Codice di Procedura Civile art. 345 - Domande ed eccezioni nuove (1).

Mauro Di Marzio

Domande ed eccezioni nuove (1).

[I]. Nel giudizio d'appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d'ufficio. Possono tuttavia domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa.

[II]. Non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d'ufficio.

[III]. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio [233, 2736 ss. c.c.] (2).

(1) Articolo dapprima sostituito dall'art. 36 l. 14 luglio 1950, n. 581 e poi dall'art. 52 l. 26 novembre 1990, n. 353. Il testo recitava: «[I]. Nel giudizio d'appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono rigettarsi d'ufficio. Possono però domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa. [II]. Le parti possono proporre nuove eccezioni, produrre nuovi documenti e chiedere l'ammissione di nuovi mezzi di prova, ma se la deduzione poteva essere fatta in primo grado si applicano per le spese del giudizio d'appello le disposizioni dell'articolo 92, salvo che si tratti del deferimento del giuramento decisorio».

(2) L'art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modif., in l. 7 agosto 2012, n. 134, ha soppresso, in sede di conversione, le parole: «che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero», che seguivano le parole «Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo». Il comma, precedentemente era stato modificato dall'art. 46, comma 18, della l. 18 giugno 2009, n. 69, con la decorrenza e la relativa disciplina transitoria indicate sub art. 132, che aveva inserito le parole « e non possono essere prodotti nuovi documenti » e le parole « o produrli ». Ai sensi dell'articolo 58, comma 2, della l. n. 69 del 2009, la disposizione, come modificata, si applica ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della medesima legge.

Inquadramento

La disposizione in commento disciplina il regime dei nova in appello.

Nel giudizio d'appello non possono anzitutto proporsi domande nuove. Si discute sulla ratio della disposizione: taluni la riconducono al principio del doppio grado di giurisdizione; altri vi ravvisano una esigenza di coerenza tra l'oggetto del giudizio nel primo e nel secondo grado; altri sottolineano il rilievo della disposizione per i fini dello svolgimento di un giudizio rapido ed efficace.

Bisogna anzitutto dire che non soggiace al divieto di domande nuove la domanda di restituzione delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado.

Si rinviene, in proposito, un contrasto giurisprudenziale, giacché, secondo alcune decisioni, le pronunce restitutorie derivanti dalla riforma della sentenza di primo grado dovrebbero essere dettate d'ufficio, mentre altre decisioni ritengono comunque necessaria la formulazione di un'apposita domanda con l'atto di appello oppure nel corso del giudizio di appello quando l'esecuzione della sentenza di primo grado sia intervenuta dopo la proposizione dell'atto di appello (Cass. n. 16170/2001; Cass. n. 15220/2005; Cass. n. 12011/2002; Cass. n. 11244/2003; Cass. n. 4922/2004; Cass. n. 11461/2004; Cass. n. 11491/2006; Cass. n. 10124/2009; Cass. n. 12622/2010; Cass. n. 16152/2010; Cass. n. 12905/2004; Cass. n. 5787/2005).

Da ultimo si è ancora affermato che nel giudizio di appello l'istanza di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, che peraltro può anche essere disposta d'ufficio dal giudice, non integra una domanda nuova ex art. 345 in quanto conseguente alla richiesta di modifica della decisione impugnata; ne discende che, ove il pagamento sia intervenuto durante il giudizio di impugnazione, detta istanza può essere formulata in qualunque momento, anche nell'udienza di discussione della causa, in sede di precisazione delle conclusioni, oppure nella comparsa conclusionale (Cass. n. 23972/2020).

Novità della domanda

La novità delle domande va verificata attraverso lo scrutinio degli elementi identificativi di esse: personae, causa petendi e petitum mediato (il bene oggetto della domanda) ed immediato (il provvedimento richiesto). È nuova la domanda al variare di uno di tali elementi.

 Ad esempio, per un caso di modificazione della causa petendi, in tema di assicurazione della responsabilità civile, la pretesa dell'assicurato trae origine da un diritto eterodeterminato, la cui causa petendi si identifica nella specifica polizza concretamente azionata, con la conseguenza che la deduzione, in grado d'appello, di un diverso contratto a fondamento della domanda, integra una domanda nuova, inammissibile ai sensi dell'art. 345 c.p.c. (Cass. n. 8824/2024). Ed ancora, è inammissibile in quanto nuova ex art. 345 c.p.c. la domanda di mantenimento del figlio maggiorenne portatore di handicap formulata per la prima volta in grado d'appello in un giudizio alimentare promosso ai sensi dell'art. 433 c.c., atteso che la diversa natura degli interessi ad essa sottesi comporterebbe un ampliamento della materia giustiziabile incompatibile con il rispetto dei principi del contraddittorio, del diritto di difesa e del giusto processo (Cass. n. 2710/2024). Viceversa, non costituisce domanda nuova, ai sensi dell'art. 345 c.p.c., la prospettazione, in appello, di una diversa qualificazione giuridica del contratto oggetto di causa, ove basata sui medesimi fatti (Cass. n. 15470/2024).

La giurisprudenza fa ampio uso della distinzione tra mutatio ed emendatio libelli (peraltro riconsiderata da Cass. S.U. n. 12310/2015), ritenendo inammissibile l'una ed ammissibile l'altra. Resta fermo che la questione relativa alla novità, o meno, di una domanda giudiziale è correlata all'individuazione del bene della vita in relazione al quale la tutela è richiesta, per cui non può esservi mutamento della domanda ove si sia in presenza di un ipotetico concorso di norme, anche solo convenzionali, a presidio dell'unico diritto azionato, presupponendo il cambiamento della domanda la mutazione del corrispondente diritto, non già della sua qualificazione giuridica (Cass. n. 4384/2016). Ne consegue che se l'attore invoca, a fondamento della propria pretesa, un presidio normativo ulteriore rispetto a quello originariamente richiamato, fermi i fatti che ne costituiscono il fondamento, ciò non determina alcuna mutatio libelli, restando invariato il diritto soggettivo del quale è richiesta la tutela (Cass. n. 9333/2016).

Il divieto di nova sancito dall'art. 345 c.p.c. per il giudizio d'appello riguarda ovviamente non soltanto le domande e le eccezioni in senso stretto, ma altresì le allegazioni in punto di fatto non esplicate in primo grado, poiché l'ammissione delle stesse in secondo grado trasformerebbe il giudizio d'appello da mera revisio prioris instantiae in iudicium novum, modello quest'ultimo estraneo al vigente ordinamento processuale (Cass. n. 9211/2022).

È generalmente ammessa l'allegazione per la prima volta in appello di fatti nuovi verificatisi successivamente al verificarsi delle preclusioni in primo grado, che avrebbero potuto essere dedotti in quella sede: ciò per ragioni di economia processuale. Anzi, la giurisprudenza ha chiarito che la parte interessata non ha l'onere di dedurre già in primo grado il fatto sopravvenuto nell'arco temporale tra lo spirare delle preclusioni di cui all'art. 183 e la pronuncia della sentenza (Cass. n. 5703/2001).

Se si ammette l'una parte alla allegazione di fatti nuovi, deve consentirsi all'altra parte di allegare i nova necessari alla difesa (Balena 1992, 213).

Il divieto di domande nuove, non si estende alle domande proposte dai terzi che, a norma dell'art. 344.

La sanzione per le domande nuove proposte in appello è l'inammissibilità. È pacifico, in dottrina e giurisprudenza, che la domanda nuova dichiarata inammissibile dal giudice di appello non ne preclude la riproposizione in un successivo giudizio ordinario di primo grado.

La giurisprudenza è ferma nel ritenere che il divieto di proposizione di domande nuove sia dettato da ragioni di ordine pubblico, trattandosi di applicazione del principio del doppio grado di giurisdizione. Perciò l'inammissibilità della domanda nuova va pronunciata anche d'ufficio, (da ult. Cass.  n. 12633/2024),  quantunque la controparte abbia eventualmente accettato il contraddittorio ed anche nel caso in cui la norma inizialmente posta a fondamento della domanda sia stata dichiarata incostituzionale. Ove non rilevata dal giudice di appello, l'inammissibilità va rilevata nel giudizio di cassazione (Cass. n. 7878/2000; Cass. n. 10129/2000; Cass. n. 10146/2004; Cass. n. 15213/2005; Cass. n. 383/2007; Cass. n. 7258/2003; Cass. n. 11202/2003; Cass. n. 12417/2004; Cass. n. 28302/2005; Cass. n. 27890/2008 ; Cass. n. 4318/2016).

Il divieto di nova si applica anche dal successore a titolo particolare nel diritto controverso ed al contumace in primo grado (Cass. n. 10490/2001; Cass. n. 7542/2003).

È stato di recente chiarito che è consentito al creditore, anche in grado di appello, modificare la domanda originaria di condanna solidale dei convenuti in una domanda che, sulla base del medesimo titolo, sia diretta a conseguire la condanna pro quota, perché mediante tale modifica il creditore delimita solo, sul piano quantitativo, il petitum fatto valere nei confronti dei singoli condebitori, che resta però, nel complesso, immutato (Cass. n. 24597/2019 ).

Le domande nuove eccezionalmente ammissibili

La norma espressamente contempla l'ammissibilità delle c.d. domande accessorie, concernenti interessi, frutti ed accessori maturati dopo la sentenza impugnata nonché i danni subiti dopo la sentenza stessa. Scopo della disposizione è evitare che la durata del processo si risolva in pregiudizio della parte che ha ragione, la quale, al fine di vedere integralmente riconosciuto il proprio diritto, sarebbe altrimenti costretta, in mancanza della norma, ad introdurre successivi giudizi di numero potenzialmente illimitato. È da credere che l'espressione «dopo la sentenza impugnata» sia da intendere come riferita allo spirare dei termini per il deposito delle conclusionali e repliche, non potendosi certo ammettere, per ovvie ragioni di giustizia, che, nell'arco temporale impiegato dal giudice alla redazione della sentenza ed in quello occorso alla cancelleria per la sua pubblicazione, il danneggiato rimanga privo di tutela.

Resta fermo che le domande in questione in tanto possono avere ingresso, in quanto costituiscano il naturale sviluppo della domanda spiegata in primo grado. Così, non è ammissibile la domanda di risarcimento del danno spiegata in appello quando nessuna analoga domanda sia stata proposta in primo grado; né è ammissibile la domanda di interessi in appello se essi non siano stati richiesti dinanzi al primo giudice (Cass. n. 2469/2003).

La statuizione di primo grado in ordine agli interessi non costituisce un capo autonomo della decisione rispetto a quello relativo all'ammontare del credito, sicché nel giudizio di appello il giudice può ricalcolare gli interessi secondo criteri diversi da quelli utilizzati dal primo giudice anche se non c'è stata impugnazione sul punto (Cass. S.U., n. 8521/2007).

Le nuove eccezioni

Il divieto di proposizione di nuove eccezioni concerne le sole eccezioni non rilevabili d'ufficio.

In tal senso si tende generalmente a far riferimento alle eccezioni in senso stretto e non anche alle le c.d. eccezioni in senso lato (Oriani, 2005, 1011, 1156).

Sono ammissibili le nuove eccezioni basate su fatti sopravvenuti in seguito allo scadere delle preclusioni in primo grado. Il divieto di nova, inoltre, certamente non riguarda inoltre le contestazioni in fatto e in diritto che non importino la deduzione di fatti nuovi.

La novità delle eccezioni può essere rilevata d'ufficio dal giudice, al pari della novità delle domande.

È stata esclusa la novità: per l'eccezione fondata su un fatto storico sopravvenuto (Cass. n. 5703/2001); per l'eccezione concernente la compatibilità del diritto interno con quello comunitario (Cass. n. 18915/2004); per l'eccezione di mancanza della rinunzia al legato da parte del legittimario che agisce in riduzione (Cass. S.U., n. 7098/2011); per l'eccezione di nullità di un contratto (Cass. n. 11847/2003; Cass. n. 18374/2006; Cass. n. 11483/2004; Cass. n. 11345/2010; Cass. n. 7539/2005; ; il principio, in specifico, è che la nullità del contratto per violazione di norme imperative, siccome oggetto di un'eccezione in senso lato, è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo, a condizione che i relativi presupposti di fatto, anche se non interessati da specifica deduzione della parte interessata, siano stati acquisiti al giudizio di merito nel rispetto delle preclusioni assertive e istruttorie, ferma restando l'impossibilità di ammettere nuove prove funzionali alla dimostrazione degli stessi (Cass. n. 4867/2024, che ha confermato, sul punto, la declaratoria di inammissibilità, da parte del giudice di merito, dell'eccezione di nullità di un contratto di locazione, per essere stati introdotti i fatti posti a fondamento della stessa, per la prima volta, in vista dell'udienza di discussione della causa in appello);

per l'eccezione di nullità del contratto di mediazione per mancanza di iscrizione all'apposito albo (Cass. n. 14076/2002; Cass. n. 20749/2004); per l'eccezione di nullità per difetto di forma scritta del contratto stipulato con la pubblica amministrazione (Cass. n. 9779/2005); per l'eccezione di pagamento (Cass. n. 6350/2010; Cass. n. 4318/2016); per l'eccezione volta ad ottenere la riduzione della penale (Cass. n. 11710/2002; Cass. n. 24458/2007); per l'eccezione di concorso di colpa del danneggiato (Cass. n. 6529/2011); per l'eccezione volta a contestare il criterio di computo degli interessi, quando in primo grado se ne è genericamente contestata la misura (Cass. n. 1287/2002); per l'eccezione con cui l'impresa cessionaria di assicuratore in l.c.a. fa valere i limiti di massimale (Cass. n. 4485/2003; Cass. n. 18440/2005); per l'eccezione concernente l'individuazione del termine di prescrizione applicabile (Cass. n. 4238/2011) per l'eccezione di rinuncia alla prescrizione (Cass. n. 4804/2007); per l'eccezione concernente l'insussistenza delle condizioni di ammissibilità del giuramento decisorio (Cass. n. 24246/2004); 

per l’eccezione del proprietario convenuto in usucapione, che il bene sia stato goduto dal preteso possessore per mera tolleranza, sempre che la dimostrazione dei relativi fatti emerga dal materiale probatorio raccolto nel rispetto delle preclusioni istruttorie (Cass. n. 15653/2024); per l’eccezione di incapacità del contraente determinante l'annullabilità del contratto (Cass. n. 7469/2024).

Sono state ritenute nuove: l'eccezione volta a contestare l'effettiva titolarità attiva del rapporto giuridico (Cass. n. 12832/2009; ma v. Cass. n. 15832/2011, ed in sede di composizione del contrasto, nel senso dell’ammissibilità, Cass. S.U. n. 2951/2016); l'eccezione di inadempimento (Cass. n. 13746/2002; Cass. n. 6168/2011); l'eccezione di prescrizione (Cass. n. 9498/2003; Cass. n. 9303/2009); l'eccezione di usucapione (Cass. n. 10685/2002); l'eccezione di compromesso (Cass. n. 19865/2003); l'eccezione con cui l'erede deduce di aver accettato con beneficio di inventario (Cass. n. 14766/2007); l'eccezione con cui si contesta il quantum della pretesa, alla quale ci si era inizialmente detti estranei (Cass. n. 17563/2005); l'eccezione con cui si nega di essere locatori, dopo che in primo grado si era chiesto il pagamento del canone (Cass. n. 19170/2005); l'eccezione con cui si deduce che il pegno è irregolare e non regolare (Cass. n. 10629/2007); l'eccezione con cui si deduce l'illegittimità di una ritenuta di acconto (Cass. n. 27942/2005).

Le nuove prove

All'esito della riforma del 1990 è stata sancita la inammissibilità dei nuovi mezzi di prova in appello, eccezione fatta per:

a) i nuovi mezzi di prova indispensabili alla decisione della causa;

b) i nuovi mezzi di prova che la parte dimostri non aver potuto proporre nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile;

c) il giuramento decisorio.

Dopo l'ultima riforma del 2012 è caduto il limite all'inammissibilità consistente nell'indispensabilità del mezzo: e cioè la nuova prova dedotta in appello rimane inammissibile quantunque indispensabile.

Sono prove nuove non soltanto quelle che vertono su fatti diversi dai fatti oggetto di prova in primo grado, ma anche le prove diverse, fermi i fatti da provare, rispetto a quelle dedotto in primo grado.

Le prove che difettano del requisito della novità non per questo sono automaticamente ammissibili. Al contrario, occorre un apposito motivo di impugnazione ai fini della riproposizione in appello, da parte del soccombente, delle prove tempestivamente dedotte e non ammesse dal primo giudice, sempre che l'istanza di ammissione sia stata rinnovata nelle conclusioni definitive prese in primo grado (Cass. n. 19727/2003; Cass. n. 1691/2006; Cass. n. 3773/1995; Cass. n. 18327/2002; Cass. n. 9410/2011). Quanto alle prove testimoniali rivolte a contrastare le risultanze istruttorie acquisite in primo grado, la S.C. ne desume l'inammissibilità dal principio, di formazione pretoria, della infrazionabilità della prova orale (Cass. n. 9864/2005; Cass. n. 1873/2006; Cass. n. 12303/2011).

La nozione di indispensabilità, cui conviene tutt’ora accennare, trattandosi di concetto ancora rilevante per l’art. 437 c.p.c., è stata oggetto di ampio dibattito dottrinale (v. Luiso, 2000, 376) e di divaricate interpretazioni giurisprudenziali.

In prevalenza è ritenuta indispensabile, dalla S.C., la prova dotata di una attitudine probatoria particolarmente pregnante. Si tratterebbe, cioè, di prove che, secondo una valutazione ex ante, una volta espletate, non costituirebbero un semplice tassello da considerare ai fini della decisione, ma condurrebbero ineluttabilmente ad accogliere le conclusioni della parte che le abbia dedotte (p. es. Cass. n. 9120/2006; Cass. n. 21980/2009). Detta nozione è stata tuttavia posta in relazione all'atteggiarsi della sentenza di primo grado: sarebbe cioè da reputare indispensabile la prova che, avuto riguardo all'esito del giudizio, la parte non aveva modo di rappresentarsi come utile e necessaria (Cass. n. 7441/2011). La questione è stata rimessa alle Sezioni Unite (Cass. n. 22602/2016), che si sono pronunciate aderendo al primo degli indirizzi ricordati ed affermando che prova nuova indispensabile è quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (Cass. S.U., n. 10790/2017; da ult. Cass. n. 8551/2024). Viene insomma ribadito che indispensabile è la prova non soltanto ammissibile e rilevante, ma che possiede un'efficacia probatoria tale da indirizzare ineluttabilmente la decisione in un senso o nell'altro. Ovviamente, l'eventuale indispensabilità dei documenti nuovi è suscettibile di valutazione solo se la loro ammissione non sia stata richiesta in precedenza (Cass. n. 7410/2016).

L'indispensabilità della prova, secondo l'opinione preferibile (v. in argomento Cass. n. 5921/2016), non consente né la sua ammissione d'ufficio, né l'aggiramento di decadenze o preclusioni in cui la parte sia incorsa nel primo grado di giudizio (Cass. n. 3310/2004).

L'ammissibilità dei mezzi di prova che la parte dimostri non aver potuto proporre nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile è espressione del principio generale oggi sancito dall'art. 153, comma 2.

Al di fuori del divieto di nova si collocano i mezzi istruttori che il giudice può disporre d'ufficio. Nulla osta, dunque, a che il giudice d'appello disponga una consulenza tecnica o rinnovi quella già espletata in primo grado.

Il giuramento decisorio può essere deferito per la prima volta in appello, ma non può essere chiesto con la comparsa conclusionale.

La S.C. ha per lungo tempo ritenuto che il divieto di nuove prove stabilito dall'art. 345 si riferisse alle sole prove c.d. costituende, e non alle prove costituite, ossia ai documenti: e ciò essenzialmente sull'assunto che le nuove produzione documentali non si sarebbero poste in contrasto con la ratio della disposizione. La soluzione è stata ribaltata da una coppia di pronunce delle Sezioni Unite nel 2005, l'una riferita al rito ordinario, l'altra al rito del lavoro e, dunque, all'art. 437 (Cass. S.U., n. 8203/2005; Cass. S.U., n. 8203/2005). Il mutamento di rotta è stato motivato, soprattutto, dalla considerazione che la produzione in appello di nuovi documenti può dar luogo all'esigenza di svolgimento di ulteriori attività processuali (basti pensare al disconoscimento della scrittura ed al successivo procedimento di verificazione) tali da intralciare il sollecito svolgimento del giudizio, così ledendo il principio di ragionevole durata.

L'orientamento giurisprudenziale così riassunto si è quindi tradotto, con la novella del 2009 dell'art. 345, in dettato normativo. Difatti, il nuovo terzo comma della disposizione pone espressamente sullo stesso piano nuove prove e nuovi documenti, parimenti ammissibili (dopo l'ultima novella del 2012) solo in caso di non imputabilità della mancata produzione. E cioè, il divieto di produzione di nuovi documenti in appello, di cui al vigente art. 345, comma 3, c.p.c. - nel testo introdotto dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito con l. n. 134 del 2012 - può essere superato solo ove il giudice accerti che non era possibile provvedere al tempestivo deposito nel giudizio di primo grado, per causa non imputabile alla parte, restando a tal fine ininfluente l'indispensabilità del documento ai fini del decidere (Cass. n. 16289/2024).

In tale prospettiva, costituisce nuovo documento, ai sensi dell'art. 345, comma 3, c.p.c., la produzione dell'originale di un documento depositato in copia nel giudizio di primo grado, in quanto la novità cui allude la citata disposizione attiene al documento nella sua consistenza rappresentativa e non al solo contenuto (Cass. n. 34025/2022).

 

Nel giudizio di appello non è ammissibile, ai sensi dell'art. 345 c.p.c., la produzione di documenti (nella specie, referti medici) che, ancorché formati successivamente, rappresentano fatti già esistenti all'epoca del giudizio di primo grado e che avrebbero potuto essere formati in precedenza e tempestivamente prodotti (Cass. n. 21080/2024).È inoltre da ricordare che, qualora, al momento della decisione della causa in secondo grado, non si rinvengano nel fascicolo di parte i documenti già prodotti in primo grado e su cui la parte assume di aver basato la propria pretesa in giudizio, il giudice d'appello può decidere il gravame nel merito se non ne è stato allegato lo smarrimento, essendo onere della parte assicurarne al giudice di appello la disponibilità in funzione della decisione, quando non si versi nel caso di loro incolpevole perdita, con conseguente possibilità di ricostruzione previa autorizzazione giudiziale (Cass. n. 6645/2024). Peraltro,

in materia di prova documentale nel processo civile, il giudice d'appello può porre a fondamento della propria decisione il documento in formato cartaceo già prodotto e non rinvenibile nei fascicoli di parte apprezzandone il contenuto trascritto (oppure indicato) nella sentenza impugnata o in altro provvedimento o atto del processo ovvero, se lo ritiene necessario, può ordinare alla parte interessata di produrre, in copia o in originale, determinati documenti acquisiti nel primo grado (Cass. S.U., n. 4835/2024).

L'art. 345, comma 3 va interpretato nel senso che i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo e rimasti a disposizione della controparte, agli effetti dell'art. 638, comma 3, seppur non prodotti nuovamente nella fase di opposizione, rimangono nella sfera di cognizione del giudice di tale fase, in forza del principio «di non dispersione della prova» ormai acquisita al processo, e non possono perciò essere considerati nuovi, sicché, ove siano in seguito allegati all'atto di appello contro la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado, devono essere ritenuti ammissibili (Cass. S.U. n. 14475/2015).

Bibliografia

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