Codice di Procedura Civile art. 353 - [Rimessione al primo giudice per ragioni di giurisdizione] 1

Mauro Di Marzio

[Rimessione al primo giudice per ragioni di giurisdizione]1

 

[1] Articolo così sostituito dall'art. 39 l. 14 luglio 1950, n. 581; successivamente modificato dall'art. 89 l. 26 novembre 1990, n. 353 e dall'art. 46, comma 19, lett. a) e b), della l. 18 giugno 2009, n. 69 (legge di riforma 2009), con effetto a decorrere dal 4 luglio 2009 e, da ultimo, abrogato dall'art. 3, comma 26,  lett. m), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituitodall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.- 4. Le norme dei capi I e II del titolo III del libro secondo e quelle degli articoli 283, 434, 436-bis, 437 e 438 del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto, si applicano alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023".Si riporta il testo anteriore alla suddetta abrogazione«[I]. Il giudice d'appello, se riforma la sentenza di primo grado dichiarando che il giudice ordinario ha sulla causa la giurisdizione negata dal primo giudice, pronuncia sentenza con la quale rimanda le parti davanti al primo giudice. [II]. Le parti debbono riassumere il processo nel termine perentorio di tre mesi dalla notificazione della sentenza [285, 3073; 125, 126 att.].[III]. Se contro la sentenza d'appello è proposto ricorso per cassazione [360], il termine è interrotto.».

Inquadramento

La disposizione è stata abrogata dalla Riforma Cartabia (d.lgs n. 149/2022). Si lascia il commento precedente all'abrogazione.

L'istituto della rimessione al primo giudice si correla per un verso al meccanismo di conversione delle nullità in motivi di impugnazione, per altro al principio del doppio grado di giurisdizione.

Per effetto della previsione dell'art. 161 secondo cui la nullità delle sentenze soggette ad appello o a ricorso per cassazione può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie di questi mezzi di impugnazione, la deduzione in appello della nullità della sentenza di primo grado — salvo il vaso del difetto di sottoscrizione della sentenza da parte del giudice, menzionato al comma 2 della citata disposizione — rende operante il consueto congegno devolutivo che caratterizza l'appello, con la conseguenza che il giudice di appello viene investito della cognizione della controversia entro l'intero spettro delle doglianze sollevate dall'appellante.

Il congegno di conversione delle nullità e di devoluzione di quanto è appellato va però coordinato col principio del doppio grado di giurisdizione, che, pur privo di copertura costituzionale, permea l'ordinamento processuale ed impone la retrocessione del procedimento nei casi in cui il giudizio di primo grado non abbia affatto avuto luogo o, comunque, non si sia utilmente svolto (Balena, 1984, 3; Olivieri, 134). In tale prospettiva, i casi di rimessione al primo giudice, ai sensi degli artt. 353 e 354, costituiscono deroga alla regola della conversione delle nullità, in vista della garanzia, nei casi considerati, del doppio grado di giurisdizione.

I casi di rimessione al primo giudice sono perciò generalmente ritenuti tassativi e, così, insuscettibili non solo di applicazione analogica, ma anche di interpretazione estensiva (Contra, però, v. Sassani, 1990, 198, che ammette l'analogia nei casi di rilievo in appello di taluni gravi vizi del procedimento suscettibili di sanatoria ex tunc). L'opinione della tassatività è pressoché ferma nella giurisprudenza.

La sentenza, con cui il giudice d'appello riforma o annulla la decisione di primo grado e rimette la causa al giudice a quoexartt. 353 e 354, è immediatamente impugnabile con ricorso per cassazione, trattandosi di sentenza definitiva, che non ricade nel divieto, dettato dall'art. 360, comma 3, di separata impugnazione in cassazione delle sentenze non definitive su mere questioni, per tali intendendosi solo quelle su questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito che non chiudono il processo dinanzi al giudice che le ha pronunciate (Cass. S.U. n. 25774/2015; Cass. S.U., n. 10015/2021).

La rimessione per ragioni di giurisdizione

La norma in esame prevede la rimessione al primo giudice quando in appello è riformata la sentenza impugnata ed è riconosciuta sussistente la giurisdizione negata dal giudice di primo grado: ciò perché in un simile caso un giudizio di primo grado sulla domanda è mancato del tutto, il che rende necessario che esso riprenda dal punto di partenza, nel rispetto del principio del doppio grado di giurisdizione. In caso di pronuncia sulla giurisdizione possono darsi altresì le ulteriori seguenti combinazioni:

i) se il giudice di appello riforma la sentenza di primo grado negando la giurisdizione affermata invece dal primo giudice, la sentenza di appello non comporta rimessione ed ha carattere meramente rescindente, chiudendo in tal modo il giudizio;

ii) se il giudice di appello conferma la sentenza con cui il primo giudice aveva affermato o negato la propria giurisdizione neppure ha luogo rimessione.

È stato stabilito che, in caso di cassazione della sentenza d'appello che, confermando la sentenza di primo grado aveva negato la giurisdizione, il giudice di legittimità, nell'affermare invece la giurisdizione, non deve rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell'art. 353, se può decidere la causa nel merito, ai sensi dell'art. 384, comma 2, senza necessità di ulteriori accertamenti in fatto, operando la rimessione nel solo caso di rinvio al giudice di merito, tenuto conto del principio di ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Cost. (così Cass.S.U., n. 9946/2009).

Il giudice di appello, riformata la sentenza che ha declinato la giurisdizione, deve necessariamente rimettere le parti al primo giudice per la rinnovazione del giudizio: in mancanza, se decide nel merito, la sentenza è nulla, e la nullità va fatta valere attraverso il ricorso per cassazione, all'esito del quale spetta alla S.C. rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell'art. 383. Viceversa, se la sentenza impugnata, pur adottando la formula della dichiarazione del difetto di giurisdizione, contiene in effetti una pronuncia di rigetto il giudice di appello non deve rimettere la causa al primo giudice (Cass.S.U., n. 7339/1998).

La sentenza del giudice d'appello che dichiari sussistente la giurisdizione negata dal giudice di primo grado e rimetta l'intera causa dinanzi a lui, a norma dell' art. 353 , comma 1, deve in particolare intendersi riferita a tutte le domande proposte nel giudizio di primo grado, ma la statuizione sulla giurisdizione, ove passata in giudicato, è vincolante nelle successive fasi del processo, senza possibilità di rimetterla in discussione in sede di impugnazione della sentenza emessa sul merito della controversia dal tribunale innanzi al quale la causa sia stata riassunta (Cass. n. 10504/2019).

In caso di cumulo di domande scindibili, la rimessione deve avvenire solo per quelle riguardo alle quali il giudice d'appello abbia affermato la giurisdizione, negata dal primo giudice (Cass. n. 6547/1998Cass. n. 5020/2009). Diversamente, in caso di riunione in appello di procedimenti aventi ad oggetto le impugnazioni di due sentenze rese su domande sovrapponibili, qualora una delle due abbia erroneamente dichiarato il difetto di giurisdizione e l'altra abbia deciso nel merito, non va disposta la rimessione (Cass. n. 60/2003).

La sentenza con la quale il giudice di appello riforma la sentenza di primo grado affermando la giurisdizione negata dal primo giudice deve contenere anche la pronuncia sulle spese in ossequio al principio della soccombenza (Cass.S.U., n. 583/1999).

La riassunzione della causa

A seguito della sentenza di rimessione al primo giudice le parti debbono riassumere il processo entro il termine perentorio di tre mesi, che decorre dalla notificazione della sentenza anche se il giudice abbia disposto diversamente. La riassunzione va effettuata nei confronti del procuratore costituito (Cass. n. 19467/2005Cass. n. 2562/2007). Essa non dà luogo ad un nuovo giudizio, ma alla prosecuzione del precedente (Cass. n. 11628/2007), con tutto quanto ne segue in punto di decadenze e preclusioni eventualmente già verificatesi. Il giudice d'appello non può modificare il termine per la riassunzione neppure sull'accordo delle parti (Cass. n. 6372/2003).

Sorge, qui, il quesito concernente la decorrenza del terminea quo per la riassunzione nell'ipotesi che la notificazione della sentenza non abbia avuto luogo. Si è in proposito sostenuto:

i) che la riassunzione deve avvenire nel termine «lungo» di cui all'art. 327, applicato analogicamente, con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza;

ii) che allo spirare del termine «lungo» ex art. 327 inizia il corso del termine per la riassunzione fissato dalla norma in commento (Chiarloni, 1995, 22); al momento, dunque, la riassunzione potrebbe essere effettuata nel termine complessivo di nove mesi dalla pubblicazione della sentenza;

iii) che la riassunzione è possibile senza limiti di tempo (Saletti, 1983, 379).

La giurisprudenza aderisce al primo dei menzionati orientamenti (Cass. n. 8437/1997Cass. n. 13160/2007Cass. n. 12298/2011; Cass. n. 6622/2016). La proposizione del ricorso in cassazione interrompe il termine per la riassunzione del processo, ma non impedisce alla parte che lo voglia di riassumerlo. Il termine riprende il suo corso dopo la pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione. In caso di mancato rispetto del termine perentorio per la riassunzione, il processo si estingue ai sensi dell'art. 307.

La riassunzione deve essere fatta in conformità alla previsione dell'art. 125 disp. att. mediante la notificazione di una comparsa in riassunzione contenente i requisiti ivi indicati. Si ritiene che la comparsa in riassunzione debba contenere la menzione dell'atto introduttivo del giudizio e del provvedimento che ha disposto la rimessione. La mancanza di tali requisiti determina la nullità dell'atto di riassunzione secondo la disciplina generale dell'art. 156, in caso di inidoneità al raggiungimento dello scopo. Il giudizio di primo grado già riassunto nel momento in cui la sentenza di appello viene impugnata con ricorso per cassazione va sospeso.

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