Codice di Procedura Civile art. 324 - Cosa giudicata formale.Cosa giudicata formale. [I]. S'intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza [42, 43]1, né ad appello [339], né a ricorso per cassazione [360], né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell'articolo 395 [2909 c.c.; 124 att.].
[1] V. ora gli art. 42 e 279, primo comma, come modificati rispettivamente dagli art. 45, quarto comma, e 46, nono comma, della l. 18 giugno 2009, n. 69, per i quali la decisione sulla sola questione di competenza è assunta con ordinanza e non più con sentenza. InquadramentoLa disposizione in commento disciplina il formarsi della cosa giudicata formale, ossia il fenomeno del limite alla possibilità di riesame della pronuncia giudiziale, con la conseguente incontrovertibilità-immutabilità della statuizione contenuta nella sentenza conclusiva del giudizio (Andrioli, 1956, 369; Liebman, 272). La disposizione va letta in combinato disposto con la fondamentale regola stabilita dall'art. 2909 c.c., il quale stabilisce che la sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa. La norma in esame, in particolare, ricollega il passaggio in giudicato all'esercizio del potere di impugnazione: passa in cosa giudicata formale la sentenza non più suscettibile di impugnazione (sia nel caso in cui essi siano stati esperiti senza successo, sia nel caso in cui non siano stati esperiti nel termine a tal fine previsto: v. sub artt. 325 e 327) con i mezzi ordinari (regolamento di competenza, appello, ricorso per cassazione, revocazione per i motivi di cui ai nn. 4 e 5 dell'art. 395). La menzionata situazione di incontrovertibilità-immutabilità non è però assoluta, giacché le sentenze passate in cosa giudicata formale possono essere nondimeno impugnate con i mezzi di impugnazione straordinari (revocazione per i motivi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6, revocazione del pubblico ministero ex art. 397, opposizione di terzo): tali per l'appunto perché suscettibili di impiego nei riguardi di tali sentenze. Sull'individuazione dei provvedimenti passati in giudicato ha inciso l'art. 391-bis, comma 3, secondo cui la pendenza del termine per la revocazione della pronuncia della Corte di cassazione non impedisce il passaggio in giudicato del provvedimento impugnato con ricorso in cassazione respinto. Il giudicato copre il dedotto e il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e, pertanto, non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio ma anche tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia (da ult. Cass. n. 3488/2016; Cass. n. 25745/2017). Il principio in virtù del quale il giudicato copre il dedotto e il deducibile concerne i limiti oggettivi del giudicato, il cui ambito di operatività è correlato all'oggetto del processo e riguarda, perciò, tutto quanto rientri nel suo perimetro, estendendosi non soltanto alle ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio, ma anche a tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia; i limiti oggettivi del giudicato, pertanto, anche con riguardo al deducibile, non si estendono a domande diverse per petitum e causa petendi, rispetto alle quali può porsi soltanto il problema di una eventuale preclusione che, tuttavia, non può ritenersi sussistente in ragione del mero rapporto di connessione intercorrente con una domanda già proposta in un giudizio precedente, in quanto la connessione incide normalmente sulla competenza del giudice, ma non postula il necessario cumulo delle domande connesse (Cass. n. 1259/2024). Giudicato formale e sostanzialeGiudicato formale (disciplinato dalla disposizione in commento) e giudicato sostanziale (previsto dall'art. 2909 c.c.) costituiscono aspetti diversi dello stesso fenomeno (Picardi, 393). Da un lato viene per l'appunto in questione l'aspetto sostanziale, attraverso la statuizione sul rapporto controverso, dall'altro lato quello processuale, mediante l'affermazione della regola della non modificabilità della sentenza (eccezion fatta per il caso della sentenza inesistente e l'impiego dei mezzi di impugnazione straordinari) da parte dello stesso o di altro giudice, con conseguente divieto di sottoporre a nuovo giudizio la medesima controversia (ne bis in idem). Il giudicato formale connota tutte le sentenze. Non così quello sostanziale. La pronuncia in rito, difatti, dà luogo soltanto al giudicato formale, con la conseguenza che essa produce effetto limitato al solo rapporto processuale nel cui ambito è emanata e, pertanto, non è idonea a produrre gli effetti del giudicato in senso sostanziale (Cass. n. 26377/2014, la quale ha ritenuto che la pronuncia d'inammissibilità della domanda di risarcimento danni da circolazione stradale per mancato rispetto dello spatium deliberandi accordato all'assicurazione ex art. 22 l. n. 990/1969, costituisce giudicato formale, e non preclude la riproposizione in altro giudizio; nello stesso senso Cass. n. 13603/2021). Sono idonee al passaggio in giudicato formale, ma non sostanziale, egualmente, le sentenze sulla competenza (Cass. n. 7775/2004) anche se contenute in provvedimenti che non hanno la forma di sentenza (Cass. n. 2518/1989). Passano però in giudicato sostanziale le sentenze sulla competenza rese dalla Corte di Cassazione ai sensi dell'art. 49 (Cass. n. 17248/2003). Sono inoltre idonee al passaggio in giudicato formale, ma non sostanziale, le sentenze sulla giurisdizione (Cass. S.U., n. 9124/1994). Ancora, il giudicato formatosi sulla pronuncia di inammissibilità di una querela di falso, non avendo natura di giudicato sostanziale, non genera la preclusione da bis in idem e, quindi, non comporta il divieto di riproposizione della domanda in un altro giudizio (Cass. n. 19039/2024). Il giudicato sostanziale (art. 2909 c.c.) — che, in quanto riflesso di quello formale (art. 324), fa stato ad ogni effetto fra le parti per l'accertamento di merito, positivo o negativo, del diritto controverso — si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, compresi gli accertamenti di fatto, i quali rappresentano le premesse necessarie e il fondamento logico giuridico della pronuncia, spiegando, quindi, la sua autorità non solo nell'ambito della controversia e delle ragioni fatte valere dalle parti (c.d. giudicato esplicito), ma estendendosi necessariamente agli accertamenti che si ricollegano in modo inscindibile con la decisione, formandone il presupposto, così da coprire tutto quanto rappresenta il fondamento logico-giuridico della pronuncia. Pertanto, l'accertamento su un punto di fatto o di diritto costituente la premessa necessaria della decisione divenuta definitiva, quando sia comune ad una causa introdotta posteriormente, preclude il riesame della questione, anche se il giudizio successivo abbia finalità diverse da quelle del primo (v. Cass. n. 15339/2016, in tema di brevetto già dichiarato nullo) e a condizione che i due giudizi abbiano identici elementi costitutivi dell'azione (soggetti, causa petendi, petitum), secondo l'interpretazione della decisione affidata al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 9685/2003). I provvedimenti idonei al giudicatoHanno attitudine ad acquistare autorità di cosa giudicata formale tutte le sentenze, di rito e di merito, definitive e non definitive, di primo e secondo grado. Non può discorrersi di giudicato in senso proprio con riguardo alle sentenze della Corte di Cassazione, le quali non sono soggette ai mezzi di impugnazione indicati dalla norma in commento e tenuto conto che essi non contengono la decisione di una causa. Il giudicato in tal caso si forma sulla sentenza impugnata, se il ricorso per cassazione è dichiarato inammissibile o respinto, ovvero all'esito del giudizio di rinvio. In particolare, le decisioni della Corte di cassazione passano in giudicato al momento della loro pubblicazione, anche quando la formula decisoria sia di cassazione con decisione di merito, senza che rilevi ai fini dell'immediatezza del giudicato la astratta suscettibilità della revocazione per errore di fatto, poiché il rimedio revocatorio non incide sulla formazione della cosa giudicata formale delle pronunce di legittimità, né la funzione nomofilattica può indurre a superare la applicazione del criterio temporale in caso di contrasto di giudicati (Cass. n. 3752/2024). V. ulteriormente sub art. 384 per il caso che la Corte cassi e decida nel merito. Tra le sentenze occorre distinguere quelle cd. determinative (p. es. la sentenza che determina la misura degli alimenti ex art. 438 c.c. ovvero quelle riguardanti le statuizioni economiche in materia di separazione e divorzio), che operano rebus sic stantibus e possono essere cioè modificate in caso di mutamento della situazione di fatto (v. artt. 440 c.c., 710 e 9 l. n. 898/1970). Più in generale, nei rapporti di durata la decisione può essere modificata sulla base di fatti sopravvenuti (Cass. n. 6319/2011; Cass. n. 10077/2011). In particolare, in ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, sui quali il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, l'autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, il quale pertanto esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l'unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento (Cass. n. 15493/2015). La S.C. ritiene poi che passino in giudicato: i) il decreto ingiuntivo non opposto (Cass. n. 13207/2015; v. sub art. 645); ii) l'ordinanza di convalida di sfratto (Cass. n. 19695/2008; v. sub artt. 663, 668); iii) il decreto ex art. 28 l. n. 300/1970 in materia di repressione della condotta antisindacale (Cass. n. 5039/1989). È da ritenere che passi in giudicato l'ordinanza sull'impugnativa di licenziamento emessa ai sensi dell'art. 1, comma 49, l. n. 92/2012 ore non opposta nel termine. Per l'attitudine al giudicato dell'ordinanza emessa sulle azioni possessorie di spoglio o di manutenzione, quando non seguite dal giudizio di merito entro il termine perentorio di cui all'art. 703, comma 3, si rinvia al relativo commento. Vi sono poi i provvedimenti dai quali discende non 1 vero e proprio giudicato bensì una preclusione pro iudicato, limitata al diritto specificamente azionato e non estesa all'intero rapporto giuridico sostanziale (v. sub artt. 512, 549, 617). Possiede attitudine al giudicato, ai sensi dell'art. 702-quater, l'ordinanza che conclude il procedimento sommario di cognizione (v. Cass. n. 11465/2013; v. sub art. 702-quater). Con riguardo all'ordinanza cautelare v. sub art. 669-octies. L'eccezione di giudicatoSi distingue tra giudicato interno (formatosi all'interno del processo) e giudicato esterno (formatosi in un altro processo). Sia l'uno che l'altro sono, secondo l'attuale indirizzo della giurisprudenza, rilevabili d'ufficio dal giudice (Cass. n. 11365/2015; Cass. n. 8379/2009; Cass. n. 14011/2007). In passato si riteneva invece che il giudicato esterno richiedesse la formulazione di una apposita eccezione. In particolare, l'eccezione di giudicato esterno non è soggetta a preclusioni per quanto riguarda la sua allegazione in sede di merito in quanto prescinde da qualsiasi volontà dispositiva della parte e in considerazione del suo rilievo pubblicistico, è rilevabile d'ufficio (Cass. n. 48/2021, che ha confermato la decisione di appello che nel giudizio civile di risarcimento del danno aveva ritenuto l'allegazione della sentenza penale di condanna non subordinata a decadenze e preclusioni istruttorie, potendo essere effettuata in ogni stato e fase del giudizio di merito). Tuttavia, l'eccezione di giudicato esterno non può essere dedotta per la prima volta in cassazione se il giudicato si é formato nel corso del giudizio di merito, attesa la non deducibilità, in tale sede, di questioni nuove; se, invece, il giudicato esterno si é formato dopo la conclusione del giudizio di merito (e, cioè, dopo il termine ultimo per ogni allegazione difensiva in grado di appello), la relativa eccezione é opponibile nel giudizio di legittimità (Cass. n. 5370/2024). Ove sulla medesima questione si siano formati due giudicati contrastanti, al fine di stabilire quale dei due debba prevalere occorre fare riferimento al criterio temporale, nel senso che il secondo giudicato prevale in ogni caso sul primo, sempre che la seconda sentenza contraria ad altra precedente non sia stata sottoposta a revocazione, impugnazione questa che è consentita soltanto ove tale seconda sentenza non abbia pronunciato sulla relativa eccezione di giudicato (Cass. n. 10623/2009). Così, ad es., il giudicato implicito sulla giurisdizione, contenuto in una statuizione di merito del giudice ordinario o amministrativo, spiega effetti al di fuori del processo in cui la decisione è resa, sicché, in caso di conflitto di giudicati, la risoluzione è affidata alla regola di prevalenza del giudicato successivo (Cass. n. 27357/2020). BibliografiaAttardi, Note sull'effetto devolutivo dell'appello, in Giur. it. 1961, IV, 153; Besso, Principio di prevalenza della sostanza sulla forma e requisiti formali del provvedimento: un importante revirement della Corte di Cassazione, nota a Cass. 24. Marzo 2006, n. 6600, in Giur it. 2007, 946; Bianchi, I limiti oggettivi dell'appello civile, Padova, 2000; Bonsignori, L'effetto devolutivo dell'appello, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1974, 134; Bonsignori, Impugnazioni civili in generale, in Dig. civ., IX, Torino, 1994; Cerino Canova, Impugnazioni, I, Diritto procesuale civile, in Enc. giur., XVI, Roma, 1989; Comoglio-Ferri-Taruffo, Lezioni sul processo civile, Bologna, 1995; Consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova, 2012; Denti, Questioni pregiudiziali (dir. proc. civ.), in Nss. D.I., XIV, Torino, 1967; Fazzalari, Il giudizio civile di cassazione, Milano, 1960; Liebman, «Parte» o «capo» di sentenza, in Riv. dir. proc. 1964, 52; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 1984; Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, II, Torino, 2002; Picardi, Manuale del processo civile, Milano, 2013; Poli, I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, Padova, 2002; Recchioni, Dipendenza sostanziale e pregiudizialità processuale nella cognizione ordinaria, Padova, 1999; Redenti, Diritto processuale civile, II, Milano, 1985; Romano, Profili applicativi e dogmatici dei motivi specifici di impugnazione nel giudizio d'appello civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 2000, 1205. |