credito, anche se non accertata giudizialmente, a ritenere che il giudizio promosso con tale azione non è soggetto a sospensione necessaria ex art. 295 nel caso di pendenza di controversia sull'accertamento del credito, in quanto la definizione di questa seconda controversia non costituisce l'indispensabile precedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria (Cass. n. 16722/2009). Invero, poiché ai fini dell'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria da parte del creditore avverso un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore è sufficiente l'esistenza di una ragione di credito, ancorché non accertata giudizialmente, la definizione dell'eventuale controversia sull'accertamento del credito non costituisce l'antecedente logico-giuridico indispensabile della pronunzia sulla domanda revocatoria, sicché il giudizio relativo a tale domanda non è soggetto a sospensione necessaria, ai sensi dell'art. 295. Il conflitto pratico tra giudicati che tale norma mira ad evitare mediante la sospensione della causa pregiudicata è reso d'altronde impossibile dal fatto che la sentenza dichiarativa dell'inefficacia dell'atto dispositivo nei confronti del creditore a seguito dell'accoglimento della domanda revocatoria, non costituisce titolo sufficiente per procedere ad esecuzione nei confronti del terzo acquirente, essendo a tal fine necessario che il creditore disponga anche di un titolo sull'esistenza del credito, che può procurarsi soltanto nella causa relativa al credito e non anche in quella concernente esclusivamente la domanda revocatoria, nella quale la cognizione del giudice sul credito è meramente incidentale (Cass. n. 19289/2007; conforme Trib. Nola II, 19 aprile 2010, Giur. mer. 2010, I, 2383, con nota di Orabona).

In tema di sospensione necessaria del processo, l'obbligo di cui all'art. 295 non sussiste nel rapporto tra il giudizio avente ad oggetto la revocatoria (ordinaria o fallimentare) della cessione di un credito e quello promosso dal cessionario al fine di ottenere, da parte del debitore ceduto, il pagamento della prestazione dovuta, atteso che perché possa darsi luogo alla sospensione necessaria del processo è necessaria la deduzione di vizi radicali che priverebbero fin dall'origine l'atto impugnato di ogni attitudine a produrre effetti, mentre l'azione revocatoria comporta la sola inefficacia dell'atto rispetto ai creditori che hanno agito, rendendo il bene trasferito assoggettabile all'esecuzione, senza caducarne, ad ogni altro effetto, l'efficacia traslativa (Cass. n. 23250/2005).

Qualora il coniuge assegnatario in sede di separazione della casa familiare abbia proposto azione revocatoria diretta alla declaratoria di inefficacia della vendita dell'immobile oggetto dell'assegnazione da parte del marito, non ricorre il rapporto di pregiudizialità tecnico-giuridica richiesto dall'art. 295 per la sospensione necessaria del processo, tra la predetta causa e il giudizio proposto dal compratore per ottenere la condanna del venditore al rilascio del medesimo bene; infatti, nessuna influenza sull'esito di quest'ultimo procedimento potrà avere il vittorioso esperimento dell'azione pauliana che, non assicurando il rientro del bene nel patrimonio del debitore alienante, produce la declaratoria di inefficacia relativa nei confronti dell'attore-creditore degli atti di disposizione compiuti dal debitore in pregiudizio del credito di cui sia titolare (nella specie, il diritto del coniuge separato all'assegno di mantenimento o al diritto personale di godimento della casa familiare), consentendogli di promuovere l'azione esecutiva e conservativa sul bene distratto; d'altra parte, l'acquirente rimane, a tutti gli effetti, proprietario del bene "erga omnes", e, quindi, anche nei confronti del creditore, potendolo alienare a terzi - senza pregiudizio per i diritti da costoro acquistati in buona fede, salvo gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione - o ancora conseguire il rilascio per ottenerne il godimento; d'altra parte, il conflitto fra il diritto del terzo acquirente del bene e il diritto del coniuge di avere la disponibilità del bene in forza del diritto personale di godimento derivante dal provvedimento di assegnazione, va risolto in base all'anteriorità - rispetto all'atto di alienazione - della data o della trascrizione di tale provvedimento rispettivamente a seconda della durata, entro od oltre il novennio, del diritto personale di godimento medesimo (Cass. n. 17009/2005).

È stato inoltre chiarito che non ricorre un'ipotesi di pregiudizialità tra il procedimento avente ad oggetto il preteso pagamento della fornitura e montaggio di arredo per un locale aperto al pubblico nel corso del quale l'avvocato di parte attrice ha asseritamente compiuto scelte processuali non corrette e il procedimento di risarcimento danni da responsabilità professionale tra la società attrice e il legale (Cass. n. 15603/2015).

Nella controversia promossa per far valere un credito (nella specie, di lavoro), nei confronti di chi si assuma erede del debitore, le questioni attinenti alla sussistenza o meno di tale qualità di erede, in capo al convenuto, rientrano nell'ambito degli accertamenti meramente incidentali, e, ove venga eccepita la pendenza di una causa ereditaria, proposta da altri successibili, deve escludersi la ricorrenza dei presupposti per la sospensione necessaria del processo (Cass. n. 11458/2022).

Fondamentale, stante la ricorrenza della relativa fattispecie nella prassi giudiziaria, è inoltre l'affermazione del principio per il quale in tema di azioni a difesa del possesso, tra causa possessoria e causa petitoria sussiste una forma di connessione impropria, non essendo ravvisabile un vincolo di subordinazione o di garanzia o di pregiudizialità, con la conseguenza che non va disposta la sospensione del giudizio possessorio in attesa dell'esito definitivo del giudizio petitorio, posto, altresì che la sentenza definitiva che decide la controversia petitoria, escludendo definitivamente la sussistenza del diritto, impone di negare al possesso la protezione giuridica (Cass. n. 19384/2009).

Qualora, con la domanda di rilascio dell'immobile detenuto "sine titulo" dal socio di una società cooperativa, non sia stata chiesta alcuna pronuncia in ordine al presupposto di tale rilascio - decadenza dalla qualità di socio ed esclusione dalla società, la cui cognizione è riservata alla giurisdizione del giudice amministrativo -, non ricorrono le condizioni per la sospensione necessaria del giudizio in attesa della definizione di quello amministrativo: al riguardo infatti, ai sensi dell'art. 295, deve sussistere l'ipotesi della pregiudizialità tecnica che determina un conflitto di giudicati, e non la mera pregiudizialità logica, che si traduce nel possibile contrasto circa gli effetti pratici dell'una o dell'altra sentenza (Cass. n. 13222/2006).

Ai fini della sospensione necessaria del giudizio di cui all'art. 295, è indispensabile la esistenza di un rapporto di pregiudizialità giuridica che ricorre nel solo caso in cui la definizione di una controversia costituisca, rispetto all'altra, un indispensabile antecedente logico – giuridico: non ricorre, pertanto, tale rapporto di pregiudizialità necessaria nel caso di una controversia relativa ad uno sfratto per morosità e quella attinente all'esecuzione in forma specifica del contratto preliminare di compravendita stipulato tra locatore e conduttore, poiché, attesa la natura costitutiva della sentenza che dispone il trasferimento coattivo, destinata a produrre effetti solo alla data del passaggio in giudicato della relativa pronuncia, permanendo nelle more l'obbligo di corrispondere il canone al locatore, gli esiti del giudizio instaurato con la domanda di adempimento del contratto preliminare non possono interferire con quelli del procedimento di sfratto per morosità (Cass. n. 16216/2005).

La S.C. ha chiarito, che tra due giudizi riguardanti, rispettivamente, lo scioglimento di una comunione immobiliare e l'usucapione di uno degli immobili da dividere, non sussiste pregiudizialità di cui all'art. 295, che va intesa in senso non meramente logico, ma tecnico giuridico, in quanto determinata da una relazione tra rapporti giuridici sostanziali distinti ed autonomi, uno dei quali (pregiudiziale) integra la fattispecie dell'altro (dipendente), in modo tale che la decisione sul primo si riflette necessariamente, condizionandola, su quella del secondo (Cass. n. 4183/2016).

Nel rapporto fra il giudizio di impugnazione di una sentenza parziale e quello che sia proseguito davanti al giudice che ha pronunciato detta sentenza o al giudice dichiarato competente, l'unica possibilità di sospensione di quest'ultimo giudizio è quella su richiesta concorde delle parti, ai sensi dell'art. 279, comma 4, che trova applicazione anche nel caso di sentenza parziale sul solo an debeatur, restando esclusa sia la sospensione ai sensi dell'art. 295, sia la sospensione ai sensi del secondo comma dell'art. 337, per l'assorbente ragione che il giudizio è unico e che, pertanto, la sentenza resa in via definitiva è sempre soggetta alle conseguenze di una decisione incompatibile sulla statuizione oggetto della sentenza parziale (Cass. n. 5894/2015).

Qualora nel giudizio finalizzato all'accertamento di un credito sia opposto in compensazione un controcredito oggetto di contemporaneo accertamento in un separato procedimento, il primo giudizio non è suscettibile d'essere sospeso ex art. 295 c.p.c. nelle more della definizione del secondo con provvedimento coperto dal giudicato, ma deve essere, viceversa, deciso nel merito, con il rigetto dell'eccezione di compensazione in esso sollevata (Cass. VI, n. 23167/2022).

E' ormai consolidato l'orientamento in forza del quale il credito litigioso, che trovi fonte in un atto illecito o in un rapporto contrattuale contestato in separato giudizio, è idoneo a determinare l'insorgere della qualità di creditore abilitato all'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria avverso l'atto dispositivo compiuto dal debitore, sicché il relativo giudizio non è soggetto a sospensione necessaria ex art. 295 in rapporto alla pendenza della controversia sul credito da accertare e per la cui conservazione è stata proposta domanda revocatoria, poiché l'accertamento del credito non costituisce l'indispensabile antecedente logico-giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, né può ipotizzarsi un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela dell'allegato credito litigioso, dichiari inefficace l'atto di disposizione e la sentenza negativa sull'esistenza del credito (Cass. n. 3369/2019; Cass. n. 2673/2016).

La pregiudizialità che rende necessaria la sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 295, essendo soltanto quella che può dar luogo ad un contrasto tra giudicati, non è ravvisabile nei rapporti tra la domanda di accertamento del credito e l'azione di simulazione, nullità o revocatoria proposta dal creditore nei confronti dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale posto in essere dal debitore (Cass. n. 19492/2005).

Il principio secondo cui il diritto alla restituzione delle somme pagate in esecuzione di una sentenza provvisoriamente esecutiva, successivamente riformata in appello, sorge, ai sensi dell'art. 336, per il solo fatto della riforma della sentenza e può essere fatto valere immediatamente, se del caso anche con procedimento monitorio, trova applicazione anche in riferimento alla revoca del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo: un tal caso, la domanda di restituzione può essere proposta dinanzi allo stesso giudice dell'opposizione, ovvero anche separatamente, ed in quest'ultima ipotesi il relativo giudizio non dev'essere sospeso in attesa della definizione di quello di opposizione al decreto ingiuntivo, non essendo la restituzione subordinata al passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento dell'opposizione (Cass. n. 19296/2005).

E' inoltre incontroverso che il giudizio di opposizione all'esecuzione e quello nel quale sia impugnata la sentenza fatta valere come titolo esecutivo hanno presupposti diversi, cosicché tra di essi non ricorre un rapporto di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico tale da giustificare, ai sensi dell'art. 295, la sospensione necessaria del processo di opposizione. (Cass. n. 4035/2018, la quale, in sede di regolamento di competenza, ha annullato l'ordinanza di sospensione del giudizio di opposizione, emessa in pendenza del giudizio di cognizione in cui si controverteva dell'estinzione per cancellazione dal registro delle imprese della società che aveva agito "in executivis"; Cass. n. 16601/2005).

Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto la restituzione di somme versate a seguito di una sentenza di condanna in primo grado, poi riformata in appello, non può essere sospeso ex art. 337, comma 2, in attesa della decisione sul ricorso per cassazione proposto avverso la stessa sentenza di riforma, atteso che tra i due procedimenti non ricorre un rapporto di pregiudizialità logico-giuridica tale da giustificare la sospensione dell'opposizione suddetta, e costituente presupposto comune alle ipotesi di sospensione sia necessaria, ex art. 295, che facoltativa, ex art. 337, comma 2, in quest'ultima occorrendo, peraltro, anche una valutazione del giudice della causa dipendente sulla controvertibilità effettiva della decisione impugnata (Cass. n. 12773/2017).

Tra il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per il pagamento di oneri condominiali e la controversia avente ad oggetto l'impugnazione della delibera assembleare posta a sostegno della ingiunzione non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità necessaria, tale da giustificare la sospensione del procedimento di opposizione ai sensi dell'art. 295, tenuto conto, da un lato, che il diritto di credito del condominio alla corresponsione delle quote di spesa per il godimento delle cose e dei servizi comuni non sorge con la delibera assembleare che ne approva il riparto, ma inerisce alla gestione dei beni e servizi comuni, sicché l'eventuale venir meno della delibera per invalidità, se implica la perdita di efficacia del decreto ingiuntivo, non comporta anche l'insussistenza del diritto del condominio di pretendere la contribuzione alle spese per i beni e servizi comuni di fatto erogati; e considerato dall'altro, che l'eventuale contrasto tra giudicati che potrebbe, in ipotesi, verificarsi in seguito al rigetto della opposizione ed all'accoglimento della impugnativa della delibera, potrebbe essere superato in sede esecutiva, facendo valere la perdita di efficacia del decreto ingiuntivo come conseguenza della dichiarata invalidità della delibera (Cass. n. 19519/2005).

Le Sezioni Unite , risolvendo il contrasto che si era formato nella pregressa giurisprudenza delle sezioni semplici, hanno inoltre chiarito che al giudice dell'opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto ai sensi dell'art. 63, comma 1, disp. att. c.c., non è consentito sospendere il giudizio in attesa della definizione del diverso giudizio d'impugnazione, promosso ai sensi dell'art. 1137 c.c. della deliberazione posta a base del provvedimento monitorio opposto , attesa la disciplina speciale e derogatoria del principio generale d'inesecutività del titolo ove impugnato con allegazione della sua originaria invalidità assoluta, dettata per il condominio e considerata la possibilità che le conseguenze dell'eventuale contrasto di giudicati ben possono essere superate, sia in sede esecutiva ove i tempi lo consentano, facendo valere la sopravvenuta perdita d'efficacia del provvedimento monitorio come conseguenza della dichiarata invalidità della delibera, sia in sede ordinaria mediante azione di ripetizione dell'indebito (Cass. S.U., n. 4421/2007 ).

Non è configurabile una sospensione "impropria" del processo per la pendenza di un giudizio di legittimità costituzionale su questione - riguardante la disciplina applicabile nella causa - che è stata sollevata in altro giudizio, perché essa si porrebbe al di fuori dei casi tassativi di sospensione legale ed in contrasto con i principi di uguaglianza e di ragionevole durata del processo e con il diritto alla tutela giurisdizionale; ne consegue che il provvedimento che dispone la sospensione del processo è impugnabile con regolamento di competenza ex art. 42 c.p.c. (Cass. n. 6121/2024).

Il diritto dell'arbitro di ricevere il pagamento dell'onorario sorge per il fatto di avere effettivamente espletato l'incarico e prescinde dalla validità ed efficacia del lodo: non sussistono, pertanto, i presupposti della sospensione, exartt. 295337, del procedimento instaurato dall'arbitro per ottenere il residuo compenso, già liquidato, in attesa della definizione del giudizio di impugnazione del lodo, la cui eventuale nullità può giustificare solo un'azione di responsabilità ai sensi dell'art. 813-bis (Cass. n. 24072/2013).

E' stato affermato, poi, che non sussiste un rapporto di pregiudizialità necessaria, tale da imporre la sospensione del processo ai sensi dell'art. 295, tra il giudizio di responsabilità dell'amministratore di una società ex art. 2393 c.c., di natura contrattuale, e quello di accertamento della nullità di alcuni contratti stipulati dalla stessa società e della responsabilità extracontrattuale di terzi soggetti, attesa l'ontologica differenza sia delle parti sia delle causae petendi, idonea ad escludere ogni potenziale situazione di contrasto tra giudicati (Cass. n. 15797/2015).

L'esecuzione di un sequestro preventivo penale, avente ad oggetto un bene dell'imputato in comproprietà con terzi estranei al reato, non costituisce ragione di sospensione necessaria del processo civile di scioglimento della comunione, ai sensi degli artt. 295 c.p.c., 654 c.p.p. e 211 disp. att. c.p.p., nelle more del giudicato penale, atteso che le esigenze del sequestro e della eventuale confisca trovano tutela nella disciplina della trascrizione del provvedimento ablatorio e degli effetti della sentenza di divisione regolati dall'art. 1113 c.c. (Cass. VI, n. 30320/2022).

In tema di contenzioso tributario, con riguardo all'accertamento dei redditi di partecipazione, la determinazione del reddito dei soci è una diretta conseguenza di quanto accertato in capo alla società; nondimeno, qualora il socio abbia separatamente impugnato l'accertamento a lui notificato senza partecipare, o essere messo in grado di farlo, al processo instaurato dalla società, la decisione presa in quest'ultima sede non può svolgere alcuna efficacia di giudicato nei confronti del socio, per il divieto posto dai principi costituzionali in tema di tutela dei diritti e da quelli codicistici circa i limiti soggettivi del giudicato. Ne consegue che il giudice davanti al quale sia impugnato l'accertamento nei confronti del socio non è tenuto a sospendere il processo in attesa della definizione di quello promosso dalla società, ma può liberamente deciderlo, avendo cura di esporre tutti gli elementi di fatto e di diritto rilevanti per la soluzione della controversia, non potendosi limitare ad un mero rinvio alla motivazione della sentenza pronunciata nei confronti della società né, tanto meno, a dare atto di questa quando si tratti di decisione non ancora definitiva (Cass. n. 19606/2006).

La sospensione necessaria del processo può essere disposta, a norma dell'art. 295, quando la decisione del medesimo “dipenda" dall'esito di altra causa, e cioè quando la pronuncia da prendersi in detta altra causa abbia portata pregiudiziale in senso stretto, e cioè sia idonea a spiegare effetti vincolanti, con l'autorità propria del giudicato sostanziale, in quanto suscettibile di definire, in tutto o in parte, il tema del dibattito del giudizio da sospendere. Detto rapporto non sussiste tra l'azione diretta all'accertamento di illeciti prelievi, da parte di alcuni soci ed amministratori di società, di somme appartenenti alla stessa, e alla conseguente restituzione di dette somme alle casse sociali, e l'azione per la dichiarazione di scioglimento della società, di talché la prima azione non può essere legittimamente sospesa in attesa della definizione della seconda, in quanto nessuna incidenza può avere una eventuale pronuncia di scioglimento della società nei confronti della domanda di restituzione di somme prelevate in epoca pregressa, poiché il relativo obbligo non verrebbe meno per effetto dello scioglimento della società, continuando a sussistere anche nella fase di liquidazione (Cass. n. 1741/2006).

In materia di brevetti, la contemporanea pendenza del giudizio avente ad oggetto la dichiarazione di nullità non comporta la necessità di sospendere quello riguardante la contraffazione, non sussistendo alcuna norma che imponga al giudice della contraffazione di attendere la decisione della questione pregiudiziale relativa alla validità del brevetto, e ben potendo, quindi, risolverla egli stesso in via incidentale, senza che sia prospettabile l'eventualità di un contrasto tra giudicati; considerato infatti che tale decisione non è idonea ad assumere autorità di giudicato, l'efficacia "ultra litem" della sentenza che dichiara la nullità del brevetto, la quale vincola anche i rapporti condizionati o dipendenti da essa, nonché i terzi estranei alla controversia in cui è pronunciata, può dar luogo esclusivamente ad un contrasto tra gli effetti pratici delle due pronunce, espressamente contemplato dall'art. 59-bis r.d. n. 1127/1939, e risolto attraverso l'attribuzione di efficacia retroattiva alla dichiarazione di nullità, con salvezza degli atti esecutivi già compiuti in base a quella di contraffazione (Cass. n. 24859/2006).

In materia di immigrazione, la S.C. ha chiarito, da un lato, che tra il processo di opposizione all'espulsione dello straniero e quello avente ad oggetto l'impugnazione del diniego, da parte del questore, del permesso di soggiorno per matrimonio con cittadino italiano, non sussiste un rapporto di pregiudizialità, ai sensi dell'art. 295, idoneo a giustificare la sospensione del primo (Cass. n. 20886/2010), rapporto di pregiudizialità che peraltro non sussiste neppure per la pendenza di altro ricorso volto ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato politico in favore dello straniero, ai fini della sospensione del procedimento di espulsione (Cass. n. 11264/2009). Inoltre, si è ritenuto, sempre in tema di immigrazione, che tra il giudizio di opposizione all'espulsione e l'accertamento in sede penale dei fatti che sarebbero a base della valutazione di pericolosità dell'espulso, non sussiste un rapporto di pregiudizialità ai sensi dell'art. 295, idoneo a giustificare la sospensione del primo, ma solo un rapporto di connessione (Cass. n. 12711/2016).  

Più di recente, è stato altresì precisato che perché in tema di ricorso avverso l'espulsione prefettizia, non assume rilievo, ai fini della verifica di legittimità del decreto di espulsione, la circostanza che lo straniero, dopo la notifica del decreto, abbia presentato domanda per il riconoscimento della protezione internazionale in quanto il provvedimento di espulsione è un provvedimento obbligatorio a carattere vincolato ed il giudice ordinario dinanzi al quale il decreto è impugnato deve controllare unicamente l'esistenza, al momento dell'espulsione, dei requisiti di legge che ne impongono l'emanazione, né in tale caso sussistono i presupposti per la sospensione ex art. 295, poiché l'accertamento in ordine all'esistenza delle condizioni per un titolo di soggiorno separatamente invocato, come nel caso di richiesta del riconoscimento dello "status" di rifugiato politico, non si pone in nesso di pregiudizialità con l'opposizione all'espulsione (Cass. n. 28860/2018).

Nelle controversie relative a rapporto di lavoro pubblico privatizzato, la pregiudiziale amministrativa (da ritenersi configurabile anche in presenza del nuovo testo dell'art. 295, che pure non ne reca più l'esplicita menzione) può astrattamente sussistere solo nel caso in cui il giudice amministrativo sia chiamato a definire questioni di diritto soggettivo nell'ambito di attribuzioni giurisdizionali esclusive, ma non nel caso di controversia avente ad oggetto l'impugnazione di provvedimenti a tutela di interessi legittimi, potendo il giudice ordinario disapplicare tali provvedimenti, a tutela dei diritti soggettivi influenzati dagli effetti degli stessi. (Nella specie, la S.C. ha annullato l'ordinanza di sospensione del processo di impugnazione della revoca dell'incarico nell'ufficio legale di una azienda di servizi sociali comunale, adottata sulla base di una delibera macro-organizzativa di ristrutturazione dell'intero servizio legale impugnata dinanzi al giudice amministrativo, precisando che il giudice ordinario avrebbe potuto avvalersi, eventualmente, del potere di disapplicazione degli atti amministrativi, ai sensi dell'art. 63 d.lgs. n. 165/2001: Cass. n. 1607/2018).

La decisione di primo grado che, in accoglimento dell'opposizione al decreto ingiuntivo, dichiari la nullità del decreto opposto, determina la caducazione degli atti esecutivi compiuti sulla base dello stesso, indipendentemente dal passaggio in giudicato della sentenza; qualora, pertanto, quest'ultima sia stata impugnata, non è ravvisabile un rapporto di pregiudizialità logico-giuridica tra il giudizio d'impugnazione e quello promosso dall'ingiunto per ottenere la restituzione delle somme pagate in esecuzione del decreto dichiarato nullo, tale da giustificare la sospensione di quest'ultimo giudizio, ai sensi dell'art. 295 (Cass. n. 19491/2005).

Analogamente, in tema di sanzioni conseguenti alla violazione di atti amministrativi, il relativo giudizio di opposizione non deve essere sospeso in conseguenza della pendenza, davanti al giudice amministrativo, dell'impugnazione dell'atto presupposto, ove il vizio asseritamente invalidante l'ordinanza ingiunzione concerna tale atto del suo procedimento formativo, ben potendo il giudice dell'opposizione decidere con efficacia di giudicato anche le questioni di legittimità dell'atto presupposto, ovvero disapplicarlo (Cass. n. 8796/2018).

Eccezione di compensazione del credito giudizialmente contestato

Le Sezioni Unite della Corte di  cassazione hanno recentemente ribadito l'orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità per il quale non è ammessa, per difetto del requisito di certezza, la compensazione di un credito litigioso, non avallando, pertanto, la differente logica seguita, in una prospettiva processuale, da un precedente della Sezione Terza che aveva dato luogo al contrasto che le stesse erano state chiamate a comporre (Cass. S.U., n. 23225/2016).

In particolare, la decisione della Sezione Terza aveva posto in discussione le tesi “classiche” sulla ricorrente problematica, assumendo che la circostanza che l'accertamento di un credito risulti "sub iudice" non è di ostacolo alla possibilità che il titolare lo opponga in compensazione al credito fatto valere in un diverso giudizio dal suo debitore. In tal caso, se i due giudizi pendano innanzi al medesimo ufficio giudiziario, il coordinamento tra di essi deve avvenire attraverso la loro riunione, all'esito della quale il giudice potrà procedere nei modi indicati dal secondo comma dell'art. 1243 c.c. Se, invece, pendono dinanzi ad uffici diversi (e non risulti possibile la rimessione della causa, ai sensi dell'art. 40, in favore del giudice competente per la controversia avente ad oggetto il credito eccepito in compensazione), ovvero il giudizio relativo al credito in compensazione penda in grado di impugnazione, il coordinamento dovrà avvenire con la pronuncia, sul credito principale, di una condanna con riserva all'esito della decisione sul credito eccepito in compensazione e contestuale rimessione della causa nel ruolo per decidere in merito alla sussistenza delle condizioni per la compensazione, seguita da sospensione del giudizio - ai sensi, rispettivamente, degli artt. 295 e 337, comma 2 - fino alla definizione del giudizio di accertamento del controcredito (Cass. n. 23573/2013).

In senso diverso si sono tuttavia poste le Sezioni Unite argomentando la propria decisione in primo luogo in virtù del canone di specialità, per il quale, se è controversa, in altro giudizio pendente, l'esistenza del controcredito dedotto in compensazione, il giudice non può pronunciare la compensazione, né legale, né tampoco giudiziale,  la quale, ai sensi dell'art. 1243, comma 2, c.c., presuppone l'accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale è fatta valere, sicché, almeno prima che l'accertamento sia divenuto definitivo, non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda da un altro giudizio in corso, utilizzando a tal fine i meccanismi di sospensione del processo per pregiudizialità dipendenza di carattere generale previsti dagli artt. 295 e 337 (Cass. S.U., n. 23225/2016).

Le Sezioni Unite hanno così aderito alla posizione della dottrina la quale ritiene che la compensazione tra  crediti reciproci è coessenziale la facilità dell'accertamento stante il fondamento dell'istituto, da individuarsi nell'esigenza di speditezza degli affari e del commercio giuridico, nonché in quella di evitare il moltiplicarsi delle controversie (Perlingieri, 257 ss).

Peraltro, le Sezioni Unite, per evitare il pregiudizio che potrebbe derivare al creditore principale dalla sospensione del processo in attesa dell'accertamento del controcredito non  hanno aderito neppure alla tesi, anch'essa affermata dal precedente dissonante della Sezione Terza, per la quale potrebbe applicarsi analogicamente, a tal fine, la condanna generica di cui all'art. 35, ritenuta attivabile solo nell'ipotesi in cui il giudice del credito principale non possa conoscere, per ragioni di competenza per materia o valore, anche del credito opposto in compensazione.

La questione risolta nei termini evidenziati dalle Sezioni Unite si correla strettamente alla problematica nozione di “certezza” del controcredito dedotto in compensazione. Infatti, sebbene l'art. 1243 c.c. faccia riferimento soltanto alla necessità che il controcredito sia liquido ed esigibile e non anche certo, la giurisprudenza della S.C. è da lungo tempo salda nel ritenere che anche tale presupposto sia essenziale ai fini della compensazione legale, come di quella giudiziale. Peraltro, soltanto in rare decisioni il requisito della certezza del controcredito è stato inteso in modo autonomo rispetto a quello della liquidità del credito stesso (Cass. n. 1532/1975), mentre, almeno in giurisprudenza, di regola è stato considerato unitariamente a tale aspetto,  affermando che il credito opposto in compensazione non è liquido anche ove si renda necessario il suo accertamento per le contestazioni mosse dall'altra parte, rispetto all'an ovvero al quantum debeatur, salvo che queste appaiano prima facie pretestuose (Cass. n. 9904/2003).

Parte della dottrina ha criticato, tuttavia, tale orientamento che tende a sovrapporre i requisiti della certezza e della liquidità del controcredito, osservando che occorre invece distinguere tra le ipotesi nelle quali l'intervento del giudice è rivolto a costatare l'esistenza del credito ed il suo ammontare (compensazione legale nel giudizio), da quelle in cui l'opera del giudice è indispensabile per la determinazione del quantum del credito illiquido (compensazione giudiziale: Perlingieri, 294 ss.). In tale prospettiva, il presupposto della liquidità sta ad indicare che i crediti reciproci, per essere compensabili, devono essere determinati nel loro ammontare, mentre la contestazione del credito può riguardare anche quello liquido, atteso che la certezza non deve preesistere al giudizio, bensì esserne un risulta (Schlesinger, 723).

 Sul piano processuale, inoltre, si è osservato che se si “sovrappongono” i concetti di liquidità e certezza del credito, finisce con l'essere rimessa alla volontà della parte interessata la scelta se l'estinzione per compensazione debba avvenire secondo le regole della compensazione legale o invece di quella giudiziale (Tiscini, 254 ss.). Invero, se la certezza del credito è l'elemento idoneo a definire la liquidità dello stesso, la circostanza che la mera contestazione del controcredito ne escluda la liquidità sposta l'eccezione di compensazione dall'alveo della legale a quello della giudiziale, con ingiustificato ampliamento dell'area di applicazione di tale istituto (Schlesinger, 723).

Come evidenziato, invece, la giurisprudenza tradizionale, avallata dalla recente decisione delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, ritiene, invece, che l'eccezione di compensazione fondata su un credito contestato in un diverso giudizio debba essere rigettato. In particolare,  atteso che la contestazione è sufficiente per rendere, secondo l'impostazione condivisa da tali pronunce, il credito illiquido, si ritiene che, in tema di compensazione giudiziale, l'art. 1243, comma 2, c.c. costituisce una norma speciale rispetto a disposizioni processuali di carattere generale come gli artt. 295 e 337, consentendo quindi la sospensione del giudizio sul credito principale, in attesa della verifica dei requisiti del controcredito dedotto in compensazione, solo se il giudice investito dell'accertamento del controcredito sia lo stesso adito con la domanda di pagamento principale (Cass. n. 325/1992).

E' stato altresì precisato, all'interno della stessa giurisprudenza di legittimità, che, per difetto del requisito della certezza, non è ammissibile la compensazione legale anche rispetto a crediti riconosciuti da una sentenza o da altro titolo giudiziale, provvisoriamente eseguibile, in quanto la provvisoria esecuzione facoltizza la semplice temporanea esigibilità del credito, ma non concerne la sua certezza necessaria, per contro, per poter determinare ope exceptionis l'estinzione di due debiti per le quantità corrispondenti (cfr. già Cass. n. 620/1970).

La ratio di tale impostazione interpretativa è quella di non ritardare l'eventuale pronuncia di condanna avente ad oggetto il credito principale in virtù di controcrediti che difettano del requisito della liquidità, da intendersi comprensivo della certezza.

Una soluzione volta a contemperare tale esigenza con quella di tutela del titolare del controcredito è stata prospettata in dottrina proponendo l'applicazione analogica della condanna con riserva di cui all'art. 35 per le ipotesi di contestazione sub iudice del controcredito opposto in compensazione ed, in generale, per tutti i casi di impossibilità della simultaneità dei procedimenti sul credito principale e sul controcredito dedotto dal convenuto e contestato dall'attore (Merlin,II, 269 ss.).

Sospensione del processo civile per “pregiudizialità penale”

L'art. 35 l. n. 353/1990, al fine di coordinare il disposto dell'art. 295 con le modifiche introdotte al codice di procedura penale nel 1988, ha abolito la necessaria pregiudizialità del processo penale rispetto a quello civile di danno, eliminando il richiamo all'art. 3 c.p.p. contenuto nella prima parte della norma che si commenta.

Pertanto, nel sistema novellato, ferma la sospensione del processo civile per la pendenza del processo penale nella fattispecie di cui all'art. 75, comma 3, c.p.p. nelle ipotesi in cui la decisione emessa in sede penale possa effettivamente esplicare effetti nel giudizio civile (cfr. Cass. n. 14566/2002), si avrà inoltre sospensione necessaria del giudizio civile ove lo stesso sia concretamente “pregiudicato” dal processo penale pendente secondo quanto previsto dall'art. 295.

La sospensione necessaria o legale è configurabile, ex art. 75 c.p.p., in presenza di azione promossa in sede civile dopo la costituzione di parte civile nel processo penale, in ragione della pregiudizialità, per cui l'accertamento in sede penale ha efficacia di giudicato in quella civile. Ne consegue che tale effetto può avvenire soltanto per gli imputati nei confronti dei quali è stata esercitata la costituzione di parte civile (Cass. n. 14075/2005, la quale ha accolto il ricorso per regolamento di competenza ed ha disposto la prosecuzione del giudizio civile per le parti nei confronti delle quali non vi era stata costituzione di parte civile nel processo penale).

L'art. 75, comma 3, c.p.p. deve essere interpretato nel senso che la sospensione necessaria del processo civile, disposta per il caso in cui il danneggiato abbia prima esercitato l'azione civile in sede penale con la costituzione di parte civile e, quindi, abbia esercitato l'azione civile in sede civile, non trova applicazione se il danneggiato agisca in sede civile non solo contro l'imputato, ma anche contro altri coobbligati al risarcimento (Nella specie identificati - venendo in rilievo l'ipotesi di danni da sinistro stradale - nel proprietario del veicolo investitore e nella società assicuratrice dello stesso: Cass. n. 17608/2013). 

Occorre premettere che è consolidato l'orientamento in virtù del quale la sospensione necessaria del processo civile per pregiudizialità penale, ai sensi dell'art. 295, nell'ipotesi in cui alla commissione del reato oggetto dell'imputazione penale una norma di diritto sostanziale ricolleghi un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile, è subordinata alla condizione della contemporanea pendenza dei due processi, civile e penale e, quindi, dell'avvenuto esercizio dell'azione penale da parte del P.M. nei modi previsti dall'art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell'imputazione o la richiesta di rinvio a giudizio, sicché tale sospensione non può essere disposta sul presupposto della mera presentazione di una denuncia e della conseguente apertura di indagini preliminari (v., da ultimo, Cass. n. 11688/2018, fattispecie nella quale è stato accolto il ricorso proposto da un avvocato avverso l'ordinanza con la quale il giudice civile aveva sospeso il giudizio relativo all'accertamento di un suo credito professionale sul presupposto della mera presentazione, dalla parte patrocinata, di una querela di falso relativa alla sottoscrizione della "procura ad litem").

La sospensione necessaria del procedimento civile a causa della pendenza di un processo penale è, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 295, 60 e 405 c.p.p. e 211 disp. att. c.p.p., subordinata alla duplice condizione che la sentenza penale possa avere efficacia di giudicato nel giudizio civile, ai sensi degli artt. 651, 652 e 654 c.p.p., e che sia stata esercitata l'azione penale, con formulazione del capo d'imputazione da parte del P.M. nella richiesta di citazione a giudizio immediato, di giudizio direttissimo, di decreto penale o di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 ss. c.p.p. (Cass. n. 6149/2005).

A quest'ultimo riguardo, la S.C. ha anche di recente osservato, infatti, che in materia di rapporto tra giudizio civile e processo penale, il primo può essere sospeso, in base a quanto dispongono gli artt. 295, 654 c.p.p. e 211 disp. att., nell'ipotesi in cui alla commissione del reato oggetto dell'imputazione penale una norma di diritto sostanziale ricolleghi un effetto sul diritto oggetto di giudizio nel processo civile, e sempre a condizione che la sentenza che sia per essere pronunciata nel processo penale possa esplicare nel caso concreto efficacia di giudicato nel processo civile, sicché per rendere dipendente la decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l'effetto giuridico dedotto nel processo civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto di imputazione nel giudizio penale (Cass. n. 18918/2019; Cass. n. 5804/2015). Pertanto, la S.C. ha annullato, per mancanza di un rapporto di pregiudizialità tra i giudizi, essendo invece configurabile una semplice comunanza di fatti, l'ordinanza di sospensione del processo civile avente ad oggetto l'adempimento di obbligazioni contrattuali e l'accertamento della invalidità e dell'inefficacia del relativo contratto in attesa della definizione del processo penale per il reato di truffa, addebitato a soggetti facenti capo alla organizzazione di entrambe le parti, relativo alla determinazione dei corrispettivi (Cass. n. 27787/2005).

A riguardo, è stato altresì precisato che il giudizio civile di risarcimento del danno da fatto illecito è soggetto a sospensione necessaria per pregiudizialità penale, ai sensi dell'art. 295 ed in relazione all'art. 211 disp. att. c.p.p., solo quando tra i fatti costitutivi del diritto risarcitorio vi sia una fattispecie di reato ascritta al soggetto convenuto in giudizio, e non pure nel caso opposto in cui il giudizio penale riguardi una pretesa responsabilità dell'attore, sebbene in ordine a condotte collegate a tale fattispecie (Cass. n. 7617/2017).

In sede applicativa, è pertanto consolidata la tesi secondo cui la prestazione del giuramento suppletorio (così come di quello decisorio), ai sensi dell'art. 2738 c.c., implicando una presunzione iuris et de iure in ordine all'esistenza dei fatti che ne hanno formato oggetto svincola l'esito del giudizio civile da quello dell'eventuale procedimento penale per falsità del giuramento stesso, la cui definizione può soltanto costituire titolo per le pretese risarcitorie da avanzare verso chi abbia giurato il falso, con la conseguenza che, nell'ipotesi di un giuramento così configurato, deve considerarsi erronea la sospensione necessaria del procedimento civile, non ricorrendo alcun caso di pregiudizialità né alcuna delle altre situazioni legali che autorizzino detta sospensione (v., tra le altre, Cass. n. 22037/2009).

Rispetto all'ambito applicativo della sospensione per la pendenza del processo penale ai sensi dell'art. 75, comma 3, c.p.p., atteso che il rapporto tra il processo civile e quello penale è ispirato al principio della separatezza dei due giudizi, sicché il giudizio civile di danno deve essere sospeso soltanto quando l'azione civile sia stata proposta dopo la costituzione di parte civile in sede penale o dopo la sentenza penale di primo grado, poiché esclusivamente in tali casi si verifica una concreta interferenza del giudicato penale nel giudizio civile, non potendosi pervenire anticipatamente ad un esito potenzialmente difforme da quello penale in ordine alla sussistenza di uno o più dei comuni presupposti di fatto (Cass. n. 23516/2015).

Inoltre è stato precisato che la circostanza che il danneggiato si sia costituito parte civile nel processo penale e inizi, o abbia già iniziato, una azione di risarcimento danni contro altro danneggiante estraneo al giudizio penale (per non esservi stato evocato nemmeno come responsabile civile), riguardo agli stessi fatti oggetto del processo penale, non consente alcuna sospensione del processo civile, perché essa non è prevista nell'art. 75 c.p.p., che esaurisce in quella del comma 3 la ipotesi di sospensione del processo civile per i danni e le restituzioni per pretesa pregiudizialità del processo penale (cfr., tra le altre, Cass. n. 6185/2009).

Di fondamentale rilevanza, considerato che tale principio appare suscettibile di applicazione in numerose controversie soggettivamente cumulate quali sono ad es. quelle in tema di responsabilità civile per la circolazione dei veicoli, è l'affermazione dell'assunto, nella recente giurisprudenza di legittimità, per il quale la sospensione necessaria del processo civile disposta per il caso in cui il danneggiato abbia prima esercitato l'azione civile in sede penale con la costituzione di parte civile e, quindi, abbia esercitato l'azione civile in sede civile, non trova applicazione allorquando l'azione in sede civile sia stata esercitata non solo contro l'imputato, ma anche contro altri coobbligati, tanto se il cumulo soggettivo così realizzato dia luogo ad un'ipotesi di litisconsorzio facoltativo, quanto se dia luogo ad un'ipotesi di litisconsorzio necessario, essendo altresì irrilevante che alcuno o tutti fra i coobbligati fossero stati citati nel processo penale come responsabili civili (Cass. n. 1862/2009).

Quanto ad alcune casistiche ricorrenti, nella recente giurisprudenza si è evidenziato che va esclusa la sussistenza della pregiudizialità - e dunque il ricorrere di un'ipotesi di sospensione necessaria - tra il processo penale di accertamento della responsabilità per reati commessi in ambito familiare - nella specie, abbandono di coniuge incapace e mancata somministrazione allo stesso, infermo, dei mezzi di sussistenza - e la pronuncia di addebito della separazione che richiede si accerti non soltanto che uno dei due coniugi ha tenuto comportamenti contrari ai doveri matrimoniali, ma anche e soprattutto il nesso causale tra questi comportamenti e la crisi matrimoniale (Cass. n. 18725/2023).

La S.C. ha evidenziato che non sussiste rapporto di pregiudizialità tra il processo penale avente ad oggetto i reati di falso e truffa ed il processo civile volto ad ottenere una pronuncia ex art. 2932 c.c., atteso che, per rendere dipendente la decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l'effetto giuridico dedotto nel processo civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto di imputazione nel giudizio penale (Cass. n. 6510/2016).

E' stato poi ritenuto che non è configurabile un rapporto di pregiudizialità ai sensi dell'art. 295 tra il giudizio di annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore ed il processo penale per circonvenzione di incapace atteso che mentre, in quest'ultimo, l'accoglimento della domanda prescinde dall'esistenza di un pregiudizio e postula che, a cagione di un'infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto, al momento della redazione dell'atto di ultima volontà, sia assolutamente privo della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi, in sede penale, l'accertamento dello stato di infermità fisica o deficienza psichica della vittima è necessariamente finalizzato alla dimostrazione della specifica incapacità naturale di cui avrebbe profittato l'imputato, in maniera da indurlo a compiere un determinato atto giuridico pregiudizievole per sé o per altri (Cass. n. 19767/2015).

Sotto altro profilo, la S.C. ha chiarito che la pendenza del giudizio penale sull'imputazione di usura non impone la sospensione del giudizio civile sulla nullità del patto commissorio, atteso che quest'ultimo può configurarsi anche in assenza di convenzione usuraria, sicché tra i due giudizi, pur concernenti i medesimi fatti, non ricorre il nesso di pregiudizialità-dipendenza ex art. 295 (Cass. n. 19383/2015).

Dalla disciplina stabilita dal nuovo codice di procedura penale si ricava che la sospensione del processo civile può essere disposta in limitate ipotesi e, nel caso in cui il danneggiato si sia costituito parte civile nel processo penale, soltanto qualora sussista identità della materia oggetto dei giudizi civile e penale; pertanto, difettano i presupposti per la sospensione del giudizio civile avente ad oggetto l'azione di responsabilità proposta dal curatore fallimentare nei confronti dell'amministratore di una società di capitali sottoposta a fallimento, ai sensi degli artt. 146 l. fall., 2392, 2393 e 2394, c.c., qualora il curatore fallimentare si sia costituito parte civile nel giudizio penale a carico di detto amministratore per falso in bilancio, in quanto l'azione promossa in sede civile è fondata su fatti diversi da quelli oggetto del processo penale, essendo diretta a far valere la responsabilità contrattuale e quella extracontrattuale dell'amministratore, rispettivamente, derivante dagli inadempimenti dei doveri nei confronti della società e dall'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale (Cass. n. 1812/2005).

Sull'assunto per il quale la sospensione necessaria del processo ex art. 295 ricorre qualora risultino pendenti davanti a giudici diversi procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità tale che la definizione dell'uno costituisce indispensabile presupposto logico - giuridico dell'altro, nel senso che l'accertamento dell'antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l'ipotesi di conflitto di giudicati e tale evenienza non ricorre qualora l'azione civile sia stata autonomamente esercitata prima che sia stata pronunziata sentenza penale di merito di primo grado, poiché l'esito del giudizio civile prescinde dall'esito del processo penale e dà luogo ad un accertamento del tutto autonomo , non sussistendo più la regola della pregiudizialità dell'accertamento penale rispetto a quello civile, desumibile dall'art. 3 del precedente c.p.p. (Cass. n. 24811/2005: fattispecie relativa al rapporto tra l'azione proposta dall'Inail nei confronti di un soggetto che aveva aggredito una guardia venatoria in quanto sorpreso in atto di bracconaggio, per il recupero delle somme pagate all'assicurato, e il procedimento penale a carico del danneggiante).

In materia di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, la contemporanea pendenza, nei confronti del medesimo professionista e per gli stessi fatti, di un processo penale e di un procedimento disciplinare non comporta la necessaria sospensione di quest'ultimo a norma dell'art. 295, sia perché la sospensione non è imposta da una specifica disposizione di legge, sia perchè la definizione del processo penale non costituisce l'indispensabile antecedente logico - giuridico della decisione che deve essere resa in sede disciplinare, la quale si fonda sul diverso presupposto della violazione di regole deontologiche e non di norme penali (Cass. S.U., n. 6215/2005). Le Sezioni Unite hanno recentemente precisato che ai fini della valutazione della sussistenza di un rapporto di pregiudizialità tra il procedimento penale e quello disciplinare a carico di un avvocato, riguardanti entrambi i medesimi fatti, e quindi per la sussistenza dell'obbligo di sospensione del secondo fino alla definizione del primo, la circostanza che la contestazione dei fatti all'imputato sia avvenuta nel procedimento penale con l'esecuzione di una misura restrittiva della libertà personale (nella specie, quella degli arresti domiciliari) assume carattere decisivo e comporta la necessità della sospensione del procedimento disciplinare, che, così disposta, si esaurisce con il passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento penale, senza che la ripresa di quello disciplinare innanzi al Consiglio dell'ordine degli avvocati sia soggetta a termine di decadenza (Cass. n. 15206/2016).

Per altro verso, è stato ribadito che in tema di sanzioni amministrative, allorché il giudice civile, ai sensi dell'art. 24 l. n. 689/1981, rilevi la connessione obiettiva per pregiudizialità della violazione amministrativa con l'accertamento dell'esistenza di un reato, non sussistono i presupposti per la sospensione del processo ai sensi dell'art. 295, dovendo egli limitarsi a trasmettere gli atti al giudice competente a decidere del reato, il quale è altresì competente a decidere sulla predetta violazione (Cass. n. 5341/2018).

In tema di sanzioni amministrative, non sussiste pregiudizialità tra il giudizio penale, instaurato contro colui che è accusato di avere falsificato o contraffatto documenti assicurativi, e il giudizio civile, relativo all'impugnazione della sospensione della patente di guida, inflitta ai sensi dell'art. 193 c. strad., tenuto conto che tale sanzione, prevista a carico di colui che abbia falsificato o contraffatto i documenti assicurativi, è correlata anche alla violazione dell'obbligo di circolare con valida assicurazione, sicché, non integrando tale condotta una specifica figura di reato, in assenza di espressa deroga, deve essere salvaguardato il principio dell'autonomia dei giudizi, che non importa alcuna menomazione del diritto di difesa (Cass. n. 5229/2018).

Profili processuali

Rispetto all'ambito di applicazione dell'istituto della sospensione necessaria del processo è fondamentale evidenziare, in primo luogo, sul piano processuale, che la sospensione non può essere disposta laddove le due cause pendano dinanzi al medesimo ufficio giudiziario, dovendo quindi leggersi la nozione di “giudici diversi” contenuta nell'art. 295 come riferita non a giudici persone fisiche diverse bensì ad ufficio giudiziario (Cass. n. 23914/2010).

Il provvedimento mediante il quale viene disposta la sospensione del processo assume forma di ordinanza: avverso la stessa, per quanto espressamente disposto dall'art. 42, è proponibile regolamento di competenza di fronte alla Corte di Cassazione.

Il ricorso per regolamento di competenza nei confronti di un'ordinanza di sospensione deve contenere le ragioni sulle quali si fonda, ossia deve indicare, in forma specifica, le tesi giuridiche che lo sostengono e le argomentazioni in base alle quali si ritenga di censurare la pronuncia, sebbene, per la peculiarità dell'oggetto di questa, è sufficiente che le ragioni di contestazione della disposta sospensione siano comunque evincibili dal contesto del ricorso, anche mediante l'indicazione della carenza di motivazione - o di valida motivazione - sui presupposti in diritto o con generico richiamo all'errata applicazione dell'art. 295 (Cass. n. 6620/2018).

Quanto all'ambito applicativo del rimedio, è stato precisato dalla Corte di legittimità che l'art. 42 non attribuisce al giudice il potere di sospendere il processo al di fuori dei casi tassativi previsti dal legislatore; infatti, ove ammesso, tale potere - oltre che inconciliabile con il disfavore nei confronti del fenomeno sospensivo, sotteso alla riforma del citato art. 42 del codice di rito - si porrebbe in insanabile contrasto sia con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) sia con il canone della durata ragionevole (art. 111 Cost.). Dalla esclusione della configurabilità di una sospensione facoltativa "ope iudicis" del giudizio discendono la impugnabilità, ai sensi dell'art. 42, di ogni sospensione del processo, quale ne sia la motivazione, e l'accoglimento del relativo ricorso qualora non si sia in presenza di una ipotesi di sospensione "ex lege" (Cass. n. 30738/2018).

Per altro verso, all'ammissibilità del regolamento di competenza non osta la circostanza che la sospensione non sia stata disposta con ordinanza, ma con sentenza, il gravame ha infatti ad oggetto il solo provvedimento di sospensione, la cui forma risulta irrilevante ai fini dell'individuazione del mezzo d'impugnazione, costituito, ai sensi dell'art. 42, esclusivamente dal regolamento di competenza (Cass. n. 16361/2019).

In tema di sospensione del giudizio, il sindacato della Corte di Cassazione in ordine alla sussistenza della pregiudizialità logico-giuridica che legittima il provvedimento in questione è limitato ad una verifica "ab extrinseco" della correttezza della valutazione compiuta dal giudice di merito, la quale presuppone una mera comparazione delle pretese e delle difese delle parti, e non può estendersi al riscontro dell'effettiva inclusione di una pretesa nell'altra senza sconfinare nel merito dell'accertamento delle rispettive ragioni (Cass. n. 19493/2005).

Tuttavia, il particolare mezzo di impugnazione cui sono assoggettati i provvedimenti che dichiarano la sospensione, cioè l'istanza di regolamento di competenza, fa sì che, avuto riguardo alla controversia considerata dal giudice di merito come pregiudiziale, la Corte di cassazione debba rendere una statuizione sulla questione descritta dall'art. 295, in modo che il processo, a seconda della decisione della medesima Corte, possa proseguire o debba restare sospeso sino alla definizione della controversia pregiudiziale, senza lasciare spazio, in relazione a quella controversia, ad un'ulteriore pronuncia del giudice di merito, sicché, in definitiva, l'estensione del predetto regolamento all'ipotesi di contestazione della legittimità della sospensione stessa, se, da un lato, comporta l'attribuzione alla Corte di cassazione degli ampi poteri di indagine e lettura propri del giudice della competenza, così da pervenire alla statuizione richiesta al di fuori di alcun vincolo, titolo, ragione o prospettazione delle parti, dall'altro, limita comunque l'indagine della Corte al solo riscontro della sussistenza del presupposto della sospensione necessaria, in guisa tale da verificare se, nella situazione in cui il giudice di merito ha dichiarato la sospensione del giudizio, quest'ultimo dovesse o meno essere sospeso, in applicazione del citato art. 295, per effetto della pendenza di una controversia pregiudiziale. (Cass. n. 687/2005). Di qui, la più recente Cass. VI, n. 7710/2022, ha ritenuto che, in tema di regolamento di competenza, cui sono assoggettati i provvedimenti che dichiarano la sospensione del processo di merito, non rileva che la questione della prevalenza della riunione sia stata o meno oggetto di specifico motivo di ricorso avanti alla Corte di Cassazione, in quanto questo mezzo d'impugnazione non è vincolato ai motivi proposti, ma costituisce strumento attraverso il quale si prospetta alla Corte, che regola in via definitiva la competenza, se, nella situazione processuale in cui il giudice di merito abbia dichiarato la sospensione del giudizio, questo dovesse o meno essere sospeso, in applicazione dell'art. 295 c.p.c., a prescindere, perciò, dalle censure espressamente formulate dal ricorrente nell'istanza di regolamento.

Pertanto, il provvedimento di sospensione del processo emesso ai sensi dell'art. 295, pur avendo forma di ordinanza, non è revocabile dal giudice che lo ha pronunciato, poiché tale revocabilità configgerebbe, anche in virtù della regola generale di cui all'art. 177, con la previsione dell'impugnabilità del provvedimento predetto a mezzo regolamento necessario di competenza (ai sensi dell'art. 42, così come sostituito dall'art. 6 l. n. 353/1990). Ne deriva che l'eventuale provvedimento di revoca provoca la nullità dei successivi atti del procedimento e della sentenza emessa a definizione di esso (Cass. n. 31694/2019;Cass. n. 6479/2005). In ogni caso, si è ritenuto che il rimedio del regolamento di competenza non possa essere esperito avverso il diverso provvedimento ordinatorio di revoca dell'ordinanza di sospensione del processo, che, al contrario, nega la necessità della sospensione, per insussistenza della causa pregiudiziale, e non può perciò essere sottoposto alla predetta impugnazione con regolamento di competenza. Inoltre una diversa lettura della norma comporterebbe la possibilità di aggirare ed eludere il termine perentorio di trenta giorni previsto dall'art. 47, comma 2 per la proposizione dell'istanza di regolamento avverso l'ordinanza di sospensione. In tal caso pertanto la violazione di una norma processuale da parte del giudice va fatta valere con l'impugnazione nelle forme ordinarie, ove persista l'interesse in relazione agli sviluppi della vicenda giudiziaria (Cass. n. 19154/2006).

Qualora le parti, anziché proporre il regolamento nel termine di cui all'art. 47, abbiano presentato istanza per la revoca dell'ordinanza di sospensione al giudice che lo aveva emanato, e questi abbia emesso un provvedimento meramente confermativo di quello precedente, la mancata impugnazione della prima ordinanza rende inammissibile quella del secondo provvedimento, dovendosi, in caso contrario, ritenere attribuita alle parti un'inammissibile facoltà di aggirare, con la proposizione della richiesta di cui all'art. 297 seguita da rigetto, il termine perentorio di trenta giorni stabilito dal precedente art. 47 per la proposizione del regolamento necessario di competenza, unico mezzo di impugnazione dell'ordinanza di sospensione (cfr. Cass. n. 18685/2009).

Sull'assunto per il quale il provvedimento di sospensione del processo, ai sensi dell'art. 295, pur avendo la forma dell'ordinanza, non è revocabile dal giudice che lo ha pronunciato, poiché tale revocabilità confliggerebbe con la previsione della sua impugnabilità mediante regolamento necessario di competenza, la S.C. ha evidenziato che laddove la parte, anziché proporre il regolamento nel termine previsto dall'art. 47, comma 2, abbia presentato istanza di revoca dell'ordinanza di sospensione al giudice che l'aveva emanata e questi abbia emesso un provvedimento meramente confermativo di quello precedente, la mancata impugnazione della prima ordinanza determina l'inammissibilità del regolamento proposto avverso il secondo provvedimento, risultando altrimenti eluso - mediante l'inammissibile proposizione di un'istanza di revoca - il termine perentorio previsto dalla norma (Cass. n. 17129/2015).

E' stato precisato in sede di legittimità che l'estinzione del giudizio pregiudicato, di quello pregiudicante o di entrambi, comporta il venir meno dell'interesse delle parti alla prosecuzione del giudizio sull'istanza di regolamento di competenza proposta ai sensi dell'art. 295, con conseguente obbligo della Corte di cassazione di dichiarare anche d'ufficio la cessazione della materia del contendere (Cass. n. 22609/2015).

Peraltro, il regolamento necessario di competenza è ammesso soltanto contro l'ordinanza che dichiara, ai sensi dell'art. 295, la sospensione del processo, e non contro il provvedimento che la neghi, poiché la formulazione letterale dell'art. 42, di carattere eccezionale, prevede un controllo immediato solo sulla legittimità del provvedimento sospensivo, che incide significativamente sui tempi di definizione del processo, e non anche di quello denegatorio (Cass., n. 5645/2017Cass. n. 22784/2015).

La S.C. ha  ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di tale previsione, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., in quanto la proponibilità del regolamento di competenza avverso il provvedimento che dichiara la sospensione si fonda sull'esigenza di assicurare un controllo immediato avverso un provvedimento idoneo ad arrecare un irrimediabile pregiudizio alla parte che ne contesta la fondatezza, mentre, nell'ipotesi di rigetto della richiesta di sospensione, l'illegittimità del provvedimento può utilmente dedursi con l'impugnazione della sentenza resa all'esito del processo e, ove ritenuta sussistente, determina la riforma o la cassazione della sentenza resa in violazione delle norme sulla sospensione necessaria (Cass. n. 31694/2019; Cass. n. 6174/2005).

Né  - si è affermato – tale assetto si pone in contrasto con l'art. 6 CEDU in quanto contempera l'esigenza di effettività della tutela giurisdizionale con quella di efficienza della giurisdizione, garantendo, da un lato, il diritto della parte che si vede respingere la richiesta di sospensione di impugnare, comunque, sul punto, la decisione che ha definito il giudizio non sospeso e, dall'altro, la durata ragionevole del processo (Cass. n. 20344/2020).

Il rimedio del regolamento di competenza non è ammesso anche avverso il provvedimento di sospensione c.d. impropria del processo (Cass. n. 3915/2015, con riguardo al provvedimento di cui all'art. 48). Peraltro, ai sensi del novellato art. 42, e secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata di detta norma, deve ritenersi impugnabile con istanza di regolamento di competenza anche il provvedimento di sospensione del processo adottato "ex" art. 52 a seguito di ricusazione del giudice, giacché pure in relazione ad un provvedimento sospensivo del processo di tal fatta, quantunque diverso e non analogo rispetto a quello previsto dall'art. 295 (per il quale il rimedio del regolamento di competenza è espressamente previsto), viene comunque in rilievo il pari interesse della parte ad ottenerne il controllo di effettiva rispondenza allo schema legale di riferimento, ad evitare che, ove il provvedimento sia in concreto adottato in difformità da detto schema, si abbia un ingiustificato, e non altrimenti rimediabile, arresto (sia pure temporaneo) dell'"iter" processuale (Cass. n. 11010/2005).

Il provvedimento di sospensione del processo, adottato dal giudice di pace, è impugnabile con il regolamento necessario di competenza, in quanto l'art. 46, che sancisce l'inapplicabilità ai giudizi davanti al giudice di pace degli artt. 42 e 43, deve essere inteso nel senso che limita l'ammissibilità del regolamento di giurisdizione ai soli provvedimenti del giudice di pace che decidono sulla competenza, consentendo alla parte di avvalersi dell'unico strumento di tutela che impedisce la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo attraverso un'immediata verifica della sussistenza dei presupposti per l'adozione del provvedimento di sospensione (Cass. n. 27994/2017).  

Sempre con riferimento all'ambito applicativo del rimedio in esame, sull'assunto per il quale La "ratio" dell'art. 42, nel testo novellato dalla l. n. 353/1990, nella parte in cui prevede l'impugnabilità con regolamento di competenza dell'ordinanza che dispone la sospensione del processo, è quella di sottoporre a controllo un atto che era in precedenza sottratto ad ogni sindacato, verificando la legittima applicazione della norma dettata dall'art. 295, nonché, nei casi in cui il giudice ha - in forza di altre disposizioni - il potere ma non il dovere di sospendere il giudizio pendente avanti a lui (ad es. artt. 279 penult. comma e 337, comma 2), se il caso ricada nell'ambito di applicazione di esse, è stato osservato che, con riferimento al processo esecutivo , il quale ove sia proposta opposizione all'esecuzione, non deve essere sospeso, ma può esserlo, in funzione cautelare, non v'è luogo per il regolamento di competenza, giacché avverso l'ordinanza di sospensione e per la verifica delle ragioni che la sorreggono è esperibile, dopo la riforma del processo esecutivo, il reclamo ex art. 669-terdecies, mentre in precedenza poteva essere proposta opposizione agli atti esecutivi (Cass. n. 24014/2006).

E' stato poi precisato, per altro verso, che, in tema di continenza di cause, le norme dettate dall'art. 39 non operano con riguardo alla situazione di pendenza di una causa in primo grado e dell'altra in appello, ma l'esigenza di coordinamento sottesa alla disciplina dell'art. 39, comma 2, deve essere assicurata comunque ai sensi dell'art. 295  cioè per il tramite della sospensione della causa che avrebbe dovuto subire l'attrazione all'altra se avesse potuto operare detta disciplina, in attesa della definizione con sentenza passata in giudicato della causa che avrebbe esercitato l'attrazione (Cass.  n. 26835/2017).

Sotto un distinto profilo, la S.C. ha più volte ribadito che, in tema di contenzioso tributario, l'art. 5, comma 4, d.lgs. n. 546/1992 - secondo cui "non si applicano le disposizioni del codice di procedura civile sui regolamenti di competenza" - è inserito in un complesso normativo, integrante microsistema, contenuto negli artt. 4 e 5 d.lgs. n. 546/1992 cit., che riguarda la disciplina della competenza, essenzialmente per territorio, delle commissioni tributarie, e si riferisce soltanto alle questioni che queste possono essere chiamate a rendere in ordine a tale competenza. Pertanto, in conformità all'esigenza di tutelare i diritti fondamentali garantiti dagli artt. 24, comma 1, e 111, comma 2, Cost. e art. 6, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, deve ritenersi che la norma sopra citata non esclude la proposizione del regolamento di competenza avverso i provvedimenti di sospensione del processo ex art. 295, impugnazione senz'altro ammissibile alla stregua del combinato disposto degli artt. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 e 42 (Cass. n. 11140/2005).

In ogni caso, la sospensione del processo per pregiudizialità, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., e proposto regolamento di competenza per contestare la sussistenza di un'ipotesi di sospensione necessaria, se nelle more della decisione della S.C., venga deciso il processo ritenuto pregiudicante con sentenza passata in giudicato, si determina la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del giudice di legittimità, la quale comporta l'inammissibilità del ricorso, in quanto l'interesse ad agire (e pure ad impugnare) deve sussistere non solo quando è proposta l'impugnazione, ma anche al momento della decisione (Cass. lav., n. 14124/2023).

Il rimedio del regolamento di competenza non è dato, proprio in quanto eccezionale, anche contro il provvedimento con il quale il giudice disattenda l’istanza di sospensione del processo (Cass. n. 14091/2023).

Bibliografia

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