Codice di Procedura Civile art. 510 - Distribuzione della somma ricavata 1 .Distribuzione della somma ricavata 1. [I]. Se vi è un solo creditore pignorante senza intervento di altri creditori, il giudice dell'esecuzione, sentito il debitore, dispone a favore del creditore pignorante il pagamento di quanto gli spetta per capitale, interessi e spese [95]. [II]. In caso diverso la somma ricavata è dal giudice distribuita [512] tra i creditori a norma delle disposizioni contenute nei capi seguenti [541 ss., 596 ss.], con riguardo alle cause legittime di prelazione [2741 c.c.] e previo accantonamento delle somme che spetterebbero ai creditori intervenuti privi di titolo esecutivo i cui crediti non siano stati in tutto o in parte riconosciuti dal debitore. [III]. L'accantonamento è disposto dal giudice dell'esecuzione per il tempo ritenuto necessario affinché i predetti creditori possano munirsi di titolo esecutivo e, in ogni caso, per un periodo di tempo non superiore a tre anni. Decorso il termine fissato, su istanza di una delle parti o anche d'ufficio, il giudice dispone la comparizione davanti a sé del debitore, del creditore procedente e dei creditori intervenuti, con l'eccezione di coloro che siano già stati integralmente soddisfatti, e dà luogo alla distribuzione della somma accantonata tenuto conto anche dei creditori intervenuti che si siano nel frattempo muniti di titolo esecutivo. La comparizione delle parti per la distribuzione della somma accantonata è disposta anche prima che sia decorso il termine fissato se vi è istanza di uno dei predetti creditori e non ve ne siano altri che ancora debbano munirsi di titolo esecutivo. [IV]. Il residuo della somma ricavata, dopo l'ulteriore distribuzione di cui al terzo comma ovvero dopo che sia decorso il termine nello stesso previsto, è consegnato al debitore o al terzo che ha subito l'espropriazione [2863 2 c.c.].
[1] Articolo così sostituito, in sede di conversione, dall'art. 2 3 lett. e) n. 8 d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. con modif. in l. 14 maggio 2005, n. 80, come sostituito dall'art. 1 3 lett. e) l. 28 dicembre 2005, n. 263, con effetto dalla data indicata sub art. 476. Per la disciplina transitoria v. art. 2 3-sexies d.l. n. 35, cit., sub art. 476. Il testo precedente recitava: «[I]. Se vi è un solo creditore pignorante senza intervento di altri creditori, il giudice dell'esecuzione, sentito il debitore, dispone a favore del creditore pignorante il pagamento di quanto gli spetta per capitale, interessi e spese. [II]. In caso diverso, la somma ricavata è dal giudice distribuita tra i creditori a norma delle disposizioni contenute nei capi seguenti, con riguardo alle cause legittime di prelazione. [III]. Il residuo della somma ricavata è consegnato al debitore o al terzo che ha subito l'espropriazione». InquadramentoNell'ipotesi in cui vi sia un unico creditore, piuttosto che una distribuzione, si realizza un'attribuzione diretta delle somme allo stesso (Castoro, 377; Denti, 326), mediante un atto assoggettato ad opposizione agli atti esecutivi. Quanto all’ammissibilità del rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi v., in giurisprudenza Cass. n. 3786/2014. Il vero e proprio riparto è predisposto quando vi siano una pluralità di creditori ed è effettuato tenendo conto delle cause legittime di prelazione, ossia soddisfacendo solo dopo i creditori privilegiati quelli chirografari, in primis quelli intervenuti tempestivamente e, poi, quelli intervenuti tardivamente (Bonsignori, 236 ss.). In sede di riparto sono accantonate, per un periodo massimo di tre anni, le somme spettanti ai creditori intervenuti non titolati i cui crediti non sono stati riconosciuti dal debitori. Qualora alla scadenza del termine tali creditori non siano riusciti a munirsi di un titolo esecutivo, le somme accantonate saranno distribuite tra i creditori ancora insoddisfatti. Peraltro, l’art. 596, come novellato dal d.l. 3 maggio 2016, n. 59, ha stabilito che i creditori intervenuti non titolati possono, nelle more, partecipare alla distribuzione del ricavato ove prestino una fideiussione autonoma, irrevocabile ed a prima richiesta, presso un primario istituto di credito indicato dal giudice dell’esecuzione (v. anche Comm. all’art. 596,). Le somme in ipotesi eccedenti rispetto ai crediti azionati nella procedura, sono restituite al debitore. Somme spettanti ai creditoriIn sede di distribuzione a ciascun creditore spetta una quota composta nel modo seguente: per capitale, che comprende il credito, gli interessi e le spese anteriori al precetto o all'intervento ed interessi che si liquidano nella misura legale — da intendersi, dopo le modifiche apportate all'art. 1224 c.c. dall'art. 17d.l. n. 132/2014, conv. nella l. n. 162/2014, in misura pari agli interessi moratori nelle transazioni commerciali ai sensi del d.lgs. n. 231/2002, in assenza di diversa convenzione tra le parti- e decorrono dal precetto o dall'intervento fino al momento della distribuzione; — per spese, che sono anche quelle legali, riguardano il solo processo di esecuzione e sono liquidate in via privilegiata, a norma degli artt. 2749,2755,2770 e 2777 c.c. (Castoro, 363). È stato tuttavia ribadito, anche di recente, che la chiusura anticipata del processo esecutivo a seguito di aste andate deserte comporta che la liquidazione delle spese sia posta a carico del creditore procedente, posto che l'infruttuosità della procedura rende evidentemente impossibile la loro imputazione sulla somma ricavata, ai sensi dell'art. 510 (Cass. II, n. 40072/2021). Creditore unicoQualora vi sia un solo creditore in dottrina, piuttosto che alla distribuzione, si tende a far riferimento ad un'attribuzione diretta di somme allo stesso (Castoro, 377; Denti, 326). L'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione dispone il pagamento della somma ricavata a favore del solo creditore pignorante, in assenza di intervento di altri creditori, ai sensi dell'art. 510, comma 1, costituisce atto esecutivo, contro cui è esperibile, nel relativo termine perentorio, l'opposizione prevista dall'art. 617 (Cass. n. 3786/2014). Poiché si ritiene che nel caso di unico creditore non vi sia distribuzione della somma ma attribuzione diretta, si esclude che possa vigere la preclusione all'intervento di cui agli artt. 565 e 566, potendo quindi essere possibile un intervento di creditori, sino alla emissione dell'ordine di pagamento (App. L'Aquila, 7 maggio 1992, Giust. civ., 1993, I, 1923). Riparto tra creditori concorrentiLaddove vi siano una pluralità di creditori, invece, il riparto avverrà tra gli stessi — secondo le forme previste dagli artt. 541 e ss. per l'espropriazione mobiliare e dagli artt. 596, ss. per l'espropriazione immobiliare — avendo riguardo alle cause legittime di prelazione (Bonsignori, 236 ss.). Ciò implica che sul bene sul quale verte la garanzia o il privilegio il creditore che vanti gli stessi ha diritto di soddisfarsi, fino all'intero, in via prioritaria, anche nell'ipotesi in cui sia intervenuto tardivamente. Seguirà poi il riparto tra i creditori chirografari e, tra questi, quelli intervenuti tempestivamente avranno diritto di soddisfarsi, anche per l'intero, prima dei creditori chirografari intervenuti tardivamente (Bonsignori, 242). Analogamente, se il creditore procedente aveva indicato a un creditore intervenuto altri beni del comune debitore utilmente pignorabili, la circostanza che il creditore intervenuto non abbia provveduto al pignoramento di tali beni implica che il creditore pignorante avrà diritto ad essere preferito allo stesso (avendo acquisito una sorta di privilegio di carattere processuale). Sebbene la norma in esame faccia riferimento alle sole cause legittime di prelazione, devono essere distribuite innanzitutto le spese c.d. prededucibili sostenute nell'interesse comune dei creditori, di solito dal creditore procedente, onde dare corso alla procedura esecutiva. Invero, spetta al giudice dell'esecuzione davanti al quale il processo si è svolto disporre, ai sensi dell'art. 95, con il provvedimento di distribuzione del ricavato che lo chiude, in ordine al rimborso delle spese sopportate dal creditore pignorante e dagli intervenuti (Cass. III, n. 3985/2003). Resta fermo che l'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione provvede alla distribuzione della somma ricavata dall'espropriazione costituisce solo un atto esecutivo non essendo idoneo, per il carattere sommario dell'accertamento sul quale si basa, a produrre gli effetti del giudicato (cfr. Cass. I, n. 13182/2007, la quale ha ritenuto che, quindi, correttamente era stato escluso dalla pronuncia impugnata che dall'attribuzione a uno dei creditori dell'intera somma ricavata dall'alienazione dei beni pignorati possa derivare l'accertamento con effetti di giudicato dell'esistenza del privilegio controverso). Anche nella procedura esecutiva promossa da un istituto di credito fondiario ai sensi dell'art. 42 r.d. n. 646/1905 trova applicazione il principio secondo cui l'ordinanza di distribuzione definisce la fase espropriativa vera e propria ma non anche il processo esecutivo, da ritenersi in corso fintanto che non sia eseguito il pagamento, a favore del creditore assegnatario, della somma ricavata dalla vendita (Cass. I, n. 23572/2004, per la quale, pertanto, se tra la data del provvedimento di assegnazione e quella del pagamento intervenga il fallimento del debitore, la somma deve ritenersi di pertinenza della curatela). AccantonamentoNel commento all'art. 499 si è detto che, se intervengono creditori non muniti di titolo esecutivo, sebbene rientranti nelle categorie di cui al primo comma di tale disposizione, ed il debitore non ne riconosce, con efficacia meramente endoprocedimentale, i crediti nei sui confronti, gli stessi hanno diritto all'accantonamento degli importi dei quali avrebbero diritto in sede di riparto, per un periodo di tre anni, purché, entro trenta giorni, promuovano un giudizio volto ad ottenere un titolo esecutivo. La norma in esame precisa che, decorso il termine di tre anni, il giudice dell'esecuzione — che pure, se ha già effettuato la distribuzione tra creditori concorrenti ha dovuto previamente accantonare le somme spettanti ai predetti creditori intervenuti non titolati — su istanza di una delle parti o d'ufficio, dispone la comparizione davanti a sé del debitore, del creditore procedente e dei creditori intervenuti, con l'eccezione di coloro che siano già stati integralmente soddisfatti, e dà luogo alla distribuzione della somma accantonata tenuto conto anche dei creditori intervenuti che si siano nel frattempo muniti di titolo esecutivo. Peraltro, l’art. 596, come novellato dal d.l. 3 maggio 2016, n. 59, ha stabilito che i creditori intervenuti non titolati possono, nelle more, partecipare alla distribuzione del ricavato ove prestino una fideiussione autonoma, irrevocabile ed a prima richiesta, presso un primario istituto di credito indicato dal giudice dell’esecuzione (v. anche Comm. all’art. 596). Restituzione dell'eccedenza al debitoreDopo la distribuzione delle somme ricavate nel corso della procedura espropriativa, se rimane un residuo lo stesso è consegnato al debitore o al terzo che ha subito in concreto l'espropriazione nei casi di cui all'art. 603. È stato peraltro precisato che, il debitore espropriato non può esperire, dopo la chiusura del procedimento di esecuzione forzata, l'azione di ripetizione di indebito contro il creditore procedente per ottenere la restituzione di quanto costui abbia riscosso, sul presupposto dell'illegittimità per motivi sostanziali dell'esecuzione forzata, atteso che la legge, pur non attribuendo efficacia di giudicato al provvedimento conclusivo del procedimento esecutivo, tuttavia sancisce la irrevocabilità dei relativi provvedimenti una volta che essi abbiano avuto esecuzione (art. 487), sicché la proposizione dell'azione di ripetizione dopo la conclusione dell'esecuzione e la scadenza dei termini per le relative opposizioni sarebbe in contrasto con i principi ispiratori del sistema e con le regole specifiche sui modi e sui termini delle opposizioni esecutive, con la conseguenza che l'eventuale restituzione, successivamente all'esecuzione forzata, è correlabile solo ad una perdita di validità della procedura esecutiva legalmente accertata (Cass. L, n. 7036/2003; conf. Trib. Modena L, 28 giugno 2007, n. 297, Il merito, 2008, n. 4, 46). Sulla questione, la S.C. ha evidenziato, inoltre, che è manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale — in riferimento agli artt. 42, commi 2 e 3, e 111, comma 2, Cost. — dell'art. 510, come interpretato nel diritto vivente nel senso che il provvedimento di distribuzione del giudice dell'esecuzione ha effetto preclusivo, se non contestato con l'opposizione di cui all'art. 512, in ordine alla proposizione in un separato giudizio di azione da parte dell'esecutato (nel caso, per il terzo acquirente di bene ipotecato) volta alla tutela del proprio diritto a conseguire le somme ricavate dall'esecuzione eccedenti la somma attribuita al singolo creditore rispetto a quanto ad esso spettante per sorte, interessi e spese, in quanto tale effetto preclusivo deriva dal comportamento inerte dell'esecutato medesimo, per non essersi tempestivamente avvalso degli specifici rimedi giurisdizionali interni al processo esecutivo, costituiti dall'opposizione distributiva ex art. 512 o dalle opposizioni esecutive ex art. 615, comma 2, e 617, mediante le quali far valere, davanti al giudice dell'esecuzione, le proprie contestazioni di merito o di forma (Cass. III, n. 5580/2003). CasisticaNel caso in cui il creditore, dopo avere iscritto ipoteca, promuove l'espropriazione forzata proprio sui beni ipotecati, le spese per le iscrizioni ipotecarie gli saranno riconosciute come spese di esecuzione ai sensi dell'art. 95 e dell'art. 510, e con riguardo ad esse gli sarà anche riconosciuto il privilegio previsto dall'art. 2855 c.c.; ma se il creditore, dopo avere iscritto ipoteca su determinati beni del debitore promuove l'esecuzione su altri beni, le spese per iscrizioni ipotecarie relative a beni del tutto estranei al processo esecutivo non potranno essergli riconosciute quali spese di esecuzione (Trib. Benevento 4 settembre 2015, n. 1832; Trib. Napoli 13 febbraio 2004, Giur. mer., 2005, n. 7-8, 1560). Il decreto con cui il giudice dell'esecuzione liquida il compenso al custode dei beni pignorati, pur se emesso in sede di distribuzione del ricavato della vendita, ha natura d'ingiunzione di pagamento nei confronti della parte indicata nel provvedimento come obbligata all'anticipazione del compenso stesso, sicché contro di esso non è esperibile il ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. III, n. 2625/2003). Nel processo di esecuzione, in sede di distribuzione del ricavato, i creditori intervenuti in base ad un titolo esecutivo successivamente revocato (pur essendo ancora sub iudice) hanno diritto all'accantonamento di somme, in applicazione analogica degli artt. 499 comma ultimo e 510, (Trib. Padova 13 febbraio 2007, Giur. mer., 2008, n. 1, 163, con nota di Pisanu). L'attribuzione provvisoria della somma ricavata dall'esecuzione forzata al creditore titolare di un credito fondiario, non esclude la possibilità che, in sede di riparto fallimentare, vengano soddisfatti crediti che prevalgono sul credito fondiario garantito da ipoteca di primo grado, e che, se non vi è un attivo fallimentare che consenta la soddisfazione di tali crediti, si possa ottenere dalla banca la restituzione delle somme che non gli spettano (in base al progetto di distribuzione definitivo, approvato dal giudice delegato). Infatti, la riscossione avvenuta nella procedura esecutiva potrà divenire definitiva solo ove il creditore fondiario dovesse risultare “utilmente collocato” in fase fallimentare per l'importo già ottenuto, nel caso contrario lo stesso sarà, invece, obbligato a restituire l'eccedenza (Trib. Roma IV, 16 gennaio 2006). Le somme versate dal debitore in sede di conversione del pignoramento, divenendo esse stesse assoggettate al vincolo esecutivo, devono, in caso di residuo attivo, essere “in parte qua” riconsegnate al debitore stesso secondo le forme di cui all'art. 510, comma 3, senza che a diverse conclusioni possa indurre la circostanza che la conversione del pignoramento sia stata (come nella specie) irritualmente attuata attraverso il deposito di due libretti nominativi vincolati all'ordine del giudice ed intestati al debitore, anziché mediante versamento di una somma di danaro da depositarsi a cura del cancelliere (art. 495), ovvero deposito di libretto bancario intestato al creditore (a reg. ex art. 495, comma 6, nel testo anteriore alla novella del 1990), costituendo, in tal caso, il deposito dei libretti nominativi una mera irregolarità formale (non ostativa al raggiungimento dello scopo della conversione, per essere stati, da un lato, i beni pignorati liberati dal vincolo, per essere stato, dall'altro, il creditore interamente soddisfatto con parte delle somme depositate sui detti libretti). L'iniziale deviazione dallo schema tipico del procedimento non esclude, in ogni caso, la necessità di ripristinarne le forme legali, attraverso l'ordine di restituzione delle somme residue al debitore esecutato da eseguirsi a cura della cancelleria mediante richiesta all'istituto di credito dell'emissione di un assegno circolare intestato al debitore stesso, con la conseguenza che, prima dell'esaurimento di tale procedura, con correlata consegna del residuo al debitore, l'istituto di credito depositario delle somme, se a sua volta creditore dell'esecutato, non può legittimamente trattenere le somme residue a titolo di compensazione (Cass. I, n. 1145/1999). Qualora, nell'esecuzione forzata promossa dal lavoratore contro il datore di lavoro per il pagamento di spettanze inerenti al rapporto di lavoro, il debitore esecutato ottenga la conversione del pignoramento mediante il versamento di una somma su libretto bancario di deposito a risparmio intestato al lavoratore procedente, e tale somma venga poi assegnata a tale creditore dal giudice dell'esecuzione, il credito verso la banca depositaria, portato da tale libretto, è autonomo e distinto da quello di lavoro (rimasto soddisfatto a seguito dell'indicata assegnazione), e resta conseguentemente assoggettabile a sequestro o pignoramento, sottraendosi ai divieti o limiti fissati in proposito per i crediti di lavoro (Cass. III, n. 3518/1985). 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