Codice di Procedura Civile art. 384 - Enunciazione del principio di diritto e decisione della causa nel merito 1 .

Loredana Nazzicone
aggiornato da Mauro Di Marzio

Enunciazione del principio di diritto e decisione della causa nel merito1.

[I]. La Corte enuncia il principio di diritto quando decide il ricorso proposto a norma dell'articolo 360, primo comma, n. 3), e in ogni altro caso in cui, decidendo su altri motivi del ricorso, risolve una questione di diritto di particolare importanza.

[II]. La Corte, quando accoglie il ricorso, cassa la sentenza rinviando la causa ad altro giudice, il quale deve uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte, ovvero decide la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto.

[III]. Se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d'ufficio, la Corte riserva la decisione, assegnando con ordinanza al pubblico ministero e alle parti un termine non inferiore a venti e non superiore a sessanta giorni dalla comunicazione per il deposito [in cancelleria] di osservazioni sulla medesima questione2.

[IV]. Non sono soggette a cassazione le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conforme al diritto; in tal caso la Corte si limita a correggere la motivazione.

 

[1] Articolo così sostituito dall'art. 12 d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006. Per la disciplina transitoria v. il secondo comma dell'art. 27. Precedentemente l'articolo era stato modificato dall'art. 66 l. 26 novembre 1990, n. 353. Il testo era il seguente: «[I]. La Corte, quando accoglie il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, enuncia il principio di diritto al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi ovvero decide la causa nel merito qualora non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto. [II]. Non sono soggette a cassazione le sentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conforme al diritto; in tal caso la Corte si limita a correggere la motivazione».

[2]  Comma modificato dall'art. 3, comma 3, lett. o) d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164,  che ha soppresso le parole «in cancelleria»; ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.

Inquadramento

L'articolo contiene tre precetti fondamentali per la stessa comprensione della odierna natura del giudizio di cassazione, il quale, pur con concessioni dovute al rispetto del principio fondamentale della ragionevole durata del processo, resta a pieno titolo un giudizio di legittimità volto alla attuazione della nomofilachia.

Il primo attiene alla enunciazione del principio di diritto: la funzione nomofilattica è imposta dall'art. 65 r.d. n. 12/1941 sul'ordinamento giudiziario, il quale definisce la Corte di cassazione “organo supremo della giustizia” che “assicura l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni”. Ad essa si deve il dovere di pronunciare il principio di diritto, ogni volta che la Corte risolve una questione di diritto ex art. 360, n. 3, o comunque particolare importanza.

A talune tassative condizioni, la Corte può poi emettere essa stessa la statuizione di merito, che normalmente andrebbe devoluta al giudizio rescissorio di rinvio.

Infine, la norma prevede la mera correzione della motivazione, allorché la statuizione della sentenza impugnata sia corretta, ma fondata su motivazione errata, che la C.S. si limita a correggere sulla base delle giuste ragioni di diritto.

Il principio di diritto

L'obbligo di enunciazione del principio di diritto è stato previsto in presenza di: a) cassazione ai sensi del motivo di cui all'art. 360, comma 1, n. 3; b) risoluzione di una questione di diritto di particolare importanza.

Attesa la nuova formulazione dell'art. 360, comma 1, n. 3, come modificato dal d.lgs. n. 40/2006, la cassazione per violazione del contratto collettivo nazionale di lavoro comporta l'enunciazione del principio di diritto e l'eventuale decisione della causa nel merito, ai sensi della norma in commento (Cass. n. 19507/2014).

Sul vincolo che la cassazione con rinvio implica per un giudice chiamato a decidere la medesima questione, in particolare una sezione semplice ove il principio sia stato enunciato dalle Sezioni Unite, cfr. sub art. 374; per il vincolo con riguardo al giudice di rinvio, v. sub art. 394.

La regola è che l'enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio, che ad esso deve uniformarsi anche qualora, nel corso del processo, siano intervenuti mutamenti della giurisprudenza di legittimità, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa corte: le sole eccezioni sono che la norma da applicare in relazione al principio di diritto enunciato risulti successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di ius superveniens, comprensivo sia dell'emanazione di una norma di interpretazione autentica, sia della dichiarazione di illegittimità costituzionale (Cass. n. 22716/2018; Cass. n. 27155/2017; Cass.  n. 6086/2014; Cass. n. 12095/2007).

Ma si precisa (Cass. n. 26521/2018; Cass. n. 11716/2014) che la vincolatività del principio di diritto non opera con riguardo a un thema decidendum non affrontato in occasione del primo giudizio rescindente o quando sopravvenga un fatto estintivo o modificativo del diritto fatto valere, afferente a un profilo non affrontato in precedenza dai giudici di merito ed esulante dal decisum del giudizio rescindente.

Sul punto, sia permesso, per ogni approfondimento, il rinvio al Nazzicone,  Le cassazioni con rinvio e l'enunciazione del principio di diritto, in Aa.Vv., I processi civili in cassazione, 903 ss.).

Qui si ricorda solo è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 384, nella parte in cui non consente che il giudice del rinvio possa discostarsi dal principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione, perché l'obbligo, per il giudice del rinvio, di uniformarsi al principio di diritto è coerente con la funzione nomofilattica della suprema Corte, “le cui fondamenta poggiano anche sul principio costituzionale di uguaglianza (art. 3 Cost.), in forza del quale casa analoghi devono essere giudicati, per quanto possibile, in modo analogo” (Corte cost. n. 149/2013).

Il precedente

Il principio di diritto viene espresso ed inserito, per il suo contenuto generale, in una c.d. catena di precedenti.

Il valore del precedente nei moderni ordinamenti è innegabile: esso, in sé, dipende a sua volta da vari fattori, che vanno dal pregio intrinseco della decisione alla tempestività dell'intervento della Corte su questioni controverse. Il nostro ordinamento ricollega attualmente il valore del precedente essenzialmente alla funzione nomofilattica della Cassazione e la sua efficacia deriva soprattutto: dagli artt. 118 disp. att. (e art.  88 d.lgs. n. 104/2010 - c.p.a.), che ammette la motivazione con mero riferimento ai precedenti conformi; dai modelli semplificati di motivazione (artt. 281-sexies, 351, 375, 380-bis); dall'art. 360-bis, n. 1, che prevede l'inammissibilità del ricorso quando la sentenza impugnata è conforme a precedente della Corte e non prospetta ragioni per discostarsene o ulteriori ragioni di riconferma; dall'art. 374 (v. anche art. 610, 618 c.p.p. e art. 172 disp. att. c.p.p.); dall'art. 374, che impone la rimessione alle S.U. ove la sezione semplice intenda discostarsi dal suo precedente; dall'art. 363, sul principio di diritto nell'interesse della legge; dall'art. 384 in commento; dall'art. 388, che dispone la trasmissione di copia del dispositivo al giudice di merito che ha pronunciato la sentenza impugnata e ciò “rammenta al giudice di essere parte del circuito dell'interpretazione il cui vertice si colloca nella Cassazione” (Canzio, 307); dalla stessa esistenza dell'ufficio del massimario, deputato alla enucleazione delle massime, che raccolgono i precedenti enunciati della S.C. (art. 68 r.d. n. 12/1941 - ord. giud.).

La decisione nel merito

La cd. cassazione sostitutiva, ossia con pronuncia nel merito, è ammessa a due condizioni: a) che alla luce del principio di diritto enunciato e degli accertamenti già svolti in sede di merito, la decisione della controversia risulti praticamente “obbligata”; b) che siano incontroversi i fatti, non necessitando più nessuna istruttoria, in quanto si possa decidere sui medesimi accertamenti ed apprezzamenti di fatto, che costituiscono i presupposti dell'errato giudizio.

In particolare, la sufficienza degli accertamenti di fatto deve emergere dal provvedimento impugnato (Cass. n. 21045/2013; Cass. n. 7451/2003). È stato ritenuto integrato il presupposto anche in presenza della necessità di mero calcolo aritmetico (Cass. n. 6951/2010); nonché ammessa in cassazione una condanna generica (Cass. n. 19301/2010).

La carenza degli elementi costitutivi del diritto azionato è rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del giudizio, salvo il giudicato, quindi anche innanzi alla S.C. che può, cassata la sentenza avente contenuto processuale, respingere la domanda, fermo il rispetto del contraddittorio (Cass. n. 21271/2015, in tema di revocatoria fallimentare; Cass. n. 8622/2012; Cass. n. 25023/2011; Cass. n. 15535/1999).

La Corte di cassazione può decidere la causa nel merito nel caso di violazione o falsa applicazione non solo di norme sostanziali ma anche di norme processuali, purché non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto (Cass. n. 24866/2017, con riguardo all'art. 91 c.p.c.; Cass. n. 7144/2006, sull'art. 96 c.p.c.).

Secondo un orientamento più recente, ove sia impugnata per cassazione la compensazione delle spese compiuta dal giudice di merito e non siano necessari accertamenti di fatto, alla luce del principio di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all'art. 111 Cost., è consentito alla Corte decidere la causa nel merito liquidando le spese non solo del giudizio di legittimità, ma anche dei gradi di merito, in quanto sarebbe del tutto illogico imporre il giudizio di rinvio, al solo fine di provvedere ad una liquidazione che, in quanto ancorata a parametri di legge, ben può essere direttamente compiuta dal giudice di legittimità (Cass. n. 14199/2021; in senso contrario, Cass. n. 21045/2013 ).

Secondo alcune decisioni, non è ammessa la pronuncia nel merito, quando occorra decidere questioni non esaminate nella pregressa fase di merito (Cass. n. 4975/2015, con riguardo al mancato esame nel merito da parte della corte d'appello; Cass. n. 22373/2014; Cass. n. 4063/2004). Ma, alla luce di un diverso orientamento — che reputa come l'ossequio ai principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo, di cui all'art. 111 Cost., prevalga e compensi la perdita di un grado di merito — una volta verificata l'omessa pronuncia su un motivo di appello, invece di cassare e rinviare la S.C. può decidere nel merito, sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Cass. n. 16171/2017; Cass. n. 5430/2017;Cass. n. 4802/2017;Cass. n. 21968/2015; Cass. n. 21257/2014; Cass. n. 8622/2012; Cass. n. 24914/2011; Cass. n. 2313/2010).

La pronuncia di merito è stata ammessa anche con riguardo a questione assorbita (Cass. n. 2180/2015, purché riproposta con un ricorso incidentale ritualmente azionato; Cass. n. 5139/2011), nonché all'ipotesi di assorbimento improprio, che ricorre quando il giudice del merito abbia deciso in base alla cd. ragione più liquida, ma la suprema Corte annulli l'erronea decisione (Cass. n. 5724/2015; Cass. n. 17219/2012), perché allora non si forma giudicato implicito. Si veda pure l'affermazione circa la possibilità di decisione nel merito, quando la sentenza in motivazione e in dispositivo riconosca un diritto, senza tuttavia provvedere a quantificarlo (Cass. n. 7826/2014).

Sempre l'ossequio al principio di ragionevole durata del processo ha indotto ad ammettere la decisione nel merito, quando le Sezioni unite cassano la sentenza impugnata affermando la giurisdizione erroneamente disconosciuta e non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto (Cass. S.U., n. 13617/2012; Cass. S.U., n. 9946/2009).

La decisione nel merito è ammessa anche in ipotesi di impugnazione delle sentenze del Tribunale superiore delle acque pubbliche innanzi alle Sezioni unite, ove i poteri della Corte sono gli stessi del giudice a quo (Cass. S.U., n. 9830/2014).

Peraltro, ove sussistessero i presupposti per la decisione nel merito non assunta però dalla S.C., ciò non costituisce alcun vizio, potendo allora il giudice del rinvio, ritenendo non necessari ulteriori accertamenti di fatto, senz'altro decidere la causa senza ulteriore attività (Cass. n. 24932/2015).

Allorché la S.C. abbia pronunciato nel merito, non per questo è ammesso il ricorso per revocazione ai sensi dell'art. 395, n. 5 (sentenza contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata), posto che tale motivo non è contemplato dall'art. 391-ter (Cass. S.U., n. 23833/2015; Cass. n. 30245/2011, sul giudicato interno; Cass. n. 29580/2011, che afferma altresì la manifesta infondatezza della previsione di tale motivo di revocazione, ribadendo quanto già ritenuto da Cass. n. 862/2011), e ciò neppure se la Corte abbia ritenuto per errore non necessari ulteriori accertamenti di fatto, trattandosi di un errore di giudizio, appunto la violazione della norma in commento, e non di un travisamento del fatto (Cass. n. 4118/2014).

La correzione della motivazione

La regola essenziale è che, allorché il giudice del merito abbia compiuto un errore di diritto, secondo le argomentazioni dal medesimo esposte nella motivazione, pervenendo tuttavia nel dispositivo alla corretta decisione, la quale potrebbe quindi essere da altra e giusta argomentazione, spetta alla Cassazione individuare quest'ultima, con conseguente mera correzione della motivazione della decisione impugnata (Cass. n. 13086/2015; Cass. n. 18946/2014; Cass. S.U., n. 28054/2008).

La norma viene letta estensivamente, a ricomprendervi anche le ipotesi di omessa motivazione. Invero, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Cost., una volta verificata l'omessa motivazione da parte della sentenza impugnata, la S.C. deve enunciare le ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta (Cass. n. 23989/2014; Cass. n. 1761/2014; Cass. n. 28663/2013), sempre che la motivazione omessa riguardi questione di diritto e non di fatto, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un'esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame (Cass. n. 14476/2019; Cass. n. 6145/2919Cass. n. 2731/2017): in tal caso, si corregge la motivazione anche in presenza di un error in procedendo, quale la motivazione solo apparente o mancante. Tale orientamento sembra ormai andarsi consolidando, a superamento del precedente negativo, il quale negava la possibilità di applicazione del quarto comma in commento al cospetto d'una motivazione mancante, sull'assunto secondo cui la mancanza della motivazione non permette alla Corte di cassazione di accertare se la pronuncia sia stata motivata da erronee considerazioni giuridiche o da valutazioni di fatto (Cass. n. 23328/2011; Cass. n. 2440/1988).

Non è ammessa, invece, la correzione della motivazione ove ciò necessiti di indagini o valutazioni di fatto, oppure la violazione del principio dispositivo (Cass. n. 20806/2017Cass. n. 24165/2013; v. pure Cass. n. 5954/2005). Perché non sia violato il principio dispositivo, occorre che la modifica non concerna statuizioni adottate dal giudice di grado inferiore non impugnate dalla parte interessata, ossia non si compia una non richiesta reformatio in peius (Cass. n. 4676/2015; Cass. n. 14127/2011).

Rilievo d'ufficio e contraddittorio

Al pari del giudice del merito, anche la Cassazione deve provocare il contraddittorio delle parti sulle questioni di diritto rilevate d'ufficio.

La norma riguarda, pertanto, i soli casi di decisione nel merito, non quelli di correzione della motivazione o altre pronunzie, come quelle di inammissibilità (Cass. n. 6669/2015; Cass. n. 8137/2014; Cass. n. 26610/2011; Cass. n. 16401/2011; Cass. n. 15964/2011; Cass. n. 22283/2009; Cass. n. 15901/2009); ma, quanto al rilievo d'ufficio della nullità, il contraddittorio va invece instaurato secondo  le Sezioni unite (Cass. S.U., n. 26242/2014).

Si è affermato che non occorrerebbe attivare il contraddittorio, ove la soluzione risponda al consolidato orientamento della Corte, nella specie avallato dal legislatore con una norma di interpretazione autentica (Cass. n. 15375/2013).

Ove la S.C. abbia disatteso la norma che impone al giudice di provocare il contraddittorio sulla questione rilevata d'ufficio, peraltro, non è ammessa revocazione, estranea al disposto dell'art. 391-bis (Cass. n. 6669/2015).

Bibliografia

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