Codice di Procedura Civile art. 398 - Proposizione della domanda.Proposizione della domanda. [I]. La revocazione si propone con citazione davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. [II]. La citazione deve indicare, a pena d'inammissibilita', il motivo della revocazione e le prove relative alla dimostrazione dei fatti di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'articolo 395, del giorno della scoperta o dell'accertamento del dolo o della falsita', o del recupero dei documenti. [III]. La citazione deve essere sottoscritta da un difensore munito di procura speciale [83 2-3] 1. [IV]. La proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre il ricorso per cassazione [325 2] o il procedimento relativo. Tuttavia il giudice davanti a cui è proposta la revocazione, su istanza di parte, può sospendere l'uno o l'altro fino alla comunicazione [133 2] della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione, qualora ritenga non manifestamente infondata la revocazione proposta 2.
[1] Comma così sostituito dall'art. 7 l. 18 ottobre 1977, n. 793. [2] Comma così sostituito dall'art. 68 l. 26 novembre 1990, n. 353. InquadramentoL'impugnazione per revocazione si propone allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. La competenza di tale giudice è funzionale ed inderogabile (Cass. n. 103/1993). L'espressione «stesso giudice» va intesa nel senso di stesso ufficio giudiziario, sicché non soltanto non è necessariamente investito dell'impugnazione il giudice persona fisica, ma neppure lo è la sezione (Cass. n. 19041/2006). Peraltro non vi è un ostacolo a che il giudizio di revocazione si svolga dinanzi allo stesso magistrato che ha pronunciato la sentenza (Cass. n. 19498/2006; Cass. n. 15435/2006 la quale precisa che, ovviamente, fa eccezione a tale regola la revocazione per dolo del giudice). La revocazione va chiesta con citazione (ma fa eccezione la revocazione delle sentenze di cassazione, per la quale è espressamente previsto l'impiego del ricorso: art. 391-bis), e ciò — è stato affermato — indipendentemente dal rito applicabile nel giudizio conclusosi con la sentenza revocanda (Cass. n. 7203/1990, secondo cui resta salva la convertibilità del ricorso, con cui sia erroneamente proposta la domanda di revocazione, ove ricorrano i relativi presupposti, per essere stato il ricorso notificato unitamente al pedissequo decreto contenente l'indicazione della data di comparizione). Più di recente si è tuttavia profilato l'opposto indirizzo secondo cui, in caso di rito del lavoro, l'impugnazione va proposta con ricorso (Cass. n. 13834/2010 ; Cass. n. 13063/2016 ). Anche la dottrina ritiene che l'atto introduttivo dell'impugnazione per revocazione abbia forma di ricorso per il rito del lavoro (Picardi, 2013, 429). Peraltro, il principio secondo cui la mancata applicazione del rito del lavoro non è causa di nullità del procedimento e della relativa sentenza ove non abbia comportato violazione delle norme sulla competenza o un concreto e specifico pregiudizio ad una delle parti con riguardo al regime delle prove ed all'esercizio del diritto di difesa, trova applicazione, anche in mancanza di regole diverse o di principi con esso collidenti, anche con riferimento al giudizio di revocazione che, pur riguardando una controversia di lavoro o di previdenza, sia stato promosso con rito ordinario, con la conseguenza che anche in tal caso l'adozione della citazione, anziché del ricorso, come mezzo introduttivo del giudizio non è di per sé stessa causa di nullità e che tale vizio non può conseguire neppure alla mancata lettura del dispositivo della sentenza, atteso il principio secondo cui la nullità per tale omissione si verifica solo quando sia stato adottato il rito del lavoro (Cass. n. 911/1989). La citazione deve essere sottoscritta da un difensore munito di procura speciale. Dunque, l 'atto di citazione introduttivo del procedimento per revocazione contro le sentenze della corte d'appello deve essere sottoscritto da un difensore munito di procura speciale, con conseguente inutilizzabilità di quella rilasciata per il precedente giudizio di primo grado (Cass. n. 22739/2019). Anche in caso di revocazione delle sentenze di cassazione non è utilizzabile la procura rilasciata per il precedente ricorso per cassazione (Cass. n. 16224/2015). L'atto introduttivo dell'impugnazione per revocazione deve contenere, a pena di inammissibilità, oltre ai requisiti previsti dall'art. 163 anche l'indicazione del motivo di revocazione e delle prove utili a dimostrare la sussistenza dei motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395, nonché del giorno in cui la parte ne ha avuto conoscenza. Così, l'esatta individuazione della data in cui si è verificato l'evento indicato dall'art. 395, n. 2, (scoperta del dolo o della falsità o recupero di documenti), rilevante agli effetti della decorrenza del termine di impugnazione per revocazione e prescritta a pena di inammissibilità della domanda dall'art. 398, comma 2, deve essere sin dall'inizio di chiara ed immediata percezione, in guisa da consentire la possibilità di accertare l'osservanza o meno del termine perentorio di impugnazione e costituisce, pertanto, un onere di allegazione della parte istante, oggetto di un preciso thema probandum, in quanto consente di dare ingresso al giudizio rescindente (Cass. n. 11451/2011; Cass. n. 30720/2022 ). L'onere di indicare, fin dall'istanza di revocazione, le prove del giorno della scoperta o dell'accertamento del dolo o della falsità, o del recupero dei documenti, comporta dunque che la data in questione debba costituire un preciso thema probandum e risultare ab initio, perché, dandosi ingresso al giudizio rescindente, è necessario conoscere, ai fini della decorrenza del termine perentorio, se, almeno secondo l'assunto di chi agisce, questo non appaia scaduto; non vale, pertanto, ad escludere la sanzione dell'inammissibilità, l'integrazione di tali indicazioni negli atti difensivi successivi a quello introduttivo, né l'eventuale accertamento d'ufficio svolto da parte del giudice ed inteso a precisare il giorno della scoperta (Cass. n. 5031/2022). Inoltre, ove impone che la citazione introduttiva indichi i motivi della revocazione, a pena d'inammissibilità, la norma in esame preclude ogni possibilità di successivo ampliamento od integrazione di tali motivi (Cass. S.U., n. 4504/1989; Cass. n. 14449/2010). Ciò con ricadute anche sull'eventuale giudizio di cassazione. Difatti, in tema di impugnazione per revocazione, l'art. 398, comma 2, nell'imporre che la citazione introduttiva del giudizio indichi, a pena di inammissibilità, il motivo che la sorregge, preclude che con il ricorso per cassazione si introducano prospettazioni che concretino un diverso caso di revocazione sostitutivo di quello originario, atteso che la diversa soluzione stravolgerebbe l'originario ambito della controversia ed implicherebbe l'espletamento di nuove indagini in punto di fatto (Cass. n. 14449/2010). Si rammenti ancora che la notificazione della citazione per la revocazione di una sentenza di appello equivale alla notificazione della sentenza stessa ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, sicché la tempestività del successivo ricorso per cassazione va accertata non soltanto con riguardo al termine di un anno dal deposito della pronuncia impugnata, ma anche con riferimento a quello di sessanta giorni dalla notificazione della citazione per revocazione, a meno che il giudice della revocazione, a seguito di istanza di parte, abbia sospeso il termine per decorrere per cassazione (Cass. n. 14267/2007; Cass. n. 10053/2009; Cass. n. 309/2012; Cass. n. 7261/2013). Al giudizio di revocazione devono partecipare gli stessi soggetti che avevano preso parte al processo conclusosi con la pronuncia di cui si chiede la revoca (Cass. n. 3228/1987). Rapporti con il ricorso per cassazioneAl rapporto tra impugnazione per revocazione e ricorso per cassazione il codice di rito dedica il quarto comma dell'art. 398, come novellato dalla l. n. 353/1990, il quale pone le seguenti due regole: i) l'impugnazione per revocazione non sospende il termine per proporre ricorso per cassazione né sospende il procedimento relativo: il che equivale a dire, come vedremo più avanti, che l'una e l'altra impugnazione possono essere simultaneamente proposte ed in tal caso devono trovare un modo di convivere; ii) il giudice della revocazione, tuttavia, su istanza di parte può sospendere tanto il corso del termine per il ricorso per cassazione, quanto il giudizio di cassazione già in corso, a seconda dei casi, fino alla comunicazione della sentenza pronunciata sulla revocazione, qualora ritenga non manifestamente infondata tale impugnazione: in tal caso, dunque, l'impugnazione per cassazione subisce un temporaneo stop. La nuova norma ha capovolto il meccanismo precedente, che si incentrava sull'effetto sospensivo automatico provocato dalla proposizione della revocazione (v. Cass. S.U., n. 251/1988): effetto sospensivo che era volto ad assicurare la precedenza — ben comprensibile sul piano della logica, giacché non ha molto senso, almeno di regola, sottoporre al giudizio di legittimità una sentenza affetta dai vizi di merito elencati dall'art. 395 c.p.c., vizi d'altro canto in astratto estranei alla previsione dell'art. 360 — della revocazione a fronte del ricorso per cassazione. Se la logica della vecchia norma era ben comprensibile, non è meno comprensibile la ragione della novella, giacché il congegno dell'automatica sospensione faceva sì che la parte vincitrice in appello potesse almeno temporaneamente sbarrare la strada, anche strumentalmente, al ricorso per cassazione della controparte attraverso l'impugnazione per revocazione (per tutti Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, Il processo di primo grado e le impugnazioni delle sentenze, Torino, 2012, 449). Dunque, l' art. 398, comma 4, secondo inciso deve interpretarsi nel senso che l'accoglimento, da parte del giudice della revocazione, dell'istanza di sospensione del termine per proporre ricorso per cassazione determina l'effetto sospensivo (come, del resto, l'eventuale sospensione del corso del giudizio di cassazione, se frattanto introdotto) soltanto dal momento della comunicazione del relativo provvedimento, non avendo la proposizione dell'istanza alcun immediato effetto sospensivo sebbene condizionato al provvedimento positivo del giudice (Cass. S.U., n. 21874/2019). Come si diceva, dunque, il testo vigente della disposizione mira a consentire che le due impugnazioni, revocazione e ricorso per cassazione, possano viaggiare in parallelo, autonomamente l'una dall'altra. Netto, in tal senso, è il responso della giurisprudenza, secondo cui il nuovo testo dell'ultimo comma dell'art. 398 ha escluso che la proposizione della revocazione possa automaticamente sospendere il termine per proporre il ricorso per cassazione o il relativo procedimento, richiedendosi allo scopo un apposito provvedimento del giudice innanzi al quale è stata proposta la revocazione: ne consegue che, in mancanza di tale provvedimento, i due giudizi procedono in via autonoma, potendo il ricorso per cassazione essere discusso anche prima che giunga la decisione sull'istanza di sospensione ex art. 398, ultimo comma(Cass. n. 22902/2005; Cass. S.U., n. 9776/2020). L'effetto sospensivo non necessariamente si produce, ma può oggi prodursi soltanto a seguito di una valutazione delibativa e prognostica del giudice della revocazione in ordine alla non manifesta infondatezza di essa. Accade dunque un fenomeno peculiare, e cioè che un giudice sospende il processo (o il termine per impugnare) dinanzi ad un altro giudice: il giudice di una impugnazione, ossia della revocazione, che nel caso che qui interessa è di norma il giudice di appello, sospende il termine o il corso di una diversa impugnazione, ossia quella per cassazione, destinata a svolgersi, ovviamente, dinanzi ad un giudice diverso, ossia dinanzi alla Corte di cassazione. Naturalmente, escluso l'effetto sospensivo automatico, la proposizione dell'impugnazione per revocazione non dispiega di per sé, in difetto di sospensione, alcuna ricaduta sul corso del termine per il ricorso per cassazione: ergo, è inammissibile il ricorso per cassazione proposto dopo lo spirare del termine di cui all'art. 327 c.p.c., nulla rilevando che la sentenza impugnata per cassazione sia stata fatta medio tempore oggetto anche di revocazione (Cass. n. 2287/2005;Cass. S.U., n. 16263/2002). D'altro canto, una volta respinta la revocazione, la sentenza passa in giudicato. E quindi la strada per il ricorso per cassazione non precedentemente proposto, se non vi è stata sospensione, rimane comunque sbarrata: la proposizione del giudizio di revocazione avverso la sentenza d'appello non determina infatti — ripetiamo ancora — la sospensione automatica del termine per ricorrere in cassazione; pertanto, qualora la sospensione non sia stata disposta dal giudice e non sia stato tempestivamente proposto ricorso per cassazione, la sentenza di merito acquista efficacia di cosa giudicata; è pertanto inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza che ha ritenuto insussistenti i presupposti per la revocazione col quale si censura la sentenza di merito ormai passata in giudicato (Cass. n. 12703/2007; Cass. n. 12701/2014). Contro il diniego della sospensione non sono previsti rimedi: ed infatti il mancato accoglimento della domanda di sospensione del termine per ricorrere in cassazione, a norma dell'art. 398, ultimo comma, costituisce esercizio di un potere insindacabile in sede di legittimità; esso, non influenzando la legittimità del giudizio di revocazione né della sentenza pronunciata all'esito di questo, non è configurabile come vizio di legittimità a norma dell'art. 360, n. 4 c.p.c. (Cass. n. 10669/2006). L'art. 398 c.p.c. si limita a prevedere la sospensione del termine per il ricorso per cassazione ovvero del giudizio di cassazione, senza alcuna ulteriore precisazione. La dottrina suggerisce l'applicazione analogica dell'art. 367, comma 1, concernente la sospensione, anch'essa ormai meramente facoltativa, per il caso di regolamento di giurisdizione. La sospensione è dunque disposta con ordinanza, su istanza di parte, previa istituzione del contraddittorio sul punto. In giurisprudenza è stato tuttavia precisato che, a differenza di quanto stabilito dall'art. 401 in relazione alla sospensione dell'esecuzione della sentenza oggetto di revocazione (che deve essere disposta con ordinanza emessa all'esito di una decisione camerale), il quarto comma dell'art. 398 non prevede la necessità di specifiche formalità e, perciò, non può escludersi che la decisione in proposito, eventualmente in casi d'urgenza, possa essere assunta dal giudice con decreto (firmato dal solo presidente, in caso di organo collegiale) pronunciato anche inaudita altera parte, ossia a contraddittorio differito (Cass. n. 8138/2005). Qualora il giudizio di cassazione abbia già avuto inizio, perché la disposta sospensione possa dispiegare effetto, occorrerà portare l'ordinanza di sospensione a conoscenza della Corte di cassazione mediante deposito di propria del provvedimento presso la cancelleria di quest'ultima. La possibile sospensione del termine per la proposizione del ricorso per cassazione, prevista dall'art. 398 nel caso di impugnazione per revocazione, trova applicazione — il punto è molto rilevante nella pratica — indipendentemente dal fatto che il ricorso e la revocazione investano gli stessi capi della sentenza, ovvero capi in tutto od in parte diversi (Cass. S.U., n. 1088/1986). La sospensione si produce con la pronuncia del relativo provvedimento. Non può condividersi, sotto tale profilo, la tesi secondo cui l'effetto sospensivo, onde non far ridondare a carico della parte i tempi di emissione del procedimento, decorrerebbe dal momento della presentazione dell'istanza (Cass. n. 9239/2013). Difatti il termine breve per proporre il ricorso per cassazione non può essere ambivalente: poiché esso decorre anche per l'ipotesi in cui l'istanza di sospensione venga rigettata, la parte, pur avendo proposto istanza di sospensione, non può rimanere inattiva, lasciando decorrere inutilmente il termine per proporre il ricorso per cassazione. È stato già rilevato, per altro, che detta soluzione non contrasta, manifestamente, con il diritto di difesa, la cui garanzia costituzionale si attua nelle forme e nei limiti stabiliti dall'ordinamento processuale, salva l'esigenza della effettività della tutela del medesimo diritto, che nella specie appare pienamente rispettata, atteso che la parte dispone comunque per intero del termine di sessanta giorni dalla prima notifica per ricorrere per cassazione, qualunque sia l'esito dell'istanza di sospensione, mentre gli effetti della scelta di attendere il provvedimento del giudice sull'istanza di sospensione non possono che imputarsi alla stessa parte che tale scelta processuale ha ritenuto di compiere (Cass. n. 12701/2014). Per espressa previsione normativa l'effetto sospensivo perdura fino alla comunicazione (non fino al passaggio in giudicato: Cass. n. 4314/1998; Cass. n. 7361/1996) della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione. Alla comunicazione è equipollente la notificazione ad istanza di parte, se precedente (Cass. n. 7361/1996). La comunicazione occorre anche in caso di sentenza pronunciata secondo il rito del lavoro (Cass. n. 8257/1987). In caso di mancata costituzione della controparte, il termine riprende il suo corso dalla pubblicazione della sentenza (Cass. n. 2044/1988). In caso di estinzione del giudizio di revocazione il termine riprende il suo corso sin dalla data dell'evento estintivo, potendo l'estinzione essere dichiarata, incidentalmente dal giudice di un diverso processo (Cass. n. 4252/1982). È importante sottolineare che si tratta di sospensione e non di interruzione del termine, di modo che, una volta cessata la causa di sospensione, con la comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione, il termine non decorrere ex novo ma riprende il suo corso laddove era stato sospeso, sicché il ricorso per cassazione può ritenersi tempestivo solo se, dalla data di quella comunicazione (che spetta al ricorrente dimostrare a norma dell'art. 372: Cass. n. 21927/2009; Cass. n. 1186/1996; Cass. n. 8841/1995), non sia decorsa la parte residua del termine sospeso (Cass. n. 3680/2016). Ne discende che, se la domanda di revocazione è stata proposta nel giorno di scadenza del termine «lungo» per l'impugnazione (oggi sei mesi: art. 327), la ripresa del decorso del termine stesso, una volta cessata la sospensione, non è più possibile in assenza di un residuo utile, con la conseguenza che il ricorso per cassazione è inammissibile (Cass. n. 12819/1993; Cass. S.U., n. 12795/1995). Come si è già accennato, nel caso di sospensione del termine per proporre ricorso per cassazione, disposta, ai sensi dell'art. 398, comma 4, dal giudice davanti al quale è stata proposta domanda di revocazione, il ricorrente ha l'onere, a pena di inammissibilità, di indicare e provare, mediante produzione di idonea documentazione a norma dell'art. 372 c.p.c., l'istanza di sospensione del termine, il provvedimento del giudice della revocazione che concede la sospensione e la comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione, nonché le relative date dei suddetti atti, al fine di consentire alla Corte di legittimità di verificare la tempestività dell'impugnazione (Cass. n. 7624/2015). Il prodursi dell'effetto sospensivo non rende inammissibile il ricorso per cassazione ma in buona sostanza ne procrastina soltanto l'esame. È stato detto che in materia di revocazione ordinaria, nessuna disposizione del codice di procedura civile inibisce alla parte, che pure abbia ottenuto la sospensione del termine per la proposizione dell'impugnazione ex art. 398, di svolgere egualmente l'impugnazione, tenuto conto delle circostanze e di ragioni di opportunità difensiva (Cass. S.U., n. 10416/2014). Anche questo è un punto al quale occorre prestare particolare attenzione per non cadere in errore. Il ricorso per cassazione proposto durante la sospensione del termine d'impugnazione disposta ai sensi dell'art. 398, comma 4, è cioè da considerare ammissibile, anche se resta sospeso il relativo procedimento, per la pregiudizialità della pronuncia sulla revocazione: ne consegue che con la comunicazione della sentenza che ha deciso sull'istanza di revocazione, in applicazione del principio dell'unicità dell'impugnazione, decorre il termine, di cui all'art. 370, per la proposizione del controricorso e dell'eventuale ricorso incidentale (Cass. n. 5480/1998, che ha dichiarato l'inammissibilità del controricorso proposto oltre il termine di cui all'art. 370, decorrente dalla data di comunicazione della sentenza sull'istanza di revocazione, dalla parte, attrice in revocazione, cui era stato notificato il ricorso per cassazione proposto dalla controparte durante la sospensione del termine). D'altro canto, con riguardo dell'art. 398, la proposizione dell'istanza di revocazione di una sentenza comporta, se contro di questa sia stato proposto dalla stessa parte ricorso per cassazione, la sospensione del relativo procedimento fino alla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione, ma non dà la possibilità, al ricorrente, di proporre altro ricorso per cassazione contro la stessa sentenza, quand'anche il termine per l'impugnazione non sia scaduto, dovendosi il diritto all'impugnazione considerarsi consumato con la proposizione del primo ricorso (Cass. n. 2398/1995, che ha ritenuto inammissibile che la parte, dopo la definizione del giudizio di revocazione, da essa proposto contro un capo della decisione della corte di appello, potesse proporre ricorso per cassazione contro quello stesso capo, avendo essa esaurito il diritto di impugnazione con la proposizione, anteriormente avvenuta, di ricorso incidentale per cassazione avverso la medesima sentenza, sia pure su capo diverso da quello fatto oggetto dell'istanza revocatoria). Altro pericolo disseminato sul percorso di chi intenda ricorrere simultaneamente per cassazione e per revocazione: il termine per il ricorso per cassazione è sempre quello breve, sempre che non sia già decorso quello lungo. La notificazione della citazione per la revocazione di una sentenza di appello, difatti, equivale (attenzione: sia per la parte notificante che per la parte destinataria) alla notificazione della sentenza stessa ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, onde la tempestività del successivo ricorso per cassazione va accertata non soltanto con riguardo al termine di un anno dal deposito della pronuncia impugnata, ma anche con riferimento a quello di sessanta giorni dalla notificazione della citazione per revocazione, a meno che il giudice della revocazione, a seguito di istanza di parte, abbia sospeso il termine per ricorrere per cassazione, ai sensi dell'art. 398, comma 4 (Cass. n. 14267/2007; Cass. n. 10053/2009; Cass. n. 309/2012; Cass. n. 7261/2013). Ai fini della riattivazione del giudizio di cassazione sospeso in pendenza di quello di revocazione avverso la medesima sentenza, non è necessaria l'istanza di riassunzione di cui all'art. 297, in quanto il giudizio di cassazione è dominato dall'impulso di ufficio il cui concreto esercizio può essere sollecitato dalla parte interessata anche con una mera segnalazione informale della cessazione della causa di sospensione, non collegata all'osservanza dei termini stabiliti dalla legge per il diverso caso della riassunzione del processo sospeso (Cass. n. 536/1993; Cass. n. 3362/2015). Come si accennava in apertura, l'esclusione dell'effetto sospensivo automatico del termine per il ricorso/giudizio di cassazione in conseguenza della proposizione dell'impugnazione per revocazione, apre la strada allo svolgimento simultaneo di due giudizi di impugnazione contro la medesima sentenza, quello di revocazione e quello di cassazione. Le possibilità che possono darsi e le ipotetiche combinazioni sono molte, sia considerando lo specifico contenuto delle due impugnazioni, che possono investire o no il medesimo o i medesimi capi, sia considerando l'esito del giudizio di revocazione. In linea generale, la regola che possiamo orientativamente è questa: la decisione sulla revocazione, sul piano strettamente logico, viene prima di quella sulla cassazione: se il giudice della revocazione accoglie l'impugnazione e la relativa sentenza passa in giudicato prima della conclusione del giudizio di cassazione si produrrà, in linea di massima, la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione per essere stata sostituita la pronuncia impugnata con altra sentenza di merito. Anche in giurisprudenza si osserva che, nell'ipotesi in cui la sentenza d'appello impugnata con ricorso per cassazione sia stata revocata, deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione, a nulla rilevando che la sentenza di revocazione potrebbe a sua volta essere impugnata in cassazione, giacché la suddetta impugnazione costituisce una mera possibilità, mentre la carenza d'interesse del ricorrente a coltivare il ricorso è attuale, essendo venuta meno la pronuncia che ne costituiva l'oggetto (Cass. n. 673/1999; Cass. n. 21951/2013; Cass. n. 2934/2015). Altre volte è stato detto che, nel caso in cui la sentenza impugnata sia stata riformata nel senso voluto dal ricorrente — per avere la corte di appello modificato in sede di giudizio di revocazione la propria sentenza fatta oggetto di ricorso di legittimità — questi ha perso qualsiasi interesse ad una pronuncia sul proprio ricorso, che, per tale ragione, va dichiarato inammissibile (Cass. n. 23515/2007). Qualora una sentenza di appello, fondata su due autonome ragioni del decidere, sia impugnata, con riferimento soltanto a una di esse, per revocazione e, con riferimento all'altra, con ricorso per cassazione, il giudice della revocazione non può dichiarare inammissibile tale impugnazione, in quanto rivolta contro una soltanto delle ragioni della decisione, ma deve provvedere con sentenza dichiarativa sulla esistenza — o meno — del vizio revocatorio, la quale resta poi subordinata al definitivo esito del ricorso per cassazione circa l'altra autonoma ragione della decisione di secondo grado. Tale principio, tendente a garantire che la decisione giudiziaria sia assoggettabile a tutti i controlli di cui il soccombente possa avvalersi, è applicabile anche quando il concorso tra i mezzi d'impugnazione sia solo virtuale, essendo stata formulata riserva di ricorso per cassazione avverso una sentenza di appello non definitiva fondata su due autonome ragioni del decidere (Cass. n. 1999/1993). Nulla esclude, poi, la Corte di cassazione decida prima del giudice d'appello Qualora il ricorso per cassazione sia stato respinto prima della conclusione del giudizio di revocazione, questo dovrà proseguire per il controllo dell'esistenza dei vizi revocatori. Si avrà cessazione della materia del contendere nel giudizio di revocazione, ancora pendente, allorché venga accolto il ricorso per cassazione proposto contro la sentenza revocanda. Invece, nell'ipotesi in cui una sentenza d'appello venga impugnata sia per revocazione sia per cassazione, e la Corte d'Appello abbia dichiarato inammissibile la revocazione, mentre la Corte di cassazione abbia cassato con rinvio la sentenza impugnata, l'una e l'altra decisione devono ritenersi del tutto autonome, con la conseguenza che la sentenza della Cassazione non esplica alcuna efficacia immediata nel giudizio di impugnazione per cassazione della sentenza della Corte d'Appello dichiarativa dell'inammissibilità della revocazione, salvo che non sia venuto meno l'interesse a coltivare il ricorso (Cass. n. 9908/2001). Per converso, in ipotesi di contestuale ricorso per cassazione e di domanda di revocazione avverso la sentenza della corte di appello che dichiari inammissibile per tardività un appello, rispettivamente per erronea applicazione di norma processuale sui termini e per errore revocatorio, le due impugnazioni conservano autonomia anche se fondate entrambe sull'erroneità del computo dei termini posto a base della declaratoria di inammissibilità. Ne consegue che la definizione del ricorso per cassazione non preclude né pregiudica in alcun modo la disamina della domanda di revocazione (Cass. n. 23445/2014). Contro la sentenza di revocazione può essere proposto ricorso per cassazione. Sicché può darsi il caso della simultanea pendenza di due ricorsi per cassazione, uno contro la sentenza a monte, uno contro la sentenza pronunciata in sede di revoca. Anche in tal caso si ragiona in termini di subordinazione del ricorso per cassazione al giudizio di revocazione, sicché qualora siano state proposte le impugnazioni per cassazione contro la sentenza di merito resa in grado di appello e contro quella pronunciata nel successivo giudizio di revocazione, esse — qualora siano dirette contro capi identici o connessi delle due sentenze — possono essere contemporaneamente proposte con un unico ricorso realizzandosi in sostanza un'ipotesi di connessione che potrebbe altrimenti legittimare la riunione dei ricorsi, ove separatamente proposti; tuttavia il carattere pregiudiziale delle questioni inerenti alla revocazione impone di pronunciare anzitutto sui motivi del ricorso che si riferiscono alla sentenza pronunciata nel giudizio di revocazione (Cass. n. 6878/2009; Cass. n. 14442/2008; Cass. n. 14350/2004; Cass. n. 2818/2004; Cass. n. 1814/2004). Qualora quest'ultimo venga rigettato, si procederà all'esame del primo, mentre — ove sia accolto — il giudizio relativo al ricorso per cassazione contro la sentenza di merito già impugnata per revocazione rimane sospeso sino al momento della comunicazione della sentenza del giudice di rinvio investito della revocazione. Infatti, qualora sia cassata la decisione che abbia rigettato o dichiarato inammissibile la revocazione, si verifica la reviviscenza della sospensione del giudizio di cassazione disposta ai sensi dell'art. 398, comma 4, in presenza del procedimento di revocazione (Cass. n. 1814/2004; Cass. n. 5480/1998; Cass. n. 516/1998). Si è altresì affermato che i ricorsi per cassazione proposti, rispettivamente, contro la sentenza d'appello e contro quella che decide l'impugnazione per revocazione avverso la prima, devono, in caso di contemporanea pendenza in sede di legittimità, essere riuniti in applicazione (analogica, trattandosi di gravami avverso distinti provvedimenti) della norma dell'art. 335, che impone la trattazione in un unico giudizio di tutte le impugnazioni proposte contro la stessa sentenza. Infatti, la riunione di detti ricorsi, pur non essendo espressamente prevista dalla citata norma del codice di rito, discende dalla connessione esistente tra le due pronunce, atteso che sul ricorso per cassazione proposto contro la sentenza revocanda può risultare determinante la pronuncia di cassazione riguardante la sentenza resa in sede di revocazione (Cass. n. 16435/2016; Cass. n. 25376/2006; per la possibilità di riunione, Cass. n. 14350/2004; Cass. n. 2818/2004). Analogamente, in sede di legittimità, attesa l'identità dell'oggetto della controversia ed in applicazione analogica dell'art. 335, il ricorso per revocazione, proposto contro la sentenza con cui la Corte di cassazione abbia rigettato un precedente ricorso avverso una sentenza d'appello, ed il ricorso per cassazione esperito avverso la sentenza con cui la medesima corte di appello abbia dichiarato inammissibile la domanda di revocazione di quella sua stessa pronuncia impugnata anche in sede di legittimità, vanno riuniti (Cass. n. 23445/2014). Si è ancora stabilito che, proposti contro la stessa sentenza sia il ricorso per revocazione che il ricorso per cassazione, qualora la sentenza stessa venga annullata in accoglimento del ricorso per cassazione, diventa inammissibile, per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso per cassazione precedentemente proposto contro la sentenza che abbia rigettato la richiesta di revocazione (Cass. n. 10759/2000). Infine, qualora la sentenza di appello impugnata con revocazione sia cassata, integralmente o limitatamente alla statuizione oggetto di quella impugnazione o comunque dalla prima dipendente, con rinvio o senza, e la sopravvenuta decisione di legittimità non sia evidenziabile al giudice della revocazione che abbia già riservato in decisione la causa, la conseguente nullità, per sopraggiunta carenza di interesse, della sentenza che decida quest'ultima può essere fatta valere con ricorso per cassazione (Cass. n. 6885/2015). BibliografiaConsolo-Luiso-Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano, 1984; Mandrioli, Corso di diritto processuale civile, II, Torino, 1991. |