Codice di Procedura Civile art. 338 - Effetti dell'estinzione del procedimento di impugnazione (1).

Mauro Di Marzio

Effetti dell'estinzione del procedimento di impugnazione (1).

[I]. L'estinzione del procedimento d'appello o di revocazione nei casi previsti nei numeri 4 e 5 dell'articolo 395 fa passare in giudicato [324] la sentenza impugnata, salvo che ne siano stati modificati gli effetti con provvedimenti pronunciati nel procedimento estinto [186-bis, 186-ter, 393; 129 att.].

(1)In materia di trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all'autorità giudiziaria, v. art. 1, comma 4, d.l. 12 settembre 2014, n. 132, conv., con modif., in l. 10 novembre 2014, n. 162.

Inquadramento

Diversamente dall'estinzione del giudizio di primo grado, che lascia impregiudicati i diritti delle parti (in arg. v. sub art. 310), l'estinzione del giudizio di impugnazione comporta il passaggio in giudicato della sentenza impugnata: pertanto anche se i termini non sono ancora scaduti, non è più possibile riproporre l'impugnazione (Liebman, 1984, 293).

Pertanto, proposto appello, se il relativo giudizio si estingue la sentenza impugnata passa in giudicato e contro di essa saranno ammissibili solo i mezzi di impugnazione straordinari.

Proposta revocazione ex art. 395, nn. 4 e 5, se il relativo giudizio si estingue la sentenza impugnata passa in giudicato solo se non è ancora decorso il termine per proporre ricorso in cassazione, visto che questo mezzo di impugnazione è concorrente con quello della revocazione (da questo punto di vista la norma deve quindi considerarsi imprecisa; Andrioli, 1956, 423).

Per capire perché la norma in commento faccia esclusivo riferimento all'estinzione del procedimento di appello e di revocazione nei casi previsti nell'art. 395, nn. 4 e 5 e non faccia riferimento anche agli altri casi di revocazione e all'opposizione di terzo, la si deve porre in relazione con l'art. 324 , sulla formazione della cosa giudicata formale: nei giudizi di opposizione di terzo e di revocazione straordinaria l'unico problema che si pone in caso di estinzione è quello di vedere se è possibile la riproposizione dell'impugnazione; ma di passaggio in giudicato della sentenza impugnata non ha senso parlare, perché esso è già avvenuto (Andrioli, 1956, 422).

La norma omette di fare riferimento all'estinzione del giudizio davanti alla Corte di Cassazione. La legge però prevede alcune ipotesi di estinzione dello stesso (in arg. v. sub art. 375), benché si tratti di un procedimento non soggetto all'impulso di parte. Si deve quindi ritenere che anche l'estinzione del giudizio di legittimità determina il passaggio in giudicato la sentenza impugnata, anche se sono ancora pendenti i termini per la proposizione del ricorso (Andrioli, 1956, 423; Bonsignori, 1993, 353; contra Liebman, 293, secondo il quale nel procedimento davanti alla Corte di Cassazione non esiste l'estinzione, ma solo la rinuncia).

Anche la giurisprudenza ritiene che la norma in commento si applichi in caso di estinzione del giudizio davanti alla Corte di Cassazione (Cass. n. 2534/2003).

In particolare la rinuncia al ricorso per cassazione, determinando l'estinzione del processo analogamente a quanto previsto per l'appello e la revocazione ex art. 395, n. 4 e 5, comporta, normalmente, il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, salvo il caso in cui la stessa sia stata modificata nei suoi effetti nel corso del procedimento di impugnazione, attraverso atti adottati e con provvedimenti intervenuti al suo interno, da identificarsi esclusivamente nelle sentenze non definitive, di rito o di merito, sicché non è idonea ad influire sul suddetto passaggio in giudicato la transazione, intercorsa tra le parti, in cui sia stato precisato che, in conseguenza della rinuncia al ricorso, accettata dalla società in bonis, doveva ritenersi passata in giudicato la sentenza, dichiarativa dello stato di insolvenza della medesima società - benchè opposta in primo grado ed ivi ritenuta nulla, con pronuncia confermata in sede di gravame - non rientrando quell'atto nel novero dei provvedimenti rilevanti ai fini dell'applicazione dell'art. 338 (Cass. n. 9611/2016).

Diverso invece il caso del giudizio di rinvio la cui mancata riassunzione determina l'estinzione non solo di quel giudizio ma dell'intero processo, pur con l'applicazione dell'art. 310 (Cass. n. 17372/2002). 

La mancata riassunzione del giudizio di rinvio determina cioè, ai sensi dell'art. 393 c.p.c., l'estinzione dell'intero processo, con conseguente caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso dello stesso, eccettuate quelle già passate in giudicato in quanto non impugnate, non essendo applicabile al giudizio di rinvio l'art. 338 dello stesso codice, che regola gli effetti dell'estinzione del procedimento di impugnazione (Cass. n. 26970/2023).

La rinuncia agli atti del giudizio di appello, perfettamente ammissibile stante il rinvio di cui all'art. 359 (al cui commento si rinvia), comporta il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (Cass. n. 5556/1995).

La norma è incompatibile con i procedimenti speciali di interdizione e di revoca dell'interdizione (Cass. n. 3570/2006).

L'estinzione del giudizio di secondo grado non può essere eccepita dalla parte appellante in difetto di impugnazione delle controparti, per carenza di interesse (Cass. n. 1930/1989).

Per i rapporti con l'art. 2945 c.c. v. Cass. n. 21869/2004.

Provvedimenti modificativi

La norma fa riferimento ai provvedimenti pronunciati nel procedimento estinto, i quali hanno modificato gli effetti della sentenza impugnata e pertanto ne impediscono il passaggio in giudicato. Tali provvedimenti, c.d. modificativi sono le sentenze non definitive, di rito o di merito, emesse nel processo estinto, mai le ordinanze (Andrioli, 1956, 424; Liebman, 293).

Puntuale in questo senso la giurisprudenza, secondo cui i provvedimenti modificativi possono essere solo decisori, mai ordinatori (Cass. n. 24027/2006; Cass. n. 19639/2005).

Parimenti non possono considerarsi provvedimenti modificativi le sentenze definitive che accolgono o respingono la domanda (Andrioli, 1956, 424).

La norma trova dunque applicazione solo per quanto riguarda le sentenze non definitive, in relazione alle quali si deve però operare una distinzione.

Non sono infatti modificative le sentenze parziali che, decidendo su questioni processuali, definiscono il giudizio (Andrioli, 1956, 424).

Le sentenze parziali che affermano l'esistenza di un presupposto processuale negata dal giudice del provvedimento impugnato sono soggette alla disciplina degli artt. 353, 354 per quanto riguarda il giudizio di appello e alla disciplina dell'art. 393 per quanto riguarda il giudizio di cassazione: la mancata riassunzione della causa davanti al giudice di primo grado nelle ipotesi di rimessione e la mancata riassunzione davanti al giudice di rinvio comportano l'estinzione dell'intero giudizio, salvo quanto dispone l'art. 310 (v. sub artt. 310, 353, 354 e 393) (Andrioli, 1956, 425).

Sono invece modificative le sentenze parziali che decidono su una questione pregiudiziale di merito (Andrioli, 425).

La decisione sull'estinzione

Per quanto riguarda il provvedimento con cui si pronuncia l'estinzione, esso è senz'altro una sentenza (v. sub art. 350). Quanto al giudice competente a decidere sugli effetti dell'estinzione del giudizio di appello o di revocazione sulla sentenza impugnata è il giudice davanti al quale la questione viene sollevata (Andrioli, 1956, 425).

Tutti i provvedimenti che definiscono il giudizio decidendo una questione pregiudiziale attinente al processo — ad es. l'estinzione — devono essere decisi con sentenza, che deve anche contenere la pronunzia sulle spese (Cass. n. 12636/2004) ed è a sua volta ricorribile in cassazione (Cass. n. 5610/2001).

Se il provvedimento che dichiara l'estinzione del giudizio d'appello è stato erroneamente assunto con ordinanza questa, in virtù del principio di prevalenza della sostanza sulla forma, ha natura di sentenza, al cui regime è soggetta (Cass. n. 3733/2004). È dunque anch'essa ricorribile in cassazione purché, in caso di appello davanti alla corte d'appello, rechi la sottoscrizione di tutti i membri del collegio e non solo quella dell'estensore: in mancanza deve ritenersi non invalida bensì inesistente (Cass. n. 19124/2004). Questi due principi giurisprudenziali si pongono in evidente contraddizione, la quale sembra essere ora stata risolta dalla giurisprudenza nel senso che l'ordinanza con la quale il giudice d'appello dispone la cancellazione della causa dal ruolo resta dal punto di vista della forma un'ordinanza e pertanto è validamente sottoscritta dal solo presidente del collegio (Cass. n. 6600/2006).

In dottrina v. Besso, 946 ss.

Bibliografia

Attardi, Note sull'effetto devolutivo dell'appello, in Giur. it. 1961, IV, 153; Besso, Principio di prevalenza della sostanza sulla forma e requisiti formali del provvedimento: un importante revirement della Corte di Cassazione, nota a Cass. 24. Marzo 2006, n. 6600, in Giur it. 2007, 946; Bianchi, I limiti oggettivi dell'appello civile, Padova, 2000; Bonsignori, L'effetto devolutivo dell'appello, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 1974, 134; Bonsignori, Impugnazioni civili in generale, in Dig. civ., IX, Torino, 1994; Cerino Canova, Impugnazioni, I, Diritto procesuale civile, in Enc. giur., XVI, Roma, 1989; Comoglio-Ferri-Taruffo, Lezioni sul processo civile, Bologna, 1995; Consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova, 2012; Denti, Questioni pregiudiziali (dir. proc. civ.), in Nss. D.I., XIV, Torino, 1967; Fazzalari, Il giudizio civile di cassazione, Milano, 1960; Liebman, «Parte» o «capo» di sentenza, in Riv. dir. proc. 1964, 52; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 1984; Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, II, Torino, 2002; Picardi, Manuale del processo civile, Milano, 2013; Poli, I limiti oggettivi delle impugnazioni ordinarie, Padova, 2002; Recchioni, Dipendenza sostanziale e pregiudizialità processuale nella cognizione ordinaria, Padova, 1999; Redenti, Diritto processuale civile, II, Milano, 1985; Romano, Profili applicativi e dogmatici dei motivi specifici di impugnazione nel giudizio d'appello civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 2000, 1205.

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