Codice di Procedura Civile art. 389 - Domande conseguenti alla cassazione.

Loredana Nazzicone
aggiornato da Mauro Di Marzio

Domande conseguenti alla cassazione.

[I]. Le domande di restituzione o di riduzione in pristino e ogni altra conseguente alla sentenza di cassazione [336 2] si propongono al giudice di rinvio [392] e, in caso di cassazione senza rinvio [382 3], al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata [144 att.].

Inquadramento

L'art. 336 dispone che la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata, comportando che, non appena sia pubblicata la sentenza di riforma, venga meno immediatamente l'efficacia esecutiva della sentenza, come pure l'efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione, con conseguente obbligo di restituzione delle somme pagate e di ripristino della situazione precedente.

In sostanza, è sufficiente l'accoglimento dell'impugnazione perché sorga l'obbligo restitutorio e del corrispondente credito certo, liquido ed esigibile.

Si noti che, invece, la cassazione con rinvio della sentenza in base alla quale è stata iscritta ipoteca giudiziale non impone la cancellazione dell'ipoteca stessa, la quale deve essere eseguita dal conservatore solo quando sia ordinata con sentenza passata in giudicato o con altro provvedimento definitivo emesso dall'autorità competente (Cass. n. 1992/2018).

La domanda di restituzione

L'esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile alle restituzioni non comporta l'esistenza pure di un'implicita condanna a pagare, quale contenuto non dichiarato della sentenza di riforma, ma esige la relativa pronuncia (Cass. n. 2662/2013; Cass. n. 9287/2012): la pronuncia giudiziale alla restituzione di quanto in precedenza versato non può ritenersi implicita nella riforma della sentenza impugnata, occorrendo, invece, un esplicito comando del giudice in tal senso.

Ecco che, essendo necessaria la pronuncia restitutoria espressa, diviene sempre ammissibile la relativa domanda: la ripetizione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di appello cassata è diretta alla restaurazione della situazione patrimoniale precedente alla sentenza che, nel caducare il titolo del pagamento, lo rende indebito sin dall'origine, onde la pretesa restitutoria può essere esercitata proprio a seguito e per effetto della sentenza rescindente. Ne deriva che la domanda di restituzione delle somme predette non costituisce domanda nuova (Cass. n. 21969/2018Cass. n. 7978/2013; Cass. n. 10386/2005; Cass. n. 5787/2005; Cass. n. 9917/2004; Cass. n. 6002/1998; Cass. n. 11527/1995).

Pertanto, si è affermato che essa va formulata con l'atto di appello, solo ove questo sia proposto successivamente all'esecuzione della sentenza, mentre ne è ammissibile anche la proposizione nel corso del giudizio, qualora l'esecuzione della sentenza sia avvenuta successivamente alla proposizione dell'impugnazione (Cass. n. 10124/2009) ed in qualunque momento, ad esempio all'udienza di discussione della causa in sede di precisazione delle conclusioni (Cass. n. 18611/2013; Cass. n. 11491/2006) o, addirittura, nella comparsa conclusionale.

Si è, anzi, affermato che la relativa domanda non costituisce presupposto indefettibile della pronuncia stessa, dati i suoi caratteri del tutto peculiari: è conseguente alla stessa richiesta di modifica della decisione impugnata; si può proporre sempre, non appena sorga l'esigenza; l'obbligo restitutorio è un effetto dipendente direttamente dalla riforma della decisione; si è, pertanto, ammessa la pronuncia d'ufficio sulle restituzioni conseguenti alla riforma della sentenza (Cass. n. 2819/2016).

Se ne è tratto ulteriormente che l'ordine di restituzione può essere oggetto, quanto alla sentenza di riforma, del procedimento di correzione materiale, ai sensi dell'art. 287, allorché il giudice non vi abbia provveduto, pur esistendo in atti tutti gli elementi a ciò necessari, essendo la condanna alle restituzioni sottratta a qualunque forma di valutazione giudiziale, onde si rientra nell'ambito proprio della configurazione dei presupposti di fatto che giustificano la correzione (Cass. n. 2819/2016).

La domanda non costituisce una condictio indebiti in senso proprio, onde, ai fini dia dell'accoglimento della domanda restitutoria, sia degli interessi, resta irrilevante lo stato soggettivo di chi ha attuato il provvedimento giurisdizionale, in particolare il suo stato di buona o mala fede (Cass. n. 17374/2018; Cass. n. 30658/2017 ;Cass. n. 5391/2013; Cass. n. 10386/2005) e gli interessi sulla somma versata decorrono dalla data del suo pagamento (Cass. n. 5391/2013; Cass. n. 21699/2011; Cass. n. 25589/2010; Cass. n. 7270/2003).

La norma, peraltro, riguarda non solo le domande restitutorie in senso stretto, ma ogni altra azione che si ricolleghi alla sopravvenuta inefficacia del provvedimento impugnato, non esclusa quella di risarcimento del danno (Cass. n. 3634/2011).

Peraltro, la pronuncia restitutoria può essere omessa dal giudice di rinvio quando, con la sentenza che conclude il relativo giudizio, sia posto nuovamente in essere il titolo giustificativo di condanna ad eseguire la medesima, o una maggiore, prestazione (Cass. n. 17374/2018; Cass. n. 7500/2007) .

Ulteriori profili processuali

Si noti come in sede di legittimità  non è mai ammissibile una pronuncia di restituzione delle somme corrisposte sulla base della sentenza cassata, neppure se la corte decida la causa nel merito ai sensi dell'art. 384

Infatti, la norma non contempla il caso in cui la S.C. abbia deciso la causa nel merito, ai sensi dell'art. 384: ove ciò avvenga, sembrerebbe peraltro corretto ritenere che la sentenza di legittimità, che comporti obblighi restitutori, possa provvedere direttamente anche ad essi, secondo il principio della economia processuale.

Ma, in senso contrario, sono i precedenti della S.C.: dove si afferma che la domanda di restituzione va proposta in ogni caso al giudice che ha emanato la sentenza cassata, perché non sarebbe comunque mai ammissibile una pronuncia di restituzione non operando, in mancanza di espressa previsione, l'eccezionale possibilità di provvedere nel merito, ai sensi dell'art. 384 (Cass. n. 24852/2019; Cass. n. 667/2016; Cass. n. 12218/2012).

Peraltro, ove il giudice di appello abbia omesso a suo tempo di provvedervi, al riguardo si è ammesso sia il ricorso per cassazione, sia il procedimento di correzione di errore materiale, se ne ricorrano i presuppposti (Cass. n. 17664/2019).

La domanda in questione è regolata dagli ordinari criteri di ripartizione dell'onere della prova di fatti costitutivi, da un lato, e fatti impeditivi, modificativi ed estintivi dall'altro (Cass. n. 23816/2014; Cass. n. 7978/2013).

Dunque, la parte deve allegare e provare il pagamento al giudice del rinvio ed esso può essere desunto anche dal comportamento processuale delle parti, alla stregua del principio di non contestazione che informa il sistema processuale civile e di quello di leale collaborazione tra di esse (Cass. n. 11115/2021; Cass. n. 3527/2020).

Si è affermato che il giudizio di rinvio e quello avente ad oggetto la restituzione dei beni consegnati o delle somme pagate in virtù della sentenza cassata sono tra loro autonomi, onde possono essere celebrati separatamente (Cass. n. 19153/2012; Cass. n. 13454/2011; Cass. S.U., n. 12190/2004; Cass. n. 2480/2003). 

Pertanto, le domande di restituzione o di riduzione in pristino di cui all'art. 389 possono essere proposte al giudice designato dalla suprema corte ai sensi dell'art. 383 anche in via autonoma rispetto a quelle oggetto del giudizio di rinvio (Cass. n. 25355/2018; Cass. n. 9229/2005).

È stato altresì precisato come, in caso di pagamento delle spese processuali effettuato direttamente al difensore non indicato come distrattario, in virtù una sentenza di condanna poi riformata, rende la parte obbligata al rimborso, in quanto unica legittimata passiva (Cass. n. 15030 /2019; Cass. n. 18564/2014 ).

Da ultimo è stato chiarito che Il giudizio previsto dall'art. 389 c.p.c. soddisfa l'esigenza dell'interessato di conseguire, al più presto, la restaurazione della situazione patrimoniale anteriore alla pronuncia della decisione poi annullata; ne deriva che l'oggetto di tale giudizio è esclusivamente rivolto ad ottenere effetti restitutori o ripristinatori, a differenza del giudizio di rinvio ex art. 392 c.p.c., che ha invece ad oggetto la definitiva statuizione dei rapporti di dare e avere tra le parti (Cass. n. 12365/2024, relativa ad un giudizio per le restituzioni promosso dopo la mancata riassunzione di quello di rinvio, pronuncia che ha confermato la statuizione di merito di inammissibilità della domanda riconvenzionale proposta dai convenuti con l'azione restitutoria).

In caso di sentenza di rigetto della S.C., la norma resta inapplicabile (Cass. n. 20229/2014).

Bibliografia

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