Codice di Procedura Civile art. 427 - Passaggio dal rito speciale al rito ordinario 1 2 .

Mauro Di Marzio

Passaggio dal rito speciale al rito ordinario1 2.

[I]. Il giudice, quando rileva che una causa promossa nelle forme stabilite dal presente capo riguarda un rapporto diverso da quelli previsti dall'articolo 409, se la causa stessa rientra nella sua competenza dispone che gli atti siano messi in regola con le disposizioni tributarie, altrimenti la rimette con ordinanza [134] al giudice competente, fissando un termine perentorio [153] non superiore a trenta giorni per la riassunzione con il rito ordinario [439; 125 att.] 3.

[II]. In tal caso le prove acquisite durante lo stato di rito speciale avranno l'efficacia consentita dalle norme ordinarie [421 2].

 

 

[1] Articolo sostituito dall'art. 1, comma 1, l. 11 agosto 1973, n. 533.

[3] Comma così modificato dall'art. 83 d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, dal 2 giugno 1999.

Inquadramento

La disposizione in commento, a differenza dell'art. 426, non regola esclusivamente una questione di rito, ma reca tre distinti precetti, concernenti:

a) la proposizione con rito speciale dinanzi al giudice effettivamente competente di una controversia estranea all'ambito di applicazione del rito prescelto;

b) la proposizione con rito speciale dinanzi ad un giudice incompetente di una controversia estranea all'ambito di applicazione del rito prescelto;

c) la sorte delle prove acquisite prima del passaggio dal rito speciale al rito ordinario.

Resta fermo che l'omesso mutamento del rito (da quello speciale del lavoro a quello ordinario e viceversa) non determina ipso iure l'inesistenza o la nullità della sentenza ma assume rilevanza invalidante soltanto se la parte che se ne dolga in sede di impugnazione indichi lo specifico pregiudizio processuale concretamente derivatole dalla mancata adozione del rito diverso, quali una precisa e apprezzabile lesione del diritto di difesa, del contraddittorio e, in generale, delle prerogative processuali protette della parte (Cass. n. 1448/2015; Cass. n. 22075/2014).

Il mutamento del rito

Con riguardo al primo aspetto, l'art. 427, si limita a stabilire che il giudice debba disporre la regolarizzazione fiscale degli atti — la cui omissione, peraltro, non dispiegherà effetti sul processo, ma comporterà soltanto l'applicazione delle sanzioni erariali previste — considerato il regime privilegiato, sotto tale profilo, delle controversie lavoristiche. La norma, dunque, sottintende un congegno di transito dall'uno all'altro rito che, per un verso, non richiede, come nel diverso caso dell'art. 426, la previsione della fisiologica integrazione degli atti, e, per altro verso, va adattato allo stadio in cui il processo si trova al momento della trasformazione del rito.

Nell'ipotesi contemplata dall'art. 427, dunque, è soltanto implicitamente stabilito che il processo debba proseguire dinanzi al giudice adito, ma non è previsto che questi debba fissare una ulteriore udienza, assegnando un termine entro cui le parti debbano provvedere all'eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria. La diversa conformazione del mutamento del rito da speciale a ordinario, rispetto a quello da ordinario a speciale, discende dalla circostanza, già esaminata, che le preclusioni nel rito speciale si consumano in un momento anteriore o, al più, coincidente rispetto al rito ordinario, con la conseguenza che, all'udienza di discussione — trovando applicazione le regole del rito speciale prescelto fintanto che il giudice non abbia provveduto alla sua trasformazione — le preclusioni risulteranno in linea di massima già formate con riguardo alla determinazione sia del thema decidendum che del thema probandum. Di qui, dunque, il giudice provvederà a fissare quello specifico adempimento processuale che la fase di sviluppo del giudizio richiede, tenuto conto delle preclusioni già maturate secondo il rito speciale.

Il provvedimento di trasformazione del rito può essere reso dal giudice anche per implicito. Ciò è stato affermato in un caso in cui una corte di merito investita con atto d'appello, introdotto con rito speciale, di una controversia soggetta al rito ordinario, non aveva espressamente pronunciato un provvedimento diretto a mutare il rito, ma aveva puramente e semplicemente fatto proseguire il giudizio con rito ordinario (Cass. n. 9902/1990).

Anche di recente è stato ribadito che, per il passaggio dal rito del lavoro al rito ordinario non è necessario un provvedimento formale, a meno che gli atti non debbano essere messi in regola con le disposizioni tributarie o che si renda necessario un mutamento di competenza, ai sensi dell'art. 427 (Cass. n. 18048/2019, che ha ravvisato un implicito e consentito mutamento del rito nel provvedimento con cui il giudice, adito con il rito del lavoro, applicabile ex art. 3 l. n. 102/2006, ha invitato le parti a precisare le conclusioni, assegnando i termini di cui all'art. 190).

L'intervento sulla competenza

L'art. 427, inoltre, contempla altresì il caso che l'attore abbia non soltanto instaurato la controversia adottando il rito speciale in luogo del rito ordinario, ma abbia altresì adito un giudice incompetente per materia o territorio. In tale frangente, la norma stabilisce che il giudice debba rimettere la causa con ordinanza al giudice competente, fissando un termine perentorio non superiore a trenta giorni per la riassunzione con il rito ordinario.

In proposito, quantunque la norma disponga che il giudice debba provvedere con ordinanza, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che tale ordinanza, statuendo sulla competenza, abbia carattere decisorio e sia perciò suscettibile di impugnazione con regolamento di competenza, tanto ad istanza di parte, quanto d'ufficio (Cass. n. 11651/1991; Cass. n. 3731/1983). Tuttavia, il rimedio del regolamento di competenza è da escludersi nel caso che il tribunale, attraverso l'ordinanza di cui all'art. 427, indichi come competente il giudice di pace, dal momento che, ai sensi dell'art. 46, le disposizioni degli artt. 42 e 43 non si applicano nei giudizi davanti ai giudici di pace.

Con riguardo al provvedimento di rimessione al giudice competente, occorre anzitutto menzionare l'applicabilità del principio, formulato in relazione all'analoga previsione dell'art. 428, secondo cui, qualora il giudice fissi erroneamente un termine superiore a quello previsto nella misura massima di 30 giorni, un'interpretazione conforme a Costituzione impone di ritenere tempestiva la riassunzione della causa effettuata dalla parte entro il più lungo termine indicato dal provvedimento (Cass. n. 7368/2000).

Dopodiché bisogna ricordare che il termine fissato per la riassunzione della causa dinnanzi al giudice ordinario al quale essa sia stata rimessa decorre dalla comunicazione della sentenza di incompetenza e non dalla data in cui questa è passata in giudicato (Cass. n. 4567/1994).

La riassunzione, infine, va effettuata entro il termine perentorio indicato, a pena di estinzione del processo, « con il rito ordinario », ossia mediante comparsa ai sensi del combinato disposto degli artt. 50 e 125 disp. att.

Occorre in questa sede aggiungere, a completamento dell'esame dell'art. 427 sotto il profilo considerato, che la norma contempla l'ipotesi dell'incompetenza del giudice adito, ma non quella della sua carenza di giurisdizione, alla quale le regole ivi previste non possono essere applicate (Cass. n. 728/1997).

La sorte delle prove

L'art. 427 si differenzia dal precedente art. 426 anche perché, mentre quest'ultimo nulla dispone in ordine alla sorte delle prove raccolte nella fase del processo svoltasi secondo un rito ordinario, la disposizione ora in esame stabilisce che in tal caso le prove acquisite durante lo stato di rito speciale avranno l'efficacia consentita dalle norme ordinarie.

La norma, dunque, postula l'esistenza di prove dotate di un'efficacia consentita dalle norme del rito speciale, ma non da quelle del rito ordinario: in tal caso dette prove saranno, una volta effettuato il passaggio dal rito speciale al rito ordinario, tamquam non essent.

Bibliografia

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