Codice di Procedura Civile art. 421 - Poteri istruttori del giudice 1 2 .[I]. Il giudice indica alle parti in ogni momento le irregolarità degli atti e dei documenti che possono essere sanate assegnando un termine per provvedervi, salvo gli eventuali diritti quesiti [182, 316]. [II]. Può altresì disporre d'ufficio [115 1] in qualsiasi momento l'ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile [2721 ss., 2729 2, 2735 2 c.c.], ad eccezione del giuramento decisorio [233 1], nonché la richiesta di informazioni e osservazioni, sia scritte che orali, alle associazioni sindacali indicate dalle parti [425]. Si osserva la disposizione del comma 6 dell'articolo 420 3 4. [III]. Dispone, su istanza di parte, l'accesso sul luogo di lavoro, purché necessario al fine dell'accertamento dei fatti, e dispone altresì, se ne ravvisa l'utilità, l'esame dei testimoni sul luogo stesso 5. [IV]. Il giudice, ove lo ritenga necessario, può ordinare la comparizione, per interrogarle liberamente sui fatti della causa, anche di quelle persone che siano incapaci di testimoniare a norma dell'articolo 246 o a cui sia vietato a norma dell'articolo 247 6.
[1] Articolo sostituito dall'articolo 1, comma 1, l. 11 agosto 1973, n. 533. [2] In tema di rito speciale per la controversie in materia di licenziamenti, v. art. 1, commi 47-68, in particolare i commi 49 e 57, l. 28 giugno 2012, n. 92, recante « Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita ». [3] L'art. 53 d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. con modif. dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, ha sostituito le parole "dell'articolo precedente" con le parole "dell'articolo 420". [6] Cfr. Corte cost. 23 luglio 1974, n. 248, sub art. 247. InquadramentoLa norma in commento — che è stata ad esempio ritenuta applicabile in caso di riformulazione del capitolato di prova testimoniale mediante l'eliminazione degli aspetti valutativi e suggestivi (Cass. n. 48/2024), diomessa indicazione dei testi (Cass. n. 17649/2010; Cass. n. 16661/2009) ovvero di omessa notificazione del ricorso in appello (Cass. n. 4543/2006; Cass. n. 5585/1999), ma non di irregolarità del disconoscimento di scrittura privata (Cass. n. 11911/2003) — ha suscitato diversi contrasti giurisprudenziali. Secondo un primo indirizzo, l'esercizio del potere in questione sarebbe rimesso al discrezionale apprezzamento del giudice, il quale non sarebbe tenuto a motivare espressamente la propria scelta (Cass. n. 10658/1999; Cass. n. 6903/1994; Cass. n. 3505/2002). Alla stessa impostazione può ricondursi, poi, un gruppo di decisioni le quali, nel ribadire la natura discrezionale del potere di cui si discute, affermano però che il giudice sarebbe tenuto a fornire un'adeguata motivazione nel caso in cui venga espressamente sollecitato ad avvalersi di esso (Cass. n. 9817/1998; Cass. n. 7881/1997; Cass. n. 10128/2004). Vi è, d'altro canto, un secondo indirizzo alla stregua del quale il giudice è tenuto ad esercitare i propri poteri istruttori officiosi — sempre e comunque all'indispensabile condizione che essi si riferiscano esclusivamente a fatti già tempestivamente allegati dalle parti — ogni qualvolta non sia stato raggiunto un compiuto accertamento sulla verità storica delle circostanze oggetto del contendere, sicché si profili una pronuncia fondata sull'applicazione del principio dell'onere della prova, ma il quadro istruttorio offra spunti tali da indurre a credere che quell'accertamento possa essere completato con successo (Cass. n. 15618/2004; Cass. n. 15820/2000; Cass. n. 8220/2003). Sulla materia si sono pronunciate le Sezioni Unite, le quali hanno confermato che il potere in questione è in realtà un potere-dovere, il quale, come tale deve sempre essere esercitato o non esercitato motivatamente (Cass. S.U., n. 11353/2004; Cass. n. 7543/2006). L'esercizio del potere officiosoNeppure detta pronuncia, tuttavia, ha sopito il dibattito sul punto, perché anche successivamente è stato ribadito che nel rito del lavoro, i poteri istruttori officiosi di cui all'art. 421 — il cui esercizio è del tutto discrezionale e come tale sottratto al sindacato di legittimità —, non possono sopperire alle carenze probatorie delle parti, così da porre il giudice in funzione sostitutiva degli oneri delle parti medesime e da tradurre i poteri officiosi anzidetti in poteri d'indagine e di acquisizione del tipo di quelli propri del procedimento penale (Cass. n. 17102/2009; Cass. n. 15899/2011). Ed ancora, nel rito del lavoro, l'acquisizione di nuovi documenti o l'ammissione di nuove prove da parte del giudice di appello rientra tra i poteri discrezionali allo stesso riconosciuti dagli artt. 421 e 437, e tale esercizio è insindacabile in sede di legittimità anche quando manchi un'espressa motivazione in ordine alla indispensabilità o necessità del mezzo istruttorio ammesso, dovendosi la motivazione ritenere implicita nel provvedimento adottato (Cass. n. 26117/2016). Ma per altro verso è stato detto che l'uso dei poteri istruttori da parte del giudice ex artt. 421 e 437, non ha carattere discrezionale, ma costituisce un potere-dovere del cui esercizio o mancato esercizio questi è tenuto a dar conto; tuttavia, al fine di censurare idoneamente in sede di ricorso per cassazione l'inesistenza o la lacunosità della motivazione sulla mancata attivazione di detti poteri, occorre dimostrare di averne sollecitato l'esercizio, in quanto diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito (Cass. n. 25374/2017). Da ultimo l’indirizzo è stato ribadito, con l’affermazione secondo cui, nel rito del lavoro, dovendosi contemperare il principio dispositivo con quello di ricerca della verità, il giudice può ammettere il deposito di atti non prodotti tempestivamente ― qualora li ritenga indispensabili ai fini della decisione ― anche in grado d'appello, ricorrendo ai poteri officiosi di cui all'art. 437 c.p.c., sicché, nel giudizio volto a determinare il minimale contributivo, non può limitarsi a una pronuncia di tardività della produzione del cosiddetto contratto collettivo leader, ma deve esercitare il suo potere-dovere di integrazione probatoria ed acquisire il c.c.n.l. indicato dalla parte onerata della prova, indispensabile a individuare la retribuzione-parametro (Cass. n. 22907/2024; v. pure Cass. n. 6135/2024). Il potere-dovere così descritto, inoltre, non sembra trovare ostacolo, in diverse pronunce, neppure nel verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti interessate, giacché esso è diretto — non già, per così dire, a ricercare la prova mancante partendo da zero, bensì — a vincere i dubbi residuati dalle risultanze istruttorie, intese come complessivo materiale probatorio (anche documentale) correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado, con la conseguenza che, in tal caso, non si pone, propriamente, alcuna questione di preclusione o decadenza processuale a carico della parte, essendo la prova « nuova », disposta d'ufficio, solo l'approfondimento, ritenuto indispensabile, di elementi probatori già obiettivamente presenti nella realtà del processo (Cass. n. 8220/2003; Cass. n. 17572/2004). Questa impostazione — che guarda ai poteri officiosi del giudice in funzione sussidiaria dell'attività istruttoria delle parti — sembra riecheggiare l'opinione della dottrina la quale ritiene che «il potere d'ufficio debba essere diretto a «vincere dubbi istruttori residuati anche dopo l'assunzione delle prove indicate dalle parti», e non possa invece supplire ad una totale carenza di deduzioni probatorie» (Tarzia, 156). In tal modo pare realizzarsi una equilibrata ricostruzione dell'istituto, il quale non viene sostanzialmente svuotato di contenuto, ma neppure pone il giudice nella anomala posizione di chi deve parteggiare per quello dei contendenti che, senza il suo intervento, perderebbe la causa. Aderendo alla tesi così riassunta, poi, cade in radice la questione se il potere di disporre d'ufficio l'ammissione di ogni mezzo di prova sia soggetto ad un qualche sbarramento preclusivo (v., per il passato, con riguardo al rito ordinario, Corte cost. n. 69/2003) ovvero possa essere disposto in qualsiasi momento: esso, anzi, troverà ingresso una volta che, espletata l'istruttoria richiesta dalle parti, si versi ancora in quella situazione di residuo dubbio istruttorio — potremmo dire semiplena probatio — cui la giurisprudenza della S.C. pare riferirsi. Insomma, nel rito del lavoro, l'esercizio dei poteri istruttori del giudice, che può essere utilizzato a prescindere dalla maturazione di preclusioni probatorie in capo alle parti, vede quali presupposti la ricorrenza di una semiplena probatio e l'individuazione ex actis di una pista probatoria che, in appello, ben può essere costituita dalla indicazione di un teste de relato in primo grado, secondo una ipotesi prevista in via generale dall'art. 257, comma 1, che, al ricorrere dei requisiti di cui agli artt. 421 e 437, resta assorbita (Cass. n. 26597/2020). Resta da dire che, ove il giudice abbia ammesso un mezzo di prova d'ufficio, dovrà permettere alle parti di avanzare le richieste istruttorie rese così necessarie. Sembra che in proposito possa farsi applicazione — dal momento che, in mancanza di una specifica norma dettata per il processo locatizio, occorre fare appello alla disciplina del procedimento di cognizione ordinaria — dell'attualmente vigente testo dell'art. 183, comma 8. Alla disciplina dei poteri officiosi del giudice rimangono infine estranei alcuni istituti di applicazione generale (per l'assunzione dei testi di riferimento v. Cass. S.U., n. 264/1997). Un cenno finale occorre compiere alla formulazione del ricorso per cassazione avverso il mancato esercizio dei poteri officiosi in discorso. Ha recentemente chiarito la S.C. che, nel rito del lavoro, il ricorrente che denunci in cassazione il mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio nel giudizio di merito, deve riportare in ricorso gli atti processuali dai quali emerge l'esistenza di una «pista probatoria» qualificata, ossia l'esistenza di fatti o mezzi di prova, idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività, rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l'officiosa attività di integrazione istruttoria demandata al giudice di merito, ed allegare, altresì, di avere espressamente e specificamente richiesto tale intervento nel predetto giudizio (Cass. n. 22628/2019). La richiesta di informazioni alle associazioni sindacaliLa facoltà di chiedere le informazioni presuppone che le associazioni siano indicate dalle parti e rispondano a mezzo dei loro rappresentanti (Cass. n. 276/1990). Quanto al rilievo delle informazioni — la cui richiesta costituisce manifestazione di un potere discrezionale insindacabile in sede di legittimità, salvo che per l'erroneità o illogicità della motivazione di rigetto dell'istanza, come chiarito da Cass. n. 1654/1987 —, occorre dire che esse non hanno valore di prova, in quanto non preordinate all'accertamento di dati di fatto, ma costituiscono « solo elementi utili ad un chiarimento dei termini della controversia » (Cass. n. 2173/1989; Cass. n. 6845/1994), tutt'al più « fonti di prova » (Cass. n. 4572/1995), quantunque possano « concorrere (in quanto consentono l'acquisizione di elementi per una migliore comprensione della fattispecie controversa) alla formazione del convincimento del giudice » (Cass. n. 871/1988). Insomma — come è stato ribadito — le informazioni in questione salva l'ipotesi in cui siano suffragate da elementi aventi un'intrinseca valenza probatoria, hanno la funzione di fornire chiarimenti ed elementi di valutazione riguardo agli elementi di prova già disponibili, rientrando, in tali limiti, nella nozione di materiale istruttorio valutabile, con la motivazione richiesta dalle circostanze, dal giudice (Cass. n. 11464/2004). Esse, pertanto, non possono risolversi in valutazioni interpretative riservate al giudice, il quale, ove si versi in tema di ermeneutica contrattuale, deve procedere direttamente all'interpretazione della volontà negoziale — come obiettivamente manifestatasi nelle clausole contrattuali — in base al prioritario criterio costituito dall'elemento letterale (Cass. n. 1197/1985). Le informazioni in questione, quindi, sono inidonee, anche in considerazione del loro carattere unilaterale, ad identificare la comune intenzione delle parti (Cass. n. 3081/2002; Cass. n. 9578/2002; Cass. n. 7103/1994). L'accesso sul luogo di lavoroQuanto all'accesso sul luogo di lavoro, ove necessario ai fini dell'accertamento, è stata posta in evidenza la discrasia della previsione, che condiziona l'esercizio del potere all'istanza di parte, rispetto al dettato dell'art. 118, che si riferisce all'ispezione come ad un potere suscettibile di esercizio officioso (Tesoriere, 224). Il giudice dispone l'accesso sul luogo di lavoro, discrezionalmente, se vi è l'istanza di parte e se lo ritiene necessario e non semplicemente utile (Cass. n. 4508/1982). L'interrogatorio libero dei soggetti incapaci di testimoniareSecondo un primo indirizzo, nel giudizio tra datore di lavoro ed istituti previdenziali o assistenziali avente ad oggetto il pagamento di contributi, qualora sorga contestazione sull'esistenza del rapporto di lavoro subordinato, con conseguente necessità di preliminare accertamento di detto rapporto quale presupposto dell'obbligo contributivo, la posizione che il lavoratore assume in detto giudizio determina la sua incapacità a testimoniare; tuttavia, ciò non esclude che il giudice possa, avvalendosi dei poteri conferitigli dall'art. 421, interrogarlo liberamente sui fatti di causa (Cass. n. 1256/2016; Cass. n. 12729/2006; Cass. n. 7835/2000; Cass. n. 7661/1998). In senso diverso si è però affermato che nel giudizio tra l'ente previdenziale ed il datore di lavoro, avente ad oggetto il pagamento di contributi previdenziali che si assumono evasi, non è incapace a testimoniare il lavoratore i cui contributi non siano stati versati, in assenza di un interesse giuridico attuale e concreto che legittimi il lavoratore-teste ad intervenire in giudizio, non essendo configurabile l'incapacità a testimoniare che l'art. 246 ricollega non solo alla posizione di parte formale o sostanziale del giudizio, ma anche alla titolarità di situazione giuridica dipendente da quella dedotta in giudizio da altro soggetto (Cass. n. 3051/2011). La norma non si applica nei procedimenti di opposizione allo stato passivo fallimentare (Cass. n. 11856/2006), ma può applicarsi nel giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa del fallimento (Cass. n. 26264/2005). Sembra da ritenere che le risposte date dai terzi interrogati ai sensi della norma in commento abbiano valore di argomento di prova (per tutti Luiso, 2009, 205). CasisticaNel giudizio tra datore di lavoro ed ente previdenziale, avente ad oggetto il mancato pagamento di contributi, qualora sorga contestazione sull'esistenza del rapporto di lavoro subordinato, presupposto dell'obbligo contributivo, sussiste l'incapacità a testimoniare del lavoratore i cui contributi siano stati omessi; ciò non esclude, tuttavia, che il giudice, avvalendosi dei poteri conferitigli dall'art. 421, possa interrogarlo liberamente sui fatti di causa (Cass. n. 1256/2016). In materia di licenziamento, la lettera di dimissioni inviata dal lavoratore prima del recesso datoriale costituisce documento essenziale ai fini dell'accertamento della effettiva causa di risoluzione del rapporto, sicché il giudice può porla a base della decisione pur se la parte che la produce si sia tardivamente costituita in giudizio, sempreché la sua esistenza sia stata puntualmente allegata e non ne siano contestati la provenienza ed il contenuto materiale, trattandosi di prova indispensabile per l'accertamento della verità sostanziale (Cass. n. 21006/2015). Nel rito del lavoro, l'omessa indicazione dei documenti prodotti nell'atto di costituzione in giudizio, e l'omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza dal diritto di produrli, salvo che si siano formati successivamente alla costituzione in giudizio o la loro produzione sia giustificata dall'evoluzione della vicenda processuale, sicché, il giudice ne può ammettere la produzione, ai sensi dell'art. 421 e, in appello, ai sensi dell'art. 437, secondo una valutazione discrezionale insindacabile in sede di legittimità, ove ritenga tali mezzi di prova comunque ammissibili, perché rilevanti e indispensabili ai fini del decidere (Cass. n. 14820/2015 che ha ritenuto che correttamente il giudice di merito avesse consentito la produzione, nel corso del giudizio, dell'istanza di fallimento, posto che la questione dell'infrannualità del credito, per il pagamento del TFR e delle ultime mensilità al Fondo di Garanzia, era sorta solo con la memoria difensiva dell'Istituto; Cass. n. 10102/2015 che ha ritenuto tempestiva la produzione documentale in primo grado dell'elenco delle domande di disoccupazione agricola con apposto il timbro dell'INPS, avverso la quale non vi era stata contestazione da parte dell'Istituto nell'ulteriore corso del processo; Cass. n. 19810/2013, relativa a domanda di risarcimento danni da mobbing, è stata ritenuta corretta l'acquisizione in udienza da parte della corte di appello di una sentenza tra le stesse parti, passata in giudicato). Nel rito del lavoro, applicabile anche alle controverse agrarie, l'omessa indicazione dei documenti prodotti nell'atto di costituzione in giudizio (ovvero, nella memoria difensiva depositata dall'attore rispetto alla domanda riconvenzionale proposta nei suoi confronti) e l'omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determina la decadenza del diritto alla produzione, che può essere superata solo per effetto dell'esercizio, in presenza di condizioni idonee a giustificarlo, del potere istruttorio officioso previsto dagli artt. 421 e 437, comma 2, che pongono un contemperamento al principio dispositivo, ispirato all'esigenza della ricerca della verità materiale cui è ispirato il rito del lavoro (Cass. n. 12902/2015). Nelle controversie in materia di lavoro, il giudice può disporre d'ufficio, ai sensi dell'art. 421, comma 2, l'ammissione di mezzi istruttori in ordine al luogo di rilascio della procura alle liti, in quanto presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale, quali, nella specie, la richiesta di produzione dei titoli di viaggio attestanti la presenza in Italia del mandante e l'interrogatorio formale della stessa parte, in modo da ritenere all'esito la sussistenza di elementi di giudizio integrativi idonei a concludere che sia stata acquisita la prova contraria al rilascio nel territorio dello Stato di detta procura (Cass. n. 12068/2015). In tema di pensione di inabilità civile, il requisito economico previsto dall'art. 12, comma 2, l. n. 118/1971, costituisce elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, sicché la relativa documentazione dev'essere tempestivamente allegata sin dal giudizio di primo grado, fatto salvo il ricorso ai poteri istruttori d'ufficio da parte del giudice d'appello, ai sensi del combinato disposto degli artt. 421 e 437, anche in presenza di decadenze e preclusioni già verificatesi, permanendo, nondimeno, l'obbligo per il giudice d'appello di motivare in ordine all'ammissione di documentazione reddituale non prodotta in primo grado (Cass. n. 1704/2015). Nelle controversie assistenziali è inammissibile la produzione in appello della documentazione relativa al cd. requisito reddituale, che, vertendo su circostanze già deducibili e dimostrabili in primo grado, non è giustificata in relazione all'evolversi della vicenda processuale. Né può rilevare, ai fini dell'attivazione dei poteri officiosi, ex art. 437, comma 2, la presenza in atti (in quanto allegata al ricorso di primo grado) della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà riferita al medesimo requisito, poiché essa non ha, in difetto di diversa, specifica previsione di legge, alcun valore probatorio, neanche indiziario, nel giudizio civile, atteso che la parte non può far derivare elementi di prova favorevoli, ai fini del soddisfacimento dell'onere della prova, da proprie dichiarazioni (Cass. n. 547/2015). La mancata ammissione della prova testimoniale può essere denunciata in sede di legittimità per vizio di motivazione in ordine all'attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini del decidere (Cass. n. 66/2015, secondo cui erroneamente la corte territoriale — con riguardo da una domanda di condanna al pagamento di differenze retributive avanzata da un'addetta al call center — non aveva ammesso la prova testimoniale sulla natura subordinata del rapporto di lavoro, ritenendo i relativi capitoli vertenti su circostanze oggetto di prova documentale, ovvero inidonei alla prova e generici nonostante l'indicazione delle mansioni espletate, del numero di ore lavorate e delle circostanze della cessazione del rapporto, senza esaminare i documenti ed esercitare i poteri istruttori ex art. 421). Nel rito del lavoro, il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421, preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull'onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori (Cass. n. 22534/2014). Il giudice civile, salvo che le parti non gliene facciano concorde richiesta, non può avvalersi del materiale probatorio acquisito senza contraddittorio in sede penale, a meno che il dibattimento non sia mancato per scelta di un rito alternativo da parte dell'imputato (Cass. n. 21299/2014). In materia di demansionamento (o dequalificazione), il lavoratore è tenuto a prospettare le circostanze di fatto volte a dare fondamento alla denuncia ed ha, quindi, l'onere di allegare gli elementi di fatto significativi dell'illegittimo esercizio del potere datoriale, e non anche quelli idonei a dimostrare in modo autosufficiente la fondatezza delle pretese azionate, mentre il datore di lavoro è tenuto a prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti posti dal lavoratore a fondamento della domanda e può allegarne altri, indicativi, del legittimo esercizio del potere direttivo, fermo restando che spetta al giudice valutare se le mansioni assegnate siano dequalificanti, potendo egli presumere, nell'esercizio dei poteri, anche officiosi, a lui attribuiti, la fondatezza del diritto fatto valere anche da fatti non specificamente contestati dall'interessato, nonché da elementi altrimenti acquisiti o acquisibili al processo (Cass. n. 15527/2014). Il mutamento del precedente orientamento giurisprudenziale, che ha portato a ritenere improcedibile l'appello ove non sia avvenuta la notificazione del ricorso, tempestivamente presentato nel termine di legge, e del decreto di fissazione dell'udienza poiché non è consentito al giudice assegnare all'appellante, ex art. 421, un termine perentorio per provvedere ad una nuova notifica a norma dell'art. 291, costituisce un radicale cambiamento di un consolidato orientamento ad opera del giudice della nomofilachia, trovando conseguentemente applicazione — per le vicende anteriori al suddetto intervento giurisprudenziale — i principi a tutela dell'effettività dei mezzi di azione e difesa in materia di prospective overruling (Cass. n. 12521/2014). Nel rito del lavoro, qualora la parte abbia, con l'atto introduttivo del giudizio, proposto capitoli di prova testimoniale mediante indicazione specifica dei fatti, formulati in articoli separati, ma omettendo l'enunciazione delle generalità delle persone da interrogare, incorre nella decadenza della relativa istanza istruttoria, con la conseguenza che il giudice non può fissare un termine, ai sensi dell'art. 421, per sanare la carente formulazione. (Cass. n. 5950/2014). Le ordinanze che provvedono alla istruzione della causa non vincolano la decisione finale del giudice, il quale (salvo particolari ipotesi legislative) può liberamente modificarle o revocarle con la successiva sentenza, sicché non è configurabile, come error in procedendo, la contraddittorietà di motivazione tra l'ordinanza e la sentenza in ordine ad un punto controverso, dovendo piuttosto, in tale ipotesi, ritenersi ritualmente modificata o revocata, dal provvedimento decisorio, la parte motiva dell'anteriore provvedimento istruttorio. Ne consegue che, nel processo del lavoro, è consentita la revoca implicita dell'ordinanza con cui sia stata limitata l'assunzione di una prova, mediante l'escussione di un teste sul capitolo non ammesso, potendo il giudice, nonostante il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti, ammettere di ufficio prove dirette a vincere i dubbi residuati dalle risultanze istruttorie, ritualmente acquisite agli atti del giudizio. (Cass. n. 28021/2013). In materia di licenziamento, l'eccezione di inapplicabilità della tutela reale del lavoratore subordinato ai sensi dell'art. 18 l. n. 300/1970 integra una eccezione in senso lato, con la conseguenza che è nella facoltà del giudicante, nell'esercizio dei suoi poteri d'ufficio ex art. 421 con riferimento ai fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio, ammettere la prova indispensabile per decidere la causa sul punto (Cass. n. 26289/2013). In tema di poteri istruttori d'ufficio del giudice del lavoro l'emanazione di ordine di esibizione (nella specie di documenti) è discrezionale e la valutazione di indispensabilità non deve essere neppure esplicitata nella motivazione; ne consegue che il relativo esercizio è svincolato da ogni onere di motivazione e il provvedimento di rigetto dell'istanza di ordine di esibizione non è sindacabile in sede di legittimità, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di strumento istruttorio residuale, utilizzabile soltanto quando la prova dei fatti non possa in alcun modo essere acquisita con altri mezzi e l'iniziativa della parte instante non abbia finalità esplorativa. (Cass. n. 24188/2013). Nel rito del lavoro, la necessità di assicurare un'effettiva tutela del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., nell'ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all'art. 111, comma 2, Cost. e in coerenza con l'art. 6 CEDU, comporta l'attribuzione di una maggiore rilevanza allo scopo del processo — costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito — che non solo impone di discostarsi da interpretazioni suscettibili di ledere il diritto di difesa della parte o, comunque, risultino ispirate ad un eccessivo formalismo, tale da ostacolare il raggiungimento del suddetto scopo, ma conduce a considerare del tutto residuale l'ipotesi di “assoluta mancanza di prove” e si traduce in una maggiore pregnanza del dovere del giudice di pronunciare nel merito della causa sulla base del materiale probatorio ritualmente acquisito con una valutazione non limitata all'esame isolato dei singoli elementi, ma globale nel quadro di una indagine unitaria ed organica (Cass. n. 18410/2013, che ha cassato la decisione della corte territoriale che aveva rigettato la domanda sulla mera constatazione dell'assenza di prova sul nesso eziologico tra vaccinazione antipolio e insorgenza della malattia, senza in alcun modo attivare, nonostante una situazione di semiplena probatio e lo specifico ambito, più volte oggetto di interventi regolatori della Corte costituzionale, i poteri di acquisizione officiosa). Nel rito del lavoro, è corretto l'operato del giudice che, nell'ambito di una controversia promossa per accertare la natura subordinata di un rapporto di lavoro, chieda al testimone di precisare, al di fuori delle circostanze capitolate, se venisse rispettato un orario di lavoro, quali fossero le mansioni svolte dal prestatore nonché in quale posizione materiale la prestazione fosse effettuata, dovendosi ritenere che la possibilità di porre tali domande sia consentita, se non anche imposta, dall'art. 421, e ciò tanto più ove al ricorso siano stati allegati conteggi elaborati sul presupposto dello svolgimento di determinate mansioni e orari e la controparte abbia contestato, oltre alla natura subordinata del rapporto, anche lo svolgimento di un orario a tempo pieno (Cass. n. 9823/2021).
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