Codice di Procedura Civile art. 669 terdecies - Reclamo contro i provvedimenti cautelari (1).

Antonio Scarpa

Reclamo contro i provvedimenti cautelari (1). 

[I]. Contro l'ordinanza con la quale è stato concesso o negato il provvedimento cautelare è ammesso reclamo nel termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore (2).

[II]. Il reclamo contro i provvedimenti del giudice singolo del tribunale si propone al collegio, del quale non può far parte il giudice che ha emanato il provvedimento reclamato. Quando il provvedimento cautelare è stato emesso dalla corte d'appello, il reclamo si propone ad altra sezione della stessa corte o, in mancanza, alla corte d'appello più vicina (3).

[III]. Il procedimento è disciplinato dagli articoli 737 e 738.

[IV]. Le circostanze e i motivi sopravvenuti al momento della proposizione del reclamo debbono essere proposti, nel rispetto del principio del contraddittorio, nel relativo procedimento. Il tribunale può sempre assumere informazioni e acquisire nuovi documenti. Non è consentita la rimessione al primo giudice (4).

[V]. Il collegio, convocate le parti, pronuncia, non oltre venti giorni dal deposito del ricorso, ordinanza non impugnabile [1773 n. 2] con la quale conferma, modifica o revoca [669-decies] il provvedimento cautelare.

[VI].  Il reclamo non sospende l'esecuzione [669-duodecies] del provvedimento; tuttavia il presidente del tribunale o della corte investiti del reclamo, quando per motivi sopravvenuti [669-decies1] il provvedimento arrechi grave danno, può disporre con ordinanza non impugnabile [1773 n. 2] la sospensione dell'esecuzione o subordinarla alla prestazione di congrua cauzione [119; 86 att.].

(1) La sezione (comprendente gli articoli da 669-bis a 669-quaterdecies ) è stata inserita dall'art. 74, comma 2, l. 26 novembre 1990, n. 353, entrata in vigore il 1° gennaio 1993. L' art. 92 stabilisce inoltre: « Ai giudizi pendenti a tale data si applicano, fino al 30 aprile 1995, le disposizioni anteriormente vigenti ». L'art. 90, comma 1, l. n. 353, cit., come sostituito dall'art. 9 d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, conv., con modif., nella l. 20 dicembre 1995, n. 534, estende ulteriormente l'applicabilità delle disposizioni ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995.

(2) Comma così sostituito, in sede di conversione, dall'art. 23 lett. e-bis) n. 4.1 d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 3-quinquies d.l. n. 35, cit., le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006. Il testo precedentemente in vigore, recitava: «[I]. Contro l'ordinanza con la quale, prima dell'inizio o nel corso della causa di merito, sia stato concesso un provvedimento cautelare, è ammesso reclamo nei termini previsti dall'articolo 739, secondo comma.». Precedentemente la Corte cost., con sentenza 23 giugno 1994, n. 253, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non ammetteva il reclamo ivi previsto, anche avverso l'ordinanza con cui sia fosse stata rigettata la domanda di provvedimento cautelare.

(3) Comma così modificato dall'art. 108 d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, dal 2 giugno 1999.

(4) Comma inserito, in sede di conversione, dall'art. 2 3 lett. e-bis) n. 4.2 d.l. n. 35, cit., con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 3-quinquies d.l. n. 35, cit., le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006.

Inquadramento

L'art. 669-terdecies individua i provvedimenti reclamabili, il termine di proposizione del rimedio, la competenza ed il procedimento relativo. In particolare, la norma sancisce la reclamabilità delle ordinanze con cui sia “concesso o negato il provvedimento cautelare”. Il termine perentorio di presentazione del reclamo decorre dalla data di pronuncia in udienza, ovvero dalla comunicazione di cancelleria, o dalla notifica, se anteriore. Al collegio del reclamo è consentito di assumere informazioni ed acquisire nuovi documenti.

La disciplina dopo la Riforma del 2005

Oltre che per la ampia delimitazione del suo oggetto cognitivo, allargato fino a comprendervi pure circostanze e motivi sopravvenuti, la disciplina del procedimento di reclamo, ridisegnata con la Riforma del 2005, si segnala:

a. per il riconoscimento della reclamabilità delle ordinanze con cui sia “concesso o negato il provvedimento cautelare”;

b. per l'aumento del termine perentorio di presentazione del reclamo a quindici giorni;

c. per l'idoneità, quali dies a quo, della data di pronuncia in udienza, ovvero della comunicazione di cancelleria, o della notifica, se anteriore, ai fini del decorso del termine di presentazione;

d. per la specificazione dei poteri di istruzione del collegio (assumere informazioni ed acquisire nuovi documenti), non più determinabili soltanto mediante rinvio all'art. 738, comma 3;

e. per l'espressa negazione della possibilità di rimessione al primo giudice.

I provvedimenti reclamabili

Quanto all'ambito dei provvedimenti reclamabili, la l. n. 80/2005 ha utilizzato un'espressione più ristretta di quella un tempo contenuta nell'art. 23, comma 5, d.lgs. n. 5/2003 per le controversie societarie (abrogato dall'art. 54, comma 5, l. n. 69/2009, per i giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009), dove si diceva: “Contro tutti i provvedimenti in materia cautelare è dato reclamo a norma dell'articolo 669-terdecies del codice di procedura civile...”. Ciò nonostante, si ravvisa anche nella più recente formulazione della norma del rito uniforme l'intenzione di fare del reclamo un rimedio di carattere generale, praticabile tutte le volte in cui ci trovi di fronte a provvedimenti, comunque resi nel procedimento cautelare, che presuppongano l'esercizio di poteri discrezionali da parte del giudice, purché strumentali all'efficacia della misura.

La scelta di estendere la possibilità di reclamo — originariamente ristretta ai soli provvedimenti concessivi di tutela cautelare — anche ai provvedimenti che rigettino la domanda volta ad ottenere tale tutela (per ragioni altresì di mero rito, quale l'incompetenza dell'ufficio adito) è stata, com'è noto, imposta dalla Corte Costituzionale, in nome della parità di trattamento dei contendenti e del diritto di difesa della parte ricorrente rimasta soccombente, cui si offriva in principio unicamente la risicata chance di riproporre l'istanza avanti allo stesso giudice, allegando però l'avvenuto mutamento delle condizioni di fatto e di diritto (Corte cost. n. 253/1994; conformi, Corte cost. n. 323/1994; Corte cost. n. 197/1995).

Progressivamente, per via di deduzione, si è giunti ad ammettere il reclamo ex art. 669-terdecies pure nei confronti dei provvedimenti adottati in seguito ad istanze di revoca o di modifica, dei provvedimenti di inefficacia ai sensi dell'art. 669-novies, dei provvedimenti adottati in sede di attuazione ai sensi dell'art. 669-duodecies, dei provvedimenti che impongano una cauzione ai sensi dell'art. 669-undecies.

Controversa è invece la reclamabilità dei decreti resi inaudita altera parte che rigettano l'istanza cautelare, ovvero concedono la misura invocata, omettendo comunque di fissare l'udienza di comparizione ai sensi dell'art. 669-sexies.

L'art. 624, comma 2, ammette poi il reclamo anche contro l'ordinanza che provvede sull'istanza di sospensione quando sia proposta opposizione all'esecuzione, nonché contro l'ordinanza che sospenda la distribuzione della somma ricavata a norma dell'art. 512, comma 2.

In particolare, il provvedimento con il quale il giudice dell'opposizione all'esecuzione, proposta prima che questa sia iniziata ed ai sensi del primo comma dell'art. 615, decide sull'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo è impugnabile col rimedio del reclamo al collegio del tribunale cui appartiene il giudice monocratico - o nel cui circondario ha sede il giudice di pace - che ha emesso il provvedimento (Cass. S.U., n. 19889/2019). Contro l'ordinanza pronunciata in sede di reclamo, ai sensi dell'art. 669-terdecies, sul provvedimento inerente alla istanza di sospensione dell'esecuzione ex art. 624, non poi ammesso ricorso straordinario per cassazione (Cass. III, n. 25411/2019).

Termine di presentazione

Nell'originaria versione, l'art. 669-terdecies rinviava all'art. 739, comma 2 per la determinazione e per la decorrenza del termine di presentazione del reclamo. Conseguentemente, il ricorso introduttivo del reclamo cautelare, dirigendosi verso provvedimenti, per loro natura, sempre dati in confronto di più parti (ovvero, almeno l'istante ed il destinatario passivo della misura), doveva depositarsi entro dieci giorni a far data dalla notificazione dell'ordinanza, eseguita al procuratore costituito di una delle parti su richiesta dell'altra ed a mezzo dell'ufficiale giudiziario, a norma degli artt. 137 ss. Non ammettendo la notificazione forme equipollenti, inidonee a far decorrere tale termine risultavano sia la notificazione eseguita dall'ufficiale giudiziario su istanza del cancelliere; sia la notificazione effettuata dal cancelliere autonomamente o su ordine del giudice; sia la comunicazione del provvedimento ad opera della cancelleria, seppure compiuta in forma integrale; sia la notificazione effettuata alla parte personalmente e non al procuratore costituito; sia la conoscenza di fatto, comunque conseguita, dell'intera ordinanza, desumibile, ad esempio, dalla presentazione di un'istanza di modifica.

Ad evitare un'indefinita protrazione della situazione di incertezza sulle sorti del provvedimento cautelare, cagionata dall'inerzia delle parti nel procedere alla notificazione dell'ordinanza, con conseguente perenne reclamabilità della stessa, la l. n. 80/2005 ha così sottratto il decorso del termine di proposizione del reclamo a qualsiasi discrezionalità o richiesta dei contendenti, rimettendone l'input, in caso di riserva di pronuncia, all'adempimento di un dovere d'ufficio del cancelliere. Rimane eccezionalmente decisiva a segnare l'inizio dei quindici giorni la notificazione del provvedimento che si perfezioni nei confronti del destinatario prima che quest'ultimo riceva il biglietto di cancelleria. Trattandosi di notificazione che comporta a carico del destinatario un termine da essa decorrente, lo stesso dovrà, infatti, calcolarsi solo dal momento in cui il procedimento notificatorio si perfeziona nei suoi confronti.

Fondamentali sono ormai le conseguenze dell'esaurimento del termine ex art. 669-terdecies, comma 1, tanto ai fini dell'ammissibilità delle istanze di modifica o di revoca, quanto allo scopo di rafforzare quell'autorità del provvedimento cautelare, di cui parla l'ultimo comma dell'art. 669-octies

Occorre inoltre chiedersi quale situazione si determini qualora la comunicazione del provvedimento cautelare non sia mai concretamente avvenuta (per non avervi provveduto la cancelleria), oppure qualora la comunicazione non sia prevista (come con riguardo al contumace) o sia stata effettuata in maniera incompleta ed inidonea a fornire al destinatario la piena conoscenza dell'atto, e neppure si sia verificata la notificazione dell'ordinanza ad istanza di parte. Si sostiene che in tal caso, analogamente a quanto afferma la giurisprudenza per la proposizione del regolamento di competenza, troverebbe pur sempre applicazione per il reclamo il termine di durata semestrale (un tempo annuale) dal deposito del provvedimento, ai sensi dell'art. 327.

Il comma 1 dell'art. 669-terdecies (a differenza di quanto facesse l'art. 23, comma 5, d.lgs. n. 5/2003) contempla opportunamente, per la decorrenza del termine di reclamo, anche l'ipotesi della pronuncia in udienza dell'ordinanza cautelare (che, in quanto tale, si ritiene conosciuta dalle parti). In applicazione del vecchio principio dies a quo non computatur in termino (art. 155, comma 1), i quindici giorni dovrebbero contarsi dal giorno successivo a quello dell'udienza. Nessun rilievo acquisterebbe in questo caso, per la tempestiva proposizione del reclamo, la notificazione del provvedimento comunque effettuata ad istanza della parte vincitrice.

Ove sorgano contestazioni sulla tempestività del reclamo, spetterà, logicamente, alla controparte reclamata dimostrare che il ricorrente abbia ricevuto la comunicazione del provvedimento cautelare, e non certo alla parte reclamante provare l'omesso adempimento da parte della cancelleria (potendosi, al più, pretendere dal ricorrente il deposito di copia dell'ordinanza impugnata, con attestazione della data di pubblicazione, per il rispetto del termine di cui all'art. 327, se ritenuto applicabile).

La parte che lamenti la propria oggettiva impossibilità ad ottenere dalla cancelleria nei quindici giorni una copia integrale del provvedimento cautelare, potrebbe invocare la rimessione in termini prevista dall'art. 153, comma 2.

Oggetto del reclamo

Il reclamo, a prescindere dall'analiticità delle doglianze evidenziate nel ricorso introduttivo, non può mai circoscriversi ad un solo capo della decisione, ed anzi investe sempre il collegio dell'intero thema decidendum oggetto dell'iniziale domanda cautelare, sicché è il mero dato della sua proposizione, e giammai il suo specifico contenuto, che può far nascere nella controparte il simmetrico interesse a reclamare. In nome di un bisogno di coordinamento con il procedimento di revoca o modifica, la cognizione del collegio del reclamo è stata invero estesa dal comma 4 dell'art. 669-terdecies a circostanze e motivi sopravvenuti rispetto al deposito del ricorso. L'intransigenza del verbo adoperato (“debbono”) spinge l'interprete a configurare un effetto preclusivo a far valere, con una successiva istanza di revoca o di modifica, le sopravvenienze maturate quando ancora pendeva il giudizio di reclamo.

Esigenze di simmetria nei poteri delle parti inducono, inoltre, ad accordare all'eventuale reclamante incidentale un identico ius poenitendi, permettendo anche a lui l'allegazione di circostanze e motivi sopravvenuti.

Il reclamo si presenta, così, ancor più nettamente, come rimedio funzionalmente teso alla sostituzione ex nunc dell'ordinanza impugnata con altra ordinanza espressione dei medesimi poteri cautelari manifestati dal primo giudice, e perciò a sua volta dotata di un identico grado di “stabilità limitata”, essendo non di meno destinata a perdere efficacia nelle ipotesi previste dagli artt. 669-octies e 669-novies.

Le ultime riflessioni giustificano la definizione che guarda al reclamo quale rimedio avente carattere interamente devolutivo e sostitutivo (onde se ne parla in termini, appunto, di revisio prioris instantiae).

Sin dai primi anni di vigenza, si è discusso se il ricorso per reclamo debba contenere comunque, a pena di inammissibilità, i motivi del gravame.

In dottrina, si è affermato che il reclamo devolve al collegio la cognizione della controversia introdotta in via cautelare nel giudizio di primo grado nei limiti in cui il reclamante abbia proposto l'impugnazione ed il reclamato abbia riproposto eventuali capi della domanda rimasti assorbiti, secondo un meccanismo analogo a quello che opera nell'appello. Perciò, il reclamo deve contenere i motivi, ossia le censure di fatto o di diritto, in rito e/o nel merito, contro il provvedimento impugnato, non essendo ammissibile un reclamo modellato in forma di richiesta di riesame avverso le misure cautelari (personali coercitive e reali) nel processo penale; né può il giudice (diversamente da quanto prevede l'art. 309 c.p.p.) confermare, modificare o revocare la misura anche per ragioni diverse da quelle eventualmente dedotte dalle parti (Cirulli, 172).

La l. n. 80/2005, all'atto di attribuire al collegio ex art. 669-terdecies c.p.c. la cognizione di circostanze e motivi sopravvenuti, si è peraltro preoccupata di pervenire ad un raccordo soltanto quanto alla relazione di complementarietà tra reclamo e revoca; restano invece affidate all'interprete le interferenze operative del reclamo con altri due giudici delle sopravvenienze cautelari: il giudice della riproposizione dell'istanza già rigettata (art. 669-septies, comma 1) e il presidente della sospensione del provvedimento reclamato (art. 669-terdecies, ultimo comma).

In particolare, è consentito al reclamante di richiedere al presidente del Tribunale o della Corte aditi la sospensione dell'ordinanza reclamata, la quale “arrechi grave danno”. La contrazione del concreto periodo di reclamabilità, riconducibile alla scelta di far decorrere il relativo termine già dalla comunicazione di cancelleria, rende ancora più improbabile la verificazione del presupposto che condiziona l'attivazione del potere presidenziale di sospensiva. Non è da temere una parziale sovrapposizione tra tale fattispecie e quella della revoca, stante l'inammissibilità di quest'ultima fino al momento dell'esaurimento della fase di reclamo, ai sensi del novellato art. 669-decies. Sembra superfluo aggiungere che la mancata allegazione dei motivi sopravvenuti in sede di istanza di sospensione dell'esecuzione non precluda affatto al reclamante la successiva deduzione di quegli stessi motivi nel procedimento di reclamo.

Il procedimento

Eliminato il generico rinvio all'art. 738, ovvero alle attività istruttorie consentite nel rito camerale, il rinnovato art. 669-terdecies, al comma 4, chiarisce che il tribunale può “sempreassumere informazioni ed acquisire nuovi documenti.

Alla conclusione dell'ammissibilità, in sede di reclamo, della produzione di nuovi documenti, come dell'assunzione di informazioni, la giurisprudenza di merito era, peraltro, pervenuta ormai convintamente anche nella vigenza della originaria formulazione dell'art. 669-terdecies, ponendo l'unico limite del rispetto del contraddittorio. Non sembra sostenibile che i documenti e le informazioni acquisibili nella fase di reclamo siano soltanto quelli che le parti non abbiano potuto fornire in precedenza, potendosi piuttosto trattare pure di nuove prove relative a circostanze già dedotte: il criterio discretivo rimane quello dell'indispensabilità degli atti di istruzione in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, come si esprime il comma 1 dell'art. 669-sexies. Perché il collegio possa utilizzare i nuovi documenti come fonte di prova, sembra comunque irrinunciabile che la loro produzione avvenga nel rispetto della regola contenuta nell'art. 87 disp. att.: ovvero, mediante deposito al momento della costituzione nel giudizio di reclamo, oppure, al più tardi, nell'udienza di discussione innanzi al collegio mediante menzione nel corrispondente verbale. Dovendo il tribunale assicurare l'effettivo contraddittorio sulla documentazione acquisita in udienza, alla controparte andrebbe inoltre riconosciuto il diritto ad ottenere un rinvio per approntare le inerenti difese.

Ulteriore conseguenza della acclarata natura devolutiva e sostitutiva del reclamo è, infine, il divieto di rimessione al primo giudice. Le applicazioni giurisprudenziali sul punto erano finora oscillanti. Pur non eliminando ogni residuo dubbio in proposito la nuova formulazione dell'art. 669-terdecies,  appare certo che il reclamo non possa in alcun caso esaurirsi ad un intervento meramente rescindente, dovendo sempre poi il collegio entrare nel merito della domanda di cautela.

Si è così negato che la mancata partecipazione di un litisconsorte necessario in sede di reclamo cautelare, non rilevata dal giudice di prime cure, che non ha disposto l'integrazione del contraddittorio, non costituisce una delle ipotesi previste dall'art. 354, comma 1, per le quali resta viziato l'intero processo e che impone il conseguente rinvio della causa al primo giudice (Cass. VI-2, n. 20020/2020).

Si ritiene ammissibile la proposizione del reclamo da parte del terzo che, pur non essendo intervenuto nel corso del procedimento di prima istanza, sia poi stato vulnerato nelle sue posizioni dal provvedimento cautelare, ciò almeno nei soli casi di effettiva necessità, quando cioè la non reversibilità degli effetti della misura cautelare impone di bloccare con immediatezza la sua esecuzione, cosa possibile, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 669-terdecies, attraverso il reclamo (Lombardi, 2797)

Non viene espressamente disciplinato il profilo delle spese del procedimento di reclamo: la regola dovrà quindi trarsi analogicamente dal sistema insito negli artt. 669-septies e 669-octies, sicché il collegio dovrà rendere la pronuncia sulle spese soltanto allorquando l'esito globale del procedimento comporti il diniego della misura cautelare richiesta ante causam, oppure la concessione, sempre ante causam, di una cautela anticipatoria, laddove, in previsione o in pendenza del giudizio di merito, la relativa liquidazione dovrà essere contenuta nella sentenza definitiva.

Quanto alla competenza in ordine al reclamo, la giurisprudenza ha precisato l'organo giudiziario tenuto a decidere sul reclamo avverso un provvedimento cautelare emesso dal tribunale del lavoro in composizione monocratica è il tribunale del lavoro in composizione collegiale, così come stabilito in via generale dall'art. 669-terdecies, e non la Corte d'appello, in mancanza di un'espressa disposizione derogatoria del regime giuridico ordinario del giudizio di reclamo cautelare (Cass. lav., n. 14819/2009). Mentre, in ipotesi di Corte d'appello divisa in più sezioni, competente a decidere il reclamo avverso il provvedimento cautelare emesso da una sezione della medesima corte, a nulla rilevando la circostanza che vi sia una sola sezione per le controversie di lavoro, poiché l'art. 669-terdecies, comma 2, fa riferimento alla sola presenza di una pluralità di sezioni e non anche di una pluralità di sezioni specializzate (Cass. lav., n. 14819/2009).

È inammissibile il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., avverso l'ordinanza resa in sede di reclamo cautelare ex art. 669-terdecies, ancorché affetta da inesistenza, nullità o abnormità, senza che ciò si ponga in contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., trattandosi di provvedimento inidoneo a incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale e ininfluente nel successivo giudizio di merito, o con l'art. 6 Cedu, essendo comunque garantita una duplice fase di tutela davanti a un'istanza nazionale (Cass. S.U., n. 6039/2019; Cass. VI,  n. 12229/2018; Cass. III, n. 9830/2018; Cass. II, n. 20954/2017).  Sulla questione, è stato da ultimo precisato che l'ordinanza di rigetto del reclamo cautelare non è ricorribile per cassazione, neppure in ordine alle sole spese, perché è un provvedimento inidoneo a divenire cosa giudicata, formale e sostanziale, conservando i caratteri della provvisorietà e non decisorietà. Pertanto, dopo la novella dell'art. 669-septies da parte della l. n. 69/2009, la contestazione delle spese - ove il soccombente abbia agito "ante causam" e non intenda iniziare il giudizio di merito - va effettuata in sede di opposizione al precetto ovvero all'esecuzione, se iniziata, trattandosi di giudizio a cognizione piena in cui la condanna alle spese può essere ridiscussa senza limiti, come se l'ordinanza sul reclamo fosse, sul punto, titolo esecutivo stragiudiziale; qualora, invece, il giudizio di merito sia instaurato, resta, comunque, sempre impregiudicato il potere del giudice di rivalutare, all'esito, la pronuncia sulle spese adottata nella fase cautelare, in conseguenza della strumentalità, mantenuta dalla l. n. 80/2005, tra tutela cautelare e merito (Cass. n. 6180/2019).

Bibliografia

Aiello - Giacobbe, Guida ragionata i provvedimenti cautelari, Milano, 1996; Barberio, Sulla reclamabilità dei provvedimenti di attuazione delle misure cautelari, in Giur. mer. 2006, 12, 2637 ss.; Barletta, Caponi, Provvedimenti cautelari e azioni possessorie, in Le modifiche al codice di procedura civile previste dalla l. n. 80 del 2005, in Foro it. 2005, V, 136 ss.; Celeste, Il nuovo procedimento cautelare civile, Milano, 2010; Cirulli, 1995, Il reclamo avverso i provvedimenti cautelari, in Giur. mer. 1995, 1, 172 ss.; Dalmotto, Eccezioni alla monocraticità cautelare del tribunale e competenza per il reclamo, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1997, 4, 1101 ss.; Dalmotto, Il rito cautelare «competitivo”, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2007, 1, 267 ss.; De Matteis, La riforma del processo cautelare, Milano, 2006; Giordano, Contenuto dei ricorsi cautelari ante causam e strumentalità c.d. attenuata, in Corr. mer. 2006, 1278 ss.; Giordano, Qualificazione del provvedimento cautelare e obbligo di instaurare il giudizio di merito, in Giur. mer. 2008, 1, 155 ss.; Iannicelli, Domanda cautelare in corso di causa ed incompetenza del giudice di merito, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2000, 745 ss.; Iofrida - Scarpa, I nuovi procedimenti cautelari, Milano, 2006; Lombardi, Sulla tutela del terzo in sede di reclamo cautelare, in Giust. civ. 2001, 11, 2797 ss.; Querzola, Tutela cautelare e dintorni: contributo alla nozione di "provvedimento anticipatorio”, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2006, 787 ss.; Salciarini - Scarpa, I procedimenti cautelari. Questioni processuali, Milano, 2010; Saletti, Il processo cautelare, oggi, in Riv. dir. proc. 2014, 541 ss.; Sapone, Litisconsorzio necessario e procedimenti cautelari, in Giur. mer. 2008, 7-8-, 2096 ss.; Tarzia, Saletti, Processo cautelare, in Enc. dir., App. aggiorn., V, Milano, 2002, 837 ss.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario