Codice di Procedura Civile art. 358 - Non riproponibilità di appello dichiarato inammissibile o improcedibile.InquadramentoLa norma, unitamente al parallelo art. 387, dettato per il giudizio di cassazione, sancisce il c.d. principio di consumazione dell'impugnazione, principio che trova ulteriore espressione dell'art. 338, ove è disposto che l'estinzione del procedimento di impugnazione fa passare in giudicato la sentenza impugnata, la quale, per l'effetto, non può essere nuovamente oggetto di impugnazione. Quanto alla ratio della disposizione, la quale si risolve generalmente nella preclusione del diritto di impugnazione per essere incorso l'appellante in errori procedurali, è stato detto che la norma si fonderebbe sull'esigenza politica di «conseguire, non tanto una rapida definizione del conflitto, bensì una sollecita certezza sul provvedimento col quale è già stato definito» (Provinciali, 92). Dalla disposizione si trae in positivo la regola secondo cui l'appello dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se non è decorso il termine fissato dalla legge, e, in negativo, il simmetrico precetto in forza del quale l'appello inammissibile o improcedibile, ma non ancora dichiarato tale, può essere al contrario riproposto, sempre che non sia ancora decorso il termine per l'impugnazione. Il principio di consumazione dell'impugnazione non esclude, cioè, che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo atto di impugnazione, immune dai vizi del precedente, destinato a sostituirlo e relativo anche a capi della sentenza diversi da quelli oggetto del precedente atto di impugnazione (Cass. S.U, n. 8486/2024). E cioè, il divieto di riproposizione di un secondo appello quando il primo sia inammissibile o improcedibile è correlata - a norma dell'art. 358 - non al momento in cui è stato proposto il primo appello inammissibile o improcedibile, bensì alla dichiarazione di tali inammissibilità o improcedibilità da parte del giudice dell'appello, con la conseguenza che la riproposizione non è impedita dalla pregressa verificazione di una fattispecie di inammissibilità o di improcedibilità del precedente appello che non sia stata ancora dichiarata dal giudice (Cass. n. 4658/2020).Tale termine, secondo il pressoché fermo insegnamento giurisprudenziale, è quello «breve» decorrente dalla notificazione del primo atto di appello, sempre che esso non sia già precedentemente spirato (Cass. n. 15082/2006; Cass. n. 20313/2006; Cass. n. 9265/2010; Cass. n. 11762/2012; Cass. S.U. n. 12084/2016). La conoscenza legale della sentenza, implicita nella proposizione della prima impugnazione, viene infatti surrogata dalla notificazione dell'impugnazione, da ritenersi equipollente alla notificazione della sentenza medesima prevista dall'art. 285. La soluzione accolta dalla giurisprudenza è criticato in dottrina (Amato, 1985, 330; Impagnatiello, 1994, 439), essenzialmente sulla considerazione che la legge àncora la decorrenza del termine breve non già alla conoscenza legale della sentenza impugnata, ma alla sua notificazione nelle forme prescritte dal citato art. 285, la quale esprime la volontà del notificante di accelerare il passaggio in giudicato della sentenza. Secondo la S.C., il principio di consumazione dell'impugnazione ha portata generale e, così, trova applicazione anche in caso di estinzione (e non solo di dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità) del giudizio di impugnazione. Per tale via, detto principio è stato applicato anche al regolamento di competenza. Si rinvengono, tuttavia, casi in cui il principio di consumazione non trova applicazione. Perciò (v. De Cristofaro, 2007, 2805): i) l'impugnazione inammissibile perché proposta dal non legittimato, non impedisce che essa sia riproposta dal legittimato; ii) l'impugnazione inammissibile perché non proposta, ex art. 331, nei confronti di tutte le parti in cause inscindibili o dipendenti, non impedisce alle parti non chiamate di proporre a loro volta impugnazione; iii) l'impugnazione dichiarata inammissibile perché proposta da difensore sfornito di valido mandato non impedisce alla parte, se ancora in termini, di riproporla; iv) la dichiarazione di inammissibilità di un appello proposto ante tempus, ad es. nei confronti del dispositivo della sentenza ex art. 433, comma 2, o nei confronti di una sentenza non definitiva fatta oggetto di riserva di impugnazione, non ne impedisce la riproposizione tempestiva; v) in caso di erronea proposizione di un determinato mezzo di impugnazione (ad esempio l'appello) in luogo di quello effettivamente ammissibile (ad esempio il ricorso per cassazione), la dichiarazione di inammissibilità del primo non preclude la proposizione dell'altro, sempre che non sia scaduto il termine per impugnare; vi) la dichiarazione di nullità dell'impugnazione non dà luogo a consumazione della medesima e non preclude la proposizione di un secondo appello valido, purché non siano decorsi i termini. La non riproponibilità dell'appello dichiarato inammissibile o improcedibilità fa sì che, quantunque non sia ancora decorso il termine per impugnare, la sentenza di primo grado passi in giudicato. La dichiarazione di inammissibilità o di improcedibilità dell'appello principale preclude non solo la riproposizione dello stesso ma pure quella dell'appello incidentale, anche tardivo. Non risulta approfondito, sicché le pronunce sono contrastanti, il punto se, in caso di riproposizione dell'appello effettuata prima che l'inammissibilità o l'improcedibilità siano state dichiarate, l'appellante possa ampliare o modificare il contenuto della propria impugnazione (Cass. n. 2495/1977; Cass. n. 643/1998; Cass. n. 20912/2005; Cass. n. 2607/2000; Cass. n. 5953/2005). Altre volte è stato detto che, anche se l'impugnazione è validamente proposta, il principio di consumazione impedisce la proposizione di un secondo appello per motivi diversi da quelli dedotti con il primo (Cass. n. 3952/1978; Cass. n. 4159/1979; Cass. n. 11870/2007; Cass. n. 1863/2010). In tale prospettiva, il principio di consumazione dell'impugnazione si trova talvolta associato a quello di unità e non frazionabilità dell'impugnazione (Cass. n. 7272/1997), ovvero al principio tantum devolutum quantum appellatum, sancito dall'art. 342 (Cass. n. 6630/2006; Cass. n. 10937/2003; Cass. n. 12976/2002), o ancora, al principio di indisponibilità dei requisiti di forma-contenuto dell'atto di impugnazione (Cass. n. 22906/2005) nonché di specificità dei motivi (Cass. n. 9378/2002). 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