Codice di Procedura Civile art. 305 - Mancata prosecuzione o riassunzione 1 2 .[I]. Il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine perentorio [153] di tre mesi dall'interruzione, altrimenti si estingue [307-310].
[1] Articolo così sostituito dall'art. 30 l. 14 luglio 1950, n. 581. La Corte cost., con sentenza 15 dicembre 1967, n. 139, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui fa decorrere dalla data dell'interruzione del processo il termine per la sua prosecuzione o la sua riassunzione, anche nei casi regolati dal precedente art. 301 in riferimento all'art. 24 Cost. Successivamente la Corte cost., con sentenza 6 luglio 1971, n. 159 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui dispone che il termine utile per la prosecuzione o per la riassunzione del processo interrotto ai sensi dell'art. 299 dello stesso codice, decorre dall'interruzione anziché dalla data in cui le parti ne abbiano avuto conoscenza, nonché nella parte in cui dispone che il termine utile per la prosecuzione o per la riassunzione del processo interrotto ai sensi del precedente art. 300 3 decorre dall'interruzione anziché dalla data in cui le parti ne abbiano avuto conoscenza. Inoltre, con sentenza 21 gennaio 2010, n. 17, la Corte ha dichiarato non fondata, nei sensi di cui in motivazione, una questione di legittimità , sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 111, comma 2, Cost. [2] Le parole « tre mesi » sono state sostituite alle parole « sei mesi » dall'art. 46, comma 14, l. 18 giugno 2009, n. 69, con la decorrenza e la relativa disciplina transitoria indicate sub art. 7. InquadramentoA seguito dell'interruzione, il processo deve essere proseguito o riassunto entro il termine di tre mesi ed, in mancanza, si estingue. Detto termine decorre, nelle ipotesi di interruzione ipso iure, non dal giorno in cui la stessa si è verificata bensì dal momento nel quale ne ha avuto conoscenza la parte interessata alla riassunzione (Cass. n. 3782/2015). Per evitare l'estinzione è sufficiente che entro il termine trimestrale sia depositato il relativo ricorso in cancelleria, senza che assumano rilevanza le successive vicende relative alla notifica del ricorso alla controparte in uno con il decreto di fissazione dell'udienza (Cass. S.U., n. 14854/2006). Poiché l’atto di riassunzione è volto alla prosecuzione di un procedimento già incardinato e non è quindi atto introduttivo del giudizio, deve essere depositato in forma telematica (Trib. Lodi I, 4 marzo 2016, in ilprocessotelematico.it). La riassunzione può essere effettuata anche mediante citazione ad udienza fissa: tale atto deve possedere tutti i requisiti formali previsti dall'art. 125 disp. att. indispensabili per il raggiungimento dello scopo previsto nell'art. 297 ed è sufficiente la notifica alla controparte prima della scadenza del termine previsto dall'art. 305 per impedire l'estinzione del processo, restando al di fuori l'obbligo di deposito dell'atto che può avvenire anche successivamente (Cass. S.U., n. 27183/2007). Dies a quo della decorrenza del termine per la riassunzione o prosecuzione del processoLa norma in esame prevede che nell'ipotesi di mancata riassunzione del processo, entro il termine, rideterminato in tre mesi rispetto a quello precedente di sei mesi, dall'art. 46, comma 14, l. n. 69/2009 (applicabile ai giudizi introdotti in primo grado dopo l'entrata in vigore della predetta legge e, quindi, dal 4 luglio 2009: Cass. II, n. 16982/2023) dall'interruzione, il processo si estingue. Peraltro, ai fini dell'individuazione del dies a quo per la decorrenza del predetto termine nelle ipotesi in cui al verificarsi dell'evento segua ipso iure l'interruzione del giudizio occorre tener conto sia della pronuncia della Corte cost. n. 139/1967 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 305 nella parte in cui fa decorrere dalla data dell'interruzione del processo e non dalla conoscenza legale dell'evento il termine per la prosecuzione o riassunzione dello stesso nei casi regolati dal precedente art. 301, per contrasto con l'art. 24 Cost., nonché della decisione additiva Corte cost. n. 159/1971 mediante la quale la medesima Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittima la previsione normativa in commento nella parte in cui prevede che il termine per la prosecuzione o riassunzione del giudizio interrotto ai sensi dell'art. 299 decorresse dall'interruzione e non dal momento in cui le parti ne abbiano avuto conoscenza. Pertanto, a seguito delle richiamate decisioni additive della Corte costituzionale deve ritenersi ormai acquisito nel vigente sistema di diritto processuale civile il principio secondo cui, nei casi d'interruzione automatica del processo (artt. 299, 300, comma 3, 301, comma 1), il termine per la riassunzione decorre non già dal giorno in cui l'evento interruttivo si è verificato, bensì dal giorno in cui esso è venuto a conoscenza della parte interessata alla riassunzione (Cass. n. 3782/2015). L'intervento della Corte Costituzionale si era reso necessario in quanto, precedentemente, il termine per la prosecuzione o la riassunzione, decorrendo dall'interruzione invece che dalla data in cui le parti ne avessero avuto conoscenza, impediva loro di utilizzare detto termine nella sua totalità, per non esserne agevolmente conoscibile la decorrenza, ledendo così il diritto di difesa (Saletti, 1989, 10). Importanti precisazioni sono state inoltre compiute dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sul tema della individuazione del dies a quo per la decorrenza del termine per la riassunzione del giudizio interrotto nelle ipotesi disciplinate dall'art. 300, comma 2, nelle quali al verificarsi dell'evento non segue automaticamente l'interruzione del giudizio che si determina, invero, soltanto laddove al verificarsi dell'evento segua la relativa dichiarazione in udienza ovvero la notifica alle altre parti ad opera del procuratore della parte colpita dallo stesso evento. Le Sezioni Unite, in particolare, hanno a riguardo chiarito che l'evento della morte o della perdita della capacità processuale della parte costituita che sia dichiarato in udienza o notificato alle altre parti dal procuratore della stessa parte colpita da uno di detti eventi produce, ai sensi dell'art. 300, comma 2, l'effetto automatico dell'interruzione del processo dal momento di tale dichiarazione o notificazione e il conseguente termine per la riassunzione, in tale ipotesi, come previsto in generale dall'art. 305, decorre dal momento in cui interviene la dichiarazione del procuratore o la notificazione dell'evento, ad opera dello stesso, nei confronti delle altre parti, senza che abbia alcuna efficacia, a tal fine, il momento nel quale venga adottato e conosciuto il provvedimento giudiziale dichiarativo dell'intervenuta interruzione (avente natura meramente ricognitiva) pronunziato successivamente e senza che tale disciplina incida negativamente sul diritto di difesa delle parti (Cass. S.U., n. 7443/2008; conf., da ultimo, Cass. VI, n. 27788/2022). E' stato puntualizzato che l'evento della morte della parte costituita, che sia dichiarato in udienza mediante nota scritta scambiata e depositata in telematico nell'ambito dello svolgimento dell'udienza in forma cartolare, secondo le modalità previste dalle disposizioni per l'esercizio dell'attività giurisdizionale nella vigenza dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, produce, ai sensi dell'art. 300, comma 2, c.p.c., l'effetto automatico dell'interruzione del processo dal momento di tale dichiarazione, e il conseguente termine per la prosecuzione o riassunzione, come previsto dall'art. 305 c.p.c., decorre dal momento in cui interviene la dichiarazione del procuratore nei confronti delle altre parti, senza che rilevi, a tal fine, il momento nel quale venga adottato il successivo provvedimento giudiziale dichiarativo dell'intervenuta interruzione, avente natura meramente ricognitiva (Cass. VI, n. 16797/2022). Peraltro, anche con riferimento all' interruzione automatica del processo determinata dalla dichiarazione di fallimento di una delle parti, è stato precisato che il termine per la riassunzione di cui all'art. 305 decorre dalla dichiarazione o notificazione dell'evento interruttivo secondo la previsione dell'art. 300, ovvero, se anteriore, dalla conoscenza legale di detto evento procurata dal curatore del fallimento alle parti interessate (Cass. n. 2658/2019). La recentissima Cass. n. 32845/2022, ha affermato che il provvedimento di nomina dell'amministrazione di sostegno non determina di per sé l'interruzione del giudizio di cui sia parte il beneficiario dell'amministrazione e, anche qualora il difensore dell'amministratore dichiari in udienza l'evento, non si verifica automaticamente l'interruzione del processo, come invece accade nelle diverse ipotesi dell'interdizione e dell'inabilitazione. La Corte ha evidenziato che, di conseguenza, ove il giudice dichiari con ordinanza l'interruzione del giudizio, il dies a quo per la riassunzione del processo nel termine di tre mesi ex art. 305 c.p.c., decorre, per esigenze di tutela del beneficiario, non dalla data della dichiarazione in udienza dell'evento da parte del difensore, ma dal successivo provvedimento del giudice di merito che, dopo aver valutato, in base al tenore del provvedimento del giudice tutelare, l'effettiva capacità di agire residua dell'amministrato e la corrispondente capacità processuale ex art. 75 c.p.c., dichiara l'interruzione del processo. Verifica del rispetto del termine trimestraleLa giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata, quanto invece all'individuazione dell'atto processuale che la parte interessata deve porre in essere nel termine previsto dalla norma in commento per riattivare, pena l'estinzione dello stesso, il giudizio interrotto, nel senso che, verificatasi una causa d'interruzione del processo, in presenza di un meccanismo di riattivazione del processo interrotto, destinato a realizzarsi distinguendo il momento della rinnovata edictio actionis da quello della vocatio in ius, il termine perentorio previsto dalla norma in esame è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicché, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non gioca più alcun ruolo, atteso che la fissazione successiva, ad opera del medesimo giudice, di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, pur presupponendo che il precedente termine sia stato rispettato, ormai ne prescinde, rispondendo unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della vocatio in ius. Consegue a tale impostazione interpretativa che il vizio da cui sia colpita la notifica dell'atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell'udienza non si comunica alla riassunzione (oramai perfezionatasi), ma impone al giudice, che rilevi la nullità, di ordinare la rinnovazione della notifica medesima, in applicazione analogica dell'art. 291, entro un termine necessariamente perentorio, solo il mancato rispetto del quale determinerà l'eventuale estinzione del giudizio, per il combinato disposto dello stesso art. 291, ultimo comma, e del successivo art. 307, comma 3 (Cass. S.U., n. 14854/2006; conf., tra le più recenti, Cass. n. 2526/2021, Cass. n. 6921/2019). In altre parole, al verificarsi di una causa d'interruzione del processo, il termine perentorio previsto dall’art. 305, è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, e il giudice che rilevi l'omessa notifica (o un vizio comportante l'inesistenza della stessa) dell'atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell'udienza, deve ordinarne l'effettuazione in applicazione analogica dell'art. 291, entro un termine (stavolta) perentorio, solo il mancato rispetto). del quale determinerà l'estinzione del giudizio, per il combinato disposto dello stesso art. 291, u.c., e del successivo art. 307, comma 3 (Cass. n. 9819/2018; Cass. n. 6755/2016). Pertanto, nel caso di deposito del ricorso in riassunzione nel rispetto del termine di cui all'art. 305 c.p.c., seguito dalla sua notificazione attuata agli eredi collettivamente ed impersonalmente ed oltre l'anno dalla morte della parte, non si verifica l'estinzione del giudizio, poiché il giudice ha l'onere di disporre la rinnovazione della notificazione del ricorso e del decreto nel termine di cui all'art. 291 (Cass. n. 2174/2016). In sede applicativa, nel ribadire il predetto principio consolidato, si è osservato che, in tema di interruzione del processo, una volta eseguito tempestivamente il deposito del ricorso in cancelleria con la richiesta di fissazione di una udienza, il rapporto processuale, quiescente, è ripristinato con integrale perfezionamento della riassunzione, non rilevando a tal fine l'eventuale errore sulla esatta identificazione della controparte contenuto nell'atto di riassunzione, che opera, in relazione al processo, in termini oggettivi ed è valido, per raggiungimento dello scopo ai sensi dell'art. 156, quando contenga gli elementi sufficienti a individuare il giudizio che si intende far proseguire. Deriva da quanto precede, pertanto, che, in caso di fusione per incorporazione fra società, seguita dalla cessione dell'azienda dalla società incorporante ad altro soggetto, ove il processo sia stato interrotto a causa della fusione, è sufficiente - ai fini della tempestività della riassunzione e per evitare l'estinzione del processo - il deposito, presso la cancelleria del giudice, dell'atto di prosecuzione del giudizio, ancorché questo sia stato notificato soltanto nei confronti del cessionario dell'azienda e successore a titolo particolare nel diritto controverso, potendo l'incompletezza del contraddittorio essere sanata dal giudice attraverso l'ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti della società incorporante, successore a titolo universale (App. Palermo III, 16 marzo 2016, n. 486). Le Sezioni Unite, inoltre, risolvendo il contrasto che si era formato nella giurisprudenza di legittimità sulla questione, hanno affermato il principio per il quale, nell'ipotesi in cui la riassunzione sia effettuata, anziché con comparsa o ricorso al giudice per la fissazione dell'udienza di prosecuzione, con citazione ad udienza fissa, quest'ultima deve possedere tutti i requisiti formali previsti dall'art. 125 disp. att. indispensabili per il raggiungimento dello scopo previsto nell'art. 297 ed è sufficiente la notifica alla controparte prima della scadenza del termine previsto dall'art. 305 per impedire l'estinzione del processo, restando al di fuori l'obbligo di deposito dell'atto che può avvenire anche successivamente (Cass. S.U., n. 27183/2007; conf., da ultimo, Cass. n. 9000/2015). Cause riunite Sotto altro profilo, è stato chiarito che in caso di interruzione del processo in cui siano state riunite più cause, l'atto di riassunzione posto in essere da una sola delle parti ha l'effetto di impedire l'estinzione del giudizio anche con riguardo alle altre, qualora le stesse — destinatarie della notifica dell'atto di riassunzione — si siano costituite in giudizio ed abbiano riproposto tutte le domande, principali e riconvenzionali, già appartenenti alle cause riunite, senza che sia necessario che ciascuna di esse proceda formalmente ad un autonoma riassunzione (Cass. n. 11686/2014). Invero, secondo autorevole dottrina, si dovrebbe preliminarmente escludere che il verificarsi di un evento interruttivo in una di più cause scindibili determini sempre la quiescenza dell'intero processo (Cipriani 1998, 1260). Questa impostazione è condivisa nella giurisprudenza di legittimità più recente, all’interno della quale si è evidenziato che nel caso di cumulo di cause scindibili, l'evento interruttivo riguardante il debitore principale non si propaga al debitore solidale in qualità di fideiussore, ed il giudice ha la facoltà, non l'obbligo, di separare le cause, sicché, ove non si avvalga di tale facoltà, una volta mancata la riassunzione nell'interesse della parte colpita dall'evento interruttivo e determinatasi l'estinzione (parziale) del giudizio nei confronti di quest'ultima, il processo deve continuare tra il fideiussore, che non ha alcun onere di provvedere alla riassunzione del giudizio, ed il creditore, non potendosi profilare l'estinzione anche di tale giudizio (Cass. n. 9960/2017). E’ stato così affermato, in termini analoghi, che in tema di litisconsorzio facoltativo, quale quello che si determina nel giudizio promosso nei confronti di più coobbligati solidali (nella specie, più committenti convenuti per il pagamento del corrispettivo relativo ai lavori appaltati), verificatasi una causa di interruzione nei confronti di uno di essi e riassunto tempestivamente il giudizio, interrotto nei confronti di tutti, il vizio della notificazione dell'atto di riassunzione nei confronti di uno o alcuni tra i litisconsorti facoltativi ed il mancato rispetto del termine per la rinnovazione della notificazione non impediscono l'ulteriore prosecuzione del processo nei confronti dei restanti litisconsorti ritualmente citati, non potendosi estendere a costoro l'eventuale estinzione del processo ex art. 307 relativa ad uno dei convenuti originari (Cass. n. 21514/2019). Riassunzione da parte del terzo intervenuto in causa Il terzo, titolare di un diritto incompatibile con quello delle altre parti, può intervenire in via principale nel processo sospeso o interrotto per morte dell'attore, a cio non ostando l'art 304 - che stabilisce non potersi compiere durante l'interruzione atti del procedimento -, poiché l'atto di intervento non appartiene al procedimento interrotto, ma ad altro che vi si inserisce con diversa finalità. Il terzo interventore, poi, avendo acquistata la qualità di parte, può pertanto riassumere il processo interrotto (Cass. n. 765/1976, in Giust. civ., 1976, I, 1104). La riassunzione del giudizio interrotto, ove tempestivamente e ritualmente effettuata dalla parte intervenuta, non è inficiata dalla successiva declaratoria di inammissibilità del predetto intervento, atteso che l'accertamento di tale inammissibilità non può travolgere retroattivamente l'impulso processuale reso secondo le modalità normative da un soggetto che, in quel concreto stadio processuale, rivestiva formalmente il ruolo di parte, e non può conseguentemente determinare l'estinzione del processo, essendo irragionevole ritenere che il legislatore abbia inteso configurare una sorta di estinzione "ex post", che può manifestarsi anche a distanza di molto tempo e che costituisce fonte di protratta incertezza sulla permanenza o meno dell'esistenza del processo, in contrasto con i principi di conservazione e di economia processuale (Cass. n. 9820/2018). Effetti della tardiva riassunzioneLa conseguenza processuale della tardiva riassunzione di una causa non è l'inammissibilità del giudizio, bensì l'estinzione dello stesso, che opera di diritto ed è dichiarata anche d'ufficio alla prima udienza successiva alla riassunzione - o comunque anche successivamente in fase di impugnazione - ed impedisce la conservazione degli effetti sostanziali e processuali della domanda, comportando, in sede di legittimità, la cassazione del provvedimento impugnato senza rinvio perché il processo non poteva essere proseguito. (Cass., n. 11144/2018). In generale, la mancata riassunzione, nel termine perentorio previsto, del processo dichiarato interrotto (o sospeso) ne determina l'estinzione ai sensi degli artt. 305 (297) e 307, comma 3 in quanto, al momento della pronuncia dell'ordinanza di interruzione (o di sospensione), sia effettivamente esistito il relativo presupposto. Ne deriva che, qualora risulti che, a tale data, non sussista la causa di interruzione (o di sospensione) posta a fondamento del provvedimento, questo deve ritenersi nullo e l'onere di osservanza del detto termine come mai dato, onde il processo può essere utilmente riassunto anche dopo il decorso del termine (Cass. n. 11173/2016).
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