Codice di Procedura Civile art. 414 - Forma della domanda 1 2 3

Mauro Di Marzio

Forma della domanda 1 23

[I]. La domanda si propone con ricorso, il quale deve contenere:

1) l'indicazione del giudice;

2) il nome, il cognome, il codice fiscale e la residenza o il domicilio del ricorrente, il nome, il cognome, il codice fiscale e la residenza o il domicilio o la dimora nonchè l'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi del convenuto; se ricorrente o convenuto e' una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, il ricorso deve indicare la denominazione o ditta nonchè la sede del ricorrente o del convenuto4;

3) la determinazione dell'oggetto della domanda;

4) l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni;

5) l'indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione.

 

[1] In tema di rito speciale per le controversie in materia di licenziamenti, v. art. 1 commi 47-68, in particolare il comma 51, l. 28 giugno 2012, n. 92.

[2]  La Corte cost., con sentenza 14 gennaio 1977, n. 13, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale del presente articolo, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.

[3] Articolo sostituito dall'art. 1, comma 1, l. 11 agosto 1973, n. 533.

[4] Numero così sostituito dall'art. 3, comma 5, lett. a) d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023. Il testo del numero era il seguente: «l nome, il cognome, nonché la residenza  o il domicilio eletto dal ricorrente nel comune in cui ha sede il giudice adito, il nome, il cognome e la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto; se ricorrente o convenuto è una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, il ricorso deve indicare la denominazione o ditta, nonché la sede del ricorrente o del convenuto» 

Inquadramento

Seguendo l'enumerazione dell'art. 414, al quale il recente Correttivo alla c.d. Riforma Cartabia ha apportato marginali modifiche (indicazione del codice fiscale e della PEC),

il ricorso deve contenere: i) l'indicazione del giudice, ossia del tribunale (sede principale o sezione distaccata) nel cui ambito si radica la competenza ai sensi dell'art. 413; ii) il nome, il cognome, nonché la residenza o il domicilio eletto del ricorrente nel comune in cui ha sede il giudice adito, il nome, il cognome e la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto; se ricorrente o convenuto è una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, il ricorso deve indicare la denominazione o ditta nonché la sede del ricorrente o del convenuto; iii) la « determinazione dell'oggetto della domanda » (art. 414, n. 3); la formulazione della norma diverge da quella dell'art. 163, il quale richiede « la determinazione della cosa oggetto della domanda » (art. 163, comma 3, n. 3), ma non sembra che la differenza lessicale abbia un effettivo rilievo, giacché ciascuna delle due espressioni vale ad individuare il petitum, tanto nel suo aspetto immediato (il provvedimento dichiarativo, di condanna o costitutivo richiesto il giudice), quanto nel suo aspetto immediato (il bene della vita richiesto); iv) l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto (causa petendi) sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni; su questo punto si tornerà nel discorrere della nullità del ricorso, ma si può fin d'ora porre in rilievo che l'allegazione dei fatti costitutivi della domanda spiegata non può in nessun caso mancare, dal momento che essi non potranno essere introdotti successivamente; v) l'indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione; qui prende corpo una delle differenze fondamentali tra il rito di cognizione ordinaria — il quale, nell'attuale assetto, consente alle parti di indicare mezzi di prova ed effettuare produzioni documentali entro il secondo e terzo termine di cui all'art. 183, comma 6, — ed il rito del lavoro, in cui l'attore deve fin da subito formulare le richieste istruttorie e produrre i documenti, indicandoli in ricorso; in proposito, merita subito sottolineare che, quantunque l'art. 414 non contempli espressamente la sanzione della decadenza per i mezzi istruttori e le produzioni documentali non menzionato in ricorso, essa si deduce con tutta certezza dal sistema, come il giudice delle leggi ha avuto modo di evidenziare (Corte cost. n. 13/1977).

A tale riguardo, inoltre, merita rammentare che l'omessa indicazione nel ricorso di documenti tempestivamente depositati all'atto della costituzione in giudizio ed enunciati nell'indice del fascicolo costituisce una mera irregolarità e non comporta la decadenza dalla produzione, con la conseguenza che, qualora il convenuto, data l'omessa indicazione nel ricorso delle produzioni, non abbia preso visione del fascicolo dell'attore prima della formazione della sua memoria difensiva, potrà chiedere un termine per l'integrazione delle sue difese non appena venuto a conoscenza della produzione (Cass. n. 14001/2001). Per altro verso, l'omessa indicazione dei documenti prodotti nell'atto di costituzione in giudizio, e l'omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza dal diritto di produrli, salvo che si siano formati successivamente alla costituzione in giudizio o la loro produzione sia giustificata dall'evoluzione della vicenda processuale, sicché, nel caso in cui sia chiesta da una parte la produzione di documenti all'udienza di discussione e la controparte non proponga tempestivamente, nel termine perentorio fissato dal giudice, proprie istanze istruttorie o comunque non si opponga alla produzione, deve ritenersi che la parte nei cui confronti è chiesta la produzione abbia accettato il provvedimento di ammissione (Cass. n. 10102/2015). Qualora la parte abbia, con l'atto introduttivo del giudizio, proposto capitoli di prova testimoniale mediante indicazione specifica dei fatti, formulati in articoli separati, ma omettendo l'enunciazione delle generalità delle persone da interrogare, incorre nella decadenza della relativa istanza istruttoria, con la conseguenza che il giudice non può fissare un termine, ai sensi dell'art. 421, per sanare la carente formulazione (Cass. n. 5950/2014).

Ulteriore differenza tra il ricorso introduttivo del rito del lavoro e la citazione introduttiva del rito ordinario è, poi, che soltanto quest'ultima richiede, ai sensi dell'art. 163, comma 3, n. 7, l'indicazione del giorno dell'udienza di comparizione, con l'invito al convenuto a costituirsi ed a comparire, con il noto avvertimento: tale indicazione, infatti, non è richiesta poiché l'indicazione non dall'attore è fissata ma, successivamente, dal giudice.

Si può qui aggiungere, infine, che l'erronea scelta dell'atto introduttivo e, così, del rito, non incide, generalmente, sulla validità della domanda, ma dà luogo al passaggio dal rito ordinario a quello speciale, ai sensi dell'art. 426.

Peculiarità del procedimento monitorio

Tuttavia, può talora accadere che l'erronea scelta dell'atto introduttivo finisca per precludere definitivamente la tutela del diritto che si intende far valere in tutti quei casi in cui la legge stabilisca un termine di decadenza per l'esercizio della domanda: in tal caso, dovendo verificarsi la tempestività di essa con riguardo al momento di deposito del ricorso, non rileva la notificazione della citazione, ma soltanto il suo deposito, equipollente al deposito del ricorso.

La questione riguarda principalmente l'opposizione a decreto ingiuntivo. Il fondamentale argomento volto ad escludere che l'atto di opposizione a decreto ingiuntivo debba avere forma di citazione anziché di ricorso, con conseguente soggezione agli artt. 163 ss. anziché agli artt. 414 ss., si rinviene nel comma 2 dell'art. 645, il quale stabilisce che in seguito all'opposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito, il che sta a significare che l'opposizione a decreto ingiuntivo introduce un procedimento di cognizione ordinaria concernente il diritto fatto valere in via monitoria il quale segue le regole di rito a tal riguardo previste.

Il problema, in particolare, si è posto in materia di opposizione a decreto ingiuntivo per crediti di lavoro, con l'affermazione del principio secondo cui, in caso di opposizione proposta con citazione anziché con ricorso, la tempestività di essa va scrutinata non già in relazione al momento in cui la citazione è stata notificata, bensì a quella in cui è stata depositata (Cass. n. 11625/1995; Cass. n. 9675/1994; Cass. n. 7095/1994). Lo stesso indirizzo si è formato con riguardo alle opposizioni a decreto ingiuntivo pronunciato per crediti nascenti dal contratto di locazione (Cass. n. 7263/2000; Cass. n. 8/1998). Ed il giudice delle leggi ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 641, per asserito contrasto con i canoni costituzionali di garanzia del diritto di difesa e di buon andamento nell'amministrazione della giustizia, nella parte in cui non prevede che il decreto ingiuntivo pronunciato in materia di lavoro debba indicare all'ingiunto quali siano le modalità dell'opposizione (Corte cost. n. 152/2000). Già in precedenza la S.C. aveva escluso che l'indicazione del rito da applicare in sede di opposizione potesse costituire requisito del decreto ingiuntivo, essendo onere della parte interessata provvedere alla sua individuazione e non operando, in materia processuale, il principio dell'affidamento (Cass. n. 8/1998).

L'inammissibilità dell'opposizione avverso il decreto ingiuntivo per inosservanza del termine, tuttavia, non osta — secondo un ribadito indirizzo della S.C. — a che l'opposizione stessa produca gli effetti di un ordinario atto introduttivo (nel concorso dei necessari requisiti di legge) con riguardo alle domande autonome e distinte rispetto alla richiesta di annullamento e revoca del decreto che detto atto contenga (Cass. n. 8083/2006; Cass. n. 3769/2001; Cass. n. 11235/1990).

Effetti processuali e sostanziali del ricorso

Tanto la citazione introduttiva del processo di cognizione ordinaria quanto il ricorso introduttivo secondo il rito del lavoro producono taluni effetti sostanziali e processuali. Tuttavia, mentre non v'è dubbio che, nel caso della citazione, essi si determinino in dipendenza della notificazione dell'atto introduttivo, sorge il quesito, nel caso del ricorso, se gli stessi si producano per effetto del deposito dello stesso, ovvero della sua notificazione.

La dottrina, in proposito, è sostanzialmente concorde nel distinguere tra le diverse fattispecie.

Così, con riguardo agli effetti processuali del ricorso, si possono senz'altro ancorare al momento del deposito: a) la pendenza del processo (v., p. es., con riguardo al rito del lavoro, Cass. S.U., n. 901/1999); il compimento della formalità del deposito coincide cioè con la proposizione della domanda (così Cass. n. 10782/2003); b) la determinazione della competenza della giurisdizione, in applicazione dell'art. 5; c) la costituzione dell'attore: di qui, tra l'altro, la necessità che la procura alle liti sia stata rilasciata ab origine, non potendo operare la disposizione di cui all'art. 125, comma 2, secondo cui la procura al difensore dell'attore può essere rilasciata in data posteriore alla notificazione dell'atto purché anteriormente alla costituzione della parte rappresentata (Cass. n. 9596/2001; Cass. n. 9899/1998).

Allo stesso modo, si verificano con il deposito del ricorso effetti sostanziali quali, tra gli altri:

i) la produzione degli interessi anatocistici, ex art. 1283 c.c., secondo cui, in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale;

ii) l'obbligo di corrispondere gli interessi nella ripetizione di indebito, ex art. 2033 c.c., ovvero di restituire i frutti da parte del possessore di buona fede ex art. 1148 c.c.;

iii) l'impedimento della decadenza, alla stregua dell'art. 2966 c.c., secondo cui esso è determinato «dal compimento dell'atto previsto dalla legge o dal contratto».

È invece indubbio, dal versante degli effetti processuali, che il convenuto acquisti la qualità di parte soltanto con la notifica del ricorso, nonché dall'opposto versante degli effetti sostanziali, che sempre con la notifica del ricorso si producano l'interruzione della prescrizione, ex art. 2943, comma 1, c.c., ovvero la costituzione in mora ex art. 1219 c.c., attesa la natura ricettizia dell'atto. E cioè, l'effetto interruttivo della prescrizione esige, per la propria produzione, che il debitore abbia conoscenza (legale, non necessariamente effettiva) dell'atto giudiziale o stragiudiziale del creditore; esso, pertanto, in ipotesi di domanda proposta nelle forme del processo del lavoro, non si produce con il deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice adito, ma con la notificazione dell'atto al convenuto (Cass. n. 24031/2017).

Merita sottolineare, quanto al c.d. «rito Fornero», che, secondo quanto quest'ultimo prevede, il giudizio di primo grado, pur unitario, si articola in due fasi procedimentali e l'introduzione della fase di opposizione richiede un'autonoma costituzione delle parti; ne consegue che il ricorso in opposizione può essere depositato in forma cartacea, non ricorrendo i presupposti per l'applicazione dell'art. 16-bis d.l. n. 179/2012, conv., con modif., in l. n. 221/2012, secondo cui il deposito degli atti processuali delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche (Cass. n. 2930/2019).

Nullità del ricorso

Mentre la disciplina del processo ordinario di cognizione contiene una apposita norma, l'art. 164, destinata a regolare la nullità della citazione, manca un'analoga disposizione dettata per il processo del lavoro. È opinione comune, però, che la norma menzionata debba applicarsi non soltanto alla citazione, ma anche al ricorso, sia pure entro i limiti della compatibilità.

Le varie ipotesi possono essere esaminate alla luce del riparto, generalmente ammesso, tra nullità concernenti la vocatio in ius e nullità concernenti la editio actionis.

Costituiscono ipotesi di nullità della vocatio in ius, per quanto attiene alla citazione:

a) l'omissione o l'assoluta incertezza riguardante l'indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta;

b) l'omissione o l'assoluta incertezza delle indicazioni riguardanti le parti;

c) l'omessa indicazione della data dell'udienza di comparizione;

d) l'assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge;

e) la mancanza dell'avvertimento di cui all'art. 163, comma 3, n. 7.

Orbene, è di tutta evidenza che, nel ricorso introduttivo del rito del lavoro, possono presentarsi le sole nullità elencate sub a), b), e d). Non, invece, quelle sub c (salvo quanto si dirà tra breve) ed e, dal momento che il ricorso non indica l'udienza di comparizione, che è invece successivamente fissata dal giudice, né deve contenere, perché non prescritto, l'avvertimento che la costituzione oltre i termini implica le decadenze previste dalla legge.

Dinanzi ad uno degli elencati i vizi della vocatio in ius, occorre distinguere secondo che il convenuto si sia o meno costituito.

Nel primo caso, in applicazione dell''art. 164, comma 3, la costituzione del convenuto sana le nullità del ricorso, del quale restano quindi salvi, ex tunc, gli effetti sostanziali e processuali. Nel secondo caso, se il convenuto non si costituisce, il giudice, in applicazione dell'art. 164, comma 2, deve rilevare la nullità del ricorso e disporne d'ufficio la rinnovazione entro un termine perentorio da lui stabilito, fissando a tal fine una nuova udienza di discussione adeguatamente posticipata, così da consentire all'attore di effettuare la rinnovazione nel rispetto dei previsti termini a comparire. Anche in questo caso, se l'attore provvede alla rinnovazione, ha luogo la sanatoria ex tunc della nullità, sicché gli effetti sostanziali e processuali del ricorso, a seconda dei casi, si producono sin dal momento del suo deposito ovvero della prima notificazione.

Viceversa se la rinnovazione non viene eseguita, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue a norma dell'art. 307, comma 3.

Si discute, inoltre, in caso di nullità, sulla duplice eventualità: a) che l'attore provveda ad effettuare la rinnovazione, ma oltre lo spirare del termine perentorio assegnato dal giudice; b) che l'attore, nell'effettuare la rinnovazione, incorra nuovamente in una nullità della vocatio in ius.

Con riguardo all'ipotesi della rinnovazione effettuata tardivamente, si ritiene, in prevalenza, che abbia comunque luogo l'estinzione del processo, non essendosi completata la fattispecie prevista dalla legge perché l'estinzione non si verifichi.

Con riguardo all'ipotesi della rinnovazione nuovamente affetta da una nullità della vocatio in ius, si ritiene in prevalenza che non possa essere ordinata una nuova rinnovazione (Trisorio Liuzzi, 103; Balena, 57).

Come si diceva poc'anzi, nel rito del lavoro non è in linea di principio configurabile una nullità della vocatio in ius dipendente dalla mancata indicazione, nel ricorso, dell'udienza di discussione, la quale è invece fissata dal giudice. Può accadere, però, che l'indicazione della data venga a mancare nella copia che l'attore abbia estratto dall'originale a fine di notifica. In tal caso si verifica una nullità che, se fatta valere in sede di appello, è tale da comportare la rimessione al giudice di primo grado, a norma dell'art. 354 (Cass. n. 7227/2000).

Specifica menzione merita la questione della nullità determinata dall'assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello previsto dalla legge. In giurisprudenza, in applicazione dei principi fino ad ora esposti, è stato sovente affermato che l'assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge — termine libero, trovando applicazione la regola generale dell'art. 163-bis, comma 1, — attiene esclusivamente alla vocatio in ius, senza incidere, ove si tratti del giudizio di appello, sulla validità del ricorso tempestivamente depositato e sulla sua inidoneità ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, rimanendo il vizio sanabile con effetto ex tunc — e quindi senza che in contrario, rilevi la scadenza, nelle more, dei termini di impugnazione — in forza di rinnovazione della notificazione del ricorso o di costituzione dell'appellato (Cass. n. 1399/1994).

Come si è visto, il giudice deve rilevare l'ufficio la nullità concernente la vocatio in ius. Sicché sorge il quesito in ordine alle conseguenze della mancata rilevazione, nel caso di contumacia del convenuto. La S.C., a Sezioni Unite, ha composto il contrasto precedentemente formatosi sul punto affermando il principio di diritto secondo cui, nelle controversie soggette al rito del lavoro, il giudice d'appello che rilevi la nullità dell'introduzione del giudizio, determinata dall'inosservanza del termine dilatorio di comparizione stabilito dall'art. 415, comma 5, non può dichiarare la nullità e rimettere la causa al giudice di primo grado (non ricorrendo in detta ipotesi né la nullità della notificazione dell'atto introduttivo, né alcuna delle altre ipotesi tassativamente previste dagli artt. 353 e 354, comma 1), ma deve trattenere la causa e, previa ammissione dell'appellante ad esercitare in appello tutte le attività che avrebbe potuto svolgere in primo grado se il processo si fosse ritualmente instaurato, decidere nel merito (Cass. S.U., n. 122/2001).

L'analisi svolta dalla pronuncia che precede è stata essenzialmente indirizzata all'esame della posizione del convenuto contumace in primo grado. Il vizio di cui si discute, tuttavia, può presentarsi anche nel caso che il convenuto siasi costituito. In tal caso, è stato precisato che — alla luce dell'arresto delle Sezioni Unite — la parte costituita in primo grado ha l'onere di indicare, con il ricorso in appello, le attività defensionali non svolte in primo grado a causa della inosservanza del termine a comparire, e di ribadire, in sede di ricorso per cassazione, quali attività difensive la riduzione del termine le ha precluso e quali ulteriori avrebbe potuto o voluto svolgere in appello (Cass. n. 16680/2004).

Alle nullità della editio actionis sono dedicati gli ultimi tre commi dell'art. 164. La disposizione fa riferimento al petitum, ossia alla determinazione della cosa oggetto della domanda (art. 163, comma 3, n. 3) ed alla causa petendi, con esclusivo riguardo all'esposizione dei fatti (non agli elementi di diritto) costituenti le ragioni della domanda (art. 163, comma 3, n. 4). Il comma 2, poi, reca una disciplina radicalmente difforme da quella dettata per le nullità della vocatio in ius: è intuitivo, infatti, che, in tal caso, la costituzione del convenuto possegga un'intrinseca efficacia sanante (salva l'assegnazione, ove prevista, di un nuovo termine a comparire), dal momento che essa realizza lo scopo della costituzione del contraddittorio cui la stessa vocatio in ius tende. Viceversa, se l'atto introduttivo risulti mancante del petitum o della causa petendi, esso rimarrà egualmente carente pur dopo la costituzione del convenuto.

La mancanza o l'assoluta incertezza dei menzionati requisiti, quindi, determina la radicale nullità del ricorso, comportando l'impossibilità dell'individuazione del diritto fatto valere in giudizio e precludendo al convenuto, conseguentemente, di predisporre le proprie difese. Nel processo del lavoro, dunque, la mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui si fonda la domanda è causa di nullità del ricorso introduttivo che, ove non rilevata dal giudice di primo grado, è soggetta alla regola generale della conversione in motivi di impugnazione ex art. 161, comma 1, c.p.c., con onere del convenuto di impugnare la decisione anche con riguardo alla pronuncia, implicita, sulla validità dell'atto (Cass. n. 23059/2024).

È stata più volte ribadita, in proposito, l'affermazione che il menzionato vizio non si configura sulla base di una valutazione meramente formale, ma sussiste soltanto quando esso resista alla complessiva lettura dell'atto introduttivo nonché alla disamina della documentazione allegata (Cass. n. 5879/2005; Cass. n. 13005/2006). Si è affermato altresì che, nell'identificazione del petitum e della causa petendi, può utilizzarsi anche la documentazione allegata al ricorso (Cass. n. 18930/2004).

E dunque, nel rito del lavoro, per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell'oggetto o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui si fonda la domanda stessa, non è sufficiente la mancata indicazione dei corrispondenti elementi in modo formale, ma è necessario che ne sia impossibile l'individuazione attraverso l'esame complessivo dell'atto ed i riferimenti ai documenti contenuti nella domanda introduttiva (Cass. n. 7199/2018, che ha cassato la sentenza impugnata che aveva dichiarato la nullità del ricorso introduttivo, concernente la determinazione di compensi nell'ambito di un rapporto di collaborazione tra un avvocato ed una banca, ritenendo adeguatamente specificati i singoli incarichi professionali ed i titoli delle pretese). Ed inoltre, ove sia stata omessa, o sia errata, l'indicazione del contratto collettivo applicabile, non ricorre la nullità del ricorso introduttivo di cui all'art. 414, in quanto rientra nel potere-dovere del giudice acquisirlo d'ufficio ex art. 421, qualora vi sia solo contestazione circa la sua applicabilità, non comportando tale acquisizione una supplenza ad una carenza probatoria su fatti costitutivi della domanda, ma piuttosto il superamento di una incertezza su un fatto indispensabile ai fini del decidere (Cass. n. 6610/2017).

Quanto ai congegni di sanatoria della nullità della editio actionis e gli effetti della mancata sanatoria, si è già accennato che la relativa disciplina non ha e non può avere lo stesso trattamento della sanatoria della vocatio in ius.

In quest'ultimo caso, il legislatore distingue secondo che il convenuto siasi costituito oppure no. Se si è costituito, la sanatoria è determinata dalla stessa sua costituzione, che realizza lo scopo dell'istituzione del contraddittorio, salva la (ri)assegnazione del termine a comparire, con conseguente fissazione di una nuova udienza. Se non si è costituito, la sanatoria richiede la rinnovazione dell'atto nullo. In ogni caso, l'effetto sanante, vuoi per la costituzione che per la rinnovazione dell'atto, si verifica ex tunc.

Anche nel caso della vocatio in ius il legislatore appresta una diversa disciplina secondo che il convenuto si costituisca o meno, ma la costituzione, di per sé, non possiede alcun effetto sanante: e ciò per la già indicata ragione che tale costituzione non comporta, né può comportare, l'identificazione del petitum e della causa petendi che nell'atto introduttivo mancano. Nel caso considerato, dunque, la differenza sta semplicemente in ciò, che, se il convenuto si è costituito, la sanatoria si opera attraverso l'integrazione dell'atto, ossia mediante l'indicazione dei requisiti di cui l'atto introduttivo era originariamente mancante; se, invece, il convenuto non si è costituito, occorre naturalmente seguire la strada della rinnovazione dell'atto nullo. In ogni caso, l'effetto sanante non può che verificarsi ex nunc, nel momento in cui l'atto introduttivo, vuoi attraverso l'integrazione che per effetto della rinnovazione, viene dotato dell'indicazione del petitum e della causa petendi.

Una volta individuata la disciplina applicabile alla nullità della editio actionis, occorre però interrogarsi su due ulteriori quesiti: a) quale provvedimento debba essere assunto nel caso che il giudice ordini l'integrazione oppure la rinnovazione dell'atto di questa non venga eseguita; b) che cosa accada ove né il giudice, né l'altra parte, se costituita, si avvedano della nullità della editio actionis.

Quanto alla prima questione, sono state sostenute tre distinte soluzioni: secondo quella più diffusa, tanto la mancata rinnovazione, quanto la mancata integrazione determinano l'estinzione del processo; una soluzione che potremo dire intermedia sostiene che la mancata rinnovazione determinerebbe estinzione, mentre la mancata integrazione comporterebbe rigetto nel merito della domanda; infine vi è la soluzione secondo cui tanto la mancata rinnovazione, quanto la mancata integrazione comportano in ogni caso rigetto della domanda nel merito.

Pur nell'opinabilità della questione, la prima delle soluzioni ipotizzate appare preferibile, atteso che se è vero che l'art. 164 nulla dice al riguardo, è anche vero, da un lato, dell'art. 164 espressamente qualifica il termine fissato dal giudice come perentorio e, dall'altro, che l'art. 307, comma 3, stabilisce che oltre che nei casi previsti dai commi precedenti, e salvo diverse disposizioni di legge, il processo si estingue altresì qualora le parti alle quali spetta di rinnovare la citazione o di proseguire, di assumere o integrare il giudizio, non vi abbiano provveduto entro il termine perentorio (Trisorio Liuzzi, 105).

Con riguardo, invece, alla seconda questione, soccorre una pronuncia della S.C., a Sezioni Unite, secondo cui, in sostanza, la mancata rilevazione od eccezione della nullità comporterebbe la sanatoria della medesima, la quale, però, non opererebbe con riguardo alla proposizione delle istanze istruttorie — le quali rimarrebbero ferme — e, dunque, condurrebbe ineluttabilmente al rigetto della domanda (Cass. S.U., n. 11353/2004). Ergo, nel rito del lavoro il ricorrente deve, a pena di nullità del ricorso, specificare gli elementi di fatto e di diritto posti a base della domanda; tale nullità può essere sanata ai sensi dell'art. 164, comma 5, ma la sanatoria non vale a rimettere in termini il ricorrente rispetto ai mezzi di prova non indicati in ricorso sicché il convenuto può eccepire, in ogni tempo e in ogni grado del giudizio, il mancato rispetto da parte dell'attore delle norme sull'onere della prova (Cass. n. 7705/2018).

Bibliografia

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