Codice di Procedura Civile art. 331 - Integrazione del contraddittorio in cause inscindibili.

Mauro Di Marzio

Integrazione del contraddittorio in cause inscindibili.

[I]. Se la sentenza pronunciata tra più parti in causa inscindibile [102 1] o in cause tra loro dipendenti [105, 106] non è stata impugnata nei confronti di tutte, il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio [350 1, 375 1] fissando il termine nel quale la notificazione deve essere fatta e, se è necessario, l'udienza di comparizione.

[II]. L'impugnazione è dichiarata inammissibile [358, 375 1, 387] se nessuna delle parti provvede all'integrazione nel termine fissato.

Inquadramento

Qualora la sentenza sia stata pronunciata in una situazione di litisconsorzio (cioè nei confronti di più parti), sorge il problema di stabilire quali parti debbano partecipare al giudizio di impugnazione. Il criterio adottato dal legislatore si basa sulla natura del vincolo che ha determinato il litisconsorzio. Quando si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti, la disposizione in commento esige che il giudizio di impugnazione si svolga nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato alla precedente fase.

La ratio della disposizione deve rinvenirsi nell'esigenza di garantire l'unitarietà della decisione, mantenendo unitario il giudizio di impugnazione contro la sentenza che disciplina posizioni giuridiche interdipendenti, onde evitare giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio (Luiso, 2009, 319).

Per ciò che attiene alle cause scindibili, l'esigenza è, invece, quella di garantire l'unitarietà del processo di impugnazione, mirandosi ad evitare la moltiplicazione dei processi di impugnazione in relazione ad un unico provvedimento impugnato.

Cause inscindibili

Sono inscindibili agli effetti dell'art. 331 sono comprese, in primo luogo, quelle per le quali il litisconsorzio era necessario sin dall'origine (litisconsorzio necessario c.d. sostanziale), vale a dire quelle in cui la necessità del litisconsorzio è espressamente prevista dalla legge o è dovuta al fatto che la sentenza, influendo su una situazione giuridica unica, indivisibile e comune a più persone, sarebbe inutiliter data qualora non pronunciata nei confronti di tutti i soggetti interessati alla decisione (v. sub art. 102).

L'esigenza di integrazione del contraddittorio per ragioni sostanziali è stata ad esempio riconosciuta:

i) nei riguardi del responsabile del danno in caso di giudizio instaurato con azione diretta nei confronti dell'assicuratore per responsabilità civile auto (Cass. n. 8825/2007);

ii) nei riguardi dell'erede comproprietario di un immobile assoggettato ad espropriazione, parte nel giudizio per la determinazione dell'indennità di occupazione (Cass. n. 25544/2006);

iii) in tema di condominio degli edifici, quando alcuni condomini, convenuti per l'accertamento della proprietà comune di un bene, propongano domanda riconvenzionale di accertamento della proprietà esclusiva, in base ai titoli o per intervenuta usucapione (Cass. n. 19385/2009);

iv) sempre nei riguardi dei condomini in occasione dei giudizi sorti a seguito della proposizione di domanda di scioglimento della comunione (Cass. n. 14654/2013);

v) in caso di domanda di demolizione di corpi di fabbrica abusivamente costruiti su un immobile appartenente a più comproprietari nei riguardi di ciascuno di essi (Cass. n. 9902/2010);

vi) in tema di riscatto agrario nei confronti del coniuge dell'acquirente, in regime di comunione legale dei beni (Cass. n. 2653/2013);

vii) in tema di procedimento per lo stato di adottabilità, nei riguardi dei genitori del minore (Cass. n. 14554/2011);

viii ) in tema di divisione ereditaria e di nullità della divisione già compiuta (Cass. 24834/2022).

Il pubblico ministero è parte necessaria soltanto quando sia titolare del potere di impugnazione, qualora cioè si tratti di causa che egli abbia promosso o avrebbe potuto promuovere. Soltanto in tali casi emerge, pertanto, l'esigenza di integrazione del contraddittorio nei confronti del pubblico ministero presso il giudice a quo. Nei casi restanti, le funzioni del pubblico ministero, in quanto non includono l'autonoma facoltà di impugnazione, vengono ad identificarsi con quelle che svolge il Procuratore Generale presso il giudice ad quem, e restano quindi assicurate dalla comunicazione o trasmissione degli atti a quest'ultimo (Cass. S.U., n. 3078/1986; Cass. S.U., n. 9743/2008).

Litisconsorzio necessario processuale

Si ha causa inscindibile non soltanto nel caso di litisconsorzio necessario originario in prima istanza, ma anche nel caso di litisconsorzio per motivi processuali sopravvenuti (Picardi, 404).

Il concetto di causa inscindibile viene cioè esteso alle ipotesi di litisconsorzio necessario c.d. processuale, fenomeno che si verifica allorché la presenza di più parti nel giudizio di primo grado debba necessariamente persistere in sede di impugnazione, al fine evitare giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio. Nelle ipotesi considerate, l'impugnazione deve essere proposta contro tutte le parti della precedente fase del giudizio. Nel giudizio di rinvio devono essere chiamate in giudizio tutte le parti nei cui confronti sono state emesse la pronuncia rescindente e quella cassata.

La giurisprudenza suole parimenti affermare in proposito che pur non vertendosi in materia di litisconsorzio necessario ab origine, la causa è inscindibile quando ricorre una situazione di litisconsorzio per ragioni processuali, la quale, a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale, impone che il processo si svolga nei confronti di tutti i partecipanti (Cass. n. 7732/2016; Cass. n. 4794/2006; Cass. n. 3114/1999).

Litisconsorzio per ragioni processuali si ha, innanzi tutto, nel caso della morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado, con successiva prosecuzione del processo nei confronti degli eredi (Cass. n. 1202/2007) e, in secondo luogo, in caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso (Cass. n. 590/1995).

In caso di morte di una delle parti nel corso del giudizio di primo grado, la sua legittimazione attiva e passiva si trasmette agli eredi (quando abbiano acquistato tale qualità per accettazione espressa o tacita), i quali vengono a trovarsi per tutta la durata del giudizio in una situazione di litisconsorzio necessario, per ragioni di ordine processuale, a prescindere dalla scindibilità o meno del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, con la conseguenza che ove l'impugnazione sia stata proposta nei confronti di uno soltanto degli eredi della parte defunta, il giudice d'appello deve ordinare, anche d'ufficio, a pena di nullità, l'integrazione del contraddittorio ex art. 331 nei confronti degli altri coeredi, anche quando manchi la successione nel diritto posto a fondamento della domanda (Cass. n. 24639/2020;  Cass. n. 23765/2008; Cass. n. 23543/2008). Del pari, gli eredi assumono la posizione processuale di litisconsorti necessari nell'ambito delle controversie relative all'accertamento della proprietà di un immobile rientrante in comunione ereditaria (Cass. n. 24751/2013).Per converso in caso di successione mortis causa di una pluralità di eredi nel lato passivo del rapporto obbligatorio, il debito del de cuius si fraziona pro quota tra gli aventi causa, sicché il rapporto che ne deriva non è unico e inscindibile e, in caso di giudizio instaurato per il pagamento del debito ereditario, non sussiste, neppure sotto il profilo della dipendenza di cause, litisconsorzio necessario tra gli eredi del defunto, né in primo grado, né nella fase di gravame (Cass. n. 8487/2016).

Nell'ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso, poi, in fase di impugnazione contro la sentenza, il successore intervenuto in causa e l'alienante non estromesso sono litisconsorti necessari (Cass. n. 4486/2010); è stato, peraltro, affermato che in tema d'intervento del successore a titolo particolare nel processo fra il suo dante causa e la controparte, qualora non sia insorta alcuna contestazione sulla legittimazione del successore ed il processo, in difetto d'estromissione del dante causa, sia proseguito fra le parti originarie ed il terzo, fino alla pronuncia della sentenza, la situazione di litisconsorzio in sede d'impugnazione di quest'ultima non è automaticamente riconducibile alla norma dell'art. 331 ma lo è in relazione agli esiti del giudizio, occorrendo, pertanto, considerare le varie situazioni che al riguardo si possono essere verificate (per le diverse ipotesi v. Cass. n. 8395/2009; Cass. n. 4486/2010; Cass. n. 12035/2010; Cass. n. 3056/2011).

Si discute con riguardo ai vari tipi di intervento in giudizio. La chiamata in causa di un terzo da parte di altro soggetto o iussu iudicis disposta in giudizio determina una situazione di litisconsorzio necessario processuale e dà luogo alla formazione di una causa inscindibile che impone la necessità di evocare nel grado successivo (o nella successiva fase) tutti i soggetti già presenti in quelli pregressi ove non esplicitamente estromessi (Cass. n. 3717/2010; per la chiamata iussu iudicis v. Cass. n. 9131/2016). Litisconsorzio processuale deve riconoscersi nelle ipotesi di chiamata in causa per garanzia propria, in quanto fondata sullo stesso titolo o su titolo dipendente da quello relativo alla domanda principale, come nel caso della domanda di manleva proposta dal convenuto, quale acquirente dell'immobile oggetto di rivendica, nei confronti del proprio alienante (Cass. n. 21240/2009: non sembra che il principio possa essere rimesso in discussione in ragione del superamento, da parte della giurisprudenza più recente, della distinzione tra garanzia propria e impropria). Peraltro, nel caso in cui il convenuto chiami in giudizio un terzo, esperendo nei suoi confronti una domanda di garanzia impropria, deve escludersi in appello l'inscindibilità delle cause ai fini dell'integrazione del contraddittorio nelle fasi di impugnazione allorché il chiamato non abbia contestato la fondatezza della domanda proposta contro il proprio chiamante e l'attore non abbia presentato domande verso il chiamato (Cass. n. 21366/2020; ma, successivamente, v. in senso opposto Cass. n. 9013/2022).

A seguito di intervento adesivo volontario, ai sensi dell'art. 105, pur ricorrendo un'ipotesi di cause sostanzialmente scindibili, si configura un litisconsorzio necessario processuale e la causa deve considerarsi inscindibile nei confronti dell'interventore (Cass. n. 8350/2007; Cass. n. 6357/2022).

Nell'ipotesi in cui un convenuto chiami in causa un terzo per ottenere la declaratoria della sua esclusiva responsabilità e la propria liberazione dalla pretesa dell'attore, la causa è unica ed inscindibile, potendo la responsabilità dell'uno comportare l'esclusione di quella dell'altro, ovvero, nel caso di coesistenza di diverse, autonome responsabilità, ponendosi l'una come limite dell'altra, sicché si determina una situazione di litisconsorzio processuale che, pur ove non sia configurabile anche un litisconsorzio di carattere sostanziale, dà luogo alla formazione di un rapporto che, nel giudizio di gravame, soggiace alla disciplina propria delle cause inscindibili (Cass. n. 8486/2016).

Qualora una domanda (ad es.: verifica di esistenza di rapporto di lavoro; di adempimento del debito) sia proposta alternativamente nei confronti di due soggetti e tra questi insorga contestazione circa l'individuazione dell'effettivo unico obbligato, si configura, con riguardo ai rapporti processuali relativi ai due convenuti, un'ipotesi di cause reciprocamente dipendenti e quindi sussiste il litisconsorzio necessario in fase di gravame, ove sia ancora in discussione la questione dell'individuazione dell'effettivo obbligato (Cass. S.U., n. 26420/2006; Cass. n. 1535/2010).

In sede di regolamento preventivo di giurisdizione si configura il litisconsorzio necessario processuale relativamente a tutte le parti del processo a cui si riferisce la richiesta di regolamento e in tale giudizio trova applicazione, ove detta richiesta di regolamento non sia stata proposta nei confronti di tutte le parti del processo a quo, la norma dell'art. 331, in tema di ordine di integrazione del contraddittorio nel termine all'uopo fissato (con conseguente declaratoria di inammissibilità qualora tale ordine sia rimasto inosservato), essendo il regolamento di giurisdizione soggetto ai principi delle impugnazioni per quanto riguarda l'instaurazione del contraddittorio (Cass. S.U., n. 22496/2004; Cass. S.U., n. 22990/2004).

Il diritto del mediatore alla provvigione, nei confronti di entrambe le parti dell'affare concluso per effetto del suo intervento, dà luogo a due crediti distinti, che possono essere fatti valere in separati giudizi; con la conseguenza che, quando essi sono dedotti in un unico giudizio, si verifica un caso di litisconsorzio facoltativo relativo,  trattandosi di cause connesse per il titolo dal quale dipendono; ne segue l'applicabilità del regime proprio delle cause inscindibili in materia di gravami, per cui la notifica eseguita ad istanza di una sola delle parti segna, nei confronti della stessa e di quella destinataria della notificazione, l'inizio del termine breve contro tutte le altre parti (Cass. n. 1668/2005).

Il rapporto processuale tra creditore, debitore principale e fideiussore è facoltativo nella fase di introduzione del giudizio, potendo il creditore agire separatamente, a norma dell'art. 1944, comma 1, nei confronti dei due debitori solidali; peraltro, una volta instaurato, dà luogo a un litisconsorzio processuale, che diviene necessario nei gradi d'impugnazione, qualora siano riproposti temi comuni al debitore principale e al fideiussore (Cass. n. 16669/2012).

Cause dipendenti

Le cause sono dipendenti quando sono legate fra loro non da una generica connessione, ma da un vincolo di pregiudizialità o di garanzia propria (Mandrioli, 424).

Anche in giurisprudenza si osserva che due cause sono tra loro dipendenti quando, trattate e decise in primo grado in un unico processo, per la natura propria della situazione giuridica controversa ovvero per effetto di domande proposte congiuntamente, la decisione dell'una costituisce presupposto logico della decisione dell'altra; in tal caso, al fine di evitare la possibilità di giudicati contrastanti (Cass. n. 14253/2016) sul medesimo oggetto tra le parti che hanno partecipato al processo, esse devono essere trattate unitariamente anche nella fase di impugnazione (Cass. n. 15686/2006).

Guardando alle fattispecie esaminate, è costante l'affermazione secondo cui l'obbligazione solidale, pur avendo per oggetto un'unica prestazione, non dà luogo a un rapporto unico e inscindibile, con la conseguenza che è possibile la scissione del rapporto processuale nelle fasi di impugnazione (Cass. n. 2854/2016Cass. n. 24680/2006; Cass. n. 14469/2008; Cass. n. 17795/2011; per l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta nei confronti di uno solo dei creditori in solido, senza che sia necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’altro, v. Cass. n. 15417/2016). Nondimeno è stato talora affermato che, pronunciata sentenza di condanna nei confronti di più debitori in solido, qualora la decisione sia impugnata soltanto da uno di essi, l'esigenza della integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri, ai sensi dell'art. 331, insorge, per ragione di dipendenza fra cause, quando le distinte posizioni degli obbligati presentino una obiettiva interrelazione, alla stregua della loro strutturale subordinazione anche sul piano sostanziale sicché la responsabilità dell'uno presuppone quella dell'altro (Cass. n. 26852/2006).

In materia di garanzia (al riguardo si rinvia anche sub art. 332), la sussistenza di una situazione di dipendenza, rilevante per i fini dell'applicazione della norma in commento, dipende dall'esito del giudizio a quo, nonché dall'atteggiarsi dell'impugnazione proposta. Si è ad esempio affermato che il vincolo di dipendenza tra la causa principale e la causa di garanzia impropria, che si verifica allorché il convenuto intende esser rilevato dal garante per quanto sia eventualmente condannato a pagare all'attore, sussiste solo e fino a quando sia in discussione il presupposto della domanda di rivalsa, e quindi viene meno quando l'impugnazione attenga esclusivamente al rapporto di garanzia senza investire la domanda principale; conseguentemente, non sussiste la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti del proprietario che abbia agito per il risarcimento del danno da occupazione appropriativa, ove sia impugnato esclusivamente il capo della sentenza che ha ridotto l'importo della somma posta a carico del Comune in via di regresso, ferma restando la condanna del Consorzio delegato all'esecuzione dell'opera nei confronti del proprietario, essendo passato in giudicato il relativo capo di pronuncia per difetto di impugnazione (Cass. n. 13684/2006).

In tema d'inscindibilità o scindibilità di cause nel giudizio d'appello, poiché il contratto autonomo di garanzia presenta, ancor più che quello di fideiussione, un carattere di totale indipendenza rispetto al rapporto causale, il litisconsorzio facoltativo instaurato in primo grado anche nei confronti del debitore principale, non configura in secondo grado un rapporto di dipendenza tra la domanda di adempimento della garanzia a prima richiesta e l'accertamento dell'inadempimento dell'obbligazione principale, con la conseguenza che deve escludersi l'applicazione del regime processuale relativo alle cause inscindibili, regolato dall'art. 331. Pertanto il debitore principale cui non sia stata notificata l'impugnazione proposta dal creditore garantito soltanto verso il garante, deve necessariamente proporre autonomo appello se vuole evitare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei suoi confronti (Cass. n. 23016/2010).

Aspetti processuali dell'integrazione del contraddittorio

In caso di mancato adempimento all'obbligo di proporre l'impugnazione contro tutte le parti della precedente fase di giudizio, il giudice, in applicazione dell'art. 331, deve ordinare l'integrazione del contraddittorio, deve cioè ordinare che l'impugnazione venga proposta anche nei confronti delle parti nei confronti delle quali non sia già stata proposta − integrazione la cui necessità è superata dalla costituzione volontaria in giudizio delle stesse.

Occorre tuttavia considerare che che nel giudizio di cassazione, nel quale manca, propriamente, la costituzione delle parti, non è necessario disporre l'integrazione del contraddittorio quando la parte che deve necessariamente parteciparvi, alla quale non sia stato notificato l'atto di impugnazione, abbia spiegato la propria attività difensiva con controricorso (Cass. n. 19031/2024). D’altro canto, finanche l’esigenza di integrazione del contraddittorio cede dinanzi al principio di ragionevole durata. E dunque, poiché

l'ordine di integrazione del contraddittorio in cause inscindibili, quando l'impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutte le parti passivamente legittimate, ha lo scopo di rendere possibile la decisione sul merito, esso non deve essere impartito dal giudice d'appello quando l'impugnazione sia inammissibile (Cass. n. 16858/2019).

Inoltre, è stato affermato che la parte soccombente è priva di interesse a far valere, col ricorso per cassazione, la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari pretermessi nel giudizio di appello, se dalla loro partecipazione al processo non avrebbe tratto alcun vantaggio, essendo risultate infondate tutte le altre censure mosse alla sentenza impugnata, e se non sia nemmeno astrattamente ipotizzabile che tale integrazione si sarebbe risolta in una decisione di contenuto diverso e favorevole alla stessa soccombente (Cass. n. 17893/2024).

È stato affermato che, nel caso in cui, in sede di notificazione dell'atto di integrazione del contraddittorio nei confronti del contumace, la parte venga a conoscenza della sua morte o della sua perdita della capacità, il termine assegnatole dal giudice ai sensi dell'art. 331 è automaticamente interrotto e, in applicazione analogica dell'art. 328, comincia a decorrere un nuovo termine, di durata pari a quella iniziale, indipendentemente dal momento in cui l'evento interruttivo si è verificato. È, tuttavia, onere della parte notificante riattivare con immediatezza il processo notificatorio, senza necessità di apposita istanza al giudice ad quem. Solo nel caso in cui, per ragioni eccezionali, di cui la stessa parte deve fornire la prova, tale termine risulti insufficiente ad individuare le persone legittimate a proseguire il giudizio, è consentito chiedere al giudice la rimessione in termini ai sensi dell'art. 153, comma 2 (Cass. S.U., n. 14266/2019).

L'impugnazione è ammissibile nei confronti di tutte le parti (regola dell'effetto conservativo dell'impugnazione), anche qualora sia stata notificata nel termine di legge soltanto nei riguardi di una di esse e sia, invece, tardiva nei confronti delle altre, perché, in tale ipotesi, l'impugnazione notificata oltre il detto termine assume il carattere di atto integrativo del contraddittorio (Cass. n. 13753/2009; Cass. n. 3071/2011; Cass. n. 15466/2011; Cass. n. 11552/2011; Cass. n. 18364/2013).

In tutte le ipotesi considerate, è ritenuta operativa la regola dell'unitarietà del termine per proporre l'impugnazione, secondo cui la notifica della sentenza, ancorché eseguita ad istanza di una sola delle parti segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l'inizio del termine breve per la proposizione dell'impugnazione nei confronti di tutte le altre parti (Cass. n. 2557/2010; Cass. n. 19869/2011).

Il termine decorre dalla data di comunicazione della relativa ordinanza oppure dalla data dell'udienza, ove l'integrazione sia stata disposta in tale sede.

Per ciò che attiene al giudizio di cassazione, nel caso in cui i difensori delle parti abbiano eletto domicilio presso la cancelleria della Corte, il termine decorre dalla data di comunicazione della relativa ordinanza mediante deposito nella suddetta cancelleria, e non dalla data di recapito dell'ordinanza stessa a mezzo posta a cura della cancelleria, perché l'invio di copie degli atti mediante lettera raccomandata con tassa a carico degli avvocati non residenti a Roma, che, al momento del deposito del ricorso o del controricorso, ne facciano richiesta, ha funzione meramente informativa e riguarda soltanto l'avviso dell'udienza di discussione e il dispositivo della sentenza e non anche la comunicazione della detta ordinanza (Cass. n. 7998/2012).

La mancata ottemperanza all'ordine di integrazione del contraddittorio comporta l'inammissibilità dell'impugnazione (Cass. n. 13233/2011).

Il termine per la notificazione dell'atto di integrazione del contraddittorio, fissato ex art. 331, è perentorio, non è prorogabile neppure sull'accordo delle parti e la sua inosservanza, non sanabile dalla tardiva (perché avvenuta successivamente alla data dell'udienza fissata nell'ordinanza di integrazione) costituzione della parte nei cui confronti doveva essere integrato il contraddittorio, deve essere rilevata d'ufficio, anche nel caso di inadempimento parziale dell'ordine di integrazione, sicché la sua violazione determina, per ragioni d'ordine pubblico processuale, l'inammissibilità dell'impugnazione (Cass. n. 24548/2009).

Ferma restando la perentorietà del termine per l'integrazione del contraddittorio, si è dibattuto in giurisprudenza sull'ammissibilità, in deroga al precetto di cui al combinato disposto di cui agli artt. 331 e 153, dell'assegnazione, da parte del giudice, di un nuovo termine. Al quesito è stata data risposta affermativa, peraltro subordinatamente all'avverarsi di varie condizioni. La regola viene ritenuta suscettibile di deroga quando l'istanza di assegnazione di un nuovo termine (da presentare anteriormente alla scadenza di quello in un primo tempo concesso) si fondi sull'esistenza, idoneamente comprovata, di un fatto non imputabile alla parte onerata (che abbia tempestivamente avviato il procedimento di notificazione) o, comunque, risulti che la stessa non sia stata in colpa con riferimento all'ignoranza della residenza dei soggetti nei cui confronti il contraddittorio sarebbe dovuto essere integrato (Cass. n. 25860/2008; Cass. S.U., n. 26279/2009). Analogamente, qualora in sede di notificazione dell'atto di impugnazione in attuazione dell'ordine di integrazione del contraddittorio risulti il decesso del destinatario o di uno dei destinatari, e la parte, che debba procedere alla detta integrazione, pur avendo tempestivamente espletato l'adempimento posto a suo carico ai sensi dell'art. 331 con la consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario, veda non conseguito il perfezionamento della notificazione, nel termine fissato per detta integrazione, nei confronti del destinatario dell'atto (o di alcuni di essi), a causa, appunto, di un evento — il decesso del medesimo (o dei medesimi) — che essa non era tenuta a conoscere e di cui venga informata soltanto attraverso la relazione di notifica, deve essere assegnato un termine ulteriore (di carattere perentorio) per procedere all'integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi della parte defunta (Cass. S.U., n. 1238/2005; Cass. n. 17473/2013). Di recente si è dunque ribadito che quando il giudice abbia pronunziato l'ordine di integrazione del contraddittorio in causa inscindibile e la parte onerata non vi abbia provveduto, ovvero vi abbia ottemperato solo parzialmente, evocando in giudizio soltanto alcuni dei litisconsorti pretermessi, non può essere assegnato un nuovo termine per il completamento dell'integrazione, che equivarrebbe alla concessione di una proroga del termine perentorio precedentemente fissato, vietata espressamente dall'art. 153, salvo che l'istanza di assegnazione di un nuovo termine, tempestivamente presentata prima della scadenza di quello già concesso, si fondi sull'esistenza, idoneamente comprovata, di un fatto non imputabile alla parte onerata o, comunque, risulti che la stessa ignori incolpevolmente la residenza dei soggetti nei cui confronti il contraddittorio avrebbe dovuto essere integrato (Cass. n. 6982/2016).

L'art 331 non prescrive che tra la data di notificazione della citazione per l'integrazione del contraddittorio disposta dal giudice dell'impugnazione e la data della nuova udienza di comparizione debba intercorrere un termine non inferiore a quello stabilito dall'art. 163-bis, ma lascia libero il giudice di stabilire un termine anche minore, salvo a vagliare le conseguenze di un termine di comparizione troppo breve, assegnando al chiamato che sia comparso una nuova udienza o disponendo, nel caso in cui non comparisca, che venga rinnovata la citazione con l'assegnazione di un nuovo termine congruo.

Al quesito su quale sia la condotta da tenere nei casi in cui il giudice d'appello si limiti ad ordinare l'integrazione del contraddittorio, fissando l'udienza di comparizione senza indicare il termine perentorio entro il quale la relativa notificazione debba avvenire, sono state date risposte diverse.

Secondo l'orientamento prevalente, tale termine (specie laddove si sia fatto espresso riferimento ai «termini di legge») può legittimamente individuarsi (alla luce del principio della ragionevole durata del processo) in quello indicato dall'art. 163-bis, da rilevare in base alla data dell'udienza di rinvio rispetto alla data del provvedimento di integrazione. « sempre che detto termine non sia inferiore ad un mese o superiore a sei mesi rispetto alla data del provvedimento di integrazione, giusta il disposto dell'art. 307,  comma 3, ultimo inciso, del codice di rito» (Cass. n. 26570/2008; Cass. n. 26401/2009).

È controverso quali siano le conseguenze della mancata evocazione in giudizio del litisconsorte pretermesso, nel caso della mancata indicazione del termine perentorio entro cui debba avvenire la notificazione. Secondo l'orientamento prevalente, qualora l'ordine sia dato senza l'indicazione del termine finale per la notificazione dell'atto di integrazione, ma facendosi espresso riferimento ai «termini di legge» e fissandosi la nuova udienza ad una data tale da consentire il rispetto del termine per la comparizione (art. 163-bis) a favore del soggetto nei cui riguardi sia disposta l'integrazione, il provvedimento deve essere inteso nel senso che abbia determinato il termine ultimo per l'integrazione nell'ultimo giorno utile per garantire l'osservanza del termine di comparizione stesso, conseguendone l'inammissibilità dell'impugnazione nel caso di inosservanza del termine (Cass. n. 26401/2009). Secondo un altro orientamento, la mancata evocazione in giudizio del litisconsorte per l'udienza fissata non può determinare l'inammissibilità dell'impugnazione se il giudice non abbia anche assegnato un termine entro il quale eseguire la notificazione, nessun rilievo potendo essere dato al fatto che tra le due udienze sia intercorso un intervallo di tempo in concreto sufficiente a consentire il rispetto del termine di cui all'art. 163-bis, attesa la tassatività delle cause di decadenza dall'impugnazione e la diversità delle funzioni assolte dai due termini, il primo dei quali ha finalità sollecitatorie, volte a stimolare le parti all'osservanza dell'ordine del giudice, mentre il secondo, avente carattere dilatorio, mira a garantire la difesa del convenuto (Cass. n. 7532/2006; Cass. n. 18842/2011).

All'integrazione del contraddittorio deve provvedersi mediante notifica di copia integrale dell'atto di impugnazione, pena inammissibilità dell'impugnazione. Tale è l'orientamento dominante per ciò che attiene all'integrazione del contraddittorio nel giudizio di cassazione, ove, come si deduce anche dall'art. 371-bis, l'integrazione deve avvenire mediante notifica di un atto che abbia il medesimo contenuto di quello che avrebbe dovuto essere notificato in origine, ossia del ricorso, mentre non è sufficiente la notifica di un atto che si limiti a riprodurre il controricorso (Cass. n. 21073/2009). Alcune pronunce hanno, tuttavia, ritenuto rituale (con riferimento a procedimenti di appello) l'integrazione del contraddittorio anche mediante notifica di atto riassuntivo delle vicende del processo (esposizione dei fatti di causa e delle doglianze mosse con il gravame), senza necessità di notifica di copia dell'atto di impugnazione (Cass. n. 2103/1993; Cass. n. 13233/2011).

In mancanza di una norma la quale prescriva il deposito in un termine perentorio dell'atto integrativo del contraddittorio in causa inscindibile, viene ritenuto sufficiente, per ciò che attiene alla fase di merito del giudizio, che il deposito stesso avvenga prima della discussione della causa davanti al collegio, per consentire al giudice dell'impugnazione di controllare la ritualità e la tempestività della relativa notifica (Cass. n. 10779/2003). Viceversa, per ciò che attiene alla fase di cassazione, viene costantemente affermato (Cass. S.U., n. 3820/2005) che il deposito dell'atto di integrazione del contraddittorio deve avvenire entro il termine di venti giorni dalla scadenza del termine concesso ai sensi dell'art. 371-bis dalla Corte per provvedere alla disposta integrazione, pena l'improcedibilità, rilevabile d'ufficio, del ricorso, restando del tutto irrilevante un tardivo deposito dell'atto stesso (Cass. n. 1603/2010).

Quanto al luogo di notificazione, nei giudizi di impugnazione, la notificazione dell'atto di integrazione del contraddittorio in cause inscindibili, qualora sia decorso oltre un anno dalla data di pubblicazione della sentenza, deve essere effettuata alla parte personalmente e non già al procuratore costituito davanti al giudice che ha emesso la sentenza impugnata (Cass. S.U., n. 2197/2006; Cass. n. 17416/2010). Con la stessa pronuncia le Sezioni Unite hanno anche affermato che, in caso di notificazione fatta al procuratore — integrandosi una mera violazione della prescrizione in tema di forma, e non già l'impossibilità di riconoscere nell'atto la rispondenza al modello legale della sua categoria — non si configura nullità insanabile, risultando operativi i rimedi della rinnovazione (artt. 162, 291) o della sanatoria (artt. 156, comma 3, 157, 164).

 

Bibliografia

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