Codice di Procedura Civile art. 310 - Effetti dell'estinzione del processo.

Rosaria Giordano

Effetti dell'estinzione del processo.

[I]. L'estinzione del processo non estingue l'azione [99, 338, 393, 631 2; 2945 3 c.c.].

[II]. L'estinzione rende inefficaci gli atti compiuti [186-bis 2, 186-ter 4; 2668 2 c.c.], ma non le sentenze di merito [277 2, 278 1, 279 2; 129 3, 189 2 att.] pronunciate nel corso del processo e le pronunce che regolano la competenza [49 2, 382 2] 1.

[III]. Le prove raccolte sono valutate dal giudice a norma dell'articolo 116, secondo comma.

[IV]. Le spese del processo estinto stanno a carico delle parti che le hanno anticipate.

 

[1] Comma così modificato dall'art. 46, comma 16, della l. 18 giugno 2009, n. 69 (legge di riforma 2009), con effetto a decorrere dal 4 luglio 2009, per i giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore, che ha sostituito le parole: "e quelle che regolano la competenza" con le parole: "e le pronunce che regolano la competenza".

Inquadramento

L'estinzione del processo non estingue l'azione con conseguente possibilità della parte di riproporre la medesima domanda in sede giudiziaria, salvo il maturare della prescrizione ovvero della decadenza in conformità con il diritto sostanziale.

Peraltro, l'estinzione del processo, sia o meno dichiarata dal giudice, elimina l'effetto permanente dell'interruzione della prescrizione prodotto dalla domanda giudiziale ai sensi dell'art. 2945, comma 2, c.c., ma non incide sull'effetto interruttivo istantaneo della medesima, con la conseguenza che la prescrizione ricomincia a decorrere dalla data di detta domanda (v., tra le altre, Cass. n. 8720/2010).

Sopravvivono all'estinzione del processo, poi, le sentenze di merito pronunciate nel corso dello stesso (ad esempio, la sentenza di condanna generica o quella non definitiva in tema di prescrizione) e le ordinanze anticipatorie di condanna.

Le prove raccolte nel giudizio estinto degradano ad argomenti di prova: secondo la dottrina prevalente, il riferimento alle prove “raccolte” farebbe escludere le prove precostituite, né la degradazione potrebbe riferirsi alle prove legali (Luiso, II, 2013).

Effetti sull'esercizio dell'azione e sul diritto sostanziale

Il comma 1 della norma in esame chiarisce espressamente che l'estinzione del processo non estingue l'azione con conseguente possibilità della parte di riproporre la medesima domanda in sede giudiziaria, salvo il maturare della prescrizione ovvero della decadenza in conformità con il diritto sostanziale.

A fortiori deve ritenersi, pertanto, che a seguito dell'estinzione del processo non venga meno il diritto sostanziale oggetto del giudizio medesimo.

Pertanto, ad esempio, la rinuncia all'ammissione al passivo da parte del creditore ivi già ammesso non incide sul diritto di credito azionato, sicché non preclude la possibilità di far valere nuovamente, mediante riproposizione dell'istanza di insinuazione in via tardiva, il diritto sostanziale già dedotto, anche da parte di chi, nelle more, se ne sia reso cessionario (Cass. n. 814/2016).

Sotto altro profilo, occorre tener presente che il primo comma dell'art. 310 trova applicazione soltanto nell'ipotesi di estinzione del giudizio di primo grado e non anche ove la stessa intervenga in sede di gravame, anche in ragione del disposto dell'art. 338. Si è a riguardo affermato che la rinuncia agli atti, compiuta in appello, di un giudizio definito in primo grado con una decisione di fondatezza dell'azione investe soltanto gli atti del procedimento di gravame, e comporta il passaggio in giudicato della pronuncia in conseguenza della sopravvenuta inefficacia della sua impugnazione, in quanto l'estinzione, a norma dell'art. 310, rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo, sicché l'efficacia abdicativa in ordine all'effetto sostanziale della decisione di merito e preclusiva del potere delle parti di chiedere al giudice una nuova decisione sulla stessa controversia va riconosciuta soltanto ad un atto che possa essere interpretato come rinuncia anche al giudicato, in quanto estesa alla sentenza già emessa ed alle sue conseguenze (Cass. n. 5026/2003).

Effetti sulla prescrizione e sulla decadenza

Non trascurabili, anche in ragione della rilevata natura meramente processuale della pronuncia declaratoria dell'estinzione del processo, sono inoltre gli effetti della stessa sui c.d. stabilizzatori di diritto sostanziale, ossia sulla prescrizione e sulla decadenza.

In particolare, è a riguardo prevalente l'orientamento che tende a distinguere tra effetto sospensivo ed effetto interruttivo istantaneo della prescrizione. Occorre in proposito richiamare l'art. 2945 c.c. il cui secondo comma prevede il c.d. effetto sospensivo correlato alla proposizione della domanda giudiziale sino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, mentre il terzo comma della medesima previsione, con più specifico riguardo all'estinzione del processo, stabilisce che se il processo si estingue, rimane fermo l'effetto interruttivo ed il nuovo periodo di prescrizione comincia dalla data dell'atto interruttivo.

Sulla scorta di tale previsione normativa, la S.C. ha ripetutamente ribadito che l'estinzione del processo, sia o meno dichiarata dal giudice, elimina l'effetto permanente dell'interruzione della prescrizione prodotto dalla domanda giudiziale ai sensi dell'art. 2945, comma 2, c.c., ma non incide sull'effetto interruttivo istantaneo della medesima, con la conseguenza che la prescrizione ricomincia a decorrere dalla data di detta domanda (v., tra le altre, Cass. n. 8720/2010).

In sede applicativa si tende a ritenere inapplicabile, per converso, il comma 3 dell'art. 2945 c.c. anche alla decadenza. A riguardo, si è osservato, in particolare, che la domanda giudiziale è un evento idoneo ad impedire la decadenza di un diritto, non in quanto costituisca la manifestazione di una volontà sostanziale, ma perché instaura un rapporto processuale diretto ad ottenere l'effettivo intervento del giudice, sicché l'esercizio dell'azione giudiziaria non vale a sottrarre il diritto alla decadenza qualora il giudizio si estingua, facendo venire meno il rapporto processuale. Nella delineata prospettiva si è evidenziato, infatti, che l'inefficacia degli atti compiuti nel giudizio estinto, prevista dall'art. 310 comma 2, non può essere arbitrariamente limitata ai soli aspetti processuali, dovendo estendersi anche a quelli sostanziali, fatte salve le specifiche deroghe normative e, d'altra parte, la non estensione alla decadenza dell'effetto interruttivo della domanda giudiziale previsto dalle norme sulla prescrizione, secondo quanto stabilito dall'art. 2964 c.c., è giustificata dalla non omogeneità della natura e della funzione dei due istituti, trovando la prescrizione fondamento nell'inerzia del titolare del diritto, sintomatica per il protrarsi del tempo, del venir meno di un concreto interesse alla tutela, e, la decadenza nel fatto oggettivo del mancato esercizio del diritto entro un termine stabilito, nell'interesse generale o individuale, alla certezza di una determinata situazione giuridica (Cass. n. 1090/2007;  Cass. n. 6230/2018).

Secondo autorevole dottrina, invece, la decadenza deve in realtà intendersi impedita dal compimento dell'atto previsto dalla legge e l'impedimento è effetto tipicamente istantaneo, che uno acto perficitur.

Per altro verso, appaiono non univoci gli orientamenti affermati in sede di legittimità rispetto all'idoneità della notifica nulla dell'atto introduttivo ai fini dell'effetto interruttivo-sospensivo del termine di prescrizione.

Secondo una prima lettura, in particolare, in tema di applicazione degli artt. 2943, comma 1, e 2945, comma 2, c.c., la nullità della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio impedisce l'interruzione della prescrizione e la conseguente sospensione del suo corso fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio, a nulla rilevando, in senso contrario, la mera possibilità che la nullità sia successivamente sanata, e fermo restando che, qualora la sanatoria processuale abbia poi effettivamente luogo, i relativi effetti sul corso della prescrizione decorrono dal momento della sanatoria medesima, senza efficacia retroattiva (Cass. n. 11985/2013).

In accordo con un'altra impostazione interpretativa, invece, il principio fissato dall'art. 2945 c.c. - secondo il quale l'interruzione della prescrizione per effetto di domanda giudiziale si protrae fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio - trova deroga solo nel caso di estinzione del processo, e pertanto resta applicabile anche nell'ipotesi in cui detta sentenza non decide nel merito ma definisce eventuali questioni processuali di carattere pregiudiziale, sempre che essa sia pronunciata nell'ambito di un rapporto processuale della cui esistenza le parti siano a conoscenza, di modo che non si possa presumere l'abbandono del diritto fatto valere in giudizio, sicché deve riconoscersi alla domanda giudiziale l'effetto interruttivo protratto di cui all'art. 2945 c.c. anche nell'ipotesi che il giudizio si concluda con una sentenza dichiarativa della nullità della notificazione della citazione, posto che in tale ipotesi - diversamente da quanto accade nel caso di notificazione inesistente - si instaura pur sempre un rapporto processuale potenzialmente idoneo a concludersi anche con una pronunzia di merito nell'ipotesi di rinnovazione della notifica ai sensi dell'art. 291 c.p.c. (Cass. n. 4630/1997).

Quest'ultimo orientamento è stato corroborato anche alla luce dell'evoluzione della giurisprudenza delle Sezioni Unite in tema di nullità ed inesistenza della notificazione, rilevando, in particolare, che la nullità della notificazione dell'atto introduttivo del giudizio non impedisce l'effetto interruttivo-sospensivo della prescrizione previsto dal combinato disposto degli artt. 2943, comma 1 e 2945, comma 2, c.c., atteso che, nel silenzio delle norme citate, la "notificazione" cui allude la prima di tali disposizioni deve essere intesa come atto meramente esistente, prescindendo dalla sua validità formale, secondo il criterio distintivo tra nullità ed inesistenza della notifica indicato dalle Sezioni Unite (Cass. n. 14916/2016), il cui insegnamento, incentrato sul principio di strumentalità delle forme degli atti processuali, risulta dirimente in relazione a tutti gli argomenti, sia di carattere letterale che sistematico, fondanti i precedenti diversi orientamenti che, con interpretazioni sostanzialmente integrative (se non correttive) delle norme coinvolte, avevano inserito nel meccanismo di cui agli artt. 2043 e 2945 c.c. una eccezione di inoperatività nell'ipotesi di notifica nulla (Cass. n. 13070/2018).

Sentenze e provvedimenti che sopravvivono all'estinzione del processo

Il comma 2 dell'art. 310 prevede che l'estinzione rende inefficaci gli atti compiuti, ma non anche le sentenze di merito emanate nel corso del processo e le pronunce che regolano la competenza.

La portata sotto tale profilo della disposizione normativa in commento è di rilevanza fondamentale ai fini della distinzione tra sentenze di rito e sentenze di merito, in quanto proprio sulla scorta della stessa è possibile affermare il generale principio per il quale le prime sono inidonee al giudicato sostanziale, mentre soltanto le sentenze di merito, sia di rigetto che di accoglimento, possono produrre effetti ex art. 2909 c.c. anche oltre il giudizio nel quale sono state pronunciate, hanno quindi efficacia c.d. panprocessuale.

Nel novero delle sentenze di merito pronunciate nel corso del giudizio estinto, che possono sopravvivere all'estinzione dello stesso occorre ricordare, in primo luogo, le sentenze non definitive pronunciate su questioni preliminari di merito, come, ad esempio, la sentenza di rigetto dell'eccezione preliminare di prescrizione.

Inoltre, costituiscono sentenze di merito idonee a conservare la propria efficacia anche successivamente all'estinzione del processo le sentenze rese soltanto su alcune delle domande proposte in caso di processo oggettivamente cumulato, in mancanza di pronuncia di separazione tra le cause distinte nonché le sentenze di condanna generica pronunciate ai sensi dell'art. 278.

L'ultima parte del capoverso dell'art. 310 chiarisce espressamente che l'estinzione del processo non determina l'inefficacia anche delle “pronunce che regolano la competenza”. Il riferimento non è, peraltro, a tutti i provvedimenti in tema di competenza che, invero, se pronunciati dai giudici di merito, seguono la regola generale dell'inidoneità delle sentenze sul processo a sopravvivere all'estinzione dello stesso quanto esclusivamente alle decisioni in tema di competenza pronunciate in sede di regolamento dalla Suprema Corte di Cassazione. Nella delineata prospettiva, è stato invero più volte evidenziato in giurisprudenza che le decisioni che statuiscono sulla competenza, ad eccezione di quelle pronunziate dalla Corte di cassazione in sede di regolamento di competenza (Cass. n. 13975/2013), non sono suscettibili di passaggio in giudicato in senso sostanziale, mentre — sul piano formale — si traducono solo in una preclusione della riproposizione della questione davanti al giudice dello stesso processo, senza fare stato in un distinto giudizio, ex novo promosso dalle medesime parti (Cass. n. 26327/2008).

Sebbene la previsione normativa in esame rimanga silente sulla questione, e ciò dovrebbe in astratto far propendere gli interpreti per la tesi contraria, sulla scorta dell'argomento sistematico per il quale ex art. 65 legge sull'ordinamento giudiziario la Corte di Cassazione riveste nel nostro sistema processuale il ruolo di giudice regolatore della giurisdizione anche nei rapporti con i giudici speciali, è prevalente in dottrina l'orientamento per il quale anche le decisioni pronunciate dalla Suprema Corte in tema di giurisdizione rivestono efficacia c.d. “pan processuale”. Tale impostazione interpretativa appare del resto suffragata anche nella recente giurisprudenza all'interno della quale si è evidenziato che l'art. 65 r.d. n. 12/1941 (ord. giud.) attribuisce alla Corte di cassazione la funzione istituzionale di organo regolatore sia della giurisdizione sia della competenza: di conseguenza le pronunce della Suprema Corte sulla giurisdizione e sulla competenza hanno un'efficacia c.d. «panprocessuale» e quindi, anche se estranee alla nozione di cosa giudicata sostanziale di cui all'art. 2909 c.c., fanno eccezione rispetto alla regola generale di cui al comma 2 dell'art. 310, che non consente alle sentenze di contenuto processuale di sopravvivere all'estinzione del processo e quindi di avere efficacia vincolante nei successivi processi tra le stesse parti (Cass. n. 703/2005).

La Corte di legittimità ha tuttavia chiarito che la decisione resa dalle sezioni unite in materia di giurisdizione, non contenendo alcuna statuizione sul merito della pretesa azionata, è idonea a passare in giudicato esclusivamente sulla questione di giurisdizione, con la conseguenza che, ove per giungere alla pronuncia sulla giurisdizione le sezioni unite abbiano dovuto procedere alla qualificazione del rapporto dedotto, la stessa, oltre a non acquisire efficacia vincolante per il giudice al quale la giurisdizione è attribuita, non può assumere un'efficacia neppure «persuasiva», atteso che la decisione sulla giurisdizione è determinata dall'oggetto della domanda in relazione al petitum sostanziale introdotto dall'attore e pertanto l'accertamento delle sezioni unite è necessariamente fondato su elementi allegati dalla parte e non ancora accertati (Cass. n. 11585/2003).

Tra i provvedimenti che eccezionalmente sopravvivono anche a seguito dell'estinzione del processo occorre inoltre ricordare anche le ordinanze anticipatorie di condanna di cui agli artt. 186-bis, 186-ter e 186-quater, provvedimenti che, anzi, per espressa previsione normativa tendono ad acquistare proprio in tale ipotesi peculiare stabilità.

Idonea, almeno secondo l'opinione attualmente dominante nella giurisprudenza di legittimità che sembra aderire alla tesi secondo cui tale ordinanza ha la natura di provvedimento di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto, a rimanere efficace anche nell'ipotesi di estinzione del giudizio di merito è anche l'ordinanza provvisoria di rilascio pronunciata ex art. 665 nella fase sommaria del giudizio di convalida di licenza o sfratto a seguito di opposizione dell'intimato non fondata su prova scritta laddove non ostino gravi motivi in contrario (Cass. n. 1382/1997).

Regime delle prove

In accordo con il comma 3 della norma in esame, le prove raccolte nel giudizio estinto sono valutate dal giudice a norma dell'art. 116 comma 2. La norma afferma pertanto la regola generale per la quale le prove assunte nel processo, a seguito dell'eventuale estinzione dello stesso, “degradano” ad argomenti di prova.

Sulla portata applicativa del terzo comma dell'art. 310 soprattutto la dottrina ha fornito un contributo rilevante per ridurre mediante argomenti logico-sistematici le ipotesi nelle quali le prove degradano a meri argomenti di prova.

Sotto un primo profilo, in particolare, valorizzando il riferimento alle prove “raccolte” si è escluso che la norma sia applicabile anche a prove precostituite come quelle documentali il cui valore sul piano istruttorio non può venir meno per la semplice circostanza che i documenti sono stati in precedenza prodotti in un giudizio successivamente estinto.

In secondo luogo, si è osservato che, comunque, la regola sancita dal terzo comma dell'art. 310 può operare con esclusivo riguardo alle prove liberamente apprezzabili dal Giudice e non anche per le prove c.d. legali, come la confessione ed il giuramento, la cui efficacia sul piano istruttorio è invero predeterminata dal legislatore.

Spese

L'ultimo comma dell'art. 310 stabilisce che le spese del processo estinto rimangono a carico delle parti che le hanno anticipate.

Peraltro, è consolidato in sede applicativa il principio per il quale in materia di spese, allorquando insorga controversia in ordine alla estinzione del processo e tale controversia venga decisa con sentenza riprendono vigore i principi posti dagli artt. 91 e 92, e, quindi, il criterio della soccombenza (Cass. n. 533/2016; Cass. n. 1513/2006).

Bibliografia

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