Codice di Procedura Civile art. 612 - Provvedimento.

Rosaria Giordano

Provvedimento.

[I]. Chi intende ottenere l'esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare [2931 c.c.] o di non fare [2933 1 c.c.], dopo la notificazione del precetto [479 1, 3, 480 4], deve chiedere con ricorso al giudice dell'esecuzione (1) che siano determinate le modalità dell'esecuzione.

[II]. Il giudice dell'esecuzione (1)[26 3] provvede sentita la parte obbligata. Nella sua ordinanza designa l'ufficiale giudiziario che deve procedere all'esecuzione e le persone che debbono provvedere al compimento dell'opera non eseguita o alla distruzione di quella compiuta.

(1) Le parole « giudice dell'esecuzione » sono state sostituite alla parola « pretore » dall'art. 93 d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, dal 2 giugno 1999.

Inquadramento

L'esecuzione per gli obblighi di fare e di non fare mira ad ottenere la realizzazione del comando giuridico dettato dal titolo e rimasto inadempiuto attraverso la sostituzione all'esecutato dell'ufficiale giudiziario o di altro ausiliario che provvederà secondo le modalità, da ritenersi integrative sotto il profilo pratico del titolo, individuate dal Giudice dell'esecuzione.

L'ordinanza, che può attestare anche l'ineseguibilità dell'obbligo versato nel titolo, è impugnabile mediante opposizione agli atti esecutivi.

Funzione dell'esecuzione per gli obblighi di fare e di non fare

L'esecuzione forzata per gli obblighi di fare e di non fare è una forma di esecuzione forzata in forma specifica, che trova rispettivamente fondamento sugli artt. 2931 e 2933 c.c. mediante la quale vengono realizzati coattivamente gli obblighi, anche negativi, di facere di carattere fungibile, mediante la sostituzione dell'ufficiale giudiziario (o di un ausiliario nominato dal Giudice dell'esecuzione) al soggetto obbligato rimasto inadempiente rispetto al comando giuridico contenuto nel titolo esecutivo (Montesano, 540).

La questione dell'eseguibilità in forma specifica degli obblighi di fare di carattere infungibile è attualmente stemperata dalle previsioni dell'art. 614-bis, salvo che per i rapporti di lavoro rispetto ai quali si è sviluppata una tendenza ad ottenere la realizzazione dell'obbligo mediante la nomina di un commissario ad acta in luogo del datore di lavoro inadempiente (Sassani, 1).

Diversamente, la condanna al pagamento di una somma di denaro, che pure indichi specifiche modalità di adempimento, non può in alcun modo essere qualificata come condanna relativa ad un obbligo di fare e, pertanto, l'esecuzione ad essa relativa può trovare attuazione solo attraverso il procedimento di espropriazione forzata - che implica necessariamente l'aggressione coatta al patrimonio del debitore e la sua liquidazione - e non invece attraverso il procedimento di cui all'art. 612, che consente soltanto di fissare le modalità di attuazione di una determinata condotta materiale fungibile in sostituzione del debitore (Cass. n. 23900/2018).

La S.C. ha recentemente chiarito, come peraltro già unanimamente ritenuto a seguito delle modifiche della l. n. 80 del 2005 all'art. 474, che il verbale di conciliazione giudiziale costituisce titolo esecutivo idoneo alla esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, perché - come già statuito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 336 del 2002 - si deve ritenere che i presupposti di fungibilità e coercibilità in forma specifica dell'obbligo dedotto nel titolo siano stati considerati al momento della formazione dell'accordo conciliativo dal giudice che lo ha promosso e sotto la cui vigilanza esso è stato concluso (Cass. VI, n. 28871/2022).

Procedimento

Effettuata la notifica del precetto, il procedimento si incardina con ricorso dinanzi al Giudice dell'esecuzione affinché determini le modalità dell'esecuzione.

L'individuazione delle forme idonee a realizzare l'obbligo contenuto nel titolo è rimessa al potere discrezionale del Giudice dell'esecuzione che provvede all'esito di un'udienza nel contraddittorio tra le parti con ordinanza nella quale dovrà designare l'ufficiale giudiziario che deve procedere all'esecuzione e le persone che devono provvedere al compimento dell'opera non eseguita ovvero alla distruzione di quella compiuta.

L'esecuzione potrà dirsi conclusa a seguito della definitività della constatazione di chiusura della procedura esecutiva, contenuta nel verbale delle operazioni dell'ufficiale giudiziario, compiute in ottemperanza all'ordinanza del giudice dell'esecuzione. Ne consegue che, sopravvenuta la definitività della constatazione della chiusura della procedura esecutiva, al creditore procedente, che pure ritenga non perfettamente eseguito il comando giudiziale, resta preclusa la facoltà di azionare ulteriormente il medesimo titolo esecutivo (Cass. n. 23182/2014).

Rispetto all'adempimento dell'obbligo, la S.C. ha precisato che al destinatario di una sentenza di condanna all'adempimento di obblighi di fare che abbia eseguito il comando giudiziale deve riconoscersi la possibilità di esperire, al di fuori dal processo di esecuzione, un'azione di accertamento della corretta attuazione del titolo esecutivo, ove l'avente diritto all'esecuzione sollevi, in via solo stragiudiziale, incertezze mediante contestazioni circa la corrispondenza dell'attuazione spontanea al precetto contenuto nella sentenza di condanna ( Cass. n. 24239/2018 ).

Ordinanza

Contenuto

L'ordinanza mediante la quale il Giudice dell'esecuzione determina le modalità di realizzazione dell'obbligo di fare o non fare deve essere finalizzata all'attuazione del comando giuridico contenuto nel titolo, non avendo il Giudice dell'esecuzione poteri cognitivi, ferma la possibilità di dirimere le contestazioni insorte mediante l'interpretazione in funzione complementare-integrativa (quanto alle modalità di esecuzione) del titolo stesso (Borrè, 211).

Nello stesso senso in giurisprudenza, v. Cass. n. 11432/1996, Foro it., 1997, I, 798, con nota di Fabiani.

Più di recente, è stato ribadito dalla S.C. che in tema di esecuzione forzata di obblighi di fare, il giudice chiamato ad adottare i provvedimenti ex art. 612 è "dominus" della sola interpretazione della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo che, ove ancora "sub iudice", per essere pendente il relativo giudizio di impugnazione, è destinata ad essere confermata o annullata indipendentemente da tale interpretazione, ostando alla formazione di preclusioni da giudicato l'alterità degli oggetti dei giudizi di cognizione e di esecuzione (Cass. n. 6148/2016).

In sostanza, l’esecuzione degli obblighi di fare o non fare deve svolgersi in perfetta aderenza e nei limiti del dettato del titolo esecutivo, senza estendersi all’esecuzione di opere ulteriori non previste dal titolo stesso, anche se necessarie od opportune a tutela dei diritti dell’esecutato, ove questi abbia la facoltà e quindi l’onere di provvedervi direttamente (Cass., n. 9280/2017).

Tuttavia, qualora la realizzazione del risultato richieda il rilascio di autorizzazioni, concessioni o altri provvedimenti da parte della P.A., che si pongano come elementi strumentali al conseguimento del risultato indicato nel titolo, il giudice dell'esecuzione ha il potere di richiederli, collocandosi tale richiesta nella fase esecutiva dell'attuazione del diritto sostanziale riconosciuto con il titolo esecutivo, e solo nel caso, in cui, se richiesto, la P.A. non rilasci il provvedimento necessario, il diritto dell'esecutante si converte in quello ad essere risarcito del correlativo danno (Cass. n. 13071/2007).

Regime

L'ordinanza è di regola impugnabile esclusivamente mediante opposizione agli atti esecutivi (sicché non è assoggettabile al rimedio residuale del ricorso straordinario per cassazione: Cass. n. 14208/2014). È stato chiarito che tale rimedio è esperibile anche nell'ipotesi in cui la procedura sia stata definita con un provvedimento che, sul presupposto dell'ineseguibilità del giudicato, ponga fine al processo esecutivo (Cass. n. 10869/2012).

Peraltro, almeno secondo l'orientamento tradizionale, qualora il giudice dell'esecuzione, ancorché in forma di ordinanza, nel determinare le modalità dell'esecuzione, dirima una controversia insorta fra le parti in ordine alla portata del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva intrapresa, ha natura sostanziale di sentenza in forza del suo contenuto decisorio sul diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, cioè su una opposizione all'esecuzione ex art. 615, ed è, pertanto, impugnabile con l'appello (Cass. n. 3722/2012). Invero, in materia di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, spetta al giudice dell'esecuzione verificare se il risultato indicato dal creditore procedente nel precetto corrisponda a quello prescritto nel titolo esecutivo ed a tal fine, il giudice interpreta il titolo e ne detta le modalità di esecuzione, determinando quali siano le opere da realizzare coattivamente, poiché la parte esecutata, che avrebbe dovuto eseguirle spontaneamente, è invece rimasta inadempiente. Tuttavia, se, nel compiere tale attività, il giudice dell'esecuzione abbia disposto il compimento di opere contrastanti con il titolo esecutivo, ovvero abbia risolto questioni sorte tra le parti circa la rispondenza delle pretese esecutive al contenuto del titolo, o abbia dichiarata la conformità o meno al titolo delle opere già eseguite spontaneamente dall'obbligato, oppure abbia affrontato una controversia insorta tra le parti sulla portata sostanziale dello stesso titolo esecutivo, il provvedimento perde natura esecutiva per assumere quella di una statuizione cognitiva, e perciò non si presta più ad essere impugnato nei modi propri degli atti esecutivi (Cass. n. 15727/2011).

Più di recente, tende invece ad affermarsi nella stessa giurisprudenza di legittimità il diverso orientamento per il quale in tema di esecuzione forzata per obblighi di fare o di non fare, l'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 612, che abbia assunto contenuto decisorio in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva, non può considerarsi – neppure quando abbia provveduto sulle spese giudiziali – come una sentenza decisiva di un'opposizione all'esecuzione (e quindi impugnabile con i rimedi all'uopo previsti), consistendo essa nel provvedimento definitivo della fase sommaria di tale opposizione, sicché la parte interessata può tutelarsi introducendo il relativo giudizio di merito ex art. 616 (Cass. n. 29025/2021;Cass. n. 7402/2017; Cass. n. 15015/2016).

Nell'avallare tale orientamento si è osservato che in tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che decida in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva non è appellabile ma reclamabile ex art. 624 ove tale decisione sia stata presa solo in vista di una mera sospensione della procedura (che resta pendente) in attesa dell'esito del giudizio di merito da instaurare, mentre è opponibile ai sensi dell'art. 617 ove abbia dichiarato la definitiva chiusura del processo esecutivo, mentre in nessun caso è possibile la proposizione dell'appello (conf., da ultimo, Cass. n. 17440/2019). Ha invero evidenziato la Corte di legittimità che, pur dovendosi aderire all'orientamento più recente per il quale in tema di esecuzione forzata per obblighi di fare o di non fare, l'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 612, che abbia assunto contenuto decisorio in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva, non può considerarsi, neppure quando abbia provveduto sulle spese giudiziali, come una sentenza decisiva di un'opposizione all'esecuzione (e quindi impugnabile con i rimedi all'uopo previsti), consistendo essa nel provvedimento definitivo della fase sommaria di tale opposizione, sicché la parte interessata può tutelarsi introducendo il relativo giudizio di merito ex art. 616 c.p.c., lo stesso deve essere coordinato con quello  per cui «nei casi in cui il giudice dell'esecuzione, esercitando il proprio potere officioso, dichiari l'improcedibilità (o l'estinzione cd. atipica, o comunque adotti altro provvedimento di definizione) della procedura esecutiva in base al rilievo della mancanza originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo o della sua inefficacia, il provvedimento adottato in via né sommaria né provvisoria, a definitiva chiusura della procedura esecutiva, è impugnabile esclusivamente con l'opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 c.p.c.; diversamente, se adottato in seguito a contestazioni del debitore prospettate mediante una formale opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., in relazione alla quale il giudice abbia dichiarato di volersi pronunziare, il provvedimento sommario di provvisorio arresto del corso del processo esecutivo, che resta perciò pendente, è impugnabile con reclamo ai sensi dell'art. 624 (Cass. n. 15605/2017). Il necessario coordinamento tra tali principi porta ad affermare che - ferma restando la possibilità di instaurare il giudizio di merito, laddove sia stata proposta una opposizione - l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che nell'ambito di un processo di esecuzione per obblighi di fare o non fare decida in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva deve ritenersi reclamabile, laddove lo abbia fatto solo in vista di una mera sospensione della procedura (che resta pendente) in attesa dell'esito del giudizio di merito da instaurare, mentre è opponibile ai sensi dell'art. 617 c.p.c., laddove abbia dichiarato (come avvenuto nella specie) la definitiva chiusura del processo esecutivo. In nessun caso è peraltro possibile la proposizione dell'appello (Cass. n. 10946/2018).

Peraltro, appare riconducibile all'orientamento tradizionale una più recente decisione della S.C., per la quale ove il giudice dell'esecuzione sugli obblighi di fare e di non fare emani un provvedimento con il quale si discosti da quanto stabilito nel titolo da eseguire, detto provvedimento è impugnabile mediante appello, non costituendo più manifestazione dei poteri del giudice dell'esecuzione e quindi atto assoggettato ad opposizione agli atti esecutivi, con l'ulteriore conseguenza che la sentenza che decide sull'appello in ordine a tale questione è a sua volta ricorribile per cassazione per motivi concernenti l'interpretazione fornita dal giudice del merito circa l'accertamento compiuto e l'ordine impartito dal giudice della cognizione nella sentenza della cui esecuzione si tratta, la cui disamina non attribuisce tuttavia alla S.C. il potere di valutarne direttamente il contenuto, bensì solamente quello di stabilire se l'interpretazione della sentenza è conforme ai principi che regolano tale giudizio, nonché funzionale alla concreta attuazione del comando in essa contenuto (Cass. n. 32196/2018).

Casistica

La sentenza di mero accertamento di un obbligo di fare non costituisce titolo esecutivo, potendosi procedere alla esecuzione forzata in forma specifica (consistente nella sostituzione dell'ordinamento, attraverso suoi organi, nell'attività che l'obbligato originario è condannato, in forza del titolo esecutivo, a prestare) soltanto in base a sentenza di condanna, almeno implicita, ed in relazione ad una prestazione che possa essere attuata indifferentemente sia dall'obbligato originario, sia per mezzo dell'attività sostitutiva di un qualunque altro soggetto, con identico effetto satisfattivo per il creditore, ovvero quando non sia indispensabile alcuna attività materiale personale di cooperazione specifica del condannato (Cfr. Cass. n. 18572/2019, la quale, in applicazione del principio,  ha escluso che la sentenza di mero accertamento dell'obbligo dell'ente previdenziale di inserire in determinati elenchi il nominativo di un lavoratore agricolo sia idonea a essere posta a base di esecuzione forzata in forma specifica, coinvolgendo una pluralità di condotte – quali l'inserimento del nominativo negli appositi elenchi e la verifica della produzione dei conseguenti effetti sia economici che normativi – aventi ciascuna carattere infungibile).

Il soggetto condannato ad un "facere" mediante esecuzione di determinate opere su un immobile ceduto ad altri non perde, in conseguenza del trasferimento del bene, la legittimazione passiva all'azione esecutiva ai sensi degli artt. 2909 c.c., 474 e 475, potendo la successione a titolo particolare avere incidenza nel processo esecutivo soltanto a seguito di una iniziativa del nuovo titolare del diritto, poiché a quest'ultimo è consentito di interloquire sulle modalità dell'esecuzione, ferma restando la validità e l'efficacia del precetto intimato al dante causa (Cass. n. 30929/2018).

In caso di opposizione all'esecuzione forzata di obblighi di fare, l'accoglimento dell'istanza di sospensione del processo esecutivo non consente al giudice dell'esecuzione di ordinare la rimessione in pristino di ciò che sia stato eseguito, ai sensi dell'art. 612, prima della sospensione, in quanto il potere del giudice di revoca o modifica dei propri provvedimenti è soggetto al limite dell'intervenuta esecuzione del provvedimento di cui all'art. 487, che ha carattere generale ed opera anche in caso di proposizione dei rimedi oppositivi da parte dell'esecutato, sicché il provvedimento sospensivo può soltanto impedire che l'esecuzione prosegua e non anche disfare ciò che è stato fatto quando il processo esecutivo era ancora in corso (Cass. n. 19572/2015).

Nel caso in cui pendano avanti allo stesso ufficio giudiziario sia l'opposizione avente ad oggetto l'accertamento degli specifici lavori da eseguire coattivamente ex art. 612 c.p.c., sia l'opposizione al decreto ex art. 614 c.p.c. relativo alle spese anticipate dal creditore per i lavori già effettuati, è illegittima l'ordinanza che dispone la sospensione del secondo giudizio per pregiudizialità logica del primo, non essendo configurabile un'ipotesi di sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. e dovendo il giudice del procedimento "pregiudicato" rimettere gli atti al presidente del tribunale per la valutazione circa la riunione delle cause per ragioni di connessione (Cass. VI, n. 11212/2022).

Qualora, con riguardo all'esecuzione di una sentenza di condanna alla demolizione di opere edili, in sede di comparizione delle parti davanti al giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 612 insorgano contestazioni circa la necessità o meno del rilascio di apposita concessione amministrativa per il compimento dei lavori, ovvero in ordine all'individuazione del soggetto tenuto a richiedere il provvedimento concessorio, le relative questioni non investono l'esistenza del titolo ed il diritto dell'esecutante, ma attengono alle modalità dell'esecuzione stessa: ne consegue che il provvedimento con cui il suddetto giudice statuisca sulle indicate questioni, così come il provvedimento con cui si limiti a disporre la sospensione dell'esecuzione fino al rilascio della menzionata concessione, integrano atti del processo esecutivo, come tali non impugnabili con l'appello (Cass. n. 10959/2010).

In tema di esecuzione forzata di obblighi di fare, ove il titolo esecutivo sia costituito da una sentenza di condanna all'esecuzione di opere rappresentanti un "quid novum", la mancata indicazione specifica delle singole opere da eseguire non si traduce in un difetto di certezza e di liquidità del diritto riconosciuto dalla sentenza allorché, anche a seguito dell'integrazione del dispositivo con le altre parti della sentenza, compresa l'esposizione dei fatti, le opere da eseguire vengano "qualificate" dal loro preciso riferimento alle finalità della loro imposizione e, in particolare, all'eliminazione di un pregiudizio ben individuato, nonché ad una situazione di fatto sufficientemente precisata che valga ad individuare il "tipo" dell'intervento, in quanto in tali ipotesi è rimessa al giudice dell'esecuzione la determinazione delle concrete modalità dell'opera o la scelta tra diverse articolazioni concrete di opere aventi comuni finalità e connotazioni (Cass. n. 10649/2004).

Bibliografia

Borrè, Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, Napoli, 1965; Carpi, Note in tema di tecniche di attuazione dei diritti, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1988, 115;  Castoro, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, 15a ed., Milano 2019;Denti, L'esecuzione forzata in forma specifica, Milano, 1953; Fornaciari, I limiti dell'esecuzione forzata di obblighi di are e di non fare, in Riv. esecuz. forzata 2000, 397; Mandrioli, voce Esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, in Dig. civ., VII, Torino, 1991, 649; Montesano, voce Esecuzione specifica, in Enc. dir., XV, Milano, 1966, 524; Sassani, L'esecuzione delle sentenze civili di condanna dell'amministrazione nei rapporti di lavoro, in Riv. esecuz. forzata 2005, 1; Satta, L'esecuzione forzata, Torino, 1963; Vaccarella, Problemi vecchi e nuovi dell'esecuzione forzata dell'obbligo di consegna di minore, in Giur. it. 1982, 1-2, 301.

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