Codice di Procedura Civile art. 387 - Non riproponibilità del ricorso dichiarato inammissibile o improcedibile.

Loredana Nazzicone
aggiornato da Mauro Di Marzio

Non riproponibilità del ricorso dichiarato inammissibile o improcedibile.

[I]. Il ricorso dichiarato inammissibile [331 2, 365, 366 1] o improcedibile [369 1], non può essere riproposto, anche se non è scaduto il termine fissato dalla legge [325 ss.].

Inquadramento

Nel nostro ordinamento vige il c.d. principio di consumazione dell'impugnazione (in coerenza con l'art. 358 per l'appello): esso connota il processo, retto dal principî dispositivo e della domanda, impedendo alla parte, che abbia proposto un primo ricorso, di proporne un secondo, pur quando siano ancora pendenti i relativi termini.

Una limitata eccezione a tale principio — da intendere dunque in senso restrittivo — opera nel solo caso in cui il primo atto di impugnazione sia viziato e ad esso segua, nel rispetto dei termini perentori previsti dalla disciplina legale, un secondo atto di impugnazione inteso a sostituire il precedente viziato, ma a condizione, in tal caso, che nell'intervallo corrente fra la proposizione delle due impugnazioni non sia sopraggiunta una decisione di inammissibilità o improponibilità del primo ricorso. Proprio quest'ultima situazione è contemplata dalla norma in commento, la quale dispone appunto l'inammissibilità della riproposizione del ricorso, una volta sopraggiunta la declaratoria, ad opera della Corte, della sua inammissibilità o improcedibilità.

Il divieto di frazionamento del ricorso

Il ricorso ed il controricorso, così come il ricorso incidentale, devono essere proposti con un unico atto nel rispetto dei previsti requisiti di contenuto e forma, restando inammissibile la successiva notificazione di un nuovo atto a modifica od integrazione del primo (Cass. S.U. , n. 6691/2020 ; Cass. n. 4249/2015; Cass. S.U., n. 9409/1994).

Ove, pertanto, in presenza di un primo ricorso ammissibile e valido, ne venga notificato un secondo, quest'ultimo è inammissibile e la Corte deciderà il primo (Cass. n. 2704/2005).

È, invece, possibile la proposizione di un nuovo ricorso in sostituzione del primo che non sia stato ancora dichiarato inammissibile (Cass. S.U. , n. 6691/2020 ), ovvero improcedibile (Cass. n. 14756/2024).

Inoltre, il ricorso per cassazione proposto avverso una sentenza non definitiva, unitamente alla sentenza che definisce il giudizio, è ammissibile anche quando sia stato precedentemente dichiarato inammissibile o improcedibile il ricorso avverso la sola sentenza non definitiva, non vertendosi in un'ipotesi di riproposizione del ricorso originario e non essendo, pertanto, applicabile l'art. 387 (Cass. n. 1175/2022).

Dal principio di consumazione si trae dunque, a suo corollario, quello del divieto di frazionamento dei mezzi di impugnazione: nei termini previsti dalla legge la parte deve proporre il ricorso per cassazione o, se del caso, il controricorso; a quel punto, l'intera sua difesa è esclusivamente quella contenuta nel proprio atto introduttivo. Ciò vuol dire che non è ammessa la proposizione di un nuovo ricorso ad integrazione del primo, neppure se non siano scaduti ancora i termini per ricorrere, perché il potere è ormai “consumato”.

Il secondo ricorso non potrebbe, pertanto, utilmente servire né ad indicare nuovi motivi, né a formulare i quesiti omessi, o a completare l'esposizione dei fatti di causa.

Ammissibilità del ricorso in sostituzione del precedente viziato: limiti

È solo possibile — ove non siano decorsi i termini — la proposizione di un nuovo ricorso in sostituzione del primo (Cass. n. 10206/2015; Cass. n. 13257/2010): ciò, in quanto, nel caso in cui una sentenza sia stata impugnata con due successivi ricorsi per cassazione, è escluso che la mera notificazione del primo ricorso comporti, ex se, la consumazione del potere d'impugnazione.

Onde la parte che abbia già proposto ricorso per cassazione può proporne un altro, solo quando il primo ricorso sia viziato ed il successivo miri a sostituire il precedente (Cass. n. 8306/2011; Cass. n. 18756/2005), cui la parte abbia esplicitamente rinunciato (Cass., n. 7344/2012).

Ciò richiede, tuttavia, la presenza di tre essenziali condizioni: a) che il nuovo ricorso sia sostitutivo integralmente, e non meramente integrativo del primo; b) che l'improcedibilità o l'inammissibilità del primo ricorso non sia stata ancora dichiarata; c) che sia ancora pendente il termine per impugnare.

In relazione alla tempestività della seconda impugnazione, si noti, occorre avere riguardo — in difetto di anteriore notificazione della sentenza — non solo al termine di un anno dal deposito della sentenza di cui all'art. 327, ma anche a quello breve ex art. 325, c.p.c. decorrente dalla data della notificazione della prima impugnazione, la quale integra la conoscenza legale della sentenza da parte dell'impugnante (Cass. n. 10206/2015; Cass. n. 18604/2014; Cass. n. 5053/2009).

Al riguardo, sono intervenute le S.U. (Cass. S.U., n. 12084/2016) a precisare  che la notificazione del primo atto di appello, o del ricorso per cassazione, avvia una dinamica impugnatoria al fine di pervenire alla definizione della lite e dimostra conoscenza legale da parte dell'impugnante: ne consegue che qualora questi, prima che sia giunta declaratoria di inammissibilità od improcedibilità, notifichi una seconda impugnazione, quest'ultima deve risultare tempestiva in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione (nello stesso senso, ancora Cass. S.U., n. 10266/2018; Cass. n. 21145/2016).

Per l'ipotesi singolare, in cui venga impugnato, nel rito del lavoro, il solo dispositivo della sentenza, posto che il potere di proporre impugnazione in verità sorge solo al depositato della sentenza in cancelleria, si ritiene che la declaratoria di inammissibilità di un simile ricorso non impedisca alla parte di proporre poi il ricorso correttamente avverso la sentenza dopo il deposito della stessa, sempre che non siano decorsi i termini previsti dagli artt. 325 e 327 (Cass. n. 24100/2006; v. pure Cass. S.U., n. 16399/2007, nonché Cass. n. 18162/2015, ma è un obiter).

Bibliografia

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