Codice di Procedura Civile art. 658 - Intimazione di sfratto per morosità.

Rosaria Giordano

Intimazione di sfratto per morosità.

[I]. Il locatore può intimare al conduttore, all'affittuario di azienda, all'affittuario coltivatore diretto, al mezzadro o al colono lo sfratto con le modalità stabilite nell'articolo precedente anche in caso di mancato pagamento del canone di affitto alle scadenze [1587 n. 2 c.c.], e chiedere nello stesso atto l'ingiunzione di pagamento per i canoni scaduti1.

[II]. Se il canone consiste in derrate, il locatore deve dichiarare a norma dell'articolo 639 la somma che è disposto ad accettare in sostituzione [664, 666, 669].

 

[1] Comma così sostituito dall'art. 6 l. 30 luglio 1984, n. 399 e successivamente modificato dall'art. 3, comma 8, lett. f) d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164, che dopo le parole «al conduttore» ha inserito le seguenti: «, all'affittuario di azienda, all'affittuario coltivatore diretto, al mezzadro o al colono»; ai sensi dell’art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.    

Inquadramento

L'azione di sfratto per morosità costituisce l'esercizio da parte del locatore, di un'azione costitutiva di risoluzione del contratto per inadempimento, unitamente ad un'azione di condanna del conduttore al rilascio dell'immobile locato (Garbagnati, 295).

L'art. 5 l. n. 392/1978 effettua una predeterminazione legale della morosità nelle locazioni abitative, con una previsione ritenuta inapplicabile alle locazioni ad uso commerciale, per le quali opera il generale criterio di cui all'art. 1455 c.c. (Cass. n. 21242/2006).

Nelle stesse locazioni abitative è prevista la possibilità per il conduttore di chiedere ed ottenere ex art. 55 l. n. 392/1978 la concessione di un termine di grazia per sanare la morosità ove deduca e documenti le proprie difficoltà economiche (Giordano).

Ambito di applicazione della disposizione

Il locatore può intimare lo sfratto, con contestuale citazione per la convalida, anche nel caso in cui il conduttore sia moroso nel pagamento del canone di locazione.

L'azione di sfratto per morosità, esercitata ai sensi della norma in commento, costituisce l'esercizio da parte del locatore, in forme speciali, di un'azione costitutiva di risoluzione del contratto per inadempimento, unitamente ad un'azione di condanna del conduttore al rilascio dell'immobile locato (Garbagnati, 295; Duni 34; Preden, 435).

Ai sensi dell'art. 658 lo sfratto può essere intimato esclusivamente nell'ipotesi di mancato pagamento del canone: ne deriva che nessuna altra forma di inadempimento del conduttore può essere invocata con il procedimento di convalida, dovendo essere a tal fine utilizzata l'azione ordinaria che seguirà il rito speciale di cui all'art. 447-bis(Garbagnati 297; Lazzaro - Preden - Varrone 54).

La ricostruzione tradizionale dell'azione di sfratto per morosità nei termini di azione speciale, di natura costitutiva, di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento ha indotto una parte della dottrina e della giurisprudenza a dubitare dell'ammissibilità del procedimento nell'ipotesi di azione volta all'accertamento della già intervenuta risoluzione negoziale, ad esempio in virtù di una diffida ad adempiere ovvero di una clausola risolutiva espressa.

Peraltro la S.C. si è pronunciata sulla questione nell'opposto senso dell'ammissibilità dell'azione speciale di risoluzione del contratto di locazione anche laddove la stessa abbia i caratteri di un'azione di accertamento. In particolare, la Corte di cassazione, pur premettendo al ragionamento che l'azione di sfratto per morosità è in primo luogo una forma speciale di esercizio dell'azione di risoluzione del contratto per inadempimento, di natura costitutiva, secondo il paradigma normativo dell'art. 1453 c.c., ha evidenziato, nondimeno, che deve ritenersi, considerato che nel nostro ordinamento vi sono fattispecie nelle quali il diritto potestativo di provocare la risoluzione del contratto per inadempimento può essere esercitato stragiudizialmente ed al suo esercizio la risoluzione consegue di diritto, sicché la pronuncia giudiziale si limita ad accertare che sul piano stragiudiziale si è già verificata la risoluzione e non determina essa stessa costitutivamente la risoluzione al momento della notificazione della domanda, che anche in dette ipotesi, ossia quelle dell'art. 1454 c.c. (diffida ad adempiere), art. 1456 c.c. (clausola risolutiva espressa) e art. 1457 c.c. (termine essenziale), le relative azioni possano essere esercitate con la forma speciale dell'azione per convalida di sfratto. La soluzione della Corte di Cassazione si correla anche all'insussistenza di qualsivoglia divieto sul punto nella disciplina del procedimento per convalida di sfratto, in quanto tali ostacoli non possono rinvenirsi:

a) nella previsione dell'art. 669, laddove stabilisce che la pronuncia sullo sfratto di cui all'ordinanza di convalida risolve la locazione, in quanto l'espressione verbale “risolve”, per quanto possa evocare l'idea di una pronuncia con effetti costitutivi e, quindi l'azione ex art. 1453 c.c., non ha valore decisivo in tal senso, ben potendo abbracciare anche la pronuncia che accerti l'avvenuta risoluzione per una fattispecie di risoluzione di diritto nel senso del mero accertamento;

b) nell'ultimo comma dell'art. 663 nella parte in cui subordina la convalida alla persistenza della morosità, poiché tale disposizione non si correla all'ultimo comma di tale norma in senso derogatorio del suo operare, allorquando l'azione di sfratto venga esercitata ai sensi dell'art. 1453 c.c., ma implica soltanto che una sanatoria della morosità, pur avvenuta dopo la notificazione dell'intimazione, precluda il riconoscimento della fondatezza dell'azione con il provvedimento di convalida (Cass. n. 19602/2013; in senso conforme, tra le altre, Trib. Salerno, I, 8 febbraio 2008, in Arch. loc., 2009, n. 1, 72; Trib. Modena, II, 15 giugno 2006, in Giur. mer., 2007, n. 4, 977, nt. Scarpa).

Sulla questione è stato evidenziato che la risoluzione del contratto di locazione di immobili sulla base di una clausola risolutiva espressa non può essere pronunciata di ufficio, ma postula la corrispondente e specifica domanda giudiziale della parte nel cui interesse quella clausola è stata prevista, sicché, una volta proposta l'ordinaria domanda ex art. 1453 c.c., con l'intimazione di sfratto per morosità, non è possibile mutarla in richiesta di accertamento dell'avvenuta risoluzione ope legis di cui all'art. 1456 c.c., atteso che quest'ultima è radicalmente diversa dalla prima, sia quanto al petitum, perché invocando la risoluzione ai sensi dell'art. 1453 c.c. si chiede una sentenza costitutiva mentre la domanda di cui all'art. 1456 c.c. ne postula una dichiarativa, sia relativamente alla causa petendi, perché nella ordinaria domanda di risoluzione, ai sensi dell'art. 1453 c.c., il fatto costitutivo è l'inadempimento grave e colpevole, nell'altra, viceversa, la violazione della clausola risolutiva espressa: Cass. III,  n. 11864/2015

Il recentissimo d.lgs. n. 164 del 2024 ha, sotto un primo aspetto, stabilito espressamente che il locatore può avvalersi del procedimento di sfratto per morosità anche nell'ipotesi di affitto di azienda: è venuta meno, così, la disarmonia che si era creata, circa l'ambito di applicazione del procedimento per convalida, a seguito delle modifiche all'art. 657, ad opera del d.lgs. n. 149 del 2022, nel senso che la percorribilità del procedimento in esame era stata già estesa alla licenza e allo sfratto per finita locazione.

Per altro verso, superando l'orientamento contrario che era emerso nell'assetto previgente, il procedimento è espressamente esteso nei confronti dell'affittuario coltivatore diretto, del mezzadro e del colono.

G La questione è stata tradizionalmente problematica intersecandosi, peraltro, con quella della competenza delle sezioni specializzate agrarie in materia. In particolare, si riteneva da parte di alcuni che il procedimento per convalida non può essere utilizzato in questi casi, perché opera la competenza funzionale delle Sezioni Specializzate Agrarie, alle quali è stata demandata la cognizione di tutte le controversie sull'interpretazione e l'applicazione delle norme contenute nelle leggi speciali e nel codice civile sui contratti agrari, o concernenti norme sull'affitto di fondi rustici (Cass. n. 17/2000).

Anche nella giurisprudenza di merito, è stato espresso un orientamento volto a negare la percorribilità del procedimento per convalida di fronte alle sezioni specializzate agrarie, mediante l'affermazione del principio secondo cui il procedimento per convalida di sfratto di cui all'art. 657 e ss., è inapplicabile alle controversie che rientrano nella competenza delle Sezioni specializzate agrarie, di talché il giudice agrario adito con citazione per la convalida di sfratto per finita locazione ovvero per morosità, ritenuta la propria competenza, pronuncia ordinanza di mutamento del rito ex art. 426 e dispone la continuazione della causa avanti a sé (Trib. Parma, 16 giugno 2005, in Dir. e giur. agr. 2006, n. 7-8, 466, con nota di Megha. A fondamento di questa tesi si è invero osservato che, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 9 l. 14 febbraio 1990, n. 29 – con il quale è stato disposto che tutte le controversie agrarie sono di competenza delle sezioni specializzate agrarie – deve escludersi l'ammissibilità del procedimento di convalida (art. 657 e ss.) in materia di rapporti agrari, posto che la richiamata attribuzione di tutte le controversie agrarie al giudice specializzato ha determinato l'abrogazione per incompatibilità, ai sensi dell'art. 15 disp. prel. c.c., dell'art. 657 nella parte dedicata ai rapporti agrari. (Trib. Nocera Inferiore, sez. agraria, 18 aprile 2008).

Per altra tesi, condivisa in precedenza dalla stessa S.C., il procedimento per convalida di sfratto di cui agli artt. 657 e ss. è applicabile alle controversie che rientrano nella competenza delle Sezioni specializzate agrarie promuovendo lo stesso dinanzi a tale sezioni che saranno munite degli stessi poteri del giudice della convalida, compreso quello di emettere ordinanza di rilascio con riserva delle eccezioni del convenuto ex art. 665 (Cass. n. 5025/1993).

L'intervento sulla disposizione in esame sembra limitare, non accompagnandosi ad altro analogo sull'art. 657, l'operatività del procedimento di convalida a quello di sfratto per morosità nell'ambito dei contratti agrari, escludendo lo stesso nelle ipotesi di licenza e sfratto per finita locazione.

Morosità rilevante ai fini dello sfratto

L'art. 5 l. n. 392/1978, inserito nella disciplina delle locazioni ad uso abitativo, prevede che costituisce motivo di risoluzione, ai sensi dell'art. 1455 c.c., il mancato pagamento del canone, decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero il mancato pagamento, nel termine previsto, degli oneri accessori, quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone.

Pertanto, nell'ambito delle locazioni ad uso abitativo, il legislatore ha operato una valutazione legale tipica della gravità dell'inadempimento del conduttore ai fini della risoluzione del contratto (Cass. n. 3558/1988).

Sotto altro profilo, l'espresso riferimento ad una nozione di morosità, rilevante per la risoluzione del contratto, correlata al mancato pagamento degli oneri accessori nel termine previsto, laddove il relativo importo superi quello di due mensilità del canone, ha indotto la giurisprudenza ad un ripensamento degli orientamenti tradizionali affermati sul punto.

Invero, in passato, tenuto conto della formulazione letterale della disposizione in commento, che era riferita al solo mancato pagamento del canone di affitto, si riteneva inammissibile il procedimento di convalida di sfratto per morosità correlato all'omesso pagamento degli oneri accessori (Di Marzio 1998, 43).

In giurisprudenza si era evidenziato, analogamente, che gli oneri accessori di cui all'art. 9 l. n. 392/1978 non hanno funzione compensativa del godimento della res locata e considerato che il carattere eccezionale del procedimento per convalida di sfratto ne impedisce l'applicazione analogica e che la ipotizzata estensione del suo ambito di operatività comporterebbe un adattamento del rito, rendendosi necessaria una verifica da parte del giudice che eccede dal ristretto ambito documentale del contratto di locazione, per estendersi ad altre fonti probatorie, quali le delibere sulle spese e sui criteri di ripartizione, la comunicazione fattane al conduttore e la richiesta di pagamento, condizioni tutte attinenti alla liquidità del credito fatto valere (Cass. n. 7745/1986).

In seguito si è affermato, peraltro, l'orientamento contrario, per il quale anche la morosità per soli oneri accessori può essere dedotta in giudizio con lo speciale procedimento di convalida ai sensi della disposizione in esame, avendo riguardo  alla parificazione sostanziale operata dalla l. n. 392/1978 fra canone ed oneri accessori relativamente alla gravità dell'inadempimento, alla previsione per entrambi della possibilità di sanatoria giudiziale ed alla concessione del termine di grazia (Cass. n. 247/2000). In sostanza, l'art. 5 l. 27 luglio 1978 n. 392 il quale stabilisce che il mancato pagamento del canone della locazione, decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, costituisce motivo di risoluzione, ai sensi dell'art. 1455 c.c., fissa un criterio di predeterminazione legale della gravità dell'inadempimento, che come tale non consente al giudice del merito di svolgere altri accertamenti su questo presupposto dell'inadempimento e trova applicazione nella locazioni ad uso abitativo anche quando si tratti di morosità relativa agli oneri  accessori (v., tra le tante, Cass. n. 8628/2006; Cass. n. 9805/1994; Trib. Monza 15 gennaio 2003, in Giur. Milanese, 2003, 324; Trib. Bari III, 5 giugno 2007, n. 886). Pertanto, l'omesso pagamento da parte del conduttore degli oneri accessori al contratto di locazione, qualora il relativo ammontare sia superiore a due mensilità del canone locativo, costituisce motivo di risoluzione, ex art. 1455 c.c., trattandosi di ragione di credito gravante sul conduttore, ai sensi dell'art. 9 l. n. 392/1978, poiché avente diretta attinenza al godimento dell'immobile, il cui mancato pagamento espone il proprietario locatore - che, nei confronti dell'ente di gestione condominiale, riveste la qualifica di soggetto passivo di tali ragioni creditorie, attesa la loro natura di onere reale - a corrispondenti azioni di recupero  (Trib. Roma V, 15 gennaio 2007, n. 31694, in Il merito, 2007, n. 10, 38, per la quale deve escludersi, quindi, che il condominio, e per esso il suo amministratore, sia titolare di azione diretta nei confronti del conduttore onde poter conseguire il pagamento dei relativi oneri che, sia l'art. 9 l. n. 392/1978 che l'eventuale disciplina convenzionale del rapporto locatizio, pongono a suo carico).

L'inapplicabilità dell'art. 5 l. n. 392/1978 alle locazioni non abitative è stata costantemente ribadita dalla S.C., rispetto al quale l'inadempimento deve essere valutato secondo il generale criterio della gravitàexart. 1455 c.c. (Cass. n. 21242/2006).

Ne deriva che, nell'ambito delle locazioni ad uso diverso da quello abitativo non può reputarsi automaticamente sussistente la gravità soltanto perché l'inadempimento incide su una delle obbligazioni primarie scaturenti dal contratto, dovendosi invece accertare la gravità in concreto, cioè l'idoneità a ledere in modo rilevante l'interesse contrattuale del locatore, a sconvolgere l'intera economia del rapporto ed a determinare un notevole ostacolo alla prosecuzione del medesimo (Cass. n. 4688/1999). In sostanza, nelle locazioni ad uso diverso da quello abitativo il criterio legale dettato dall'art. 5 l. n. 392/1978 cit., può soltanto essere tenuto in considerazione come parametro di orientamento, per valutare in concreto se l'inadempimento del conduttore sia o meno di scarsa importanza (Trib. Bari III, 12 ottobre 2010, n. 3051).

Sotto altro profilo, la S.C. ha chiarito che non hanno carattere vessatorio le clausole riproduttive del contenuto di norme di legge: pertanto, non può considerarsi vessatoria la clausola risolutiva espressa inserita nel contratto di locazione di immobili urbani per uso non abitativo e riferita all'ipotesi di inosservanza del termine di pagamento dei canoni, in quanto riproduce il disposto dell'art. 5 l. n. 392/1978 (Cass. n. 369/2000)

L'espresso riferimento ad una nozione di morosità, rilevante per la risoluzione del contratto, correlata al mancato pagamento degli oneri accessori nel termine previsto, laddove il relativo importo superi quello di due mensilità del canone, ha indotto la giurisprudenza ad un ripensamento degli orientamenti tradizionali affermati sul punto.

Invero, in precedenza, tenuto conto della formulazione letterale della disposizione in commento, riferita al solo mancato pagamento del canone di affitto, si riteneva inammissibile il procedimento di convalida di sfratto per morosità correlato all'omesso pagamento degli oneri accessori (Cass. n. 7745/1986). In seguito l'orientamento contrario, per il quale anche la morosità per soli oneri accessori può essere dedotta in giudizio con lo speciale procedimento di convalida ai sensi della disposizione in esame, si è affermato avendo riguardo alla parificazione sostanziale operata dalla l. n. 392/1978 fra canone ed oneri accessori relativamente alla gravità dell'inadempimento, alla previsione per entrambi della possibilità di sanatoria giudiziale ed alla concessione del termine di grazia (Cass. n. 247/2000).

Sia nelle locazioni ad uso abitativo che in quelle ad uso diverso, la c.d. autoriduzione del canone da parte del conduttore viene considerato comportamento illegittimo ed arbitrario (cfr. Cass. n. 10639/2012, per la quale la cosiddetta autoriduzione del canone costituisce fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore, che provoca il venir meno dell'equilibrio sinallagmatico del negozio, anche nell'ipotesi in cui detta autoriduzione sia stata effettuata dal conduttore in riferimento al canone dovuto a norma dell'art. 1578, comma 1, c.c., per ripristinare l'equilibrio del contratto, turbato dall'inadempimento del locatore e consistente nei vizi della cosa locata, in quanto tale norma non dà facoltà al conduttore di operare detta autoriduzione, ma solo a domandare la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo, essendo devoluto al potere del giudice di valutare l'importanza dello squilibrio tra le prestazioni dei contraenti).

Tuttavia, è stato chiarito, per altro verso, che l'art. 45, ultimo comma, l. n. 392/1978, consente al conduttore, nella pendenza del giudizio sulla determinazione dell'"equo canone", di corrispondere, salvo conguaglio, l'importo non contestato, sì da assicurare, con l'autoriduzione del canone, una forma di autotutela che, se realizzata in misura ragionevole, non temeraria e, comunque, congrua, non concreta morosità, mentre, al di fuori di questo ambito, integra un inadempimento che, in relazione alla sua qualificazione in termini d'importanza, è idoneo a produrre effetti risolutori (Cass. n. 12915/2015).

Così, in dottrina:  Preden,  1990,  436; Piombo 1989,  1827; Di Marzio,  1998,  83.

Nella giurisprudenza  di legittimità , Cass. n. 7745/1986, in Foro it., 1987, I, 2444, ha evidenziato che   gli oneri accessori di cui all'art. 9 l. n. 392/1978 non hanno funzione compensativa del godimento della res locata e considerato che il carattere eccezionale del procedimento per convalida di sfratto ne impedisce l'applicazione analogica e che la ipotizzata estensione del suo ambito di operatività comporterebbe un adattamento del rito, rendendosi necessaria una verifica da parte del giudice che eccede dal ristretto ambito documentale del contratto di locazione, per estendersi ad altre fonti probatorie, quali le delibere sulle spese e sui criteri di ripartizione, la comunicazione fattane al conduttore e la richiesta di pagamento, condizioni tutte attinenti alla liquidità del credito fatto valere.

In materia locatizia abitativa è precluso al giudice di indagare sotto altri profili e con altri parametri la gravità dell'inadempimento del conduttore all'obbligazione di pagamento del corrispettivo ai fini della pronuncia ai sensi degli art. 1453 e 1455 c.c. (cfr. Trib. Torino, 21 febbraio 2007).

Su un piano generale, la S.C. ha da ultimo precisato che le cause di risoluzione di un contratto di locazione per inadempimento del conduttore debbono preesistere al momento in cui la controparte propone la domanda giudiziale, con la conseguenza che - per quanto sia consentito al giudice, in una considerazione unitaria della condotta della parte, trarre elementi circa la colpevolezza e la gravità dell'inadempimento dalla morosità che si sia protratta nel corso del giudizio - egli non può mai prescindere dall'indagine primaria sulla sussistenza dell'inadempimento al momento della domanda (Cass. III, n. 26493/2022).

Termine c.d. di grazia per la sanatoria della morosità

L'art. 55 l. n. 392/1978 ha previsto la possibilità di sanare la morosità, anche in sede giudiziale, versando l'importo dovuto in sede di prima udienza ovvero nel termine di grazia concesso dal giudice, in presenza di comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, con ciò escludendo la risoluzione del contratto.

Tale disposizione comporta una deroga rispetto all' operare dei principi generali in materia di risoluzione del contratto per grave inadempimento, correlati al disposto dell' art. 1453, ultimo comma, c.c., secondo cui l'adempimento successivo alla notifica della domanda di risoluzione non elide la conseguenza dell'inadempimento ove esso sia valutato grave (Giordano).

Ai fini della concessione del termine di grazia è necessaria un'istanza del conduttore, che dovrà provare, inoltre, le dedotte difficoltà volte a giustificare il ritardo maturato nei pagamenti (Cass. n. 6778/1992).

L'istanza deve, poi, essere formulata in termini inequivoci e non in via subordinata (Cass. n. 714/2010).

Si è osservato che, peraltro, il conduttore può ritenersi esonerato da una puntuale dimostrazione in tal senso in mancanza di una contestazione specifica ad opera dell' intimante, in omaggio al novellato art. 115, comma 2, avente portata generale (Giordano).

Il giudice deve fissare il termine fino ad un massimo di 90 giorni e, nel caso in cui sia possibile ammettere la sanatoria una quarta volta nel quadriennio (art. 55, comma 4), sino ad un massimo di 120 giorni, mentre l'udienza successiva, da prevedere per la verifica, deve essere fissata non oltre i 10 giorni dalla scadenza. Peraltro, in accordo con la consolidata giurisprudenza della S.C., la concessione di un termine per il pagamento dei canoni di locazione scaduti, ai sensi dell'art. 55 l. n. 392/1978, integra non un obbligo ma una facoltà discrezionale di cui il giudice può avvalersi, quando ricorrano comprovate condizioni di difficoltà del conduttore (Cass. n. 1830/1992).  Ne deriva che il diniego di concessione del termine per il pagamento ex art. 55 l. n. 392/1978 al conduttore moroso sfugge al sindacato della Corte di cassazione, ove sia motivato con argomentazioni immuni da vizi logici o giuridici (cfr. Cass. n. 13419/2001).

La natura discrezionale del provvedimento di concessione del termine di grazia per la sanatoria della morosità comporta che legittimamente il giudice, qualora non ritenga di concedere il richiesto termine, convalidi lo sfratto con provvedimento che ha natura di ordinanza non impugnabile, salva l'opposizione ex art. 668, ove, oltre al requisito della mancata opposizione dell'intimato, sussista anche l'attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore della persistenza della morosità (Cass. n. 5113/1989).

Tuttavia, è stato precisato che l'ordinanza che respinge l'istanza del convenuto di concessione di un termine di grazia ai sensi dell'art. 55 l. n. 392/1978, sul presupposto della inapplicabilità di detta disposizione alle locazioni non abitative, risolve una questione di merito di natura decisoria ed è pertanto impugnabile con l'appello (Cass. n. 4031/1998). 

Il provvedimento con il quale si assegna al conduttore un termine di grazia per sanare la morosità, in quanto privo di carattere decisorio e non pregiudicante in alcun modo la decisione della causa, ha natura di ordinanza e non di sentenza, e non è pertanto impugnabile con i normali mezzi di impugnazione (Cass. n. 11832/1990).

Per l'ipotesi di clausola risolutiva espressa apposta a un contratto locativo nel sistema instaurato dalla l. n. 392/1978 la giurisprudenza di legittimità ha, in un primo tempo solo affermato, senza alcun accenno esplicito di nullità, la inidoneità ad impedire la sanatoria della morosità prevista nell'art. 55, "perché tale articolo contiene disposizioni di ordine pubblico che non possono essere derogate dalle private pattuizioni" (Cass. n. 6995/1986).  Successivamente, la S.C. ha chiarito che una clausola siffatta è affetta da una semplice inefficacia temporanea, nel senso che resta sospesa, sebbene il locatore abbia dichiarato di volersene avvalere, fino alla prima udienza del giudizi instaurato dallo stesso locatore per la risoluzione della locazione (o alla scadenza del termine di grazia eventualmente concesso dal giudice), con la conseguenza della sua definitiva inefficacia, ove il convenuto sani la morosità (Cass. n. 11284/1993; Cass. n. 5031/1991) ovvero  della sua definitiva efficacia nell'ipotesi contraria di mancata sanatoria della morosità. La ragione dell'inefficacia temporanea o meglio condizionata riposa dunque sull'esigenza, di ordine pubblico, di non precludere al conduttore moroso, con un effetto risolutivo automatico collegato al mancato pagamento del canone (o degli oneri accessori) alla scadenza, la possibilità di fruire della sanatoria, e quindi di impedire proprio la risoluzione, nei tempi e con le modalità dell'art. 55 l. n. 392/1978 (cfr. Cass. n. 1316/1998, in Foro it., 1998, I, 3599). 

Entro il termine concesso, il conduttore dovrà provvedere alla sanatoria della morosità oggetto di intimazione, nonché dei canoni a scadere sino all'udienza successiva maggiorati ciascuno degli interessi legali e provvedere, altresì, al pagamento delle spese processuali liquidate dal giudice al momento della concessione del termine di grazia (Cass. n. 13407/2001; nel senso, invece, che l'intimato sarebbe tenuto a versare solo i canoni fino all'udienza in cui ha chiesto il termine, cfr. Trib. Udine sez. dist. Palmanova, 20 agosto 2002, Arch. loc., 2002, 750).

E' prevalente l'impostazione per la quale il giudice dovrà convalidare lo sfratto all'udienza di verifica anche qualora l'omesso pagamento sia limitato alle spese processuali (Cass. n. 11704/2002; Cass. n. 13407/2001). 

Peraltro, in sede di merito, è stato affermato, in senso opposto, che non sussistono i presupposti per la convalida dello sfratto per morosità nel caso in cui l'intimato entro il termine concesso ai sensi dell'art. 55 l. n. 392/1978 abbia provveduto al pagamento dei canoni, ma non anche delle spese del procedimento, in quanto l'art. 663 comma 3, c.p.c., nel prevedere la persistenza della morosità quale unico presupposto per la convalida dello sfratto, si riferisce esclusivamente alla morosità intimata, ossia ai canoni insoluti, e non anche agli accessori o alle spese che riguardano invece solo il sub-procedimento di sanatoria. In altri termini, il pagamento integrale dei canoni scaduti nel termine concesso exart. 55 l. n. 392, cit. esclude il presupposto previsto dall'art. 663 comma 3 c.p.c. per convalida dello sfratto, fermo restando che il mancato pagamento degli accessori e delle spese esclude l'effetto di purgazione della mora previsto dall'art. 55 l. n. 392/1978 e determina l'esposizione del conduttore alla pronuncia di risoluzione resa all'esito della fase ordinaria del procedimento (Trib. Verona 25 marzo 2003, in Giur. Mer., 2003, 2432). 

Le questioni appena ripercorse sono state esaminate dalla Corte Costituzionale con la sentenza cost. n. 79/2020. L'incidente di legittimità costituzionale era stato sollevato da due ordinanze di rimessione del Tribunale di Modena, che aveva dubitato della legittimità costituzionale dell'art. 55 della l. n. 392 del 1978, in riferimento agli artt. 2,3, secondo comma, e 111 della Costituzione, nella parte in cui, prevedendo (al quinto comma) che «[i]l pagamento, nei termini di cui ai commi precedenti, esclude la risoluzione del contratto», non comprende, tra i casi di esclusione della risoluzione in sede di procedimento per convalida di sfratto, ove al conduttore sia stato concesso il termine previsto dal medesimo articolo per le sue condizioni di difficoltà economica, l'ipotesi in cui residui il pagamento delle spese processuali e ogni altra ipotesi in cui, al momento della decisione, la caducazione del rapporto contrattuale, tenuto conto dell'entità del debito residuo per canoni scaduti, oneri accessori o interessi, avuto riguardo alle reciproche posizioni delle parti, determini un sacrificio sproporzionato dell'interesse abitativo del conduttore. Con la richiamata sentenza n. 79 del 2020 la Corte Costituzionale ha ritenuto non fondate le questioni prospettate, riconducendosi tanto alla natura eccezionale dell'istituto della sanatoria della morosità ex art. 55 della l. n. 392/1978 in favore del conduttore, quanto all'ampia discrezionalità del legislatore processuale. Di qui la Corte ha suggellato la legittimità del censurato art. 55 laddove prevede che, senza un esatto pagamento degli importi dovuti, la sanatoria non può ritenersi verificata (pur lasciando aperta la distinta questione afferente l'obbligo o meno in questi casi del giudice di convalidare lo sfratto oppure di mutare il rito).

Nel caso in cui il termine scada in giorno festivo, si applicano le regole dell'art. 155, comma 4, c.p.c., in correlazione sistematica con gli artt. 1185 e 1187 c.c., stante la natura sostanziale di tale termine, che elide "ope legis" l'effetto proprio dell'inadempimento esistente, sicché la proroga del termine, pur prevista dalla norma processuale, non contiene una limitazione "ad horas" del "dies ad quem", come si desume dalla disciplina generale dettata dal codice civile. Ne consegue che, nel caso in cui sia stata negata l'ordinanza provvisoria di rilascio per la morosità e sia stato disposto il prosieguo del giudizio per l'esame del merito, in relazione alla domanda di risoluzione ed alla riconvenzionale ritualmente proposta, il giudice della successiva fase di merito deve esaminare il tempestivo pagamento effettuato nel giorno successivo a quello festivo, entro lo spirare di tale giorno (entro le ore 24), anche a mezzo di vaglia postale, se tale mezzo non sia stato espressamente contestato (Cass. n. 12424/2008). 

Qualora, ottenuto il termine c.d. di grazia ai sensi dell'art. 55 l. n. 392/1978 per sanare la morosità, il conduttore non vi provveda in modo completo, alla successiva udienza sarà emessa l'ordinanza di convalida di sfratto ex art. 663, dovendosi ritenere che la morosità persiste, senza che l'inadempimento residuo sia suscettibile di una nuova verifica sotto il profilo della gravità (Cass. n. 3977/1994). 

A tal fine, non possono assumere rilievo eventuali eccezioni o contestazioni circa la sussistenza e/o l'entità del credito vantato dal locatore sollevate dopo la predetta richiesta di termine per sanare la morosità, poiché, a norma dell'art. 55 l. 27 luglio 1978 n. 392, il comportamento del conduttore sanante la morosità deve consistere nell'estinzione di tutto quanto dovuto per canoni, oneri accessori, interessi e spese fino alla scadenza del termine di grazia, senza che l'inadempimento residuo sia suscettibile di nuova verifica sotto il profilo della gravità, non avendo il giudice il potere di valutare se il superamento, ancorché esiguo, del suddetto termine di grazia concesso al conduttore per sanare la morosità costituisca inadempimento grave, ma solo la possibilità di fissare il termine entro il limite minimo e massimo stabilito dal legislatore (Cass. n. 5540/2012). 

E' stato quindi affermato, ad esempio, che in tema di affitto agrario, il termine di grazia ex art. 46, comma 6, l. 3 maggio 1982, n. 203, facendo eccezione al principio di cui all'ultimo comma dell'art. 1453 c.c., ha carattere perentorio ed è improrogabile, sicché, qualora l'affittuario non provveda alla sanatoria totale della mora nel termine concessogli, non è dato al giudice valutare la gravità dell'inadempimento agli effetti dell'art. 1455 c.c. (Cass. n. 19480/2013). 

In sede applicativa si è peraltro affermato che non sussistono i presupposti per la convalida dello sfratto per morosità nel caso in cui l'intimato entro il termine concesso ai sensi dell'art. 55 l. n. 392/1978 abbia provveduto al pagamento dei canoni, ma non anche delle spese del procedimento, in quanto l'art. 663 comma 3,  nel prevedere la persistenza della morosità quale unico presupposto per la convalida dello sfratto, si riferisce esclusivamente alla morosità intimata, ossia ai canoni insoluti, e non anche agli accessori o alle spese che riguardano invece solo il sub-procedimento di sanatoria. In altri termini, il pagamento integrale dei canoni scaduti nel termine concesso ex art. 55l. n. 392/1978, cit. esclude il presupposto previsto dall'art. 663 comma 3, per convalida dello sfratto, fermo restando che il mancato pagamento degli accessori e delle spese esclude l'effetto di purgazione della mora previsto dall'art. 55 l. n. 392/1978 e determina l'esposizione del conduttore alla pronuncia di risoluzione resa all'esito della fase ordinaria del procedimento (Trib. Verona 25 marzo 2003, in Giur. mer., 2003, 2432). 

Il regime dell'ordinanza di convalida emessa per l'omessa sanatoria della morosità entro il termine indicato è identico a quello della stessa ordinanza emanata alla prima udienza in caso di mancata comparizione e/o opposizione da parte dell'intimato. Tuttavia, postulando la concessione del termine di grazia la comparizione alla prima udienza del conduttore, non vi è in concreto alcuno spazio per proporre opposizione tardiva alla convalida, sicché residua in sostanza il solo rimedio dell'appello per denunciare l'emanazione del provvedimento in difetto dei presupposti normativamente previsti (v., tra le altre, Cass. n. 10146/2001; Cass. n. 3889/2000). In questo senso in giurisprudenza si è osservato che avverso l'ordinanza di convalida di sfratto per morosità, emessa ai sensi dell'art. 55 l. n. 392/1978, è inammissibile il ricorso per cassazione exart. 111 Cost., poiché nei confronti di detto provvedimento è esperibile solo l'opposizione tardiva exart. 668, sia nell'ipotesi in cui l'ordinanza sia stata emessa fuori delle ipotesi previste, sia in un situazione di assoluta carenza di potere giurisdizionale, dovendosi proporre nell'un caso l'appello e nell'altro la quaerela nullitatis (Cass. n. 22825/2006).

Il medesimo gravame dell'appello potrà essere proposto dal locatore avverso l'ordinanza di estinzione del procedimento di convalida di sfratto conseguente alla verifica del puntuale pagamento dell'intimato entro il termine di grazia a tal fine concesso per sanare la morosità, qualora venga dedotta l'emanazione di un siffatto provvedimento in difetto dei presupposti normativi che legittimano lo stesso. In quest'ultima ipotesi, sorge la questione della necessità per il giudice che in appello accerti l'illegittimità del provvedimento di estinzione di rimettere la controversia al giudice di primo grado, avendo riguardo alla relativa ipotesi contemplata nell'art. 354. 

Peraltro, la Corte di Cassazione ha precisato che tale regime non può estendersi anche all'ordinanza di estinzione del procedimento per convalida di sfratto, adottata dal giudice a seguito della sanatoria della morosità del conduttore nel termine di grazia concessogli ai sensi dell'art. 55 l. n. 392/1978,  in quanto tale provvedimento è equiparabile ad una pronunzia di rigetto della domanda di risoluzione del contratto di locazione insita nell'intimazione di sfratto per morosità, sicché il giudice dell'appello, qualora ritenga inapplicabile nel caso di specie la disciplina di cui al citato art. 55, e, quindi, illegittima la predetta ordinanza di estinzione del processo, non deve rimettere la causa al primo giudice, ma trattenerla e decidere nel merito sulla domanda di risoluzione (Cass. n. 12743/2001).

L’inapplicabillità alle locazioni ad uso diverso da quello abitativo

La Corte di Cassazione, in un primo momento, aveva ritenuto ammissibile la richiesta di concessione del termine c.d. di grazia nell'ambito delle locazioni ad uso diverso da quello abitativo, assumendo la natura processuale dell'art. 55 l. n. 392/1978 e considerata l'assenza di espresse limitazioni normative (v., tra le altre, Cass. n. 4031/1998). Il contrasto che si era formato nella giurisprudenza di legittimità è stato composto, tuttavia, nel senso di ritenere inapplicabile alle locazioni per uso diverso dall'abitazione: a riguardo, si è evidenziato che il legislatore nel dettare la disciplina della sanatoria in questione, non si è limitato a prevedere, in genere, che il conduttore convenuto per la risoluzione del contratto possa evitare tal effetto pagando, nell'ultimo termine consentitogli, tutto quanto da lui dovuto per canoni, oneri ed accessori, ma ha limitato la portata della sua previsione al solo ambito delle ipotesi di inadempimento da morosità descritte e prese in considerazione dall'art. 5 della stessa legge, di tal che è la stessa disposizione di cui all'art. 55 — la quale risulta inclusa tra quelle di natura processuale, di per sé inidonee a dilatare l'ambito di applicazione di una norma di natura sostanziale — a limitare il proprio ambito di applicazione alle sole locazioni abitative (Cass. S.U., n. 272/1998, in Giust. civ., 1999, I, 1281, con note di Mirenda e di Izzo).

Sotto altro profilo, è stato chiarito che l'art. 55, comma 1 l. 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui prevede la concessione di un termine (c.d. "termine di grazia") per la sanatoria, in sede giudiziale, della morosità del conduttore nel pagamento dei canoni e degli oneri accessori, non riguarda le locazioni di immobili stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria, in quanto, ai sensi dell'art. 26, comma 1, della legge stessa, a tali locazioni si applica il capo I, di cui fa parte l'art. 5 e, conseguentemente, l'art. 55, il quale è inscindibilmente connesso con il primo (Cass. n. 2681/2012).

Compatibilità tra richiesta di concessione del termine di grazia ed opposizione alla convalida

La questione più dibattuta tra quelle sollevate dall'art. 55 l. n. 392/1978 è, tuttavia, quella che attiene alla compatibilità, sul piano logico prima che giuridico, tra richiesta di concessione del termine di grazia per sanare la morosità ed opposizione alla convalida dello sfratto (Frasca, 424 ss.).

Secondo un primo orientamento, tale compatibilità tra le difese del conduttore sussiste, di talché la sanatoria ex art. 55 non comporterebbe come conseguenza l'automatica estinzione del processo, ma avrebbe il solo effetto sostanziale di impedire la risoluzione del contratto, non precludendo al conduttore di far accertare, anche ai fini della possibilità di reiterazione della sanatoria giudiziale nel quadriennio, l'inesistenza del credito vantato dal locatore (Trisorio Liuzzi, 347).

Tale tesi si fonda sulle seguenti argomentazioni:

a) in realtà la richiesta di concessione del termine di grazia costituisce una difesa per l’intimato al fine di paralizzare il potere del locatore, nonostante la comparizione ed opposizione spiegata dal conduttore, di ottenere la pronuncia dell’ordinanza di rilascio ex art. 665 (Di Marzio, 1998, 299);

b) la compatibilità tra la richiesta di sanatoria della morosità e la spiegata opposizione alla convalida sussiste anche qualora la prima richiesta sia stata formulata in via subordinata,  non essendo vincolante per il giudice l’ordine delle questioni per come prospettato dalle parti (Frasca, 426 ss.).

Analogamente, in sede applicativa si è ritenuto che non sussiste incompatibilità sul piano logico tra opposizione alla convalida di sfratto per morosità e richiesta di concessione del termine di grazia ai sensi dell'art. 55 l. n. 392/1978, con la conseguenza che esse possono essere formulate contestualmente, anche in via subordinata; l'opposizione, tuttavia, produce l'effetto impeditivo della pronuncia dell'ordinanza di convalida, anche qualora la morosità non sia stata sanata entro il termine concesso, determinando il passaggio del procedimento alla fase a cognizione ordinaria, salva la possibilità della pronunzia dell'ordinanza provvisoria di rilascio, ex art. 665, ove di questa l'intimante abbia fatto rituale richiesta (Trib. Patti 24 luglio 2008, in Giust. civ. 2009, n. 11, 2391, con nota di Masoni).

La stessa S.C. ha avallato tale concezione, evidenziando che qualora il conduttore, convenuto in giudizio per la convalida di sfratto per morosità, contesti il fondamento dell'intimazione e proponga a sua volta domanda riconvenzionale, pur chiedendo e ottenendo termine di grazia ed adempiendo tempestivamente al pagamento di quanto richiesto da parte del locatore, l'opposizione così proposta determina la conclusione del procedimento sommario e l'instaurazione di un autonomo processo a cognizione ordinaria, sicché deve considerarsi abnorme e avente natura di sentenza il provvedimento, adottato nella forma di ordinanza, di estinzione, che deve, pertanto, essere ritenuto invalido ed inefficace ai fini della prosecuzione del giudizio (Cass. n. 25393/2009).

Altra tesi ritiene che la richiesta di sanatoria dimostra una voluntas solvendi incompatibile con l'opposizione alla convalida (Cass. n. 270/1996).

Tale orientamento è stato suffragato anche in giurisprudenza evidenziando che in tema di locazione di immobili urbani, il conduttore che, convenuto in un giudizio di sfratto per morosità, abbia richiesto la concessione del cd. "termine di grazia", manifesta implicitamente, per ciò solo, una volontà incompatibile con quella di opporsi alla convalida, sicché al mancato adempimento nel termine fissato dal giudice consegue ipso facto l'emissione da parte di questi dell'ordinanza di convalida ex art. 663, senza che possano assumere rilievo eventuali eccezioni o contestazioni circa la sussistenza e/o l'entità del credito vantato dal locatore sollevate dopo la predetta richiesta di termine per sanare la morosità, giacché, a norma dell'art. 55 l. n. 392/1978, il comportamento del conduttore sanante la morosità deve consistere nell'estinzione di tutto quanto dovuto per canoni, oneri accessori, interessi e spese fino alla scadenza del termine di grazia, senza che l'inadempimento residuo sia suscettibile di nuova verifica sotto il profilo della gravità. Il giudice non ha infatti il potere di valutare se il superamento, ancorché esiguo, del suddetto termine di grazia concesso al conduttore per sanare la morosità costituisca inadempimento grave, ma solo la possibilità di fissare il termine entro il limite minimo e massimo stabilito dal legislatore; e d'altro canto l'obbligazione di pagamento del canone, in mancanza di diversa pattuizione, deve essere adempiuta al domicilio del creditore al tempo della scadenza, e perciò il rischio di ritardo o mancata ricezione restando pertanto a carico del debitore, in quanto attiene alla fase preparatoria del pagamento (Cass. n. 5540/2012).

Invero, la concessione del termine di grazia presuppone una non contestazione, neppure implicita, della debenza dei canoni e degli oneri accessori, trattandosi di un istituto che presuppone sul piano logico la volontà di adempiere, sebbene con riserva di contestazione in un separato giudizio (Bucci - Crescenzi, 202).  In termini analoghi, si è poi osservato che a fronte della preliminare opposizione dell’intimato che richieda contestualmente un termine di sanatoria il Giudice non potrà invertire l’ordine delle questioni sottoposte, addivenendo ad un inammissibile mutamento dell’ordine delle eccezioni sollevate dalla parte, con la conseguenza che, in detta ipotesi, dovrà essere mutato il rito previa eventuale decisione sull'istanza di concessione dell’ordinanza ex art. 665 c.p.c. e senza che possa residuare alcuno spazio, in tale fase, per la richiesta subordinata di sanatoria (Masoni, Il processo, in (-Grasselli), Le locazioni, II, Padova 2007, 398 e ss.).

Sotto un distinto profilo,  si è evidenziato che qualora il conduttore, convenuto in giudizio per la convalida di sfratto per morosità, contesti il fondamento dell'intimazione e proponga a sua volta domanda riconvenzionale, pur chiedendo ed ottenendo termine di grazia ed adempiendo tempestivamente al pagamento di quanto richiesto da parte del locatore, l'opposizione così proposta determina la conclusione del procedimento sommario e l'instaurazione di un autonomo processo a cognizione ordinaria, sicché deve considerarsi abnorme ed avente natura di sentenza il provvedimento, adottato nella forma di ordinanza, di estinzione, che deve, pertanto, essere ritenuto invalido ed inefficace ai fini della prosecuzione del giudizio (Cass. n. 25393/2009).

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