Codice di Procedura Civile art. 348 ter - [Pronuncia sull'inammissibilità dell'appello] 1

Mauro Di Marzio

[Pronuncia sull'inammissibilità dell'appello]1

[[I]. All'udienza di cui all'articolo 350 il giudice, prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, dichiara inammissibile l'appello, a norma dell'articolo 348-bis, primo comma, con ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi. Il giudice provvede sulle spese a norma dell'articolo 91.]

[[II]. L'ordinanza di inammissibilità è pronunciata solo quando sia per l'impugnazione principale che per quella incidentale di cui all'articolo 333 ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell'articolo 348-bis. In mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza.]

[[III]. Quando è pronunciata l'inammissibilità, contro il provvedimento di primo grado può essere proposto, a norma dell'articolo 360, ricorso per cassazione. In tal caso il termine per il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado decorre dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, dell'ordinanza che dichiara l'inammissibilità. Si applica l'articolo 327, in quanto compatibile.]

[[IV]. Quando l'inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione di cui al comma precedente può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell'articolo 360.]

[[V]. La disposizione di cui al quarto comma si applica, fuori dei casi di cui all'articolo 348-bis, secondo comma, lettera a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello che conferma la decisione di primo grado.]

 

[1] Articolo inserito dall'art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modif., in l. 7 agosto 2012, n. 134. La disposizione si applica ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto stesso, con i limiti di applicabilità previsti dal terzo comma dello stesso art. 54 del d.l. n. 83. Successivamente abrogato dall'art. 3, comma 26,  lett. e), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come  sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.- 4. Le norme dei capi I e II del titolo III del libro secondo e quelle degli articoli 283, 434, 436-bis, 437 e 438 del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto, si applicano alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023".

Inquadramento

La disposizione è stata abrogata dalla Riforma Cartabia (d.lgs n. 149/2022). Si lascia il commento precedente all'abrogazione.

La disposizione in commento stabilisce che all'udienza di cui all'art. 350, prima di procedere alla trattazione, il giudice, sentite le parti, provvede a dichiarare inammissibile l'appello a norma dell' art. 348-bis con ordinanza succintamente motivata anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi, regolando altresì le spese di causa.

Rammentate le attività da compiersi all'udienza prevista dall'art. 350 (verifica della regolare instaurazione del contraddittorio, con quanto ne segue in ordine all'eventuale rinnovazione della notificazione ovvero alla dichiarazione di contumacia; adozione dei provvedimenti di cui agli artt. 331 e 332; adozione dei provvedimenti necessari alla riunione degli appelli eventualmente proposti contro la stessa sentenza; eventuale tentativo di conciliazione), non sembra potersi dubitare che l'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità non possa che seguire alla verifica della regolare instaurazione del contraddittorio e all'assunzione dei consequenziali provvedimenti eventualmente necessari, oltre che alla riunione dei diversi appelli proposti contro la medesima sentenza. La definizione del giudizio di impugnazione, sia pure attraverso l'ordinanza di cui all'art. 348-bis, presuppone necessariamente infatti, a monte, che una regolare instaurazione del contraddittorio vi sia stata: il che è ulteriormente comprovato dalla significativa previsione dell'obbligo del giudice, previsto in sede di conversione del d.l. n. 83/2012, che ha introdotto la nuova norma, di sentire le parti.

La lettera della legge consente dunque, per un verso, di escludere che l'ordinanza di inammissibilità possa essere pronunciata prima ancora dell'udienza, ma, per altro verso, non impedisce che la stessa ordinanza exart. 348-bis sia pronunciata, in determinati casi, in una udienza successiva alla prima. Ciò accadrà fisiologicamente nei casi di rinnovazione della citazione in appello; di integrazione del contraddittorio o di notificazione dell'impugnazione relativa a cause scindibili; di riunione degli appelli, nei casi in cui il provvedimento di riunione debba essere assunto per il tramite dell'intervento del presidente del tribunale o della corte d'appello e, dunque, imponga il rinvio.

La norma stabilisce che l'ordinanza dichiarativa della inammissibilità è pronunciata in udienza, ma non v'è ragione di dubitare che il giudice possa utilizzare lo strumento della riserva, ai sensi dell'art. 186, applicabile anche nella specie attraverso il rinvio operato dall'art. 359.

Viceversa, è da escludere che l'ordinanza di cui all'art. 348-bis possa essere pronunciata dopo che, dato corso alla trattazione, l'impugnazione sia stata trattenuta in decisione tanto secondo il modulo decisorio previsto dall'art. 352 (precisazione delle conclusioni e scambio delle conclusionali e repliche), quanto secondo quello dettato dall'art. 281-sexies.

L'obbligo di sentire le parti

L'espressione «sentite le parti», introdotta in sede di conversione del d.l. n. 83/2012, è stata probabilmente adottata anzitutto al fine di impedire che il «filtro» previsto dalla nuova norma potesse essere cameralizzato e, cioè, che l'ordinanza di cui all'art. 348-bis potesse essere pronunciata prima ancora ed indipendentemente dalla prima udienza. Secondo la S.C. il giudice d'appello, se ha sentito le parti, può pronunciare l'ordinanza exart. 348-bis in un'udienza anteriore a quella exart. 350 o fissata ex art. 351, comma 3, a fini inibitori, atteso che l'effetto semplificatorio e acceleratorio di tale anticipazione della dichiarazione di inammissibilità dell'appello non comporta alcuna lesione del diritto di difesa dell'appellante (Cass. n. 12293/2016). La soluzioni desta perplessità, dal momento che l'udienza di cui all'art. 350 è finalizzata all'osservanza di incombenti che devono necessariamente precedere la decisione.

L'inciso induce tuttavia ad ulteriori considerazioni. Non c'è dubbio che il giudice possa pronunciare l'ordinanza di inammissibilità anche d'ufficio, indipendentemente da una istanza dell'appellato. L'obbligo di sentire le parti comporta poi che il giudice di appello debba preavvisare le medesime della possibile decisione dell'impugnazione mediante l'ordinanza di cui all'art. 348-bis, sottoponendo tale eventualità al dibattito processuale: l'adozione del modulo di lavoro di cui si è detto, collocato in un momento antecedente allo svolgimento dell'udienza, rende indispensabile che le parti possono interloquire sul punto.

La pronuncia sulle spese

Stabilisce la norma in commento che l'ordinanza di cui all'art. 348-bis contiene la pronuncia sulle spese. Ciò costituisce naturale proiezione della regola generale dettata dall'art. 91 secondo cui la statuizione sulle spese presuppone una decisione definitiva del giudizio, non importa se di rito o di merito.

È noto, d'altronde, che l'art. 91, secondo il quale il giudice con la sentenza che chiude il processo condanna la parte soccombente al rimborso delle spese, trova applicazione con riguardo ad ogni provvedimento, ancorché reso in forma di ordinanza o decreto, che, nel risolvere contrapposte posizioni elimini il procedimento davanti al giudice che lo emette, quando si renda necessario ristorare la parte vittoriosa degli oneri inerenti al dispendio di attività processuale legata da nesso causale con l'iniziativa dell'avversario (Cass.S.U., n. 6066/1983Cass. n. 5832/1984).

L'ambito di applicazione

L'art. 348-bis stabilisce che, in caso di impugnazione incidentale tempestiva, prevista dall'art. 333, la declaratoria di inammissibilità è possibile soltanto se per entrambi gli appelli, principale e incidentale, ricorrono i presupposti di cui all'art. 348-bis.

La previsione concorre a delimitare l'ambito di applicabilità dell'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità dell'appello, di cui si è già discorso nel commento alla citata disposizione.

Qui bisogna aggiungere e sottolineare che la norma in commento, nel prevedere l'impiego dell'ordinanza di inammissibilità nel solo caso di mancanza di probabilità di accoglimento-manifesta infondatezza tanto dell'impugnazione principale quanto di quella incidentale, si riferisce espressamente alla sola impugnazione incidentale tempestiva, attraverso il richiamo dell'art. 333.

Non è invece richiamato il successivo art. 334, concernente le impugnazioni incidentali tardive: la quale cosa sembra avere una giustificazione del tutto evidente, dal momento che l'inammissibilità dell'impugnazione principale, sia pure per mancanza di probabilità di accoglimento-manifesta infondatezza, rende perciò stesso inefficace-inammissibile l'impugnazione incidentale, ai sensi del comma 2 della disposizione, ben prima dello scrutinio della sua (astrattamente possibile) fondatezza.

Ai procedimenti in materia di protezione internazionale regolati dalla disciplina previgente al d.l. n. 13/2017 (conv. con modif. in l. n. 46 del 2017), non si applica il disposto dell'art. 348 ter, comma 5, ove è escluso il ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 5), contro la decisione di appello che confermi quella di primo grado, poiché si tratta di procedimenti attinenti al riconoscimento di uno status personale, che richiedono l'intervento necessario del pubblico ministero, al quale l'abrogato art. 19, comma 6, d.lgs. n. 150/2011 (applicabile ratione temporis) prevedeva che fosse data comunicazione del ricorso e del decreto di fissazione di udienza (Cass. n. 2010/2021).

L'impugnazione della sentenza di primo grado e l'impugnabilità dell'ordinanza

L'ordinanza di inammissibilità dell'appello fa sì che contro il provvedimento di primo grado possa essere proposto ricorso per cassazione nell'ordinario termine breve decorrente dalla comunicazione o notificazione (se anteriore) dell'ordinanza ovvero nel c.d. termine lungo ex art. 327 se ne ricorrono i presupposti.

La formula adottata dal legislatore richiama quella dell'art. 669-terdecies. Nel nostro caso, però, manca il riferimento alla «pronuncia in udienza», sicché è da credere che la lettura dell'ordinanza di inammissibilità in udienza non faccia decorrere il termine breve. In senso contrario la S.C. ha affermato che in caso di declaratoria di inammissibilità dell'appello ai sensi dell'art. 348-bis, allorché la relativa ordinanza sia stata pronunciata in udienza, il termine per proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, da identificare in quello breve di cui all'art. 325, comma 2, decorre dall'udienza stessa per le parti presenti, o che avrebbero dovuto esserlo, secondo la previsione di cui all'art. 176 (Cass. n. 25119/2015).

In mancanza di comunicazione o notificazione dell'ordinanza troverà applicazione il termine lungo di cui all'art. 327. Nel caso in esame, tuttavia, il termine in questione, quantunque il ricorso per cassazione sia indirizzato contro la sentenza di primo grado, deve essere computato dalla pronuncia dell'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità, non dalla pronuncia della sentenza di primo grado. Ed infatti, in caso di declaratoria di inammissibilità dell'appello, ai sensi dell'art. 348 bis, il termine per proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado - decorrente, a norma del successivo art. 348-ter, dalla comunicazione (o notificazione, se anteriore) dell'ordinanza che ha dichiarato inammissibile il gravame - si identifica in quello breve di cui all'art. 325, comma 2, dovendo intendersi pertanto il riferimento all'applicazione dell'art. 327 «in quanto compatibile» (contenuto nel medesimo art. 348-ter), come limitato ai casi in cui tale comunicazione (o notificazione) sia mancata (Cass. n. 25115/2015).

L'art. 348-ter non dice espressamente che l'ordinanza di inammissibilità non è impugnabile. Ma la non impugnabilità è conseguenza diretta ed evidente della previsione, a seguito dell'ordinanza di inammissibilità, dell'impugnazione della sentenza di primo grado.

In un primo tempo la S.C. ha affermato che il ricorso per cassazione, sia ordinario che straordinario, non è mai esperibile avverso l'ordinanza che dichiari l'inammissibilità dell'appello ex art. 348-bis, e ciò a prescindere dalla circostanza che essa sia stata emessa nei casi in cui ne è consentita l'adozione, ovvero al di fuori di essi, ostando, quanto all'esperibilità del ricorso ordinario, la lettera dell'art. 348-ter , comma 3 (che definisce impugnabile unicamente la sentenza di primo grado), mentre, quanto al ricorso straordinario, la non definitività dell'ordinanza, dovendosi valutare tale carattere con esclusivo riferimento alla situazione sostanziale dedotta in giudizio, della quale si chiede tutela, e non anche a situazioni aventi mero rilievo processuale, quali il diritto a che l'appello sia deciso con ordinanza soltanto nei casi consentiti, nonché al rispetto delle regole processuali fissate dall'art. 348-ter (Cass. n. 8940/2014).

Insorto contrasto su tale indirizzo, si sono pronunciate le Sezioni Unite, secondo cui l'ordinanza di inammissibilità dell'appello resa ex art. 348-ter è ricorribile per cassazione, ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, per mero esempio, l'inosservanza delle specifiche previsioni di cui agli artt. 348-bis, comma 2, e 348-ter, commi 1, primo periodo e 2, primo periodo), purché compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso. Perciò, la decisione che pronunci l'inammissibilità dell'appello per ragioni processuali, ancorché adottata con ordinanza richiamante l'art. 348-ter ed eventualmente nel rispetto della relativa procedura, è impugnabile con ricorso ordinario per cassazione, trattandosi, nella sostanza, di una sentenza di carattere processuale che, come tale, non contiene alcun giudizio prognostico negativo circa la fondatezza nel merito del gravame, differendo, così, dalle ipotesi in cui tale giudizio prognostico venga espresso, anche se, eventualmente, fuori dei casi normativamente previsti. L'ordinanza di inammissibilità dell'appello resa ex art. 348-ter, inoltre, non è ricorribile per cassazione, nemmeno ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., ove si denunci l'omessa pronuncia su un motivo di gravame, attesa la natura complessiva del giudizio «prognostico» che la caratterizza, necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza ed a tutti i motivi di ciascuna di queste, ponendosi, eventualmente, in tale ipotesi, solo un problema di motivazione (Cass. S.U.,  n. 1914/2016).

L'ordinanza di inammissibilità resa ex art.  348-bis che contenga, accanto alla valutazione complessiva, in chiave prognostica, dei motivi di gravame, anche una ulteriore statuizione di inammissibilità delle istanze istruttorie formulate in primo grado, assume il carattere sostanziale di sentenza, impugnabile con l'ordinario ricorso per cassazione, solo quando le ragioni rilevate ex novo dal giudice di appello si sovrappongano a quelle della decisione di primo grado, in applicazione della efficacia sostitutiva propria della sentenza di appello, sicché quando la pronuncia «aggiuntiva» non integri una autonoma ratio decidendi, tale da esaurire o elidere la valutazione di «manifesta infondatezza», il motivo di ricorso per cassazione proposto avverso tale ulteriore statuizione va dichiarato inammissibile, per difetto di interesse, restando invece ricorribili avanti la S.C., ai sensi dell' art. 348-ter,  comma 3, gli accertamenti già compiuti in primo grado (Cass. n. 15776/2016).

Peraltro, l'ordinanza di inammissibilità dell'appello ex art. 348-bis non è impugnabile con ricorso per cassazione quando confermi le statuizioni di primo grado, pur se attraverso un percorso argomentativo «parzialmente diverso» da quello seguito nella pronuncia impugnata, non configurandosi, in tale ipotesi, una decisione fondata su una ratio decidendi autonoma e diversa né sostanziale né processuale (Cass. n. 23334/2019 ).

Occorre poi chiedersi se è impugnabile per cassazione l'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità pronunciata dopo il rinvio per trattazione e prima ancora di tale udienza. L'art. 348-ter prevede la pronuncia sull'inammissibilità dell'appello «all'udienza di cui all'art. 350… prima di procedere alla trattazione, sentite le parti».

La facoltà per il giudice d'appello di rendere l'ordinanza ex art. 348-bis deve dunque essere esercitata all'udienza di cui all'art. 350 prima di procedere alla trattazione, sicché tale facoltà è preclusa ove, una volta effettuati gli adempimenti di cui al comma 2 del medesimo art. 350, quali l'aver dato atto della presenza delle parti, della costituzione della parte appellata e dell'avvenuto scambio della relativa comparsa, venga disposto un rinvio «per la trattazione» ad un'udienza successiva. E il conseguente vizio dell'ordinanza può essere fatto valere con ricorso per cassazione, trattandosi di violazione della legge processuale (Cass. n. 14696/2016, la quale ha fatto applicazione del principio formulato da Cass., S.U., n. 1914/2016).

È ancora da ritenere che, in caso di ordinanza pronunciata fuori dei casi previsti dalla legge, il soccombente possa impugnare sia la sentenza che l'ordinanza (è una fattispecie esaminata ad esempio da Cass. n. 14696/2016). Se il ricorrente per cassazione impugna sia l'ordinanza che la sentenza, l'esame dei motivi concernenti l'ordinanza è logicamente preliminare rispetto a quelli riguardanti la sentenza: lo dice espressamente Cass. n. 25456/2016. Se è così, la Corte di cassazione, una volta accolto il ricorso contro l'ordinanza,  casserà e rinvierà al giudice d'appello, con automatico assorbimento dei motivi proposti contro la sentenza di primo grado.

In caso di proposizione del ricorso per cassazione sia contro la sentenza che contro l'ordinanza pronunciata fuori dei casi previsti dalla legge si pongono poi questioni in ordine al termine applicabile. L'art. 348-ter si sofferma solo sul termine per l'impugnazione della sentenza di primo grado: a) 60 giorni, previsti dall'art. 325, dalla comunicazione-notificazione dell'ordinanza; b) sei mesi, previsti dall'art. 327, dal deposito dell'ordinanza (qualora risulti omessa la comunicazione e manchi anche la notificazione, opera il termine lungo di cui all'art. 327: Cass. n. 25968/2016). Nulla la norma dice con riguardo al termine per l'impugnazione con il ricorso straordinario per cassazione dell'ordinanza di inammissibilità pronunciata fuori dei casi previsti dalla legge. Qualora risulti ricorribile per cassazione, l'ordinanza ex art. 348-bis, dichiarativa dell'inammissibilità dell'appello, va impugnata con lo stesso ricorso proposto avverso la sentenza di primo grado e nei termini prescritti dall'art. 348-ter,  comma 3, e, dunque, ove l'ordinanza sia stata comunicata, nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione, sia perché è logicamente prioritario l'esame dell'impugnazione dell'ordinanza rispetto alla sentenza, sia perché, applicando all'ordinanza il termine lungo dalla comunicazione ex art. 327, il decorso di distinti termini per impugnare i due provvedimenti comporterebbe il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, rendendo incomprensibile la ricorribilità avverso l'ordinanza (Cass. n. 25456/2016).

La S.C. si è soffermata poi sul quesito se quando si impugna per cassazione la sentenza, si debbano indicare i motivi d'appello ed il contenuto dell'ordinanza di inammissibilità. Non v'è dubbio, al riguardo, che la Corte di cassazione, quando esamina il ricorso contro la sentenza di primo grado ai sensi del comma 3 dell'art. 348 ter, deve sapere che cos'è successo dinanzi algiudice d'appello: e, cioè, quali erano i motivi, ed anche quale è stato il contenuto del provvedimento adottato. Nel ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, proponibile ai sensi dell'art. 348-ter, comma 3, l'atto d'appello, dichiarato inammissibile, e la relativa ordinanza, pronunciata ai sensi dell'art. 348-bis, costituiscono requisiti processuali speciali di ammissibilità, con la conseguenza che, ai sensi dell'art. 366, n. 3, è necessario che nel suddetto ricorso per cassazione sia fatta espressa analitica menzione almeno dei motivi di appello, se non pure della motivazione dell'ordinanza ex art. 348-bis, al fine di evidenziare l'insussistenza di un giudicato interno sulle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità e già prospettate al giudice del gravame (Cass. n. 26936/2016 e la giurisprudenza ivi richiamata in motivazione).

Rammentato il precetto posto dall'art. 369, secondo cui con il ricorso per cassazione, per lo scopo della verifica della sua tempestività, deve essere depositata copia autentica della sentenza impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta, si deve considerare che, in caso di impugnazione della sentenza di primo grado ai sensi dell'art. 348-ter, ciò che occorre alla Corte di cassazione per lo scopo della verifica della tempestività del ricorso contro detta sentenza è l'ordinanza di inammissibilità. In proposito sorge il quesito se colui che ricorre contro la sentenza di primo grado ai sensi del comma 3 dell'art. 348-ter sia onerato a pena di improcedibilità della produzione della copia comunicata-notificata dell'ordinanza dichiarativa di inammissibilità. Le Sezioni Unite (Cass., S.U., n. 25513/2016) hanno affermato:

-) nell'ipotesi di ordinanza d'inammissibilità dell'appello emessa ai sensi dell'art. 348-bis, per non avere l'impugnazione una ragionevole probabilità di essere accolta, il conseguente ricorso per cassazione proponibile in base all'art. 348-ter, comma 3, contro la sentenza di primo grado nel termine di 60 gg. dalla comunicazione dell'ordinanza stessa o dalla sua notificazione, se avvenuta prima, è soggetto, ai fini del requisito di procedibilità ex art. 369, comma 2, n. 2, ad un duplice onere, quello di deposito della copia autentica della sentenza di primo grado e quello, inerente alla tempestività del ricorso, di provare la data di comunicazione o di notifica dell'ordinanza d'inammissibilità;

-) tale secondo onere è assolto dal ricorrente mediante il deposito della copia autentica dell'ordinanza con la relativa comunicazione o notificazione; in difetto, il ricorso è improcedibile ai sensi dell'art. 369, comma 2 n. 2, salvo in esito alla trasmissione del fascicolo d'ufficio da parte della cancelleria del giudice a quo, che il ricorrente ha l'onere di richiedere ai sensi del comma 3 del predetto articolo, la Corte, nell'esercitare il proprio potere officioso di verificare la tempestività dell'impugnazione, rilevi che quest'ultima sia stata proposta nei 60 gg. dalla comunicazione o notificazione ovvero, in mancanza dell'una e dell'altra, entro il termine c.d. lungo di cui all'art. 327;

-) il ricorso per cassazione proposto in base all'art. 348-ter comma 3, contro la sentenza di primo grado, non è soggetto, a pena d'inammissibilità, alla specifica indicazione della data di comunicazione o di notificazione, se avvenuta prima, dell'ordinanza che ha dichiarato inammissibile l'appello, in quanto l'art. 366, comma 1, n. 6, si riferisce unicamente agli atti processuali e ai documenti da cui i motivi d'impugnazione traggono il proprio sostegno giuridico quali mezzi diretti all'annullamento del provvedimento impugnato.

Secondo le Sezioni Unite, considerato che il ricorrente per cassazione contro la sentenza di primo grado non è onerato dell'indicazione della data in cui l'ordinanza di inammissibilità gli è stata comunicata-notificata, egli è tenuto a pena di improcedibilità a provare la data di comunicazione o di notificazione dell'ordinanza di inammissibilità, ma se non lo prova sarà il giudice di Cassazione a verificare se il ricorso per cassazione è tempestivo oppure no in base a quanto emerge dal fascicolo del controricorrente e dal fascicolo d'ufficio.

Più di una decisione ha affermato che il termine per l'impugnazione della sentenza di primo grado inizia il suo corso dalla comunicazione dell'ordinanza «restando irrilevante che la comunicazione sia integrale o meno». Questo il principio: «La novella dell'art. 133, comma 2, secondo cui la comunicazione, da parte della cancelleria, del testo integrale del provvedimento depositato non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all'art. 325, è finalizzata a neutralizzare gli effetti della generalizzazione della modalità telematica della comunicazione, se integrale, di qualsiasi tipo di provvedimento, ai fini della normale decorrenza del termine breve per le impugnazioni solo in caso di atto di impulso di controparte. Tale novella, però, non incide, lasciandole in vigore, sulle norme processuali, derogatorie e speciali che ancorino la decorrenza del termine breve alla mera comunicazione di un provvedimento da parte della cancelleria, restando irrilevante che la comunicazione sia integrale o meno, salvo che in concreto risulti del tutto impossibile ricavare dalla comunicazione del dispositivo o dal tenore del biglietto di cancelleria che si tratti effettivamente di ordinanza resa ai sensi del predetto art. 348-ter, in quanto tale, idonea a far decorrere il termine ordinario suddetto avverso il provvedimento di primo grado (Cass. n. 23526/2014Cass. n. 5003/2016).

In difetto sia della comunicazione che della notificazione dell'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità grava sul ricorrente la relativa allegazione (non la prova: sarà il controricorrente a dover provare che, invece, l'ordinanza è stata comunicata-notificata) per poter fruire del termine dell'art. 327 (si veda per tutte Cass., S.U., n. 25513/2016).

Sulla scorta della disciplina dettata dal legislatore, dunque, chi esercita il diritto di ricorrere per cassazione a norma dell'art. 348-ter, comma 3, per dimostrare la sua tempestività, qualora proponga il ricorso oltre i sessanta giorni dalla pubblicazione dell'ordinanza, potendo detta comunicazione avvenire fino dallo stesso giorno della pubblicazione, è tenuto ad allegare, se la comunicazione sia mancata al momento in cui notifica il ricorso, che essa non è avvenuta e, gradatamente, che non è avvenuta la notificazione e che, pertanto, propone il ricorso fruendo del c.d. termine lungo (Cass. n. 12169/2016). In mancanza dell'allegazione, secondo questa pronuncia, il ricorso per cassazione è inammissibile.

I limiti di ammissibilità del ricorso per cassazione in caso di «doppia conforme»

Aggiunge il comma 4 dell'art. 348-ter che se l'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado, il ricorso per cassazione avverso quest'ultima è limitato ai motivi di cui all'art. 360, nn. 1-4. È cioè escluso il ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, secondo l'attuale previsione del n. 5 dell'art. 360.

La limitazione del ricorso per cassazione in caso di «doppia conforme», infine, si applica, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 348-ter anche nel caso che l'appello sia definito non con ordinanza ma, secondo il modello decisorio ordinario, con sentenza: sempre che, anche in tal caso, il giudice di appello abbia fondato la propria decisione sulle stesse ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado.

Per superare la preclusione posta dall'art. 348-ter, commi 4 e 5, ed impugnare la sentenza di primo grado per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, occorre dunque raffrontare la motivazione della sentenza di primo grado e quella, secondo i casi, dell'ordinanza o della sentenza d'appello, e dimostrare che le ragioni in fatto dell'una non sono le ragioni in fatto dell'altra.

Il giudizio di rinvio

Secondo il novellato art. 383, infine, nell'ipotesi in cui la S.C. accolga il ricorso per motivi diversi da quelli indicati all'art. 382 (questioni di giurisdizione o competenza), essa rinvia la causa al giudice che avrebbe dovuto giudicare sull'appello, con applicazione delle regole del giudizio di rinvio (artt. da 392 a 394). La scelta del legislatore è stata criticata da chi ha sostenuto che, a seguito della cassazione della sentenza di primo grado, il giudizio di appello dovrebbe svolgersi nelle forme del giudizio ordinario, e non in quelle del giudizio di rinvio.

Bibliografia

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