Codice di Procedura Civile art. 380 bis - Procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati 1Procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati 1 [I]. Se non è stata ancora fissata la data della decisione, il presidente della sezione o un consigliere da questo delegato può formulare una sintetica proposta di definizione del giudizio, quando ravvisa la inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto. La proposta è comunicata ai difensori delle parti. [II].Entro quaranta giorni dalla comunicazione la parte ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore [munito di una nuova procura speciale], può chiedere la decisione. In mancanza, il ricorso si intende rinunciato e la Corte provvede ai sensi dell'articolo 3912.
[III]. Se entro il termine indicato al secondo comma la parte chiede la decisione, la Corte procede ai sensi dell'articolo 380-bis.1 e quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell'articolo 96. [1] Articolo inserito dall'art. 10 d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006 e successivamente sostituito dall'art. 47, comma 1, lett. c), della l. 18 giugno 2009, n. 69. Il testo precedente recitava: «- Il relatore nominato ai sensi dell'articolo 377, se, ricorrendo le ipotesi previste dall'articolo 375, primo comma, numeri 1), 2), 3) e 5), non ritiene che il ricorso sia deciso in udienza, deposita in cancelleria una relazione con la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e diritto in base ai quali ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio. - Il presidente fissa con decreto l'adunanza della Corte. - Almeno venti giorni prima della data stabilita per l'adunanza il decreto e la relazione sono comunicati al pubblico ministero e notificati agli avvocati delle parti, i quali hanno facoltà di presentare, il primo, conclusioni scritte, ed i secondi, memorie, non oltre cinque giorni prima e di chiedere di essere sentiti, se compaiono, nei casi previsti dall'articolo 375, primo comma, numeri 1), 3) e 5). - Nella seduta la Corte delibera sul ricorso con ordinanza. - Se ritiene che non ricorrono le ipotesi previste all'articolo 375 la Corte rinvia la causa alla pubblica udienza». Ai sensi dell'articolo 58, comma 5, della medesima legge n. 69 del 2009,, le disposizioni si applicano alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la pubblicazione, depositato successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge. Successivamente, articolo sostituito dall'art. 1-bis, comma 1, lett. e), del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, conv., con modif., in l. 25 ottobre 2016, n. 197. Il testo precedente, come da ultimo modificato dall'articolo 75, comma 1, lettera b), del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, conv., con modif., in l. 9 agosto 2013, n. 98, era il seguente: «Procedimento per la decisione sull’inammissibilità del ricorso e per la decisione in camera di consiglio [I]. Il relatore della sezione di cui all’articolo 376, primo comma, primo periodo, se appare possibile definire il giudizio ai sensi dell’articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5), deposita in cancelleria una relazione con la concisa esposizione delle ragioni che possono giustificare la relativa pronuncia. [II]. Il presidente fissa con decreto l’adunanza della Corte. Almeno venti giorni prima della data stabilita per l'adunanza, il decreto e la relazione sono notificati agli avvocati delle parti i quali hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima, e di chiedere di essere sentiti, se compaiono. [III]. Se il ricorso non è dichiarato inammissibile, il relatore nominato ai sensi dell’articolo 377, primo comma, ultimo periodo, quando appaiono ricorrere le ipotesi previste dall’articolo 375, primo comma, numeri 2) e 3), deposita in cancelleria una relazione con la concisa esposizione dei motivi in base ai quali ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio e si applica il secondo comma. [IV]. Se ritiene che non ricorrono le ipotesi previste dall’articolo 375, primo comma, numeri 2) e 3), la Corte rinvia la causa alla pubblica udienza». A norma del comma 2 dell'art. 1-bis cit., « Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai ricorsi depositati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nonche' a quelli gia' depositati alla medesima data per i quali non e' stata fissata udienza o adunanza in camera di consiglio». Articolo, da ultimo, sostituito dall'art. 3, comma 28, lett. g) del D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149. Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come modificato dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "5. Salvo quanto disposto dal comma 6, le norme del capo III del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile e del capo IV delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, come modificati dal presente decreto, hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 e si applicano ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data.- 6. Gli articoli 372, 375, 376, 377, 378, 379, 380, 380-bis, 380-bis.1, 380-ter, 390 e 391-bis del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto, si applicano anche ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio". Il testo dell'articolo era il seguente: «Procedimento per la decisione in camera di consiglio sull'inammissibilita' o sulla manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso. - Nei casi previsti dall'articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5), su proposta del relatore della sezione indicata nell'articolo 376, primo comma, il presidente fissa con decreto l'adunanza della Corte indicando se e' stata ravvisata un'ipotesi di inammissibilita', di manifesta infondatezza o di manifesta fondatezza del ricorso. - Almeno venti giorni prima della data stabilita per l'adunanza, il decreto e' notificato agli avvocati delle parti, i quali hanno facolta' di presentare memorie non oltre cinque giorni prima.- Se ritiene che non ricorrano le ipotesi previste dall'articolo 375, primo comma, numeri 1) e 5), la Corte in camera di consiglio rimette la causa alla pubblica udienza della sezione semplice.» [2] Comma modificato dall'art. 3, comma 3, lett. n) d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, che ha soppresso le parole «munito di una nuova procura speciale»; ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023. InquadramentoLa norma, radicalmente riformata nel 2022 (d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), discende dalla scelta di sopprimere la c.d. «sesta sezione». Il rito «di sesta» è stato così sostituito da un unico rito camerale, attualmente dettato dall'art. 380-bis.1 c.p.c., applicabile tanto dinanzi alle sezioni semplici che alle sezioni unite, anche sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza. La norma in esame prevede un nuovo procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, che va a sostituire, per ragioni insondabili, il collaudatissimo procedimento «di sesta», che prevedeva un primo spoglio del ricorso da parte del relatore, il quale formulava una proposta di definizione che veniva comunicata alle parti e discussa in un'adunanza non partecipata, nella quale il collegio non era in alcun modo vincolato alla proposta comunicata, e godeva di una valvola di sicurezza consistente nel rinvio in pubblica udienza. L'attuale previsione, estremamente scheletrica, stabilisce che, se non è stata ancora fissata la data della decisione, il presidente della sezione o un consigliere da questo delegato può formulare una sintetica proposta di definizione del giudizio, quando ravvisa la inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto. Dopodiché, il legislatore coltiva la speranza, con tutta probabilità del tutto vana, che frotte di ricorrenti si acquietino a siffata proposta, siccome Saulo fulminato sulla via di Damasco, e non chiedano che il ricorso venga deciso. Allo scopo è istituito un doppio congegno compulsorio: da un lato il difensore deve munirsi di una nuova procura alle lite, e dunque deve avere il consenso della parte preavvisata della prognosi infausta (ma su questo è intervenuto il c.d. «Correttivo» (d.lgs. n. 164/2024) alla c.d. «riforma Cartabia», sopprimendo nella disposizione in commento l’inciso «munito di una nuova procura speciale»); dall'altro lato viene mulinata la spada della condanna per lite temeraria. Che tanto possa ottenere l'effetto dissuasivo agognato, dinanzi a parti che, giunte in Cassazione, sono in causa da anni, e dunque hanno già manifestato una volontà più che univoca ad avere, come è del resto loro diritto, una decisione del giudice, appare eufemisticamente poco probabile. Perché mai, poi, questa forma di decisione accelerata non sia prevista per i ricorsi manifestamente fondati rimane un mistero: chi ha manifestamente ragione non può ambire all'accelerazione. Ed è un mistero il se ed il come il nuovo procedimento funzionerà. Certo, vi è la prospettiva sinistra di una sorta di monocratizzazione del giudizio di cassazione, fondatamente paventata dal mondo forense, che cancellerebbe l'unica vera peculiarità, per quello che ne rimane, del giudizio di cassazione, e cioè il fatto che in Cassazione almeno in due conoscono gli atti, il presidente ed il relatore, e tutti partecipano, alle volte anche troppo attivamente, al dibattito. Ma, d'altra parte, lo strumento potrebbe essere utilizzato con raziocinio e prudenza per lo stesso scopo per il quale era stata creata la «sesta sezione» e prima ancora la c.d. «struttura», ossia allo scopo di «filtrare» il non indifferente numero (almeno) dei ricorsi totalmente privi di qualunque pur minima chance di successo, così da consentire alla Cassazione di occuparsi di ciò che merita approfondimento. Allo stato, viene praticato un indirizzo prudenziale, e cioè si è scelto di affidare lo spoglio dei ricorsi, area per area, a due-tre consiglieri per così dire collaudati, i quali redigono, tendenzialmente, proposte le quali sono modellate sulla forma dell’ordinanza, e cioè contengono una breve espositiva del fatto processuale, un’altrettanto stringata sintesi dei motivi e una disamina di essi, singolarmente. Questioni processualiIl nuovo procedimento di definizione accelerata comincia a dar luogo a numerose pronunce volte a risolvere i dubbi applicativi che la norma in commento pone. Essa prescrive che l'istanza di decisione (rispetto alla quale, ovviamente, non può essere considerata equipollente la memoria ex art. 378 c.p.c.: Cass. n. 2614/2024) sia sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale: sul che la dottrina aveva obbiettato che la norma non avrebbe senso, dal momento che detta istanza attiene al governo della strategia processuale, che già di per sé compete al difensore, ai sensi dell'art. 84 c.p.c.. Ora, a parte l'evidente erroneità dell'obiezione, dal momento che l'art. 84 devolve al difensore il compimento di «tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati», il punto è che il rilascio della nuova procura è, o meglio, ormai, era la chiave di volta della nuova disposizione, la quale chiedeva che fosse la parte personalmente, debitamente edotta dei possibili esiti del giudizio, ad assumersi la responsabilità di stimolare una decisione tale da comportare non indifferenti conseguenze sanzionatorie, ai sensi dell'art. 96 c.p.c. e d'altro canto dette conseguenze sanzionatorie si giustificavano, secondo l'automatismo voluto dal legislatore, proprio perché la parte se ne era assunta la responsabilità con il rilascio della nuova procura. Si spiega così il perché del principio secondo cui, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi ex art. 380-bis c.p.c., la procura necessaria per la presentazione dell'istanza di decisione, di cui al comma 2, deve rispondere al duplice, ma al tempo stesso connesso e complementare, carattere della «novità» e della «specialità», nel senso che deve essere conferita in data successiva alla formulazione della proposta sintetica di definizione ed avere ad oggetto il potere del difensore di porre in essere quello specifico atto processuale, c.d. procura ad actum (Cass. n. 13555/2024). Inopinatamente, come si è detto, il c.d. «Correttivo» è però riuscito a peggiorare il già pessimo impianto del nuovo procedimento accelerato, sopprimendo la previsione concernente il rilascio della nuova procura: di guisa che non è difficile pronosticare che, a seguito della proposta di definizione anticipata, la fissazione dell'udienza verrà richiesta pressoché sempre, col totale fallimento del progetto deflattivo che aveva animato l'introduzione del menzionato nuovo procedimento. Altro tentativo di scardinare l'impianto di fondo della riforma, proveniente dalla dottrina, era consistito nel sostenere l'insostenibile tesi della incompatibilità del presidente-consigliere autore della proposta a far parte del collegio decidente. Del tutto prevedibilmente, viceversa, la SC ha stabilito che nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380-bis c.p.c., il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte ― ed eventualmente essere nominato relatore ― del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell'art. 380-bis.1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa ( Cass. S.U., n. 9611/2024 ). Occorre poi osservare che, nella giurisprudenza della S.C. va affermandosi il condivisibile orientamento secondo cui l'istanza di decisione non ha il carattere di un atto oppositivo che debba necessariamente possedere l'attitudine a scardinare la proposta come formulata: non si tratta, per così dire, di una impugnazione della proposta di definizione accelerata, ma, secondo quanto stabilisce il comma 2 dell'art. 380 bis, semplicemente di una istanza di decisione. Nondimeno, va ponendosi nella pratica il quesito se il ricorrente per cassazione, una volta ricevuta la proposta di definizione anticipata con prognosi di inammissibilità-improcedibilità o manifesta infondatezza possa limitarsi alla pura e semplice istanza di decisione senza null'altro aggiungere. Ed è abbastanza intuitivo che, a fronte della formulazione di una proposta di definizione accelerata, sia giocoforza che il collegio, investito della decisione dall'apposita istanza, finisca per far propria e confermare la proposta contro la quale il ricorrente per cassazione nulla abbia obiettato. Dopodiché, la pratica consente di constatare che le obiezioni alla proposta sono talora già inserite nell'istanza di decisione, altre volte l'istanza di decisione è formulata in difetto di motivazione, mentre le obiezioni alla proposta sono affidate alla memoria illustrativa da depositarsi secondo le regole generali in vista dell'adunanza camerale. Sembra da credere che dette obiezioni non debbano essere necessariamente contenuta nell'istanza di decisione, giacché la norma non lo prevede, e che conseguentemente non possa ipotizzarsi un qualche sbarramento alla loro formulazione una volta decorso il termine di 40 giorni previsto per l'istanza: e cioè, sembra che il congegno fisiologico apprestato dal legislatore consista nella semplice istanza di decisione, la quale riporta il procedimento entro il binario ordinario svolto alla pronuncia camerale, preceduta dal termine per il deposito delle memorie illustrative. È chiaro però che nessun vizio può ravvisarsi nella circostanza che il ricorrente per cassazione abbia anticipato le proprie obiezioni alla proposta di definizione accelerata già nell'istanza di decisione, fermo lo svantaggio pratico che ciò comporta, dal momento che l'eventuale controricorrente potrà depositare la memoria illustrativa già sapendo di dette obiezioni. Risulta dunque scarsamente comprensibile l'affermazione che si rinviene in una recente decisione secondo cui procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi il ricorrente, con l'istanza di cui al comma 2, deve limitarsi a chiedere la definizione della causa e non può inserirvi altri contenuti estranei allo scopo, dei quali non potrà tenersi conto (Cass. n. 8303/2024). Ciò detto, una prima osservazione da compiere è che, se il ricorso non va incontro alla proposta di definizione accelerata, e cioè se ne è direttamente fissata la decisione, in sede camerale o anche in pubblica udienza, ciò non vuol dire che non sarà dichiarato inammissibile o improcedibile o manifestamente infondato. La SC ha difatti già avuto modo di chiarire che la mancata adozione della proposta formulata dal relatore ai sensi dell'art. 380-bis, comma 1, c.p.c. non assume alcuna portata preclusiva o determinativa dell'esito finale del giudizio di legittimità, risolvendosi nella mera individuazione del rito applicabile per la decisione del ricorso, senza che da ciò consegua alcun impedimento o preclusione di sorta per la Corte decidente, in formazione collegiale, in ordine alla soluzione da adottare (Cass., n. 22514/2023). Questione risolta è quella del caso del ricorso per cassazione proposto da una pluralità di soggetti tra loro il rapporto di litisconsorzio necessario: e cioè, cosa accade se il ricorso è proposto da due persone, e, a seguito della proposta di definizione accelerata, una sola di esse fa istanza di decisione? La risposta è che in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l'istanza di decisione, tempestivamente presentata da uno solo dei litisconsorti necessari, fa sì che il processo litisconsortile, in virtù dell'inscindibilità delle cause, debba essere trattato nelle forme camerali di cui all'art. 380-bis.1 c.p.c. (e cioè la decisione viene adottata in sede di adunanza camerale) anche nei confronti degli altri litisconsorti che non abbiano presentato analoga istanza, potendo tale circostanza rilevare unicamente in relazione alle conseguenze sanzionatorie eventualmente discendenti dalla conformità della decisione finale alla proposta (Cass., n. 28219/2023). Successivamente si è detto invece che, ove la proposta di decisione riguardi sia il ricorso principale che quello incidentale non condizionato e l'istanza di decisione sia depositata da una sola delle parti, l'impugnazione non coltivata va considerata rinunciata e va decisa solo quella coltivata, cosicché se tale decisione sia conforme alla proposta, la condanna in favore della cassa ammende ex art. 96, comma 4, c.p.c. ed il raddoppio del contributo unificato, dipendente dalla pronuncia di improcedibilità, inammissibilità o rigetto del ricorso, si applicano nei soli confronti della parte richiedente la decisione, mentre le spese del giudizio di legittimità vanno regolate in base al suo esito complessivo, considerando non soltanto la decisione del ricorso coltivato, ma anche la sostanziale soccombenza dell'altra parte, che pur avendo inizialmente proposto impugnazione, abbia scelto di non coltivarla facendo acquiescenza alla proposta di definizione anticipata (Cass. n. 10164/2024). Può darsi, poi, che la proposta di definizione accelerata sia seguita da un'istanza di decisione formulata in modo irrituale: o perché non supportata dall'apposita procura speciale richiesta dalla norma, o perché effettuata dopo il decorso del termine stabilito in 40 giorni. Su questa questione vi è una decisione la quale ha affermato che, se l'istanza di decisione c'è, quantunque irrituale, si va comunque alla decisione camerale, con applicazione dell'art. 96 c.p.c.. e cioè, nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi ex art. 380-bis c.p.c., quando l'istanza di definizione del giudizio dopo la formulazione della proposta sia stata fatta in modo irrituale, il Collegio fissato in adunanza camerale definisce il giudizio in conformità alla proposta per ragioni di rito impedienti la discussione su di essa, con piena applicazione del terzo comma della citata disposizione. Dunque, qualora l'istanza di decisione collegiale di cui all'articolo 380-bis c.p.c. venga chiesta non rispettando i requisiti che le impone il medesimo articolo e quindi sia affetta da vizi processuali, come la tardività, la mancanza di nuova procura, oppure una nuova allegazione della stessa procura sulla base della quale era stato proposto il ricorso, il giudizio non può essere definito con il decreto di estinzione di cui all'art. 391 c.p.c., ma occorre fissare l'adunanza collegiale ai sensi dell'articolo 380-bis.1 c.p.c., giacché la definizione con decreto si effettua solo qualora non sia proposta l'istanza (Cass. 15 novembre 2023, n. 31839). Se l'istanza di decisione non è avanzata il processo si estingue: in particolare la mancata proposizione, dopo la proposta di definizione del giudizio, dell'istanza di decisione determina l'estinzione del giudizio, che va dichiarata con decreto, avverso il quale l'unico rimedio esperibile è l'opposizione ai sensi dell'art. 391 c.p.c., da proporsi, a pena di inammissibilità, nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento di estinzione (Cass. n. 10131/2024). È stata giudicata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale - in relazione agli artt. 24,103,111,113 e 117 Cost., nonché dell'art. 47 della Carta dei diritti dell'UE e degli artt. 6 e 13 CEDU - dell'art. 380-bis, comma 3, c.p.c. nella parte in cui stabilisce che, nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, in conseguenza dell'istanza di decisione avanzata dal ricorrente, la Corte procede in camera di consiglio, anziché in pubblica udienza, perché la trattazione camerale soddisfa esigenze di celerità e di economia processuale, costituisce un modello processuale capace di assicurare un confronto effettivo e paritario tra le parti (ed è espressione non irragionevole della discrezionalità riservata al legislatore nella conformazione degli istituti processuali), garantisce la partecipazione del Procuratore generale (con la prevista facoltà di rassegnare conclusioni scritte) e non vulnera l'essenza collegiale della giurisdizione di legittimità, non avendo la proposta carattere decisorio, né di anticipazione di giudizio da parte del relatore (Cass. n. 19293/2024). L'applicazione dell'art. 96Nella giurisprudenza il primo problema che si è posto, riguardo al nuovo procedimento di decisione accelerata, ha riguardato l'applicazione (anche nei procedimenti pendenti al 28 febbraio 2023 e non solo in quelli instaurati successivamente: Cass. S.U., n. 10955/2024) del terzo e quarto comma dell'art. 96 c.p.c.: l'interrogativo, evidentemente, era se l'adesione da parte del collegio alla proposta di definizione accelerata comporti sempre, di default, l'applicazione dette disposizioni, ovvero se il collegio debba di volta in volta scrutinare la sussistenza dei presupposti per l'applicazione della disciplina della responsabilità aggravata. Questo quesito è stato sciolto dalle Sezioni Unite, le quali hanno stabilito che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l'art. 380-bis, comma 3, c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022) ― che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell'art. 96 c.p.c. ― codifica un'ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass., Sez. Un., n. 27433/2023; Cass. n. 28540/2023; ma secondo Cass. S.U., n. 36069/2023 la norma in commento non prevede l'applicazione automatica delle sanzioni ivi previste, che resta affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso concreto, in base a un'interpretazione costituzionalmente compatibile del nuovo istituto ). Insomma, colui che propone l'istanza di definizione anticipata deve sapere che la duplice condanna ai sensi dell'art. 96 (quella del terzo comma, naturalmente, sempre che ci sia la parte che ha depositato il controricorso) ci sarà sicuramente, almeno in via tendenziale. Emerge altresì dalla pratica, che, per ora, l'entità della condanna di cui al terzo comma tende ad attestarsi sull'importo delle spese di lite li quidate: e cioè la S.C. adotta perlopiù il sistema della condanna in duplum. Se, poi, in futuro la situazione si aggraverà per il soccombente, o si alleggerirà, è difficile pronosticare. Non deve per contro farsi luogo alla sanzione processuale di cui all'ultimo comma dell'art. 380-bis c.p.c. laddove la definizione collegiale del ricorso prescinda del tutto dalla proposta di definizione anticipata, come nel caso in cui, a fronte d'una proposta di rigetto o d'inammissibilità nel merito, il ricorso venga dichiarato improcedibile o inammissibile ab origine oppure venga rigettato prendendo in esame motivi non vagliati in sede di proposta (Cass. n. 21668/2024). Se l'intimato non ha spiegato difese, e, cioè, non ha depositato il controricorso, il terzo comma dell'art. 96 non pare applicabile, non potendosi pensare ad una condanna per lite temeraria in favore di una parte che ― l'espressione è inesatta con riguardo al giudizio di legittimità, ma è utile a comprendere ― è contumace. Ma il quarto comma, che prevede una condanna di tipo sanzionatorio al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, si applica o no? La risposta della cassazione è nettamente in senso positivo. In tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all'art. 380 bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), la condanna del ricorrente al pagamento della somma di cui all'art. 96, comma 4, c.p.c. in favore della cassa delle ammende - nel caso in cui egli abbia formulato istanza di decisione (ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 380 bis c.p.c.) e la Corte abbia definito il giudizio in conformità alla proposta - deve essere pronunciata anche qualora nessuno dei soggetti intimati abbia svolto attività difensiva, avendo essa una funzione deterrente e, allo stesso tempo, sanzionatoria rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori (Cass. S.U., n. 27195/2023; Cass. n. 27947/2023). BibliografiaAmoroso G., La Corte di cassazione ed il precedente, in Aa.Vv., La Cassazione civile. 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