Codice di Procedura Civile art. 363 - Principio di diritto nell'interesse della legge 1 .Principio di diritto nell'interesse della legge 1. [I]. Quando le parti non hanno proposto ricorso nei termini di legge o vi hanno rinunciato, ovvero quando il provvedimento non è ricorribile in cassazione e non è altrimenti impugnabile, il Procuratore generale presso la Corte di cassazione può chiedere che la Corte enunci nell'interesse della legge il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi. [II]. La richiesta del procuratore generale, contenente una sintetica esposizione del fatto e delle ragioni di diritto poste a fondamento dell'istanza, è rivolta al primo presidente, il quale può disporre che la Corte si pronunci a sezioni unite se ritiene che la questione è di particolare importanza. [III]. Il principio di diritto può essere pronunciato dalla Corte anche d'ufficio, quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se la Corte ritiene che la questione decisa è di particolare importanza. [IV]. La pronuncia della Corte non ha effetto sul provvedimento del giudice di merito.
[1] Articolo così sostituito dall'art. 4 d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006. Ai sensi dell' art. 27 d.lg. n. 40, cit., la disposizione si applica « ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto». Il testo recitava: «Ricorso nell'interesse della legge. [I]. Quando le parti non hanno proposto ricorso nei termini di legge o vi hanno rinunciato, il procuratore generale presso la Corte di cassazione può proporre ricorso per chiedere che sia cassata la sentenza nell'interesse della legge. [II]. In tal caso le parti non possono giovarsi della cassazione della sentenza». InquadramentoLa funzione nomofilattica della C.S. è esaltata dalla norma, che permette all'organo di vertice di enunciare il principio, pur se non le sia invece consentito di arrivare al cd. fondo del ricorso. L'istituto riecheggia la contrapposizione fra ius constitutionis e ius litigatoris, inteso il primo come l'espressione dell'interesse pubblico all'esatta interpretazione della legge ed il secondo come il diritto soggettivo di cui la parte che agisce in giudizio chiede il riconoscimento (Cass. S.U., n. 13332/2010). La conseguenza inevitabile dell'essere la pronuncia resa in mancanza dei presupposti di “ingresso” del ricorso o del motivo di legittimità è che essa non ha effetto nel giudizio di merito medesimo, come dispone il comma 4: dunque, il principio è inutile a quel fine, ma appunto enunciato solo “nell'interesse della [corretta ed uniforme interpretazione] della legge”. L'enunciazione del principio di diritto ha la funzione di orientamento pro futuro della giurisprudenza e creazione di un precedente; proprio l'intento di valorizzarla ha indotto il legislatore del 2006 ad estendere l'istituto rispetto alla conformazione iniziale, che lo ancorava alla sollecitazione del procuratore generale. Peraltro, di fatto l'enunciazione del principio potrebbe avere effetti riflessi, anche su situazioni connesse o ai fini della revoca del provvedimento, ove ammessa, da parte del giudice del merito. Caratteri generaliLe parti non possono, nel loro interesse, investire la Corte di cassazione di questioni di particolare importanza in rapporto a provvedimenti giurisdizionali non impugnabili (Cass. S.U., n. 27187/2007). Dall'esistenza della norma in esame, si è tratta la condivisibile osservazione, alla base di un saggio self-restraint, secondo cui le sezioni unite hanno esaminato il tema ad esse sottoposto – si trattava della compensatio lucri cum damno, in presenza di della indennità di accompagnamento che la vittima abbia comunque ottenuto dall'ente pubblico – «nei limiti della sua rilevanza: fino al punto, cioè, in cui esso rappresenta un presupposto o una premessa sistematica indispensabile per l'enunciazione, a risoluzione del contrasto di giurisprudenza, di un principio di diritto legato all'orizzonte di attesa della fattispecie concreta», precisando altresì che tale «delimitazione di ambito e di prospettiva non è frutto di una scelta discrezionale del collegio decidente, ma conseguenza che si ricollega alle funzioni ordinamentali e alle attribuzioni processuali delle sezioni unite, alle quali è affidata, non l'enunciazione di principi generali e astratti o di verità dogmatiche sul diritto, ma la soluzione di questioni di principio di valenza nomofilattica pur sempre riferibili alle specificità del singolo caso della vita. Se ne ha una conferma nella stessa previsione dell'art. 363, perché anche là dove la Corte di cassazione è chiamata ad enunciare un principio di diritto nell'interesse della legge, si tratta tuttavia del principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi nella risoluzione della specifica controversia» (così, in motiv., Cass. n. 12567/2018). La decisione assunta dalla S.C. secondo alcuni ha natura sostanziale di parere (Morelli, L'enunciazione del principio di diritto, in Il nuovo giudizio di cassazione, 2010, 499), mentre altri dissente da una sua funzione consultiva (Ricci, 2013, 421). Può riguardare anche ipotesi in cui, pur essendo il dispositivo conforme al diritto, non lo siano le argomentazioni giuridiche adottate, come si evince dall'art. 384 (Ianniruberto, 2011; Criscuolo, 173; Impagnatiello, 2009, 935). La richiesta del P.G.La pronuncia nell'interesse della legge, cui si perviene su richiesta del P.G., palesa la sua funzione nomofilattica c.d. pura o in senso stretto. La sollecitazione da parte del P.G. è ammessa in un ampio spettro di ipotesi: in presenza di impugnazione omessa o rinunciata, e di provvedimento non impugnabile o non impugnato. La norma, che ora parla di “provvedimento”, indica che non solo la sentenza possa essere sottoposta al suo esame, ma anche i provvedimenti anticipatori di condanna, di volontaria giurisdizione ivi compreso quello ex art. 2409 c.c., cautelari sia anticipatori sia conservativi (un'apertura ai provvedimenti istruttori in Amoroso, 2012, 150); la disciplina presuppone che si tratti di provvedimenti non (o non più) impugnabili, onde ogni qualvolta alle stesse parti resta la possibilità di sollecitare la risposta della Cassazione su una determinata questione deve escludersi l'esercizio del potere del procuratore generale (Ianniruberto, 2010, 1088). Dubbi per le decisioni del g.a. (in senso negativo, Criscuolo, 64; in senso affermativo, Ricci, 2013, 431, e Impagnatiello, 2009, 938, che auspicano un ampliamento per legge oltre le questioni di giurisdizione), della Corte dei conti e della stessa Cassazione, ad esempio chiedendo che le Sezioni unite si pronuncino in ipotesi di reputata soluzione insoddisfacente data dalla sezione semplice (Ricci, 2013, 430). Per un'ampia interpretazione circa l'ambito di esercizio del potere del P.M. di portare una questione all'attenzione della S.C., in particolare con riguardo al giudizio di esecuzione ed al provvedimento cautelare, si veda Cass. S.U., n. 21854/2017. Essa spetta soltanto al P.G. presso la Corte di cassazione, senza che ciò possa ingenerare alcun dubbio di legittimità costituzionale (Cass. S.U., n. 27145/2008), eventualmente a seguito di una sollecitazione da chiunque posta in essere). In dottrina, così Ianniruberto, 2011, 1871. La richiesta dà vita ad uno specifico procedimento, caratterizzato dal fatto che lo stesso non inizia più con un ricorso, ed è rivolta al primo presidente, che provvede a sua volta ad assegnare la questione ad una sezione semplice ovvero — ove ritenga la stessa di particolare importanza — alle Sezioni unite. Si tratta di un giudizio di natura non contenziosa, sganciato dall'esigenza di risolvere una lite concreta (Dal Canto, 3447), il quale non costituisce mezzo di impugnazione ma procedimento autonomo (Cass. S.U., n. 13332/2010; nello stesso senso, in dottrina Ricci, 2013, 421). La richiesta non va notificata alle parti, che non sono legittimate al procedimento (Cass. S.U., n. 13332/2010). Invero, si è ancor più di recente ribadito che la richiesta di enunciazione del principio di diritto rivolta alla suprema corte dal P.G. si configura, dunque, non come mezzo di impugnazione, ma come procedimento autonomo, originato da un'iniziativa diretta a consentire il controllo sulla corretta osservanza ed uniforme applicazione della legge, non solo nelle ipotesi di mancata proposizione del ricorso per cassazione o di rinuncia allo stesso, ma anche in quelle di provvedimenti non altrimenti impugnabili né ricorribili, in quanto privi di natura decisoria, sicché tale iniziativa, avente natura di richiesta e non di ricorso, non necessita di contraddittorio con le parti, prive di legittimazione a partecipare al procedimento perché carenti di un interesse attuale e concreto, non risultando in alcun modo pregiudicato il provvedimento presupposto (Cass. S.U., n. 23469/2016). Quando intrapreso su richiesta del P.G., si tratta dunque di un procedimento sui generis, privo di natura e funzione giurisdizionale di azione di impugnazione, a tutela esclusiva della nomofilachia. In dottrina, vi è chi concorda in tal senso, Ricci, 2013, 421; contra, per i provvedimenti non impugnabili, Tiscini, 531), ma la richiesta dovrà comunque contenere una sia pur sintetica esposizione dei fatti e delle ragioni di diritto poste a suo fondamento (Briguglio, 2009, 114). L'interesse astratto alla esatta interpretazione delle norme di legge legittima solo il ricorso del P.G. (o la pronuncia d'ufficio), mentre non vale ad integrare il presupposto dell'interesse ad agire del ricorrente stesso (Cass. n. 5858/2003). Anche se, in dottrina, taluni reputano necessario instaurare il contraddittorio ove sia configurabile un interesse delle parti (Briguglio, 2009, 130; contra, Reali, 164). Il giudice della causa in relazione alla quale la questione è sollevata non può rifiutare la trasmissione del fascicolo processuale alla Corte, che ne abbia fatto richiesta e non può decidere senza attendere la pronuncia di detto organo (Cass. S.U., n. 28653/2008). La norma non si applica alla decisione non corretta per vizio di motivazione rientrante nella previsione del previgente art. 360, comma 1,n. 5 (Ianniruberto, 2010, 1086; Reali, 176; contra, Ricci, 423, se comunque coinvolge questioni di diritto). Purtuttavia, non potrebbe il P.G. chiedere alla Corte di cassazione di pronunciarsi su questioni di diritto prive di attinenza alla fattispecie concreta, ma soltanto di indicare quella che avrebbe dovuto essere la corretta conclusione della vicenda, come si desume dalla precisazione a fine del comma 1 (Cass. S.U., n. 34387/2022; Cass. S.U., n. 404/2011; Cass. S.U., n. 19700/2010). Le Sezioni unite (Cass. S.U., n. 23469/2016, in motiv.; ripresa es. da Cass. S.U., n. 1946/2017) hanno, pertanto, elencato i presupposti processuali exart. 363 che fa seguito alla richiesta del procuratore generale: a) l'avvenuta pronuncia di almeno uno specifico provvedimento giurisdizionale non impugnato o non impugnabile, tanto meno per cassazione; b) la reputata illegittimità del provvedimento stesso (o, in caso di pluralità di provvedimenti divergenti, di almeno uno di essi), quale indefettibile momento di collegamento ad una controversia concreta; c) un interesse della legge, quale interesse pubblico o trascendente quello delle parti, all'affermazione di un principio di diritto per l'importanza di una sua formulazione espressa. Più in generale, si ricorda come, nell'intervento in data 26 gennaio 2017 all'apertura dell'Anno giudiziario presso S.C., pronunciato dal Procuratore generale Pasquale Ciccolo, si afferma che «l'eventuale auspicata previsione di condizioni limitative dell'accesso al giudizio di legittimità, ferma la finalità della funzione nomofilattica quale presidio irrinunciabile del principio di eguaglianza, potrebbe essere ragionevolmente realizzata prevedendo contestualmente il rafforzamento del ricorso per cassazione del pubblico ministero e il potere di sollecitare la pronuncia del principio di diritto ex art. 363, terzo comma, c.p.c.», posto che «la limitazione dei casi di ricorso può essere in tal modo bilanciata, allo scopo di porre rimedio, almeno per il futuro, a situazioni non sufficientemente tutelate o nelle quali la decisione del giudice di merito (non impugnabile) possa porsi contra legem». La pronuncia d'ufficioÈ prevista unicamente nei casi di inammissibilità del ricorso; ci si è chiesti se la nozione vada intesa in senso tecnico. Dal confronto con il comma 1 discende la risposta affermativa, ma la nozione va intesa in tutta la sua portata. Dunque, la Corte ha il potere di enunciare il principio sulla questione di diritto trattata nella causa di merito e che il ricorso, o il motivo, inammissibile propone, quale primo presupposto della norma; valgono, quindi, tutte le ipotesi di inammissibilità (provvedimento inimpugnabile, motivi inadeguati, mancanza di autosufficienza, mancanza dei quesiti ove ancora previsti, sopravvenuta carenza d'interesse, difetto di legittimazione al ricorso, ecc. Per la limitazione ai soli casi di inimpugnabilità, Taruffo, 769; nel senso di cui sopra, Ricci, 425; Reali, 179. La norma, se riguarda certamente le ipotesi di inammissibilità del ricorso – ad esempio, perché proposto contro il provvedimento di primo grado (Cass. n. 10821/2016) o che difetta dei requisiti della decisorietà e della definitività, essendo sempre modificabile e riproponibile al giudice di merito (Cass. n. 15482/2017; Cass. n. 1869/2016) o allorché il ricorso sia inammissibile per omessa prova della notifica (Cass. S.U., n. 8059/2016) o per sopravvenuto difetto di interesse (Cass. S.U., n. 7951/2016) – va estesa anche ai casi di improcedibilità del ricorso (Cass. n. 11682/2007; in dottrina, conf. Ricci, 426), assorbimento del motivo (Cass. n. 6701/2018; Cass. n. 14103/2011), inammissibilità del motivo perché rivolto avverso una parte della motivazione enunciata solo ad abundantiam (Cass. n. 2037/2018; Cass. n. 18429/2022) o perché rivolto avverso una delle distinte ed autonome ragioni, quando l'altra resta giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione (Cass. n. 15158/2018), e rinuncia al ricorso (Cass. n. 2658/2019; Cass. S.U. , n. 19051/2010; conf. Ricci, 2013, 427; contra, Scarselli, 2010, 3339); nonché ai casi di rilevata inammissibilità dell'istanza di regolamento preventivo di giurisdizione (in dottrina, Ricci, 2013, 429) o di competenza (Cass. n. 16103/2015; Cass. S.U. , n. 19071/2010). Il principio di diritto nell'interesse della legge ai sensi dell'art. 363, comma 3, c.p.c. può essere enunciato, sulla questione ritenuta di particolare importanza, non necessariamente circoscritta alle ragioni per le quali il ricorso è stato dichiarato inammissibile, potendo invece investire tutte le ragioni di merito o processuali che sono state fatte oggetto del giudizio di legittimità (Cass. n. 2658/2019; Cass. n. 11185/2011). Anche in presenza di un motivo, e non dell'intero ricorso, inammissibile, è facoltà della S.C. di pronunciarsi sulla questione in esso dibattuta, potendosi interpretare l'art. 363, comma 3, c.p.c. nel senso che l'enunciazione del principio di diritto è consentita anche in relazione a inammissibilità di un singolo motivo di ricorso che involga una questione di particolare importanza, ancorché il ricorso debba nel suo complesso essere rigettato (Cass. S.U., n. 16601/2017, in motiv.). Secondo presupposto della scelta di pronunciare il principio d'ufficio è che la questione sia di particolare importanza (per l'esegesi, v. sub art. 374): si tratta dei casi in cui il ricorso fa emergere una questione che, oltre ad interessare una diffusa platea di controversie, sia nuova o dubbia nel dibattito giuridico; ma una sfumatura diversa dell'espressione in questa norma, rispetto a quella identica utilizzata negli artt. 374 e 384, esiste e riguarda la particolare importanza della questione di diritto desumibile anche dagli elementi di fatto, come gli interessi in gioco oggetto della controversia (cfr. Cass. S.U., n. 27187/2007). È esclusa la pronuncia del principio di diritto nell'interesse della legge a fronte di una semplice missiva che la richieda (Cass. n. 10557/2015). Le Sezioni semplici hanno il potere di decidere di enunciare tale principio (Cass. n. 2658/2019; Cass. n. 11185/2011), come pure la sezione filtro (Cass. n. 11185/2011; contra, Cass. n. 28327/2009; in dottrina, contrario Ricci, 422), non occorrendo che la causa sia rimessa alle S.U. o sia disposta la trattazione in pubblica udienza, salvo che il Collegio investito della questione lo ritenga invece opportuno; tale potere hanno poi certamente le Sezioni Unite (Cass. S.U. , n. 27187/2007). Peraltro, si è, in una ordinanza di legittimità, escluso che possa intervenire in una pronuncia in camera di consiglio, conseguente all'adunanza non partecipata della sezione semplice, la quale non sarebbe compatibile con l'enunciazione del principio di diritto nell'interesse della legge, presupponendo questa la particolare importanza della questione giuridica esaminata (Cass. n. 5665/2018), ma la tesi senz'altro dominante è in senso contrario (cfr. tra le tante, Cass. n. 10396/2021; Cass. n. 2658/2019; Cass. n. 15158/2018; Cass. n. 15482/2017; Cass. n. 11185/2011). La dottrina prevalente concorda, quanto al potere di pronunciare il principio sia in capo alla cd. sezione filtro (Briguglio, 2009 118) che alla sezione semplice (Reali, 181). Anche in sede di affermazione del principio di diritto nell'interesse della legge è data facoltà di sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma, che è destinata a trovare applicazione in sede di legittimità ai fini della formulazione del principio di diritto stesso, donde la sua rilevanza: perché è diverso per la Corte Suprema il principio di diritto da enunciare, a seconda che la norma sia legittima o no (Cass. S.U., n. 20661/2014). L'oggetto del principioSecondo parte della dottrina (Scarselli, 2010, 3339; Monteleone, 2012, 666; Taruffo, 769), il potere d'ufficio di cui alla norma in commento sarebbe limitato alle ragioni per le quali il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Non è però di questo avviso, fondatamente, la S.C.: per contro, il chiaro intento del legislatore è proprio di favorire l'emergere, nonostante l'inammissibilità del ricorso ed in funzione deflattiva, del principio di diritto cui attenersi nel decidere la questione, di merito o processuale, oggetto del giudizio di legittimità (Cass. n. 11185/2011; conforme Ricci, 428; Reali, 180). Come sopra ricordato, le S.U. hanno avuto occasione, nell'ambito della motivazione di una propria pronuncia (in tema di compensatio lucri cum damno in presenza della indennità di accompagnamento erogata dall'Inps), di precisare che la questione su contrasto di giurisprudenza, sottoposta alle Sezioni unite, sarebbe stata dalle stesse esaminata, non con riguardo alla «richiesta indistinta e omologante di tutte le possibili evenienze legate al sopravvenire, al fatto illecito produttivo di conseguenze dannose, di benefici collaterali al danneggiato», ma, invece, solo «nei limiti della sua rilevanza: fino al punto, cioè, in cui esso rappresenta un presupposto o una premessa sistematica indispensabile per l'enunciazione, a risoluzione del contrasto di giurisprudenza, di un principio di diritto legato all'orizzonte di attesa della fattispecie concreta», proprio in omaggio alla ratio dell'art. 363, ove si tratta pur sempre del principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi nella risoluzione della specifica controversia (Cass. S.U., n. 12567/2018). Una differenza tra la richiesta del P.G. e la pronuncia d'ufficio sta nel fatto che solo nel primo caso si mira ad espungere il principio di diritto che il giudice del merito ha affermato, mentre nel secondo caso la Corte potrebbe decidere anche di pronunciare principio conforme alla stessa sentenza impugnata; restando fermo, per il P.G., il potere sollecitatorio al riguardo (Amoroso, 2012, 153). L'inefficacia nel giudizio di meritoIl principio di diritto non può avere effetto diretto sui provvedimenti per i quali è dichiarato inammissibile il ricorso (art. 363, ultimo comma), ma la pronuncia rileverà per le altre controversie future, o magari già atto ed anche fra le stesse parti; inoltre, non è escluso che possa condurre alla revoca o modifica di alcuni provvedimenti, come quelli di giurisdizione volontaria o cautelari (Ricci, 433), anche se non pare fondato ravvisare addirittura un obbligo del giudice di merito in tal senso (come postulano Carratta, 2006, 1124; Reali, 183). Sovente, peraltro, dall'esame delle sentenze di legittimità emerge le spese vengono interamente compensate, specie ove la questione posta con il ricorso abbia fatto emergere comunque la fondatezza del medesimo. 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