Codice di Procedura Civile art. 619 - Forma dell'opposizione.Forma dell'opposizione. [I]. Il terzo che pretende avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati può proporre opposizione con ricorso al giudice dell'esecuzione [484], prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione dei beni [530 4, 569 4]. [II]. Il giudice fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé [185 att.] e il termine perentorio [153] per la notificazione del ricorso e del decreto. [III]. Se all'udienza le parti raggiungono un accordo il giudice ne dà atto con ordinanza, adottando ogni altra decisione idonea ad assicurare, se del caso, la prosecuzione del processo esecutivo ovvero ad estinguere il processo, statuendo altresì in questo caso anche sulle spese; altrimenti il giudice provvede ai sensi dell'articolo 616 tenuto conto della competenza per valore (1). (1) L'art. 17 l. 24 febbraio 2006, n. 52, ha così sostituito il terzo comma. Il testo precedente recitava: «Se all'udienza le parti non raggiungono un accordo, il giudice, quando è competente l'ufficio giudiziario al quale appartiene, provvede all'istruzione della causa a norma degli articoli 175 e seguenti; altrimenti fissa all'opponente un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti all'ufficio giudiziario competente per valore».
InquadramentoL'opposizione di terzo all'esecuzione può essere proposta soltanto dal terzo che pretenda di avere la proprietà o un altro diritto reale sui beni pignorati, oppure che si presenti come titolare di alcuni particolari diritti di credito ad efficacia reale, suscettibili di soddisfarsi sulla cosa oggetto dell'esecuzione, e dunque prevalenti sulla pretesa del creditore procedente (Cass. n. 17876/2011). Il pregiudizio dedotto con l'opposizione di terzo ordinaria nasce dal provvedimento di cognizione, mentre nell'opposizione ex art. 619 il pregiudizio è determinato dalle modalità dell'esecuzione (Proto Pisani, 367 ss.). Le forme procedimentali sono quelle di cui all'art. 616 (v. Comm.): peraltro, prima di pronunciare l'ordinanza conclusiva della fase sommaria il giudice dell'esecuzione dovrà cercare di addivenire ad un accordo tra le parti. Diritti che possono essere fatti valere dal terzo opponenteLa disposizione in commento attribuisce la legittimazione a proporre opposizione al terzo che vanti un diritto di proprietà o un altro diritto reale sui beni pignorati. Nella giurisprudenza di legittimità, l'ambito applicativo del rimedio di cui all'art. 619 è stato delimitato nel senso che la relativa opposizione può essere proposta soltanto dal terzo che pretenda di avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati, oppure che si presenti come titolare di alcuni particolari diritti di credito ad efficacia reale, suscettibili di soddisfarsi sulla cosa oggetto dell'esecuzione, e dunque prevalenti sulla pretesa del creditore procedente (Cass. n. 17876/2011 che, di conseguenza, ha ritenuto non legittimato all'opposizione di terzo all'esecuzione l'affittuario di un'azienda che comprenda i beni mobili oggetto della procedura espropriativa). Peraltro, come pure evidenziato nella prassi applicativa, l'opposizione di terzo all'esecuzione consiste non solo in un giudizio di accertamento dell'illegittimità dell'esecuzione forzata in rapporto al suo oggetto e di fronte al diritto del terzo, ma può anche concretarsi in un'azione di rivendicazione o riconoscimento della proprietà o di altro diritto reale o, comunque, della prevalenza del diritto spettante al ricorrente sul bene del quale il creditore pignorante assume l'appartenenza esclusiva al debitore (Trib. Salerno, 3 aprile 2013). La S.C. ha chiarito che il terzo che vanti un diritto reale sul bene immobile oggetto di esecuzione forzata, se ha partecipato al procedimento esecutivo, può proporre soltanto opposizione agli atti esecutivi mentre, se non via ha partecipato, durante il giudizio di esecuzione può proporre opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. e dopo la vendita e l'aggiudicazione può rivendicare il bene nei confronti dell'aggiudicatario (Cass. II, n. 4005/2022). In dottrina, quanto alla delicata questione della distinzione tra opposizione ex art. 404 e l'opposizione in esame, si è osservato che il pregiudizio che fonda la prima nasce dal provvedimento di cognizione, invece nell'opposizione ex art. 619 il pregiudizio è determinato dalle modalità dell'esecuzione (Proto-Pisani, 367 ss.). Sulla questione sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione statuendo che il terzo legittimato all'opposizione ordinaria ai sensi dell'art. 404, comma 1, non può, ancorché litisconsorte necessario pretermesso, proporre opposizione all'esecuzione promossa sulla base di un titolo giudiziale formatosi inter alios, salvo che sostenga che quanto stabilito dal predetto titolo sia stato soddisfatto oppure sia stato modificato da vicende successive, sicché non vi è più nulla da eseguire, nel qual caso deve ritenersi legittimato ai sensi dell'art. 615. Ove, inoltre, l'esecuzione del titolo formatosi «inter alios» si estenda al di fuori dell'oggetto previsto nella statuizione giudiziale, sicché, l'esecuzione non è sorretta dal titolo, il terzo può opporsi, nelle forme dell'art. 619, quale soggetto la cui posizione è effettivamente incisa dalla esecuzione, ancorché formalmente terzo rispetto ad essa (Cass. S.U., n. 1238/2015). Sul piano istruttorio, l'opponente ha l'onere di provare la titolarità del diritto vantato sui beni pignorati sia se il pignoramento è avvenuto nella casa del debitore sia quando si è verificato altrove (Cass. III, n. 40751/2021). Procedimento
A seguito della riforma realizzata dalla l. n. 80/2005, le opposizioni esecutive sono state strutturate in modo bifasico, essendo prevista una prima fase sommaria, assoggettata a rito camerale, dinanzi al giudice dell'esecuzione che si limita ad esaminare l'istanza di sospensione e le questioni di competenza ed una seconda fase, meramente eventuale, a cognizione piena ed esauriente di fronte al giudice competente (Canavese, 1088-1089). In dottrina sono discussi i rapporti tra le due fasi, con peculiare riguardo alla natura unitaria o meno del procedimento complessivo. Peraltro, la giurisprudenza di legittimità più recente sembra ricostruire il procedimento in termini unitari. In particolare, rivedendo l'orientamento già espresso in precedenza (Cass. n. 22838/2012), la S.C. ha affermato che l'opposizione agli atti esecutivi, pur essendo distinta, in due fasi, la prima sommaria e la seconda a cognizione piena, costituisce un unico procedimento, sicché ai fini dell'applicazione del termine d'impugnazione di sei mesi, previsto dall'art. 327, nella nuova formulazione, ed applicabile ai giudizi instaurati dopo l'entrata in vigore della l. 18 giugno 2009, n. 69, rileva il momento in cui è stata introdotta la fase sommaria, con il deposito del ricorso dinanzi al giudice dell'esecuzione (Cass. n. 9246/2015). Sempre sulla scorta del principio per il quale il giudizio di opposizione agli atti esecutivi, alla luce delle modifiche apportate agli artt. 618 e 185 disp. att. dalla l. n. 52/2006, pur essendo diviso in due fasi, conserva una struttura unitaria, nel senso che la fase eventuale di merito è in collegamento con la fase sommaria, è stato poi precisato che la procura, rilasciata al difensore per l'opposizione agli atti esecutivi dinanzi al giudice dell'esecuzione, è da intendersi conferita anche per il successivo eventuale giudizio di merito, in mancanza di una diversa ed esplicita volontà della parte che limiti il mandato alla fase sommaria e che, peraltro, l'atto di citazione per il giudizio di merito che segue la fase sommaria dinanzi al giudice dell'esecuzione è validamente notificato presso il difensore nominato con la procura alle liti rilasciata già nella prima fase, in mancanza di una diversa ed esplicita volontà della parte che ne limiti la validità alla prima fase (Cass., n. 7999/2015; conf.Cass. III, n. 17913/2022). Se si accede a questa impostazione ormai dominante nella recente giurisprudenza della S.C. dovrà ritenersi che, proposta la domanda già nella fase sommaria, nel passaggio al rito a cognizione piena la stessa non dovrà essere reiterata, sicché, in definitiva, l'atto introduttivo della fase di merito finirebbe con il configurarsi in termini di atto di riassunzione (Luiso-Sassani, 196). È stato chiarito in sede di legittimità che nella struttura delle opposizioni, ai sensi degli art. 615, comma 2, artt. 617 e 619, emergente dalla riforma di cui alla l. n. 52/2006, il giudice dell'esecuzione, con il provvedimento che chiude la fase sommaria davanti a sé — sia che rigetti, sia che accolga l'istanza di sospensione o la richiesta di adozione di provvedimenti indilazionabili, fissando il termine per l'introduzione del giudizio di merito, o, quando previsto, quello per la riassunzione davanti al giudice competente — deve statuire sulle spese della fase sommaria, potendosi, peraltro, ridiscutere tale statuizione nell'ambito del giudizio di merito, con conseguente inammissibilità, in ogni caso, del ricorso straordinario per cassazione avverso la relativa statuizione (Cass. n. 22033/2011).
Inoltre, è stato chiarito che l'estinzione del processo esecutivo comporta il venir meno della ragione di far decidere l'opposizione di terzo all'esecuzione, consistendo questa essenzialmente in un'azione di accertamento della illegittimità dell'esecuzione in rapporto al suo oggetto, di fronte al diritto del terzo, senza involgere necessariamente un'azione di revindica o di accertamento della proprietà o di altro diritto reale. Di talché, solo se il terzo opponente chieda che il giudice si pronunci sull'appartenenza del bene nei rapporti fra esso ed il debitore esecutato sussiste il suo interesse alla statuizione sul punto, per cui la causa deve proseguire tra il debitore ed il terzo opponente (Cass. n. 8426/2011). La norma in commento rinvia, quanto all'introduzione del giudizio di merito, all'art. 616 disposizione per la quale il giudice dell'esecuzione fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire di cui all'art. 163-bis, o altri se previsti, ridotti della metà (Menchini e Motto, 189). L'utilizzo da parte della norma della locuzione “parte interessata” (in luogo della parte opponente) rende ragione della tesi, espressa in sede di merito, per la quale l'onere di introdurre il giudizio di merito, successivamente alla sospensione dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 616è pertanto posto a carico non solo dell'opponente ma anche e soprattutto dell'opposto, pena, per quest'ultimo, l'estinzione del processo esecutivo (Trib. Firenze, 21 marzo 2007, in Il merito, 2007, n. 7-8, 19, con nota di Alesii e Nocerino). Altra questione problematica, nell'immediata vigenza dell'art. 616, come modificato dalla l. n. 80/2005, era quella che atteneva alle conseguenze dell'omessa indicazione da parte del giudice dell'esecuzione, conclusa la fase sommaria, del termine per l'introduzione del giudizio di merito (termine che andrà indicato anche nell'ipotesi di omessa comparizione delle parti all'udienza fissata per la fase sommaria del giudizio: Cass. n. 17860/2011). È intervenuta la Corte di Cassazione chiarendo, in primo luogo, che qualora il giudice dell'esecuzione, con il provvedimento positivo o negativo della tutela emesso a chiusura della fase sommaria delle opposizioni di cui agli artt. 615, comma 2, artt. 617 e 619, ometta di fissare il termine per l'introduzione del giudizio di merito (o nelle opposizioni ex artt. 615 e 619 per la riassunzione davanti il giudice competente), la parte interessata, tanto se vi sia provvedimento sulle spese quanto se manchi, può alternativamente o chiedere al giudice dell'esecuzione la fissazione del termine con istanza ai sensi dell'art. 289 nel termine perentorio previsto da detta norma o introdurre o riassumere di sua iniziativa il giudizio di merito sempre nel detto termine, restando esclusa comunque l'esperibilità contro l'irrituale provvedimento del ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost. (Cass. n. 22503/2011). La S.C. ha più volte ribadito che l'ordinanza del giudice dell'esecuzione, che chiude la fase sommaria e fissa il termine per l'introduzione del giudizio di merito, non è impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111, comma 7, Cost., in quanto priva del carattere della definitività (Cass. n. 25169/2014). Tale soluzione è stata affermata anche con riferimento all'ipotesi nella quale il giudice dell'esecuzione abbia omesso di fissare, nel provvedimento in questione, il termine per l'introduzione del giudizio a cognizione piena e di provvedere sulle spese, atteso che il provvedimento, di accoglimento o di rigetto, con il quale si chiude la fase sommaria, è privo di definitività ma deve contenere necessariamente la statuizione relativa alle spese, eventualmente riesaminabile nel giudizio di merito, mentre la mancanza del provvedimento ordinatorio relativo all'introduzione della successiva fase (eventuale) del procedimento può essere sanata mediante richiesta d'integrazione formulata ai sensi dell'art. 289, o mediante autonoma iniziativa di parte rivolta all'introduzione del giudizio a cognizione piena, in mancanza delle quali il procedimento si estingue ai sensi dell'art. 307, con conseguente impossibilità di rimettere in discussione la statuizione sulle spese (Cass. n. 16525/2012). È stato poi precisato che il provvedimento del giudice dell'esecuzione di reiezione dell'istanza di revoca dell'ordinanza di chiusura della fase sommaria, non può essere impugnato con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., essendo appartenente esclusivamente alla fase sommaria e comunque privo del carattere della definitività anche quando sia stata erroneamente omessa la fissazione del termine perentorio per l'instaurazione del giudizio a cognizione piena, atteso che l'iniziativa dell'iscrizione a ruolo, e la conseguente scelta di intraprendere tale successiva fase, è rimessa esclusivamente all'impulso di parte (Cass. n. 15227/2011). La S.C. ha ritenuto inammissibile avverso il provvedimento conclusivo della fase sommaria delle opposizioni esecutive anche il rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi osservando che, qualora il giudice dell'esecuzione, con il provvedimento positivo o negativo della tutela sommaria, emesso nelle opposizioni di cui agli artt. 615, comma 2, 617 e 619, ometta di fissare il termine per l'introduzione del giudizio di merito, o - nelle opposizioni ai sensi degli artt. 615 e 619 - per la riassunzione davanti al giudice competente, la parte interessata può, ai sensi dell'art. 289, entro il termine perentorio ivi previsto, chiederne al giudice la relativa fissazione, ovvero può introdurre o riassumere, di sua iniziativa, il giudizio di merito, sempre nel detto termine, restando comunque esclusa l'esperibilità del rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi (Cass., n. 5060/2014). Sotto altro profilo, è stato chiarito che l'art. 616, nel testo sostituito dall'art. 14 l. n. 52/2006 deve essere interpretato nel senso che l'introduzione del giudizio di merito nel termine perentorio fissato dal giudice dell'esecuzione all'esito dell'esaurimento della fase sommaria introdotta a norma dell'art. 615 comma 2, deve avvenire con la forma dell'atto introduttivo richiesta in riferimento al rito con cui l'opposizione deve essere trattata quanto alla fase a cognizione piena e, quindi, con citazione previamente notificata e poi iscritta a suolo se l'opposizione rientra nell'ambito delle controversie soggette al rito ordinario, oppure con ricorso depositato presso l'ufficio cui appartiene quel giudice e poi notificato nel termine successivamente, qualora la materia rientri fra quelle soggette a un rito in cui la causa si introduce con ricorso ed è il giudice a fissare l'udienza (v., tra le altre, Cass. n. 12170/2016; Cass. n. 1201/2012). Si è precisato, sul punto, che se la causa è soggetta al rito ordinario, detto giudizio di merito deve essere introdotto con citazione da notificare alla controparte entro il termine perentorio fissato dal giudice, mentre l'eventuale concessione di un ulteriore termine per tale notifica o una nuova citazione ad iniziativa spontanea della parte sono ammissibili solo a condizione che, in relazione all'udienza di comparizione indicata dal giudice o indicata nel nuovo atto di citazione, venga rispettato il termine perentorio a suo tempo fissato dal giudice dell'esecuzione (Cass. n. 1152/2011). La norma in commento è di difficile comprensione laddove prevede che il giudizio di merito deve essere introdotto previa iscrizione della causa a ruolo, posto che detto adempimento di regola segue l'introduzione del giudizio (Proto Pisani, 214 ss.). Appare ragionevole, quindi, la tesi per la quale il termine perentorio assegnato dal giudice dell'esecuzione deve essere riferito all'introduzione del giudizio e non all'iscrizione a ruolo, sicché nessuna sanzione può derivare dall'iscrizione a ruolo effettuata secondo le regole proprie del rito applicabile ed è quindi ammissibile anche un'iscrizione a ruolo posteriore alla notifica della citazione o contestuale al deposito del ricorso (Canavese, 1087). È discusso in dottrina se il richiamo al procedimento camerale operato dall'art. 185 disp. att. valga solo per l'udienza di comparizione davanti al giudice dell'esecuzione o debba estendersi all'intero procedimento, ma la prima opzione appare più aderente ala ratio legis di contenere la sommarietà del procedimento solo ad una prima fase per poi riservare alla fase di merito l'applicabilità delle norme processuali del procedimento civile di cognizione ordinaria (Capponi, 603). Sulla questione è ormai intervenuta, peraltro, la S.C. chiarendo che in tema di opposizioni in materia esecutiva ai sensi degli art. 615, comma 2, e 619, la previsione, — nell'art. 185 disp. att., novellato dalla l. 24 febbraio 2006, n. 52 — dell'applicabilità del rito camerale si riferisce esclusivamente alla fase a cognizione sommaria davanti al giudice dell'esecuzione, e sottende che la cognizione non segue le regole della cognizione piena, che si applicano, invece, alla fase di merito, quando abbia luogo sia davanti allo stesso giudice dell'esecuzione, sia se si svolga davanti ad un diverso giudice competente nel merito (Cass. n. 3550/2013, la quale ha ritenuto che deve quindi essere escluso che la trattazione della fase a cognizione piena su dette opposizioni sia soggetta al rito camerale, e che la composizione del giudice di merito dell'opposizione in sede decisoria possa essere quella collegiale ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 50-bis). Se quindi la causa di merito è soggetta al rito ordinario, il giudizio di merito va introdotto con citazione da notificare alla controparte entro il termine perentorio fissato dal giudice. L'eventuale concessione di un ulteriore termine per la notifica o per una nuova citazione, se non è andata a buon fine la prima, sarà ammissibile solo a condizione che sia stato rispettato il termine perentorio a suo tempo stabilito dal giudice dell'esecuzione. Qualora, invece, la causa appartenga alla competenza per materia del giudice del lavoro e, ai sensi dell'art. 618-bis, comma 1, sia disciplinata dalle norme previste per le controversie individuali di lavoro, in quanto relativa ad esecuzione forzata promossa in base a provvedimenti emessi dal giudice del lavoro, il giudizio di merito va introdotto con ricorso da depositare nella cancelleria del giudice competente entro il termine perentorio fissato dal giudice dell'esecuzione (Cass. n. 12055/2014). Laddove invece il termine per l'introduzione del giudizio di merito non sia rispettato ne conseguirà ex art. 307 l'estinzione immediata del procedimento (Menchini-Motto, 183). L'udienza che viene fissata per l'inizio del giudizio di merito è l'udienza ex art.183 per cui se il convenuto opposto deve proporre eccezioni in senso stretto, chiamare terzi in giudizio o formulare domande riconvenzionali deve provvedervi venti giorni prima di questa udienza stabilita con l'atto introduttivo. E’ stato chiarito che nell’opposizione di terzo all'esecuzione, la nullità di giudizio di primo grado derivante dalla mancata partecipazione ad esso del debitore esecutato, litisconsorte necessario con il terzo opponente e il creditore procedente, è sanata solo qualora il litisconsorte pretermesso, intervenendo il giudizio appello, dichiari di accettare senza riserve il contenuto della sentenza di primo grado (Cass. n. 29629/2024). La domanda di opposizione all'esecuzione non è soggetta alla sospensione dei termini per il periodo feriale. A riguardo, è stato precisato che tale principio opera anche se è stata presentata una domanda di risarcimento danni da responsabilità processuale aggravata ex art. 96 e ciò perché l'esenzione dalla sospensione feriale dei termini, applicabile per la natura della causa, lo è anche per la domanda accessoria perché accessorium sequitur principale (Cass., n. 4653/2015). Sul punto si è anche chiarito che la sospensione feriale dei termini processuali non si applica alle opposizioni esecutive anche quando nel relativo giudizio permanga, quale unica questione controversa, quella attinente al regolamento delle spese processuali, in quanto la condanna alle spese assolve alla funzione di assicurare la pienezza di tutela della situazione dedotta nel processo, per cui la lite su tale aspetto, sia che attenga alla soccombenza virtuale sia che riguardi le regole relative alla statuizione sulle spese e sulla loro misura, inerisce sempre alla "ratio" della sospensione disposta per la natura della controversia alla quale le spese stesse si riferiscono (Cass. n. 12150/2016). Non può trascurarsi, inoltre, la precisazione per la quale nel giudizio di opposizione di terzo all'esecuzione, qualora alla domanda dell'opponente si cumuli la domanda dell'aggiudicatario, promossa in via subordinata ai sensi dell'art. 2921 c.c. nei confronti del creditore procedente per ottenere la restituzione del prezzo ed il risarcimento del danno in caso di evizione del bene aggiudicato, la controversia è soggetta alla sospensione feriale dei termini se la sentenza di primo grado accolga l'opposizione, con statuizione sulle domande cumulate, e il processo, senza impugnazione del capo di accoglimento della opposizione, prosegua per la sola decisione sulla responsabilità del creditore procedente (Cass. n. 2750/2015). In generale, è stato chiarito che il principio sancito dall'art. 3 l. 7 ottobre 1969, n. 742, che esclude dalla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale le cause previste dall'art. 92 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, tra cui le opposizioni all'esecuzione, è applicabile anche al ricorso per cassazione, riferendosi la norma alla natura della controversia e ad ogni sua fase processuale, dovendosi, conseguentemente, rilevare d'ufficio la tardività del ricorso e la sua inammissibilità, senza che operi al riguardo la regola di cui all'art. 384, comma 3, che si riferisce alla sola ipotesi in cui la Corte ritenga di dover decidere nel merito e non quando si tratti di questione di diritto di natura esclusivamente processuale (Cass. n. 8137/2014). Questo principio trova applicazione anche nell'ipotesi in cui le uniche questioni che vengano in rilievo in sede di legittimità siano quelle afferenti le spese (concernenti la pronuncia di cessazione della materia del contendere: Cass. n. 23410/2013). All'esito della fase di merito dell'opposizione di terzo all'esecuzione è pronunciata sentenza assoggettata agli ordinari mezzi di impugnazione. Peraltro, la l. n. 52/2006 aveva modificato l'art. 616 nel senso di prevedere l'inappellabilità della sentenza che decide sull'opposizione all'esecuzione: tale disposizione, abrogata dalla successiva l. n. 69/2009, è stata ritenuta applicabile anche all'opposizione di terzo all'esecuzione stante il rinvio operato, dall'ultimo comma della norma in esame, all'art. 616. Sul punto, è stato chiarito, quanto al regime intertemporale, che, in tema di opposizioni esecutive, le modifiche introdotte dalla l. 24 febbraio 2006, n. 52, in forza delle quali la sentenza resa sull'opposizione di terzo all'esecuzione, mediante il rinvio operato dall'art. 619, comma 3, all'art. 616 del medesimo codice, non è impugnabile nei modi ordinari ma soggetta al solo ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., trovano applicazione anche ai processi iniziati prima della sua entrata in vigore ma decisi nella sua vigenza (Cass. n. 18261/2014). CasisticaIn tema di opposizione di terzo all'esecuzione, la sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo integra un'ipotesi di cessazione della materia del contendere per il verificarsi di un evento processuale elidente l'interesse, giuridicamente rilevante, alla decisione sull'assoggettabilità ad espropriazione dei beni pignorati: ne deriva che le spese devono essere liquidate in base al criterio della soccombenza virtuale. (Cass. n. 6016/2017). Il terzo che intende far valere l'acquisto per usucapione del bene pignorato è legittimato a proporre opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 619, a nulla rilevando che l'acquisto sia intervenuto dopo il pignoramento o non risulti giudizialmente accertato, essendo ancora pendente il giudizio di accertamento della fattispecie acquisitiva (Cass. n. 12790/2010). Il terzo che vanti un diritto reale sul bene immobile oggetto di esecuzione forzata, se ha partecipato al procedimento esecutivo, può proporre soltanto opposizione agli atti esecutivi mentre, se non via ha partecipato, durante il giudizio di esecuzione può proporre opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. e dopo la vendita e l'aggiudicazione può rivendicare il bene nei confronti dell'aggiudicatario (Cass. n. 4005/2022). Il terzo che vanti un diritto reale sul bene immobile oggetto di esecuzione forzata può non solo proporre l'opposizione di terzo ex art. 619 durante il giudizio di esecuzione, ma può anche, dopo la vendita e l'aggiudicazione, rivendicare il bene nei confronti dell'aggiudicatario (Cass. n. 19761/2012). In tema di vendita forzata sono trasferiti all'aggiudicatario gli stessi diritti del debitore, nelle medesime condizioni di non opponibilità al creditore procedente degli atti di disposizione successivi al pignoramento o, se il credito azionato è assistito da diritto reale di garanzia, degli atti di disposizione successivi all'iscrizione di questo sul bene oggetto di espropriazione: ne consegue che il creditore ipotecario, in tali casi, può sottoporre il bene ad esecuzione forzata anche in confronto del terzo, che ne sia reso acquirente, e soddisfarsi sulla somma conseguita dalla vendita, con preferenza sugli altri creditori (Cass. n. 18235/2014). Nel caso di acquisto di un immobile successivamente alla trascrizione sullo stesso del pignoramento, quindi con atto inopponibile ai creditori pignoranti e intervenuti, l'acquirente non può intervenire neppure in via adesiva nell'espropriazione forzata, né è legittimato a proporre opposizione agli atti esecutivi, ma è legittimato soltanto a proporre opposizione di terzo ex art. 619, allo scopo di far valere l'eventuale inesistenza o la nullità della trascrizione, per sottrarre il bene all'espropriazione, e, inoltre, può partecipare alla distribuzione del prezzo ricavato dalla vendita forzata, eventualmente residuato dopo che siano stati soddisfatti il creditore procedente e i creditori intervenuti nell'espropriazione (Cass. n. 22807/2013). L'acquirente di immobile per scrittura privata, il quale ha trascritto la domanda giudiziale volta all'accertamento dell'autenticità delle sottoscrizioni è legittimato ad opporsi all'esecuzione immobiliare recante ad oggetto il bene compravenduto qualora la trascrizione del pignoramento sia successiva a quella della domanda giudiziale, precisando che in tal caso il terzo opponente e acquirente dell'immobile ha diritto a chiedere la sospensione del giudizio di esecuzione fintantoché non sia deciso l'altro giudizio di accertamento quali autentiche delle sottoscrizioni apposte alla scrittura d'acquisto, e il giudice dell'esecuzione ha il dovere di accertare la non manifesta infondatezza del giudizio accertativo dell'autenticità delle sottoscrizioni (Trib. Rossano 13 gennaio 2007, Corti calabresi, 2008, n. 1, 184). Il terzo, che in pendenza dell'esecuzione forzata e dopo la trascrizione del pignoramento abbia acquistato a titolo particolare l'immobile pignorato, fa valere l'invalidità del pignoramento come atto iniziale e fondamentale del processo esecutivo al fine di fare accertare che il suo acquisto, sebbene trascritto dopo la trascrizione del pignoramento, è efficace ed opponibile nei confronti del creditore pignorante e dei creditori intervenuti e vale a sottrarre all'esecuzione il bene pignorato, per cui il terzo non propone una opposizione agli atti esecutivi, ma una opposizione inquadrabile nella opposizione di terzo ex art. 619 (Cass. n. 8205/2013). Il terzo cessionario, diverso dal terzo pignorato, che contesti la non appartenenza del credito all'esecutato in ragione dell'anteriorità, rispetto alla notificazione del pignoramento, della notificazione della cessione al debitore ceduto (ovvero l'accettazione di questa), è tenuto a far valere l'illegittimità dell'espropriazione con l'opposizione di terzo ex art. 619, senza poter proporre, in quanto soggetto estraneo al processo esecutivo, opposizione agli atti esecutivi exart. 617, neppure ove rivolta contro l'ordinanza di assegnazione del credito (Cass. n. 14639/2014). Intrapresa dal creditore ipotecario, contro il suo debitore, procedura esecutiva immobiliare, l'opposizione di terzo ex art. 619, fondata sull'usucapione della piena proprietà del bene pignorato ed ipotecato, non può essere decisa dal giudice dell'esecuzione riconoscendo efficacia di giudicato, anche nei confronti del creditore ipotecario, alla sentenza di accertamento dell'usucapione, resa all'esito di autonomo giudizio — peraltro solo pendente al momento della proposizione del ricorso exart. 619 — intercorso, in via esclusiva, tra il debitore (titolare formale del diritto di proprietà) e l'usucapiente, non potendo detta sentenza spiegare effetti contro il creditore ipotecario ai sensi dell'art. 404, comma 2, ciò che impone al giudice dell'opposizione all'esecuzione di considerare la sentenza «de qua», con motivato e logico apprezzamento, solo come un'eventuale prova dell'intervenuta usucapione, in relazione alla cui sussistenza egli è, pertanto, tenuto dare corso all'istruzione della causa. (Cass. n. 15698/2012). Ai sensi dell'art. 619 può essere proposta opposizione soltanto dal terzo che pretenda di avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati, oppure che si presenti come titolare di alcuni particolari diritti di credito ad efficacia reale, suscettibili di soddisfarsi sulla cosa oggetto dell'esecuzione, e dunque prevalenti sulla pretesa del creditore procedente: ne consegue che non è legittimato all'opposizione di terzo all'esecuzione chi vanti un diritto di credito derivante da spese (per migliorie) sostenute per la cosa pignorata (Cass. n. 26537/2017). In tema di confisca penale di immobili, l'esistenza di diritti sulla cosa confiscata può essere fatta valere dal terzo in sede civile solo ove si tratti di diritti preesistenti al sequestro e il terzo rivendichi un bene del quale il soggetto sottoposto al procedimento di prevenzione non poteva disporre, giacché, in difetto del contestuale verificarsi di queste condizioni, la mancata partecipazione del terzo al procedimento che ha portato alla confisca non è motivo di nullità della confisca medesima e la rivendicazione dei diritti sul bene confiscato deve essere fatta dinanzi al giudice dell'esecuzione del provvedimento di prevenzione, ai sensi degli artt. 3-ter, comma 2, della l. 31 maggio 1965, n. 575, 4, ultimo comma, della l. 27 dicembre 1956, n. 1423, e 676 (Cass. n. 8834/2015). Nell'opposizione di terzo avverso l'esecuzione mobiliare promossa dall'agente della riscossione, la prova dell'appartenenza del bene è soggetta alle limitazioni di cui all'art. 63 (già art. 65) del d.P.R. n. 602 del 1973, il quale esige l'atto pubblico o la scrittura privata autenticata di data anteriore all'anno a cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo ovvero la sentenza passata in giudicato, pronunciata su domande proposte anteriormente allo stesso anno (Cass. n. 16006/2024). BibliografiaCanavese, Commento all’art. 619, in Le recenti riforme del processo civile a cura di Chiarloni, Bologna 2007, 1132 ss.; Castoro, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 2017; Fabbrini, L’opposizione ordinaria del terzo nel sistema dei mezzi di impugnazione, Milano, 1968; Furno, Disegno sistematico delle opposizioni nel processo esecutivo, Firenze, 1942; Garbagnati, Opposizione all’esecuzione, dir. proc. civ., in Nss. D.I., XI, Torino, 1965, 1069 ss.; Luiso-Sassani, La riforma del processo civile, Milano, 2006; Proto-Pisani, Opposizione di terzo ordinaria, Napoli 1965; Punzi, La tutela del terzo nel processo esecutivo, Milano, 1971; Tarzia, Sul litisconsorzio necessario nell’opposizione di terzo all’esecuzione, in Giur. it. 1965, I, 2, 529 s.; Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Torino, 1983. |