Codice di Procedura Civile art. 327 - Decadenza dall'impugnazione 1 .

Mauro Di Marzio

Decadenza dall'impugnazione 1.

[I]. Indipendentemente dalla notificazione [285, 326], l'appello, il ricorso per cassazione e la revocazione per i motivi indicati nei numeri 4 e 5 dell'articolo 395 non possono proporsi dopo decorsi sei mesi dalla pubblicazione della sentenza [133, 328, 430, 438] 2.

[II]. Questa disposizione non si applica quando la parte contumace [171 3, 291 2] dimostra di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione [164] o della notificazione [160] di essa, e per nullità della notificazione degli atti di cui all'articolo 292 3.

 

 

[1] In tema di rito speciale per le controversie in materia di licenziamenti, v. art. 1, commi 47-68, in particolare i commi 61 e 64, l. 28 giugno 2012, n. 92.

[2] Comma così modificato dall'art. 46, comma 17, della l. 18 giugno 2009, n. 69, che ha sostituito le parole: "decorso un anno" con le parole: "decorsi sei mesi". La legge di riforma del 2009 ha effetto a decorrere dal 4 luglio 2009, per i giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore.

[3] La Corte cost. 22 gennaio 2015, n. 3, ha dichiarato non fondata , nei termini indicati in motivazione, la questione di legittimità costituzionale del comma, nel testo anteriore alla modifica apportata dall'art. 46, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69 , e dell'art. 133, primo e secondo comma, come interpretati dalla sentenza n. 13794 del 1° agosto 2012 della Corte di cassazione, sollevata, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, e 24, primo e secondo comma, della Costituzione.

Inquadramento

La disposizione in commento regola il termine lungo per proporre impugnazione, del quale si è già fatta menzione sub artt. 325 e 326. Detto termine (indubbiamente perentorio così come il termine breve, con conseguente decadenza dal diritto di impugnazione per effetto del suo inutile decorso) è attualmente di sei mesi, decorrenti dalla pubblicazione della sentenza, mentre in passato era di un anno: si tenga presente che la nuova disposizione si applica ai giudizi introdotti dopo il 4 luglio 2009. Nel computo del termine, che segue le regole previste dall'art. 155 (al cui commento si rinvia) è applicabile la sospensione dei termini feriali (tema trattato sub art. 152).

Il termine previsto dalla norma in esame, come si è già osservato sub art. 325, opera solo per le impugnazioni ordinarie (appello, ricorso per cassazione, revocazione di cui all'art. 395, nn. 4 e 5, revocazione delle sentenze della Corte di cassazione ex art. 391-bis) e non invece per le impugnazioni straordinarie (revocazione di cui all'art. 395, nn. 1, 2, 3 e 6, opposizione di terzo), i cui termini prescindono dalla notificazione della sentenza e sono sempre brevi.

Si è inoltre già visto che il termine lungo si applica anche al regolamento di competenza (v. sub art. 326).

Decorrenza

Il termine lungo decorre dalla pubblicazione della sentenza a norma dell'art. 133, al cui commento si rinvia. Tale termine, in particolare, va per l'appunto calcolato dalla data di pubblicazione e non dalla data di comunicazione dell'avvenuto deposito della sentenza alla parte costituita (Cass. n. 11910/2003; Cass. n. 639/2003). Tale previsione non è sospettabile di incostituzionalità (Cass. n. 16311/2004). La data di pubblicazione è attestata dal cancelliere (Cass. n. 11745/1997), la quale fa fede sino a querela di falso, trattandosi di un atto pubblico (Cass. n. 9622/2009). Poiché le formalità di pubblicazione delle sentenze non sono previste a pena di nullità, è sufficiente per la decorrenza del termine lungo che il cancelliere abbia annotato la data di pubblicazione nel registro cronologico, anche se la data manca sulla sentenza (Cass. n. 7243/2006; Cass. n. 118/2015).

Secondo le Sezioni Unite della S.C., a norma dell'art. 133, la consegna dell'originale completo del documento-sentenza al cancelliere, nella cancelleria del giudice che l'ha pronunciata, avvia il procedimento di pubblicazione, il quale si compie, senza soluzione di continuità, con la certificazione del deposito mediante l'apposizione, in calce al documento, della firma e della data del cancelliere, che devono essere contemporanee alla data della consegna ufficiale della sentenza, in tal modo resa pubblica per effetto di legge.

È pertanto da escludere che il cancelliere, preposto, nell'espletamento di tale attività, alla tutela della fede pubblica (art. 2699 c.c.), possa attestare che la sentenza, già pubblicata, ai sensi dell'art. 133, alla data del suo deposito, viene pubblicata in data successiva, con la conseguenza che, ove sulla sentenza siano state apposte due date, una di deposito, senza espressa specificazione che il documento contiene soltanto la minuta del provvedimento, e l'altra di pubblicazione, tutti gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza decorrono già dalla data del suo deposito (Cass. S.U., n. 13794/2012).

Sulla materia è stata chiamata a pronunciarsi la corte costituzionale, la quale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 133, commi 1 e 2, e327, comma 1, come interpretati dalla S.C. nella citata pronuncia, censurati nella parte in cui, qualora le attività di deposito della sentenza e di effettiva pubblicazione della stessa abbiano luogo in due momenti diversi, farebbero decorrere tutti gli effetti giuridici derivanti dalla pubblicazione della sentenza dalla data del suo deposito, con conseguente disparità di trattamento (art. 3, comma 2, Cost.) e irragionevole lesione della pienezza e della certezza del diritto di difesa delle parti costituite in giudizio (art. 24, commi 1 e 2 Cost.).

Ha osservato la Consulta che nella procedura di pubblicazione disciplinata dall'art. 133, che si articola nel deposito della sentenza da parte del giudice e nella presa d'atto del cancelliere, l'atto fondamentale è il primo, alla stregua, oltre che del dato letterale («la sentenza è resa pubblica mediante deposito»), di quello sostanziale, essendo tale soluzione interpretativa l'unica coerente con il diverso ruolo del cancelliere e del giudice. La separazione temporale dei due passaggi procedimentali che viene a crearsi con l'apposizione di due date, comporta al contrario il trasferimento dell'effetto «pubblicazione» dal primo al secondo. Si tratta di una patologia procedimentale grave per la sua rilevante incidenza sulle situazioni giuridiche degli interessati, riflesso del tardivo adempimento delle operazioni previste dall'art. 133, e di quelle relative all'inserimento nell'«elenco cronologico delle sentenze» e al «processo telematico». Pertanto, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata, per costituire dies a quo del termine per l'impugnazione, la data apposta in calce alla sentenza dal cancelliere deve essere qualificata dalla contestuale adozione delle misure volte a garantirne la conoscibilità e solo da questo concorso di elementi consegue tale effetto, situazione che, in presenza di una seconda data, deve ritenersi di regola realizzata solo in corrispondenza di quest'ultima. Il ritardato adempimento, attestato dalla diversa data di pubblicazione, rende di fatto inoperante la dichiarazione dell'intervenuto deposito, pur se formalmente rispondente alla prescrizione normativa, e qualora ciò accada, il ricorso all'istituto della rimessione in termini per causa non imputabile (art. 153) va inteso come doveroso riconoscimento d'ufficio di uno stato di fatto contra legem che, in quanto imputabile alla sola amministrazione giudiziaria, non può in alcun modo incidere sul fondamentale diritto all'impugnazione, riducendone, talvolta anche in misura significativa, i relativi termini (Corte cost. n. 3/2015).

L'intervento del Giudice delle leggi non ha sopito i contrasti sulla disciplina da applicare in caso di duplice data di deposito. La questione è stata rimessa alle Sezioni Unite (Cass. n. 19140/2015). 

Si è quindi stabilito che il deposito e la pubblicazione della sentenza coincidono e si realizzano nel momento in cui il deposito ufficiale in cancelleria determina l'inserimento della sentenza nell'elenco cronologico, con attribuzione del numero identificativo e conseguente conoscibilità per gli interessati, dovendosi identificare tale momento con quello di venuta ad esistenza della sentenza a tutti gli effetti, inclusa la decorrenza del termine lungo per la sua impugnazione. Qualora, peraltro, tali momenti risultino impropriamente scissi mediante apposizione in calce alla sentenza di due diverse date, ai fini della verifica della tempestività dell'impugnazione, il giudice deve accertare - attraverso istruttoria documentale, ovvero ricorrendo a presunzioni semplici o, infine, alla regola di cui all'art. 2697 c.c., alla stregua della quale spetta all'impugnante provare la tempestività della propria impugnazione - quando la sentenza sia divenuta conoscibile attraverso il deposito ufficiale in cancelleria ed il suo inserimento nell'elenco cronologico con attribuzione del relativo numero identificativo (Cass. S.U., n. 18569/2016).

Il termine a quo muta in caso di appello avverso ordinanza resa ai sensi dell'art. 702 bis c.p.c.. Nelle controversie regolate dal rito sommario, il termine (di trenta giorni) per l'impugnazione dell'ordinanza ai sensi dell'art. 702 quater c.p.c. decorre, per la parte costituita, dalla sua comunicazione o notificazione e non dal giorno in cui essa sia stata eventualmente pronunciata e letta in udienza, secondo la previsione dell'art. 281 sexies c.p.c.; in mancanza delle suddette formalità l'ordinanza, a norma dell'art. 327 c.p.c., può essere impugnata nel termine di sei mesi dalla pubblicazione (Cass. S.U. n. 289752022). Inoltre, in tema di accertamento del passivo fallimentare, ove il curatore ometta la comunicazione di cui all'art. 97 l.fall. al creditore che abbia chiesto l'insinuazione parzialmente o totalmente respinta, l'opposizione ex art. 98 l.fall. può essere proposta entro sei mesi dal deposito del decreto che dichiara esecutivo lo stato passivo, in applicazione analogica dell'art. 327 (Cass. n. 9850/2022).

In tema di redazione della sentenza in formato elettronico, dal momento della sua trasmissione per via telematica mediante PEC, il procedimento decisionale è completato e si esterna, divenendo il provvedimento, dalla relativa data, irretrattabile dal giudice che l'ha pronunciato e legalmente noto a tutti, con decorrenza del termine lungo di decadenza per le impugnazioni ex art. 327.

In particolare, in tema di redazione della sentenza in formato digitale, la pubblicazione, ai fini della decorrenza del termine cd. lungo di impugnazione di cui all'art. 327 , si perfeziona nel momento in cui il sistema informatico provvede, per il tramite del cancelliere, ad attribuire alla sentenza il numero identificativo e la data, poiché è da tale momento che il provvedimento diviene ostensibile agli interessati (Cass. n. 2362/2019 ).

A ciò consegue che è del tutto irrilevante la successiva trasmissione, sempre a mezzo PEC e a causa di un problema tecnico relativo al precedente invio, di altra sentenza relativa alla medesima controversia (Cass. n. 17278/2016).

L'impugnazione tardiva del contumace involontario

Ove il contumace via prova di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione o della notificazione di essa, e per nullità della notificazione degli atti di cui all'art. 292, egli può impugnare la sentenza anche al di là del termine lungo, sempre che la sentenza non gli sia stata notificata personalmente (Andrioli, 1956, 379).

Non è sufficiente, secondo un primo indirizzo, che il contumace comprovi la sussistenza di una sola delle condizioni indicate (nullità della citazione, nullità della notificazione della citazione, la nullità della notificazione degli atti di cui all'art. 292), dovendo dimostrare il nesso di causalità tra tali nullità e la mancata conoscenza del processo (Cass. n. 17014/2004). Più di recente si è stabilito che, per stabilire se sia ammissibile una impugnazione tardivamente proposta, sul presupposto che l'impugnante non abbia avuto conoscenza del processo a causa di un vizio della notificazione dell'atto introduttivo, occorre distinguere due ipotesi: se la notificazione è inesistente, la mancata conoscenza della pendenza della lite da parte del destinatario si presume iuris tantum, ed è onere dell'altra parte dimostrare che l'impugnante ha avuto comunque contezza del processo; se invece la notificazione è nulla, si presume iuris tantum la conoscenza della pendenza del processo da parte dell'impugnante, e dovrà essere quest'ultimo a provare che la nullità gli impedito la materiale conoscenza dell'atto (Cass. n. 18243/2008; Cass. n. 2817/2009).

Bibliografia

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