Codice di Procedura Civile art. 300 - Morte o perdita della capacità della parte costituita o del contumace 1 .

Rosaria Giordano

Morte o perdita della capacità della parte costituita o del contumace 1 .

[I]. Se alcuno degli eventi previsti nell'articolo precedente si avvera nei riguardi della parte che si è costituita a mezzo di procuratore [82], questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti [170].

[II]. Dal momento di tale dichiarazione o notificazione il processo è interrotto, salvo che avvenga la costituzione volontaria [302] o la riassunzione a norma dell'articolo precedente [303].

[III]. Se la parte è costituita personalmente [82 1-286417 1], il processo è interrotto al momento dell'evento.

[IV]. Se l'evento riguarda la parte dichiarata contumace, il processo è interrotto dal momento in cui il fatto interruttivo è documentato dall'altra parte, o è notificato ovvero è certificato dall'ufficiale giudiziario nella relazione di notificazione di uno dei provvedimenti di cui all'articolo 292 23.

[V]. Se alcuno degli eventi previsti nell'articolo precedente si avvera o e' notificato dopo la chiusura della discussione davanti al collegio, esso non produce effetto se non nel caso di riapertura dell'istruzione.

 

[1] La Corte cost., con sentenza 16 ottobre 1986, n. 220 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 75 e 300 c.p.c., nella parte in cui non prevedono, ove emerga una situazione di scomparsa del convenuto, la interruzione del processo e la segnalazione, ad opera del giudice, del caso al pubblico ministero perché promuova la nomina di un curatore, nei cui confronti debba l'attore riassumere il giudizio.

[2] Comma sostituito dall'art. 46, comma 13, della l. 18 giugno 2009, n. 69 (legge di riforma 2009), con effetto a decorrere dal 4 luglio 2009, per i giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore. 

[3] La Corte cost., con sentenza 29 ottobre 2009, n. 276, ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, una questione di legittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui, non richiamando l'art. 789 del codice di procedura civile, non prevede la dichiarazione d'interruzione del processo nel caso di morte del contumace, certificata dall'ufficiale giudiziario nella relazione di notificazione relativa al decreto che fissa l'udienza di discussione del progetto di divisione, sollevata, con riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost.

Inquadramento

Quando la parte è costituita in giudizio a mezzo di un difensore, la scelta sull'opportunità di dichiarare l'evento interruttivo — con una dichiarazione di volontà — è rimessa allo stesso (Califano 165).

In mancanza di detta dichiarazione, è come se l'evento non si fosse verificato (Cass. n. 9480/2014) e questo, come sancito dalle Sezioni Unite, modificando la giurisprudenza pregressa, anche ai fini della riattivazione del giudizio o della proposizione dell'impugnazione (Cass. S.U., n. 15295/2014).

Se l'evento riguarda la parte costituita personalmente in giudizio, invece, la verificazione dello stesso determina ipso iure l'interruzione (Andrioli, II, 1968, 319).

Parte costituita a mezzo procuratore

Il comma 1 della norma in esame stabilisce che, se uno degli eventi previsti dall'art. 299 si verifica nei riguardi della parte costituita a mezzo di procuratore, questi lo dichiara in udienza o lo notifica alle altre parti.

Tale previsione, è stata tradizionalmente intesa nel senso della non automaticità dell'interruzione del processo al verificarsi dell'evento concernente la parte costituita in giudizio a mezzo di difensore, essendo rimessa alla scelta tecnica di quest'ultimo la decisione sull'opportunità di far assumere o meno rilevanza all'interno del giudizio dell'evento. Peraltro, proprio la presenza del difensore della parte assicura, a tutela della stessa, sia il rispetto del principio del contraddittorio sia lo svolgimento delle attività difensive volte ad un'efficace tutela della parte rappresentata (Califano, 165).

A riguardo, la Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato, invero, che l'art. 300 subordina l'effetto interruttivo del processo alla coesistenza di due elementi essenziali, costituiti rispettivamente dall'evento previsto come causa d'interruzione e dalla relativa dichiarazione formale ad opera del procuratore della parte che ne è colpita (Cass. n. 9480/2014).

La S.C. ha più volte ribadito che la dichiarazione resa, ai sensi dell'art. 300, dal procuratore della parte costituita, sebbene strutturata come dichiarazione di scienza, riveste carattere strettamente negoziale e suppone la volontà del dichiarante di provocare l'interruzione stessa, con la conseguenza che quest'ultima non si realizza allorché la causa interruttiva risulti esposta soltanto per fini diversi, quale quello di ottenere il rinvio della trattazione della causa per esigenze di difesa (Cass. n. 10210/2015).

Né vale, per le medesime ragioni, la dichiarazione che sia stata all’uopo effettuata dal difensore in altro giudizio (Cass. n. 3345/2024).

L'omessa dichiarazione di un evento interruttivo relativo alla parte costituita - se integrante violazione dell'obbligo, posto in capo al procuratore, di lealtà e probità previsto dall'art. 88 c.p.c. - può integrare la fattispecie del dolo processuale idoneo a giustificare la revocazione della sentenza d'appello, ai sensi dell'art. 395 c.p.c., ma non costituisce vizio di legittimità della sentenza che definisce il giudizio (Cass. n. 21980/2023).

Peraltro, nella giurisprudenza di legittimità si è precisato che, se nella fase di impugnazione, a seguito di morte o perdita della capacità della parte costituita a mezzo procuratore, si costituiscano gli eredi del de cuius o il rappresentante legale della persona giuridica divenuta incapace ovvero se il suo procuratore, già munito di procura alle liti valida anche per gli ulteriori gradi del giudizio, dichiari in udienza o notifichi alle altre parti, l'evento, o in caso di contumacia, detto evento sia documentato dall'altra parte o notificato o certificato dall'ufficiale giudiziario ex art. 300, comma 4, si avrà un'eccezione alla regola dell'ultrattività del mandato alla lite con conseguente incapacità del difensore a rappresentare la parte assistita (Cass. n. 6780/2016).

A sostegno della disciplina normativa ora esposta, la dottrina ha richiamato, quindi confortata dalla stessa giurisprudenza di legittimità, le norme di diritto sostanziale in tema di mandato, ed, in particolare, l'art. 1722, n. 4, c.c. secondo cui in caso di morte del mandante, non viene meno il mandato (Calvosa, 931).

Tuttavia, sino ad una recente evoluzione giurisprudenziale, si riteneva che il limite della c.d. ultrattività del mandato professionale al difensore fosse costituito dal grado di giudizio nel quale si era verificato l'evento. In tal senso le Sezioni Unite avevano affermato che quando si verifica, nel periodo compreso tra la pubblicazione della sentenza di primo grado e la proposizione del gravame, la morte o la perdita della capacità di agire della persona fisica, non vi è ultrattività del mandato rilasciato al difensore, comprendente il potere di impugnazione, atteso che — in assenza di specifica regolamentazione del mandato ad litem — deve trovare applicazione con riguardo ad esso il principio generale di cui all'art. 1722 c.c., secondo il quale la morte del mandante estingue il mandato. Né rilevano a tal fine le due deroghe a tale principio generale, contenute nell'art. 300, relative alla facoltà del procuratore di continuare a rappresentare in giudizio la parte che sia defunta dopo la costituzione in giudizio e alla cristallizzazione del giudizio tra le parti originarie in caso di morte di una di queste verificatasi dopo la chiusura della discussione davanti al collegio, che restano confinate al rigoroso ambito della rispettiva fase processuale in cui l'evento si è verificato e non possono espandersi nella successiva fase di quiescenza e di riattivazione del rapporto processuale (Cass. S.U., n. 10706/2006).

Le Sezioni Unite hanno in seguito rivisto in senso maggiormente garantista detto orientamento, sancendo il differente principio per il quale laddove, durante la pendenza del giudizio, sopraggiunga la morte della parte costituita ed il suo procuratore ometta di dichiarare o notificare l'evento nei modi e nei tempi di cui all'art. 300,la posizione giuridica del soggetto rappresentato (rispetto alle altre parti e al giudice) resta stabilizzata nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione del giudizio di gravame, sicché è ammissibile l'atto di impugnazione notificato, presso il difensore, alla parte deceduta o divenuta incapace, pur se il notificante abbia avuto aliunde conoscenza dell'evento (Cass. S.U., n. 15295/2014Foro it., 2015, n. 2, 636, con nota di Danovi).

In conformità a tale prospettiva si è affermato che il principio di ultrattività del mandato alla lite, in forza del quale il difensore continua a rappresentare la parte come se l'evento estintivo non si fosse verificato, si applica anche quando, avvenuta la cancellazione della società dal registro delle imprese in data successiva alla pubblicazione della sentenza di appello ed in pendenza del termine per proporre ricorso per cassazione, non ne sia possibile, per tale ragione, la declaratoria, ed il procuratore della società estinta non abbia inteso notificare l'evento stesso alla controparte, sicchè quest'ultima, legittimamente, può notificare alla società, pur cancellata ed estinta, il ricorso per cassazione presso il domicilio del suddetto difensore (Cass. I, n. 190/2022).

Di contro, in caso di cancellazione della società dal registro delle imprese,; a tale regola si sottrae il ricorso in cassazione, che necessita della procura speciale, non conferibile dal legale rappresentante della società estinta, privo di potere di rappresentanza, con conseguente inammissibilità del ricorso proposto (Cass. II, n. 19272/2022).

Da ultimo, in una prospettiva analoga, è stato evidenziato che la morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarata in udienza o notificata alle altre parti, comporta, giusta la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, che: a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285, è idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace; b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione - ad eccezione del ricorso per cassazione, per cui è richiesta la procura speciale - in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell'ambito del processo, tuttora in vita e capace; c) è ammissibile la notificazione dell'impugnazione presso di lui, ai sensi dell'art. 330, comma 1, senza che rilevi la conoscenza "aliunde" di uno degli eventi previsti dall'art. 299 da parte del notificante (Cass. n. 11072/2018).

In un’ipotesi peculiare si è osservato che il principio di ultrattività della rappresentanza processuale del genitore del minore che, nel corso del giudizio, matura la maggiore età opera anche se al figlio divenuto maggiorenne è nominato un amministrazione di sostegno, non potendo farsi derivare automaticamente dalla predetta nomina la perdita di capacità processuale della parte, diversamente da quanto avviene nell'ipotesi di interdizione, sicché la dichiarazione dell'intervenuta nomina dell'amministratore di sostegno da parte del difensore con la comparsa conclusionale non determina ex se l'interruzione del giudizio, a meno che non sia finalizzata al conseguimento di tale effetto e corredata dei necessari requisiti formali (Cass. n. 17113/2024).

Più in generale, la S.Cha precisato che, in caso di morte o perdita di capacità di stare in giudizio della parte costituita a mezzo di procuratore, ove l'evento non sia dichiarato o notificato da parte di quest'ultimo, la regola dell'ultrattività del mandato alla lite, anche ai fini della proposizione delle impugnazioni, non opera per il ricorso per cassazione, per il quale è richiesta la procura speciale, che deve, pertanto, essere conferita dal soggetto subentrato per legge alla parte originaria (Cass., n. 4677/2017, conf. Cass. n. 8037/2021 ).

Si ritiene, inoltre, che nell'ipotesi di società cancellata dal registro delle imprese l'impugnazione della sentenza resa nel grado di giudizio nel quale l'evento interruttivo non è stato dichiarato deve essere proposta da o nei confronti dei soci, non potendo eccedere la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto il grado di giudizio nel quale la stessa è occorsa (Cass. n. 5605/2021).

Casistica

La morte del mandante che sta in giudizio per mezzo del mandatario "ad negotia", costituito tramite procuratore legale, in tanto ha rilevanza processuale ed importa l'interruzione del processo in quanto sia stata dichiarata o notificata dal procuratore legale, restando irrilevante che la morte della parte sia nota al giudice ed alla controparte, sopravvivendo la rappresentanza processuale, per il suo particolare carattere di rapporto esterno rispetto al giudice ed alla controparte, al decesso del mandante; mentre nei rapporti interni fra mandante e mandatario, gli atti (in essi compresa la nomina di un procuratore "ad processum") che siano stati compiuti dal mandatario prima di conoscere l'estinzione del mandato (per morte del mandante) restano validi, sia nei confronti del mandante che dei suoi eredi (salva da parte di questi ultimi la ratifica dell'operato del mandatario: Cass. n. 10487/2018).

Valenza interruttiva automatica della dichiarazione di fallimento

Ai sensi dell'art. 43, comma 3, l. fall. (per la nuova disciplina v. d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza), , come modificata dal d.lgs. n. 5/2006, la dichiarazione di fallimento determina ipso iure l'interruzione del giudizio in corso nel quale è parte il fallito, per la perdita di capacità processuale di quest'ultimo, senza che sia pertanto necessaria, a tal fine, alcuna dichiarazione o notificazione dell'evento alla controparte ad opera del procuratore costituito.

Una pronuncia della S.C. ha chiarito, poi, che tale norma si applica anche ai casi di interruzione del processo conseguenti all'evento interruttivo costituito, per il venir meno della capacità processuale del curatore, dalla revoca del fallimento, stante l'"eadem ratio" che accomuna le due ipotesi, sussistendo anche in caso di revoca del fallimento l'esigenza di dare immediata ed automatica efficacia in ambito processuale alla "restitutio in pristinum" prevista dall'art. 18, comma 15, l. fall. ed evitare che il processo prosegua nei confronti della procedura oramai definitivamente venuta meno (Cass. I, n. 31473/2018).

Per altro verso, la stessa Corte di legittimità ha precisato che In caso di interruzione automatica del processo ex art. 43, comma 3, l. fall. (per la nuova disciplina v. d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza), la conoscenza del fallimento di una parte che il procuratore di altra parte, non colpita dall'evento interruttivo, abbia acquisito in un determinato giudizio non è idonea a far decorrere il termine per la riassunzione di altra causa, ancorché le parti siano assistite, in entrambi i processi, dagli stessi procuratori. Ha evidenziato sul punto la S.C. che, volendo opinare diversamente, infatti, si attribuirebbe all'avvocato una sorta di "rappresentanza generale" della parte che gli ha affidato uno o più mandati "ad litem", contraddistinta da un'ampiezza non direttamente correlata con l'oggetto dei singoli giudizi per il quale il professionista sia stato officiato e, dunque, potenzialmente esulante dai confini dei mandati defensionali che il cliente aveva inteso conferire all'avvocato (Cass. n. 33157/2019).In ogni caso, il fallimento di una delle parti che si verifichi nel giudizio di Cassazione non determina l'interruzione del processo ex art. 299 e ss. c.p.c., trattandosi di procedimento dominato dall'impulso di ufficio, di talché, una volta instauratosi il giudizio di Cassazione con la notifica ed il deposito del ricorso, il curatore del fallimento non è legittimato a stare in giudizio in luogo del fallito, essendo irrilevanti i mutamenti della capacità di stare in giudizio di una delle parti e non essendo ipotizzabili, nel giudizio di cassazione, gli adempimenti di cui all'art. 302 (Cass. n. 3630/2021).

Parte costituita personalmente

Il comma 3 dell'art. 300 prevede che se la parte è costituita personalmente il processo è interrotto dal momento dell'evento.

Pertanto, mancando in tale ipotesi un mandato suscettibile di tacita conferma come nel caso di parte costituita a mezzo di difensore, la morte o perdita di capacità della parte costituita personalmente comporta ipso iure l'interruzione del giudizio — in mancanza della quale, di conseguenza, la sentenza eventualmente pronunciata all'esito del processo non sarà opponibile né al successore né alla parte in senso sostanziale — senza che, peraltro, almeno secondo l'opinione dominante in dottrina, tale effetto possa essere evitato mediante la costituzione spontanea dei soggetti legittimati a proseguire il processo ovvero la riassunzione nei loro confronti (Andrioli, II, 1968, 319).

Parte contumace

Il comma 4 della norma in esame, nel testo risultante dalla novellazione operata dalla l. n. 69/2009, prevede che se l'evento riguarda la parte dichiarata contumace, il processo è interrotto non soltanto dal momento in cui il fatto interruttivo è notificato o è certificato dall'ufficiale giudiziario nella relata di notifica di uno dei provvedimenti ex art. 292 ma anche nell'ipotesi in cui detto fatto venga documentato dalla controparte.

Prima di tale intervento normativo, pertanto, la morte della parte contumace nel corso di un grado di merito del processo non era idonea a determinare immediatamente l'interruzione del processo stesso, occorrendo a tal fine necessariamente che l'evento fosse notificato o venisse certificato dall'ufficiale giudiziario nella relazione di notificazione di uno dei provvedimenti di cui all'art. 292, come espressamente dispone il comma quarto dell'art. 300 dello stesso codice, la cui violazione può essere eccepita solo dagli eredi del defunto, nel cui interesse è unicamente preordinata la interruzione del processo, e non dalle controparti che sono sfornite di qualsiasi interesse al riguardo (Cass. n. 7976/1995). Peraltro, proprio l'interesse delle controparti all'interruzione del giudizio nell'indicata ipotesi viene oggi rivalutato dal legislatore con la possibilità invero di una declaratoria di interruzione del processo per un evento relativo alla parte rimasta contumace anche laddove la verificazione dello stesso venga documentata dalla controparte.

Evento successivo alla chiusura della discussione

L'ultima parte del comma 4 della previsione in esame stabiliva, nel testo originario, che se alcuno degli eventi previsti dall'art. 299 si avvera o è notificato dopo la discussione dinanzi al collegio, lo stesso non produce effetto se non nel caso di riapertura dell'istruzione.

La l. n. 69/2009 ha abrogato tale inciso.

La norma aveva infatti determinato alcuni problemi interpretativi a seguito della rimodulazione dei modelli decisori nel primo grado di giudizio ad opera della l. n. 353/1990 ed, in particolare, della circostanza che, divenuta la discussione orale soltanto eventuale, a seguito della rimessione della causa in decisione vi è ancora un'effettiva esigenza di tutela del diritto di difesa della parte ex art. 24 Cost., ai fini del deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

Pertanto, valorizzando la ratio della previsione normativa, secondo quanto evidenziato anche dalla dottrina più autorevole, la giurisprudenza anche di legittimità aveva ormai chiarito sul punto che nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, qualora la morte della parte costituita in giudizio sia notificata successivamente all'udienza di precisazione delle conclusioni ma prima della scadenza dei termini di cui all'art. 190, richiamato dall'art. 281-quinquies, deve essere dichiarata l'interruzione del processo, non potendo trovare applicazione l'art. 300, comma 4, seconda parte (nel testo, applicabile «ratione temporis», anteriore alle modifiche introdotte dall'art. 46, comma 13, l. n. 69/2009), in quanto tale ipotesi non è parificabile al caso in cui l'evento interruttivo si avveri o sia notificato dopo la chiusura della discussione davanti al collegio, che, nella disciplina introdotta dalla l. n. 353/1990, è equiparata al momento in cui, dopo l'udienza di precisazione delle conclusioni, viene a scadere il termine per il deposito delle comparse conclusionale e delle memorie di replica (Cass. n. 23042/2009).

L'evento non ha invece rilevanza interruttiva se si verifica dopo la scadenza dei termini per il deposito delle memorie di replica (Cass. n. 7076/2022; Cass., n. 14472/2017).

Diversamente, nell'ipotesi di controversie devolute alla cognizione del Tribunale in composizione collegiale ove si sia dato luogo alla discussione orale, la S.C. ha ribadito che qualora, verificatasi nel corso del giudizio di primo grado la morte della parte costituita, tale evento venga attestato dal procuratore nel corso dell'udienza collegiale, dopo che la causa è stata rimessa in decisione, il giudice non può tenere conto di tale fatto né ai fini dell'interruzione del processo né per dichiarare la cessazione della materia del contendere (Cass. n. 26254/2008).

Casistica

Nell'ipotesi di morte della parte costituita e di dichiarazione dell'evento interruttivo resa in udienza dal suo procuratore o da questi notificata alle altre parti, la mera circostanza che uno dei successori sia parte del giudizio in nome proprio al momento del decesso, sia pure in una posizione di sostanziale coincidenza di interessi e di linea difensiva con il defunto, non comporta che egli assuma automaticamente la qualità di erede dello stesso né al fine dell'impedimento dell'evento interruttivo, né con riguardo alla coltivazione delle domande proposte dal "de cuius". (Cass. n. 15066/2018: nella specie, la S.C. ha escluso che il figlio della parte deceduta in corso di causa, presente nel processo in nome proprio, avesse accettato tacitamente l'eredità ex art. 476 c.c. con la semplice proposizione di appello contro la decisione di primo grado, non avendo speso la qualità di erede del genitore).

Bibliografia

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