Codice di Procedura Civile art. 323 - Mezzi di impugnazione.Mezzi di impugnazione. [I]. I mezzi per impugnare le sentenze, oltre al regolamento di competenza [42, 43 1] 1 nei casi previsti dalla legge, sono: l'appello [339 ss.], il ricorso per cassazione [360 ss.], la revocazione [395 ss.] e l'opposizione di terzo [404 ss.; 123 1 att.].
[1] V. ora gli art. 42 e 279, primo comma, come modificati rispettivamente dagli art. 45, quarto comma, e 46, nono comma, della l. 18 giugno 2009, n. 69, per i quali la decisione sulla sola questione di competenza è assunta con ordinanza e non più con sentenza. InquadramentoLa disposizione in commento elenca (ed è un'elencazione indubbiamente tassativa: Picardi, 392) i cinque mezzi di impugnazione (ossia gli strumenti di controllo della validità e giustizia delle sentenze: Proto Pisani, 1999, 482) esperibili contro le sentenze (valore di sentenza, in tal senso, hanno anche le pronunce in tema di sola competenza, oggi rese con ordinanza). Essi sono: l'appello, mezzo di impugnazione rivolto contro le sentenze di primo grado a critica tendenzialmente illimitata (ma l'attuale formulazione dell'art. 342 suscita dubbi sull'attualità di tale ripetuta affermazione), mediante il quale è possibile denunciare qualunque vizio della sentenza impugnata, sia sotto il profilo dell'invalidità che dell'ingiustizia (v. sub art. 339, al quale si rinvia anche per i riferimenti al principio del doppio grado di giurisdizione); il ricorso per cassazione, mezzo di impugnazione a critica limitata (con il quale, cioè, possono spiegarsi esclusivamente le censure specificamente consentite dalla legge, indicate dall'art. 360) contro le sentenze emesse in secondo o in unico grado; la revocazione, mezzo di impugnazione anch'esso a critica limitata esperibile contro le sentenze in grado d'appello o in unico grado nei casi menzionati dall'art. 395, al quale si rinvia; l'opposizione di terzo, esperibile a determinate condizioni contro le sentenze passate in giudicato o comunque esecutive rese inter alios (v. sub art. 404) e il regolamento di competenza, nei casi previsti dalla legge (v. sub artt. 39, 40, 42). Non è un mezzo di impugnazione il regolamento di competenza d'ufficio di cui all'art. 45 (al quale si rinvia). Non è mezzo di impugnazione neppure il regolamento preventivo di giurisdizione (v. sub art. 41). Oltre alla già menzionata distinzione tra mezzi di impugnazione a critica libera e a critica vincolata, va rammentata, tra le diverse classificazioni delle impugnazioni, quella tra mezzi di impugnazione ordinari e straordinari: i primi tali da impedire il passaggio in giudicato della sentenza; i secondi proponibili indipendentemente dal passaggio in giudicato della sentenza (Andrioli, 1956, 274). Merita rammentare anche la distinzione tra impugnazioni con duplice fase rescindente e rescissoria e quelle nelle quali il giudizio si articola in un'unica fase, dette sostitutive. Nell'impugnazione per cassazione le fasi rescindente e rescissoria sono tendenzialmente distinte (salvo il caso di cassazione e decisione nel merito: art. 384), giacché quella rescissoria si svolge davanti al giudice di rinvio. Nella revocazione e opposizione di terzo, invece, le due fasi sono distinte ma affidate al medesimo giudice. Impugnazione sostitutiva è tradizionalmente considerata l'appello, che, tuttavia, in ragione della formulazione attuale dell'art. 342, pare avvicinarsi ormai sensibilmente al ricorso per cassazione (v. sub art. 342). Mediante le impugnazioni, colui che impugna può dedurre, a seconda dei casi, un c.d. error in procedendo, e cioè una violazione della legge processuale tale da rendere la sentenza invalida, oppure un error in iudicando, e cioè un errore di giudizio (Picardi, 392). Il principio di apparenzaL'identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere compiuta in base al principio dell'apparenza, vale a dire con riferimento esclusivo alla qualificazione dell'azione effettuata dal giudice nello stesso provvedimento, indipendentemente dall'esattezza di essa, nonché da quella operata dalla parte, potendo, in ogni caso, il giudice ad quem esercitare il potere di qualificazione, che non sia stato esercitato dal giudice a quo, non solo ai fini del merito, ma anche dell'ammissibilità stessa dell'impugnazione (Cass. n. 23390/2020; Cass. n. 3338/2012; Cass. S.U., n. 4506/1978; Cass. S.U. , n. 931/1978;Cass. n. 3380/1981; Cass. n. 9251/2004; Cass. n. 3348/2005). Peraltro, l'indicazione dell'oggetto della controversia nell'epigrafe della decisione non costituisce di per sé un'implicita qualificazione della domanda, ai fini del cd. principio dell'apparenza, per l'identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro la relativa sentenza (Cass. n. 10868/2024). Così, ai fini dell'individuazione del mezzo d'impugnazione da esperire avverso le decisioni pronunciate in sede di opposizione per contestazioni inerenti al procedimento esecutivo, è determinante la qualificazione espressa o implicita data dal giudice del merito alla opposizione, come opposizione all'esecuzione ovvero agli atti esecutivi (Cass. n. 863/1974; Cass. n. 3147/1977; Cass. n. 813/1980; Cass. n. 1406/1983; Cass. n. 5196/1987). Analogamente, nel giudizio avente ad oggetto tanto la lesione del diritto alla protezione dei dati personali, cui si applica la disciplina processuale speciale di cui al d.lgs. n. 150/2011 (che non prevede la ricorribilità in appello), quanto la domanda di risarcimento del danno per la lesione dei diritti alla riservatezza ed all'immagine, cui si applica il rito ordinario, al fine di identificare il mezzo di impugnazione esperibile, in ossequio al principio dell'apparenza, deve farsi riferimento esclusivo a quanto previsto dalla legge per le decisioni emesse secondo il rito in concreto adottato in relazione alla qualificazione dell'azione effettuata dal giudice; pertanto, qualora il tribunale abbia ritenuto di giudicare unitariamente sulle domande, applicando il rito speciale, in quanto i danni risarcibili erano stati prospettati come conseguenza dell'illecita diffusione dei dati personali, il ricorso in appello avverso la decisione del tribunale é inammissibile (Cass. n. 29336/2020). Per le sentenze del giudice di pace ha operato in passato un congegno peculiare. L'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso le sentenze del giudice di pace è avvenuto infatti in funzione della domanda, con riguardo al suo valore (ai sensi degli artt. 10 ss.) ed all'eventuale rapporto contrattuale dedotto (contratto di massa o meno), e non del contenuto concreto della decisione e del criterio decisionale adottato (equitativo o di diritto), operando, invece, il principio dell'apparenza nelle sole residuali ipotesi in cui il giudice di pace si fosse espressamente pronunziato su tale valore della domanda o sull'essere la stessa fondata su un contratto concluso con le modalità di cui all'art. 1342 c.c. (Cass. S.U., n. 13917/2006). Il d.lgs. n. 40/2006 ha modificato i termini del problema, escludendo la ricorribilità in cassazione a vantaggio dell'appellabilità; si rinvia all'art. 339). Prevalenza della sostanza sulla formaPer altro verso la verifica dell'impugnabilità va fatta in osservanza al principio di prevalenza della sostanza sulla forma (Besso, 946). Al fine di stabilire se un provvedimento abbia natura di ordinanza o di sentenza, occorre aver riguardo, non già alla forma adottata, ma al suo contenuto (cosiddetto principio di prevalenza della sostanza sulla forma). Ad esempio, siccome il provvedimento — impropriamente qualificato ordinanza — con cui il giudice monocratico affermi (decidendo la relativa questione senza definire il giudizio) la propria giurisdizione ha natura di sentenza non definitiva ai sensi dell'art. 279, comma 2, n. 4, deve ritenersi preclusa, in mancanza di riserva di impugnazione (la cui omissione determina il passaggio in giudicato della relativa decisione), la riproposizione della questione di giurisdizione attraverso l'impugnazione della sentenza definitiva, non rilevando che, con quest'ultima, lo stesso giudice abbia poi ribadito la propria giurisdizione (Cass. S.U., n. 3816/2005; Cass. S.U., n. 20470/2005; Cass. n. 8174/2006). Sul tema v. pure v. sub art. 339. Interesse e legittimazione ad impugnareSi rinvia al commento all'art. 100, nel quale si è ricordato che la giurisprudenza ritiene l'applicabilità dell'art. 100 anche al giudizio d'appello (Cass. n. 17957/2008; Cass. n. 5133/2007), precisando che l'interesse deve essere valutato in relazione all'utilità giuridica derivante dall'accoglimento dell'impugnazione (Cass. n. 6546/2004; Cass. n. 13395/2018; Cass. n. 722/2018). In tema di impugnazioni, cioè, l'interesse ad agire di cui all' art. 100 postula la soccombenza nel suo aspetto sostanziale, correlata al pregiudizio che la parte subisca a causa della decisione da apprezzarsi in relazione all'utilità giuridica che può derivare al proponente il gravame dall'eventuale suo accoglimento (Cass. n. 13395/2018, che ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto insussistente l'interesse ad impugnare la declaratoria d'inammissibilità di una domanda riconvenzionale, sul presupposto che alla caducazione di tale statuizione non sarebbe conseguito automaticamente il rigetto, bensì l'esame nel merito di tale domanda, che avrebbe potuto condurre anche all'accoglimento della stessa, ponendo quindi il ricorrente nella medesima posizione processuale in cui si era venuto a trovare per effetto della riproposizione di tale domanda in un successivo giudizio). Anche per proporre ricorso per cassazione è necessario il requisito dell'interesse (Cass. n. 12642/2014). Non ha interesse ad impugnare la parte vittoriosa che abbia visto risolte in senso sfavorevole una o più questioni di fatto o diritto (Cass. n. 5714/1999). Non ha interesse a impugnare parimenti chi intenda ottenere una corretta motivazione in iure collocata a fondamento della stessa decisione già adottata nel precedente grado (Cass. S.U., n. 6057/2009; Cass. n. 26171/2006; da ult. Cass. n. 17159/2020). Legittimati ad impugnare sono coloro i quali sono stati parti del giudizio conclusosi con la sentenza sottoposta ad impugnazione (non soltanto in veste di attori o convenuti, ma anche di chiamati in causa o intervenuti, con esclusione dell'interventore adesivo dipendente, salvo per quanto attiene alla questione dell'ammissibilità del suo intervento ed alla condanna alle spese: Picardi, 400), eccezion fatta per l'opposizione di terzo (v. sub art. 404), la quale per definizione proviene da un soggetto rimasto estraneo a detto giudizio. Il terzo chiamato in garanzia impropria può autonomamente impugnare anche le statuizioni della sentenza di primo grado relative al rapporto principale, sia pure al solo fine di sottrarsi agli effetti riflessi che la decisione spiega sul rapporto di garanzia, ma l'efficacia della contestazione su tali statuizioni presuppone che il garante abbia preliminarmente impugnato la propria condanna in garanzia (Cass. n. 24640/2015). Anche in giurisprudenza si afferma l'inammissibilità dell'impugnazione proposta da chi non sia stato parte del giudizio conclusosi con la sentenza impugnata (secondo quanto risulta dalla stessa decisione, tenendo conto sia della motivazione che del dispositivo: Cass. n. 20789/2014), ovvero la cui qualità di parte è stata esclusa in detto giudizio (Cass. n. 6562/1998; Cass. n. 1752/1997). È inoltre legittimato a proporre impugnazione il creditore che agisce in surrogatoria, ai sensi dell'art. 2900 c.c. (Cass. n. 9233/2013, ove si precisa però che L'azione di cui all'art. 2900 c.c. non può essere esercitata, per la prima volta, attraverso la proposizione del ricorso per cassazione omisso medio). Legittimato ad impugnare è anche il pubblico ministero in tutti i casi nei quali potrebbe essere attore nonché nelle cause matrimoniali, escluse quelle di separazione tra coniugi (art. 72). Dal versante della legittimazione passiva all'impugnazione valgono regole speculari. L'impugnazione proposta contro un soggetto che non abbia partecipato al giudizio a quo è inammissibile per difetto di rituale instaurazione del processo, ciò che preclude l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei soggetti legittimati, non potendosi ordinare la citazione di altri soggetti in una situazione di radicale carenza del rapporto processuale di base (Cass. S.U., n. 15145/2001). Con riguardo alle ipotesi del venir meno della parte ovvero della successione a titolo particolare nel diritto controverso si rinvia ai commenti agli artt. 110 e 111. Per ulteriori specificazioni in ordine alla legittimazione all'impugnazione si rinvia ai commenti concernenti i singoli mezzi di impugnazione. BibliografiaAttardi, Note sull'effetto devolutivo dell'appello, in Giur. it. 1961, IV, 153; Besso, Principio di prevalenza della sostanza sulla forma e requisiti formali del provvedimento: un importante revirement della Corte di Cassazione, nota a Cass. 24. Marzo 2006, n. 6600, in Giur it. 2007, 946; Bianchi, I limiti oggettivi dell'appello civile, Padova, 2000; Bonsignori, L'effetto devolutivo dell'appello, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1974, 134; Bonsignori, Impugnazioni civili in generale, in Dig. civ., IX, Torino, 1994; Cerino Canova, Impugnazioni, I, Diritto procesuale civile, in Enc. giur., XVI, Roma, 1989; Comoglio-Ferri-Taruffo, Lezioni sul processo civile, Bologna, 1995; Consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova, 2012; Denti, Questioni pregiudiziali (dir. proc. civ.), in Nss. D.I., XIV, Torino, 1967; Fazzalari, Il giudizio civile di cassazione, Milano, 1960; Liebman, «Parte» o «capo» di sentenza, in Riv. dir. proc. 1964, 52; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 1984; Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, II, Torino, 2002; Picardi, Manuale del processo civile, Milano, 2013; Poli, I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, Padova, 2002; Recchioni, Dipendenza sostanziale e pregiudizialità processuale nella cognizione ordinaria, Padova, 1999; Redenti, Diritto processuale civile, II, Milano, 1985; Romano, Profili applicativi e dogmatici dei motivi specifici di impugnazione nel giudizio d'appello civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 2000, 1205. |