Codice di Procedura Civile art. 346 - Decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte.InquadramentoLa disposizione in commento. concorre con gli artt. 342 e 343 a disegnare il fondamentale connotato dell'appello, quale mezzo di impugnazione tale da comportare lo spostamento della cognizione dal primo al secondo giudice non già automaticamente ed in toto, bensì nei limiti delle censure spiegate alla sentenza impugnata (artt. 342 e 343) ovvero delle domande ed eccezioni riproposte ai sensi della norma in esame. All'espressione «non accolte» (come si è già sub art. 343, al cui commento si rinvia) possono attribuirsi significati diversi. Possono in astratto ricomprendersi tra le domande ed eccezioni non accolte: i) quelle sulle quali il giudice non abbia avuto modo di pronunciarsi per effetto di assorbimento (si immagini la domanda subordinata non esaminata per essere stata accolta la domanda principale, ovvero l'eccezione di pagamento non esaminata per essere stata accolta l'eccezione di prescrizione); ii) quelle che il giudice abbia esaminato e respinto; iii) quelle sulle quali il giudice abbia omesso di pronunciare.
L'ambito della riproposizioneIn effetti, il significato dell’espressione «non accolte», misurato sulle prime due ipotesi considerate (domande-eccezioni assorbite e domande-eccezioni respinte) si è modificato nel corso del tempo. Occorre innanzitutto sottolineare, in proposito, che l’onere di riproposizione riguarda, com’è ovvio, la sola parte vittoriosa, e non il soccombente, il quale è invece onerato dell’appello principale o incidentale, secondo i casi: poiché, come si è visto, possono intendersi come «non accolte» sia le sole domande ed eccezioni non esaminate perché giudicate assorbite, sia quelle espressamente disattese, l’ambito di applicazione dell’art. 346 va ad interferire con l’art. 343, dettato per l’appello incidentale: quanto più si amplia l’area dell’appello incidentale, infatti, tanto più si restringe quella della mera riproposizione prevista dall’art. 346 (v. sub art. 343). La S.C. ha rimesso in discussione l’orientamento senz’altro prevalente, secondo il quale era sufficiente alla parte vittoriosa nel merito, ma soccombente su alcune questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito (o anche di merito non preliminari), pure espressamente disattese dal primo giudice, la mera riproposizione della questione ai sensi dell’art. 346, perché essa fosse devoluta alla cognizione del giudice di appello. È stato così affermato che la parte risultata vittoriosa nel merito nel giudizio di primo grado, al fine di evitare la preclusione della questione di giurisdizione risolta in senso ad essa sfavorevole, è tenuta a proporre appello incidentale, non essendo sufficiente ad impedire la formazione del giudicato sul punto la mera riproposizione della questione, ai sensi dell’art. 346, in sede di costituzione in appello, stante l’inapplicabilità del principio di rilevabilità d’ufficio nel caso di espressa decisione sulla giurisdizione e la non applicabilità dell’art. 346 (riferibile, invece, a domande o eccezioni autonome sulle quali non vi sia stata decisione o non autonome e interne al capo di domande deciso) a domande o eccezioni autonome espressamente e motivatamente respinte, rispetto alle quali rileva la previsione dell’art. 329, comma 2, per cui in assenza di puntuale impugnazione opera su di esse la presunzione di acquiescenza (Cass. S.U., n. 25246/2008). Si è già rammentato nel commento all’art. 343, però, che la pronuncia non ha posto fine all’altro più risalente ed ampiamente diffuso orientamento (v. Cass. n. 24021/2010; Cass. n. 19828/2013), riassumibile in ciò, che la parte risultata vincitrice non è mai sottoposta all’onere di proposizione dell’appello incidentale, non avendovi interesse. Sicché la questione del significato della norma è stato nuovamente sottoposto all’esame delle Sezioni Unite, di cui si è dato conto nel commento all’art. 343. In breve la S.C. ha fissato il confine tra le due disposizioni, assumendo che un qualsiasi decisione di rigetto, espresso o sostenuto da un'enunciazione sia pure indiretta, ma chiara ed inequivoca, pur non inficiando la misura della vittoria nel merito, genera una soccombenza della parte, che deve avvalersi dell’impugnazione incidentale per sottoporre il relativo capo della sentenza resa in primo grado al giudice dell’impugnazione (Cass. S.U., n. 7700/2016; Cass. S.U., n. 11799/2017). Il tema del confine tra appello incidentale e riproposizione risulta però allo stato rimesso nuovamente alle Sezioni Unite (Cass. n. 3358/2024), su uno specifico profilo, da un’ordinanza interlocutoria volta a chiarire, nell’ipotesi di cumulo soggettivo passivo alternativo (e cioè in caso di domanda proposta contro più persone, tra le quali individuare il responsabile), se l’appellato vincitore in primo grado (dunque l’originario attore, che, p. es., abbia proposto la domanda contro Tizio, oppure Caio, oppure Sempronio, ed abbia vinto contro Tizio) sia tenuto, avanti all’appello principale del convenuto soccombente (nell’esempio fatto Tizio), a presentare appello incidentale, eventualmente condizionato, o a riproporre ex art. 346 c.p.c. le domande non accolte per evitare che, qualora l’appello principale sia accolto, passi definitivamente in giudicato la parte della decisione del primo giudice relativa alla posizione degli altri convenuti risultati non soccombenti. Si tratta di questione in effetti già risolta da Cass. S.U., 11202/2002, ma sulla base di principi poi superati dall’assetto giurisprudenziale di cui si è dato conto. Al di fuori dell’ambito di applicazione della norma in commento si collocano, invece, le domande non esaminate per vizio di omessa pronuncia, nel qual caso detto vizio va denunciato mediante appello, principale o incidentale (Poli, 2004, 336). Anche a tal riguardo, tuttavia, si rinvengono decisioni non sempre omogenee, giacché non mancano pronunce della S.C. le quali, per un verso, richiamano l’art. 346 anche nei riguardi del vizio di omessa pronuncia, e, per altro verso, sottolineano che la mancata riproposizione produce effetti meramente processuali e, dunque, non impedisce la riproposizione delle domande non accolte in separato giudizio. Vale ancora rammentare che la riproposizione di domande ed eccezioni deve essere effettuata in modo non generico, ma chiaro e preciso (Cass. n. 7728/1986; Cass. n. 9233/2006; Cass. n. 10796/2009; Cass. n. 23925/2010; Cass. n. 25840/2020). Si è inoltre precisato che nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla l. n. 353/1990 e dalle successive modifiche, le parti del processo di impugnazione, nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale ex art. 343), a riproporre ai sensi dell’art. 346 le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel thema probandum e nel thema decidendum del giudizio di primo grado (Cass. S.U., n. 7940/2019). Sussiste l’onere di riproposizione per la domanda subordinata non accolta per essere stata accolta la principale (Cass. n. 15003/2004); in caso di accoglimento della domanda alternativamente proposta nei confronti di più convenuti (Cass. S.U., n. 11202/2002, ma si è detto poc’anzi che la questione è stata nuovamente sottoposta alle Sezioni Unite; Cass. n. 65/2009; Cass. n. 4235/2009; Cass. n. 3253/2012); in caso di domanda proposta cumulativamente contro più persone ed accolta contro una di esse (Cass. n. 11276/2005); per far valere una causa petendi posta a sostegno della domanda e «non accolta» dal primo giudice (Cass. n. 3392/1998; Cass. n. 5065/2000; Cass. n. 12162/2007; ma v. Cass. n. 9479/2009). 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