Codice di Procedura Civile art. 669 decies - Revoca e modifica 1

Antonio Scarpa

Revoca e modifica  1

[I]. Salvo che sia stato proposto reclamo ai sensi dell'articolo 669-terdecies, nel corso dell'istruzione il giudice istruttore della causa di merito può, su istanza di parte, modificare o revocare con ordinanza il provvedimento cautelare, anche se emesso anteriormente alla causa, se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tale caso, l'istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza 2.

[II]. Quando il giudizio di merito non sia iniziato o sia stato dichiarato estinto, la revoca e la modifica dell'ordinanza di accoglimento, esaurita l'eventuale fase del reclamo proposto ai sensi dell'articolo 669-terdecies, possono essere richieste al giudice che ha provveduto sull'istanza cautelare se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tale caso l'istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza3.

[III]. Se la causa di merito è devoluta alla giurisdizione di un giudice straniero o ad arbitrato, ovvero se l'azione civile è stata esercitata [761 c.p.p.] o trasferita [751 c.p.p.] nel processo penale, i provvedimenti previsti dal presente articolo devono essere richiesti al giudice che ha emanato il provvedimento cautelare [669-quater5-6, 669-quinquies], salvo quanto disposto dall'articolo 818, primo comma 4.

 

[1] La sezione (comprendente gli articoli da 669-bis a 669-quaterdecies ) è stata inserita dall'art. 74, comma 2, l. 26 novembre 1990, n. 353, entrata in vigore il 1° gennaio 1993. L' art. 92 stabilisce inoltre: « Ai giudizi pendenti a tale data si applicano, fino al 30 aprile 1995, le disposizioni anteriormente vigenti ». L'art. 90, comma 1, l. n. 353, cit., come sostituito dall'art. 9 d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, conv., con modif., nella l. 20 dicembre 1995, n. 534, estende ulteriormente l'applicabilità delle disposizioni ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995.

[2] L'art. 23 lett. e-bis) n. 3 d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, ha sostituito, in sede di conversione, i primi due commi all'originario primo comma, con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 3-quinquies d.l. n. 35, cit., le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006. Il testo precedentemente in vigore, recitava: «Nel corso dell'istruzione il giudice istruttore della causa di merito può, su istanza di parte, modificare o revocare con ordinanza il provvedimento cautelare anche se emesso anteriormente alla causa se si verificano mutamenti nelle circostanze».

[3] L'art. 23 lett. e-bis) n. 3 d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, ha sostituito, in sede di conversione, i primi due commi all'originario primo comma, con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 3-quinquies d.l. n. 35, cit., le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006. Il testo precedentemente in vigore, recitava: «Nel corso dell'istruzione il giudice istruttore della causa di merito può, su istanza di parte, modificare o revocare con ordinanza il provvedimento cautelare anche se emesso anteriormente alla causa se si verificano mutamenti nelle circostanze».

[4] Comma così modificato dall'art. 3, comma 47,  lett. d), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 che ha aggiunto, in fine, le seguenti parole: «, salvo quanto disposto dall'articolo 818, primo comma» (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

Inquadramento

L'art. 669-decies, indica i presupposti di ammissibilità della revoca e della modifica dell'ordinanza cautelare, le regole di competenza ed il sistema di coordinamento con il reclamo ex art. 669-terdecies. L'utilizzabilità dei rimedi della revoca o della misura è, infatti, espressamente subordinato alla proposizione del reclamo. Oltre ai “mutamenti nelle circostanze”, la norma dà rilievo altresì ai fatti anteriori conosciuti dall'istante successivamente al provvedimento cautelare. La competenza a decidere sulla revoca o sulla modifica dell'ordinanza di accoglimento, nelle ipotesi in cui il giudizio di merito non sia ancora pendente o si sia estinto, viene attribuita al giudice che si era pronunziato sulla domanda cautelare.

Le novità della Riforma del 2005

La Riforma attuata con la l. n. 80/2005 ha fornito di un nuovo testo l'art. 669-decies, aggiungendo alla precedente formulazione:

a) la precisazione che il ricorso agli strumenti della revoca o della misura sia subordinato alla proposizione del reclamo;

b) la valorizzazione, al fianco dei “mutamenti nelle circostanze”, dei fatti anteriori conosciuti dall'istante successivamente al provvedimento cautelare;

c) la previsione della competenza del giudice della cautela a decidere sulla revoca o sulla modifica dell'ordinanza di accoglimento, allorché — come le fattispecie di strumentalità attenuata possono ora consentire — il giudizio di merito non sia ancora pendente o si sia estinto.

Il netto ampliamento del panorama conoscitivo del giudice del reclamo, cui il riformato art. 669-terdecies, comma 4, devolve l'esame pure di circostanze” e “motivi addirittura “sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo, e che perciò si atteggia sempre più nitidamente come riesame a critica libera, ha permesso al Legislatore del 2005 di consegnare revoca e modifica ad una funzione meramente residuale di tutela della posizione sostanziale del destinatario passivo della misura cautelare, in maniera da scongiurare una duplicazione di rimedi.

I presupposti di ammissibilità

In relazione all'originario dettato dell'art. 669-decies si erano contrapposte due letture circa i presupposti di ammissibilità della revoca o della modifica del provvedimento cautelare.

La prima, più rigorosa, aveva ritenuto che la revoca o la modifica del provvedimento cautelare potessero essere disposte ove si accertasse l'intervento di sopravvenienze, vale a dire di circostanze di fatto extraprocessuali, concernenti i presupposti della cautela, non esistenti e non conoscibili in precedenza, e che non fossero state prospettabili al giudice della cautela, neppure in sede di reclamo.

Una seconda versione, per contro, aveva ricompreso tra i mutamenti delle circostanze, in base ai quali potesse disporsi la revoca o la modifica, altresì il subentro di eventi endoprocessuali, quali le nuove risultanze istruttorie, o la deduzione di fatti preesistenti alla misura ma non allegati, purché tali da rendere prevedibile la dichiarazione dell'inefficacia del provvedimento cautelare; sarebbe stato proprio il nesso di strumentalità tra provvedimento cautelare e giudizio di merito ad imporre il continuo adeguamento del primo alle evoluzioni del secondo.

In nessun modo, invece, l'istanza di revoca o di modifica dovrebbe ammettere la mera riproposizione delle difese già disattese in sede cautelare, e magari pure sottoposte a reclamo, atteggiandosi essa, altrimenti, come una sorta di impulso per un anomalo terzo grado cautelare.

In proposito, devono ora valutarsi le conseguenze operative dell'introduzione del nuovo regime di facoltatività del giudizio di merito per un numero rilevante di misure cautelari; il che porta a prefigurare la progressiva ed indeterminata stabilizzazione degli effetti anticipatori di tali cautele, dotate di autorità autonoma e non più meramente strumentale al necessario conseguimento di una futura sentenza. La sottrazione del beneficiario di un provvedimento cautelare anticipatorio dall'obbligo di tempestiva instaurazione della causa di cognizione piena accresce, in un certo senso, il bisogno di garanzia del soggetto passivo della misura, venendogli a mancare quella rassicurante interlocuzione col giudice del merito utile allo scopo di premunirsi dalla irreversibilità degli effetti prodotti dalla cautela.

L'essersi liberate dal presupposto della pendenza della causa di merito costa alla revoca ed alla modifica una diminuzione della loro concreta capacità di controllo e di adeguamento della cautela, risultando l'evoluzione dei fatti, maturata proprio nel corso del processo, il più forte propellente di quei “mutamenti nelle circostanze” avuti tuttora a mente dall'art. 669-decies. In pratica, il dibattito circa il rilievo da assicurare alle sopravvenienze endoprocessuali, quali presupposti per la revoca o la modifica, finisce quindi per esaurirsi al ristretto novero dei cautelari conservativi, nonché alle misure concesse in corso di causa.

Si è affermato che le questioni giuridiche relative alla concedibilità del provvedimento cautelare non sono riconducibili al mutamento delle circostanze che ne consente la revoca o la modifica ex art. 669-decies e non possono, quindi, essere proposte nel giudizio di merito, nel quale, invece, sono deducibili, a norma dell'art. 669-duodecies c.p.c., le contestazioni inerenti all'esecuzione della cautela (Cass. I, n. 13903/2014).

Competenza in ordine a revoca e modifica

Non potendo gravare il destinatario dell'ordinanza d'urgenza, o nunciatoria, in difetto di attuale pendenza del giudizio di merito, dell'incombenza di proporre preventivamente egli stesso tale giudizio soltanto per veder delibare le sue istanze di revoca o di modifica, la seconda parte del vigente comma 1 dell'art. 669-decies riconosce esplicitamente la competenza in tale evenienza del giudice che aveva provveduto sull'iniziale istanza cautelare (similmente a quanto già avviene, ai sensi del comma 2 dello stesso art. 669-decies, nelle ipotesi di causa di merito devoluta alla giurisdizione straniera o ad arbitrato, o di azione civile esercitata o trasferita nel processo penale). Non è dunque più vero che revoca e modifica siano sempre esperibili purché, e finché, penda la causa per il merito, collocandosi strutturalmente all'interno di essa e modulandosi funzionalmente sempre in previsione del contenuto della sentenza.

Con la modifica introdotta dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, la competenza per i provvedimenti previsti dal presente articolo resta attribuita, peraltro, agli arbitri alla stregua di “ quanto disposto dall'articolo 818, primo comma”, ove le parti abbiano loro attribuito il potere di concedere misure cautelar i con la convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all'instaurazione del giudizio arbitrale.

Il tenore letterale della norma non chiarisce (sempre riguardo l'ipotesi in cui non sia pendente il giudizio di merito) quale organo si debba identificare come “giudice che ha provveduto sull'istanza cautelare”, allorché la misura cautelare sia stata rilasciata dal collegio in sede di reclamo, dopo il rigetto pronunciato dal giudice monocratico; riproponendosi quindi il dubbio sollevato dall'art. 669-duodecies, appare da preferire la soluzione che rimette al collegio la competenza a decidere sulla revoca o sulla modifica del provvedimento emanato all'esito del reclamo, in considerazione, fra l'altro, della natura sostitutiva del gravame cautelare (che, addirittura, anche in caso di reiezione della domanda di riesame, affida al collegio una pronuncia di “conferma” del provvedimento cautelare). Inevitabilmente, il provvedimento di revoca o di modifica concesso dal tribunale in composizione collegiale comporterà la complicazione della competenza a decidere l'eventuale reclamo avverso esso, ma l'addurre un inconveniente interpretativo non è, come sempre, argomento solido. Stante il silenzio mantenuto ancora in proposito dall'art. 669-terdecies (nonostante il risalente monito formulato dalla Corte Costituzionale per ottenere un intervento chiarificatore del legislatore), la mancata espressa previsione del reclamo contro i provvedimenti cautelari resi dal tribunale in sede collegiale, non potendo comunque spiegarsi nel senso della sottrazione alla facoltà di revisione presso altro giudice collegiale, obbliga piuttosto l'operatore ad individuare l'organo competente a conoscere del reclamo o nel giudice superiore (in analogia a quanto previsto nella prima parte del comma 2 per le statuizioni del singolo giudice del tribunale), ovvero in un'altra sezione del tribunale o, in mancanza, nel tribunale più vicino (così come prescritto nella seconda parte dello stesso comma per le ordinanze di una sezione di Corte di appello).

Procedimento

Revoca e modifica restano affidate all'iniziativa della parte interessata; potendo il destinatario passivo del provvedimento richiederne la revoca, ovvero una modifica quantitativa o qualitativa, ed il beneficiario, invece, sollecitare parimenti una modifica che ampli gli effetti della cautela.

Di conseguenza, il giudice della fase sommaria, pur non potendo più confidare con certezza in un prossimo immancabile controllo di fondatezza del diritto cautelato ad opera del giudice della decisione di merito, non potrà comunque esercitare d'ufficio alcuno ius poenitendi, rimeditando sul fumus boni iuris e sul periculum in mora della misura a suo tempo concessa.

Quanto al procedimento, è da ritenere che la domanda di revoca o di modifica possa essere presentata tanto mediante ricorso, tanto — ovviamente allorché sia pendente la causa di merito — mediante istanza avanzata in udienza ed inserita nel verbale. Pare consigliabile, sempre per il rispetto del contraddittorio, che la domanda di revoca o modifica alleghi espressamente i mutamenti nelle circostanze o i fatti anteriori conosciuti successivamente al provvedimento cautelare, indicando anche le prove del momento in cui l'istante sia venuto a conoscenza di tali ultimi fatti. Il giudice dispone la comparizione delle parti in apposita udienza, fissata secondo le esigenze del reale contraddittorio, assume le prove indispensabili e provvede con ordinanza. Laddove sull'istanza di revoca o di modifica si pronunci il giudice della cautela (non essendo quindi pendente il giudizio di merito), questi dovrebbe altresì regolamentare le spese del relativo procedimento; non trattandosi, invero, in tal caso, di subprocedimento incidentale inserito nel procedimento principale di cognizione, il giudice della revoca o della modifica non potrebbe rimettere la liquidazione delle spese stesse alla sentenza definitiva, né obbligare la parte vittoriosa ad istaurare il giudizio di merito al solo scopo di ottenerne il rimborso.

Venendo al contenuto dell'ordinanza di revoca o modifica, e soprattutto alla sua capacità di produrre effetti retroattivi (a fronte, magari, di un provvedimento cautelare anticipatorio che ha “funzionato” per lungo tempo, assicurando un assetto stabile alla situazione di fatto sottostante), appare ancor più immaginabile che il giudice debba preoccuparsi di impartire pure le opportune disposizioni per il ripristino dello status quo ante. Se però insorgano contestazioni sulle modalità del ripristino, non risulta più praticabile — per lo meno nei tipi in cui è adesso allentato il nesso di strumentalità tra cautela e cognizione piena — la soluzione di rimetterne la definizione alla sentenza conclusiva del processo di merito.

Giacché poi ora il provvedimento di accoglimento di una misura anticipatoria può contenere altresì la pronuncia sulle spese, andrebbe riconosciuta al destinatario passivo di esso, che ne domandi la revoca, la possibilità di chiedere ed ottenere dal giudice della cautela la condanna del beneficiario alla restituzione delle spese già versate in forza dell'ordinanza revocata, sempre per non gravare la parte dell'onere di tenere un separato giudizio soltanto per conseguire siffatta ripetizione.

Per quanto detto, dovrebbe essere chiaro che la pronuncia del giudice sull'istanza di revoca o modifica costituisce, in ogni caso, espressione della potestà cautelare, la quale, per preservare l'effettività della tutela, deve adattarsi ai mutamenti delle circostanze fattuali. Tale natura impone l'ammissibilità del reclamo ex art. 669-terdecies per reagire alla revoca o alla modifica del provvedimento cautelare, rappresentando il reclamo, nella ricostruzione che ha prescelto la Corte Costituzionale, il rimedio generale adoperabile, appunto, contro ogni forma di esercizio del potere cautelare. Inoltre, la revoca o la modifica (nel caso, pure quella ad effetto ampliativo, resa su istanza del beneficiario) di una cautela di natura anticipatoria, che abbia lungamente governato il rapporto sostanziale, è davvero destinata a produrre un'alterazione degli equilibri tra le parti in tutto paragonabile a quella provocata dalla iniziale concessione della tutela cautelare. L'ambito valutativo del collegio, in tal caso, sarà peraltro identico a quello del giudice della revoca, e quindi non esteso ai presupposti di fondatezza della misura a suo tempo disposta, ma attento soltanto alla sussistenza delle sopravvenienze di fatto.

Rapporti col reclamo

Condizione di ammissibilità delle istanze di revoca o di modifica, avanzate nel corso della causa di merito, è che non sia stato proposto reclamo, ovvero, comunque che esso non sia più proponibile, per essere decorso il termine di quindici giorni di cui al comma 1 dell'art. 669-terdecies. Quando invece il giudizio di merito non sia ancora (o più, perché estinto) pendente, la proponibilità delle istanze di revoca o modifica è segnata dall'avvenuto esaurimento dell'eventuale fase di reclamo.

Tirando le somme, ove i mutamenti nelle circostanze, o la conoscenza di fatti anteriori al provvedimento, sopravvengano in tempo utile per essere dedotti nel giudizio di reclamo, dovrà comunque escludersi l'esperibilità della revoca o della modifica; non può allora trascurarsi come il nuovo comma 4 dell'art. 669-terdecies prescriva che financo le circostanze ed i motivi sopravvenuti alla proposizione del reclamo “debbono (senza dunque praticabilità di itinerari processuali alternativi) essere proposti nel procedimento impugnatorio. Sicché è forse più esatto concludere che le sopravvenienze non possano suffragare istanze di revoca o di modifica finché il collegio non si sia riservato la decisione sul reclamo, ciò solo precludendo la corretta deducibilità degli intervenuti mutamenti delle circostanze nella fase di gravame. Ci si rende conto, tuttavia, come siffatta conclusione lasci inspiegato perché il legislatore abbia adoperato due diverse formule (“salvo che sia stato proposto reclamo” e “esaurita l'eventuale fase del reclamo”) per descrivere un nesso di subordinazione che si vuole unitario, sia ante causam che in corso di causa. Altrimenti, ove si volesse tributare il massimo valore al dato letterale, occorrerebbe dedurre che, mentre quando penda causa per il merito (il che avverrà, di norma, per le cautele conservative), la precedente proposizione del reclamo precluderebbe definitivamente l'accesso agli strumenti della revoca e della modifica, ove, invece, il merito non sia pendente (come potrà facilmente capitare per le cautele anticipatorie), il reclamo impedirebbe piuttosto il ricorso a revoca e modifica soltanto per la sua durata: così messa, l'opzione legislativa si mostrerebbe, però, di dubbia ragionevolezza.

Il sovraordinato principio di conservazione degli atti giuridici, ed in particolare dei mezzi di impugnazione, potrebbe consigliare, tuttavia, di verificare se l'istanza di revoca o di modifica, formulata quando ancora non sia decorso il termine ex art. 669 terdecies (e magari fondata pure non su mutamenti nelle circostanze, ma su errores in iudicando), possa comunque qualificarsi come reclamo, e quindi rimettersi dal giudice istruttore o dal giudice della cautela al presidente, affinché questi provveda a nominare il relatore ed a fissare l'udienza di comparizione delle parti davanti al collegio.

In definitiva, una reale interferenza degli ambiti operativi di revoca (o modifica) e reclamo può ipotizzarsi soltanto in ordine ai mutamenti nelle circostanze di fatto, o alla conoscenza di fatti anteriori, verificatisi in pendenza del termine per proporre il reclamo, oppure durante la trattazione del giudizio di reclamo, lasciandosi il secondo strumento preferire a detrimento del primo, per il suo carattere pienamente devolutivo e sostitutivo. Nessun ruolo, ai fini di revoca o modifica del provvedimento, giocano, infatti, i “motivi”, originari o sopravvenuti, relativi all'inconsistenza del fumus boni iuris della concessa cautela, e cioè le ragioni, di fatto o di diritto, che depongano per la illegittimità della misura.

Il delineato meccanismo di alternatività delle reazioni consentite avverso il provvedimento di accoglimento convalida l'immagine di una sorta di “giudicato cautelare”, cui si perviene in via di consunzione dei successivi rimedi, maturandosi una preclusione per le ulteriori deduzioni delle parti che dà pure sostanza all'autorità di cui ora discorre l'ultimo comma dell'art. 669-octies. Sebbene poi le analogie col giudicato cessino subito, atteso che, mentre il novellato art. 669-decies, dà importanza, per far conseguire la revoca del cautelare, anche a fatti anteriori dapprima sconosciuti all'istante (e pure se sia trattato di ignoranza colpevole, superabile, cioè, con l'uso dell'ordinaria diligenza), per il giudicato della sentenza vige l'opposta regola, che vuole che esso copra sia il dedotto che il deducibile, ovvero tutti i possibili fatti e le possibili ragioni, sia pure indipendentemente dalla conoscenza che ne abbia avuto l'interessato.

Resta da considerare come la relazione di assorbimento tra i distinti rimedi determini un evidente effetto sollecitatorio del reclamo a discapito di revoca e modifica, obbligando la parte ad avvalersi dell'uno anche quando probabilmente potrebbe accontentarsi delle altre. E se il tutto pare comprensibile nel dilemma tra reclamo e revoca, visti quali forme alternative di reazione del soggetto passivo agli effetti della cautela, può, per contro, rivelarsi antieconomico quanto ai rapporti tra mera modifica e reclamo stesso, laddove, ad esempio, il beneficiario della misura voglia unicamente richiedere un modesto ampliamento quantitativo della misura, oppure la riduzione della cauzione imposta, o la sostituzione del custode nominato, eventualità che renderebbero davvero troppo dispendioso il ricorso necessitato alla trattazione e decisione collegiale. Deve allora sperarsi che la subordinazione della esperibilità dell'istanza di modifica all'attuale proponibilità del reclamo venga recepita non solo prestando attenzione al mancato decorso del termine ex art. 669-terdecies, comma 1, ma pure verificando il concreto interesse a reclamare della parte, correlato alla sua pratica soccombenza nel merito dell'ordinanza di accoglimento. Così, la parte rimasta totalmente vittoriosa nel giudizio di prime cure, per aver visto integralmente accolta la sua domanda cautelare, non dovrebbe proprio essere ammessa a proporre reclamo, neppure se, dopo la chiusura della prima fase, siano sopravvenuti fatti nuovi che potrebbero consentire una modifica in suo favore delle richieste già avanzate, modifica che andrà perciò dedotta a fondamento di un'istanza ex art. 669-decies.

Bibliografia

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