Codice di Procedura Civile art. 708 - [Tentativo di conciliazione e provvedimenti del presidente] 1[Tentativo di conciliazione e provvedimenti del presidente]1 [[I]. All'udienza di comparizione il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, tentandone la conciliazione.] [[II]. Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere il processo verbale della conciliazione.] [[III]. Se la conciliazione non riesce, il presidente, anche d'ufficio, sentiti i coniugi ed i rispettivi difensori, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse della prole e dei coniugi, nomina il giudice istruttore e fissa udienza di comparizione e trattazione davanti a questi. Nello stesso modo il presidente provvede, se il coniuge convenuto non compare, sentiti il ricorrente ed il suo difensore.] [IV]. Contro i provvedimenti di cui al terzo comma si può proporre reclamo con ricorso alla Corte d'appello che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento2.]
[1] Articolo così sostituito, in sede di conversione, dall'art. 23 lett. e-ter) d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv., con modif., in l. 14 maggio 2005, n. 80, con effetto dal 1° marzo 2006. Ai sensi dell'art. 2 3-quinquies d.l. n. 35, cit., le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati successivamente al 1° marzo 2006. Il testo precedentemente in vigore, recitava: «Tentativo di conciliazione, provvedimenti del presidente. - [I]. Il presidente deve sentire i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, procurando di conciliarli. - [II]. Se i coniugi si conciliano, il presidente fa redigere processo verbale della conciliazione. - [III]. Se il coniuge convenuto non comparisce o la conciliazione non riesce, il presidente, anche d'ufficio, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse dei coniugi e della prole, nomina il giudice istruttore e fissa l'udienza di comparizione delle parti davanti a questo. - [IV]. Se si verificano mutamenti nelle circostanze, l'ordinanza del presidente può essere revocata o modificata dal giudice istruttore a norma dell'articolo 177.». La Corte cost., con sentenza 30 giugno 1971, n. 151 aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo, unitamente all'art. 707, nella parte in cui ai coniugi, comparsi personalmente davanti al presidente del tribunale, e in caso di mancata conciliazione, era inibito di essere assistiti dai rispettivi difensori. Successivamente abrogato dall'art. 3, comma 49, lett. a), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". [2] Comma aggiunto dall'art. 21l. 8 febbraio 2006, n. 54. V. disposizioni di cui al successivo art. 4 l. n. 54, cit. InquadramentoSi riporta, considerata la pendenza di procedimenti regolati dal regime anteriore al d.lgs. n. 149 del 2022, il testo delle disposizioni, corredato del relativo commento, anteriore all'abrogazione dell'articolo in commento. Il Presidente tenta, dopo l'audizione dei coniugi, anche separatamente, la conciliazione degli stessi, redigendone, nel caso cui pervenga alla stessa, processo verbale. In mancanza saranno adottati i provvedimenti provvisori aventi ad oggetto, di regola, l'autorizzazione a vivere separati, la determinazione dell'assegno di mantenimento a favore dell'un coniuge e dei figli, l'affidamento di questi ultimi (Picardi, § 220.3). L'ordinanza ha immediata efficacia esecutiva, fatta eccezione per le spese straordinarie relative alla prole minorenne, neppure determinabili, per le quali, presentata la relativa documentazione, il coniuge avente diritto al rimborso è tenuto a ricorrere in sede monitoria (Cass. n. 4543/2011). La provvisorietà dei provvedimenti comporta che essi possano essere modificati o travolti ex tunc dalla sentenza che pronuncia sulla separazione personale (o sul divorzio). Tuttavia, le somme maggiori eventualmente corrisposte al coniuge non sono ripetibili (Cass. n. 6864/2009). I provvedimenti provvisori sono reclamabili dinanzi alla Corte d'Appello e possono essere revocati ex art. 709, comma 4, se vengono dedotte nuove circostanze (o circostanze delle quali non si era avuta conoscenza in precedenza: Trib. Pistoia 7 gennaio 2010, in Foro it., 2010, I, 2199, con note di Cea e Proto Pisani). Ai sensi dell'art. 189, comma 2, disp. att. i provvedimenti provvisori sopravvivono all'estinzione del giudizio di separazione. Tentativo di conciliazioneLa prima attività cui è destinata l'udienza che si svolge dinanzi al presidente è quella volta a tentare la conciliazione tra le parti. I coniugi hanno per questo l'onere di comparire personalmente e, a seguito delle ultime riforme, necessariamente con l'assistenza del proprio difensore. Il presidente ascolterà i coniugi prima separatamente e poi insieme, tentando di conciliarli. Nell'ipotesi in cui il tentativo riesca il procedimento si concluderà con un processo verbale che dà atto dell'avvenuta conciliazione. In ordine alla valenza probatoria delle dichiarazioni rese dalle parti all'udienza presidenziale, la S.C. ha chiarito che, vertendosi in materia di diritti indisponibili, le ammissioni di una parte non possono assumere valore di confessione in senso stretto, a norma dell'art. 2730 c.c., ma possono essere utilizzate dal giudice del merito quali presunzioni ed indizi liberamente valutabili (Cass. n. 22786/2004). Poiché il tentativo di conciliazione non costituisce condizione di procedibilità della domanda, l'omissione dello stesso non determina alcuna nullità del procedimento (D'Ascola, 15). Provvedimenti provvisoriSe fallisce il tentativo di conciliazione, prima di rimettere le parti dinnanzi al giudice istruttore (v. artt. 709 e 709-bis) ai fini dell'espletamento della fase contenziosa del giudizio, il Presidente — secondo un certo orientamento, anche ove ritenga che il proprio ufficio giudiziario sia privo della competenza sul merito della controversia: Trib. Messina 29 marzo 2013, in Dir. fam e pers. 2013, n. 4, 1426, con nota di Zingales — pronuncia i provvedimenti provvisori nell'interesse della prole e dei coniugi. In dottrina è tradizionalmente dibattuta la questione concernente la natura dei provvedimenti presidenziali resi ai sensi della disposizione in esame. Per alcuni, tali provvedimenti rientrano nella giurisdizione volontaria, in quanto autonomi dalla sentenza di separazione o di divorzio ed aventi quale contenuto costante l'autorizzazione ai coniugi a vivere separati e, come contenuto eventuale, le determinazioni in ordine al mantenimento di uno dei coniugi da parte dell'altro ed all'affidamento della prole (Cipriani 1970, 463 ss.).Per altri, invece, le ordinanze provvisorie ed urgenti emanate nell'interesse della prole e dei coniugi sono provvedimenti giurisdizionali a cognizione sommaria, provvisori, esecutivi ed anticipatori della decisione finale (Mandrioli 1964, 551 ss.). Secondo una tesi ancora diversa, tali provvedimenti hanno funzione eminentemente cautelare, essendo volti a regolamentare la crisi familiare in attesa della decisione di merito (Merlin 1996, 429 ss.). La competenza del presidente in questa fase è limitata a tali provvedimenti (sicché non potrebbe, ad esempio, definire l'intero processo con una declaratoria di litispendenza: App. Catania 21 luglio 2011, in Dir. fam. pers., 2013, n. 3, 915, con nota di Castelli). Nella pratica, l'oggetto dei provvedimenti comprende pressoché costantemente — anticipando il contenuto della decisione di merito — l'autorizzazione a vivere separati, la determinazione dell'assegno di mantenimento a favore dell'un coniuge e dei figli, l'affidamento di questi ultimi, con relativo diritto di visita dell'altro coniuge e diritto d'uso della casa coniugale in capo al coniuge affidatario (Picardi, § 220.3). È stato chiarito che qualora al presidente del tribunale appaia necessario — data anche la presenza di una figlia minore e data la necessità di assegnare motivatamente il godimento della casa familiare abitata dai coniugi impegnati in un giudizio per separazione personale con richiesta di addebito — emettere i provvedimenti urgenti e provvisori (a lui riservati dall'art. 708) con cognizione sufficiente, pur se sommaria, di causa, egli può disporre d'ufficio, prima di emettere i provvedimenti necessari e più opportuni, una sollecita consulenza tecnica psichiatrica qualora uno dei coniugi sia affetto da non lieve, certa e ricorrente patologia psichiatrica che lo ha spinto ad incolpare il marito di sottrarre dalla casa familiare mobili ed arredi di notevole valore, depauperando così i beni della famiglia, senza finora avere dato esauriente prova alcuna dell'illecito asseritamente imputato al coniuge (Trib. Trani I, 8 maggio 2015, in Dir. fam. e pers., 2015, n. 3, 996). Circa la rilevanza delle dichiarazioni fiscali presentate dalle parti per i provvedimenti di natura economica, si è evidenziato, in sede applicativa, che, ai fini della previsione e della conseguente determinazione dell'assegno per il contributo al mantenimento dei figli, alla documentazione fiscale delle parti non può attribuirsi un'efficacia probatoria privilegiata, atteso che le dichiarazioni dei redditi, in quanto documento tipicamente fiscale, non possono assumere valore vincolante per il Giudice nell'ambito di controversie relative a rapporti diversi dal contenzioso tributario, sicché il giudice è tenuto a fondare il proprio convincimento su altre risultanze probatorie (Trib. Savona, 12 agosto 2015). In sede applicativa, è stato più volte ribadito l'assunto per il quale ove il tentativo di conciliazione non sia riuscito il presidente del tribunale ha piena facoltà discrezionale, senza la necessità di effettuare ulteriori accertamenti, di disporre in via provvisoria ed urgente, ai sensi dell'art. 708, comma 3, c.p.c., provvedimenti inerenti l'assegno di mantenimento, l'assegnazione della casa familiare, l'affido dei figli (Trib. Chieti, 27 aprile 2015, n. 2581, in Ilfamiliarista, 10 luglio 2015). Alla luce delle novità introdotte con la l. n. 55/2015 sul divorzio c.d. breve, nella prassi applicativa si è evidenziato che, in caso di separazione consensuale il termine semestrale per la proposizione del ricorso per divorzio decorre dalla comparizione dei coniugi innanzi al Presidente che li autorizza a vivere separati, mentre nell'ipotesi di separazione giudiziale trasformata in consensuale il termine semestrale decorre ugualmente dall'udienza ex art. 708 e non da quella ex art. 711 c.p.c., altrimenti si creerebbe una inutile disparità di trattamento, peraltro contraria ai principi del giusto processo ex art. 101 Cost., e all'obiettivo stesso enunciato dalla novella legislativa, che è quello di ridurre i tempi necessari allo scioglimento del vincolo (Trib. Milano IX, 9 luglio 2015, n. 37959). L'ordinanza costituisce titolo esecutivo. Tuttavia, non richiede la spedizione in forma esecutiva ai sensi dell'art. 475, in quanto si tratta di provvedimento di natura cautelare — poiché contiene “provvedimenti temporanei e urgenti” ed è reclamabile innanzi a un organo giurisdizionale differente — per la cui attuazione l'art. 669-duodecies rimanda agli artt. 491 ss. (Trib. Reggio Emilia 27 aprile 2012, n. 785). L'ordinanza con la quale il presidente del tribunale pronunci detti provvedimenti temporanei ed urgenti non costituisce titolo per la emanazione di una successiva ingiunzione di pagamento ai sensi dell'art. 633, trattandosi di provvedimento autonomamente presidiato da efficacia esecutiva con riguardo alle somme che risultino determinate ovvero determinabili con un semplice calcolo aritmetico (Cass. n. 4543/2011). Tale determinabilità, peraltro, non sussiste anche per le spese straordinarie relative ai minori, genericamente considerate nell'ordinanza del Presidente del tribunale, che non sono autonomamente garantite da efficacia esecutiva, ma necessitano di un titolo esecutivo ad hoc, che può essere ottenuto anche mediante la presentazione di un ricorso per ingiunzione (Cass. n. 4543/2011). Tale orientamento, ormai consolidato, riprende la distinzione, effettuata dalla giurisprudenza di merito, per la quale, in ordine alla natura di titolo esecutivo dei provvedimenti provvisori emessi nell'ambito del giudizio di separazione, occorre distinguere: in particolare, essi assumono detta efficacia solo allorquando, così come prescritto dall'art. 474 comma 1, risultano relativi a crediti certi, liquidi ed esigibili, come nel caso di indicazione di una specifica somma, determinata o determinabile nel suo ammontare, a titolo di mantenimento mensile. In assenza di tali parametri, così come accade nel caso di generica condanna alla rifusione delle spese straordinarie, non si è in presenza di un titolo esecutivo, con la conseguenza che è onere di colui che assume essere creditore, richiedere la formazione di un titolo esecutivo per accertare l'effettiva entità del credito (Trib. Piacenza 2 febbraio 2010, n. 82, in Giur. mer., 2011, n. 4, 992, con nota di Giusti). I provvedimenti adottati in sede presidenziale, hanno in ogni caso carattere interinale, sicché la sentenza può integrare (o ridurre), con effetto ex tunc decorrente dalla domanda, l'importo dell'assegno di mantenimento stabilito in quella sede provvisoria (Cass. n. 19309/2013). Tuttavia, nell'ipotesi di riduzione dell'assegno già previsto dai provvedimenti provvisori, le eventuali maggiori somme percepite dal coniuge, in virtù di provvedimenti provvisori, non sono ripetibili, considerato che l'assegno provvisorio è ontologicamente destinato ad assicurare i mezzi adeguati al sostentamento del beneficiario, il quale non è tenuto ad accantonarne una parte in previsione dell'eventuale riduzione (Cass. n. 6864/2009). In ogni caso, sono ripetibili le somme versate da uno dei coniugi, in forza del provvedimento presidenziale poi revocato dal giudice istruttore, per il mantenimento di un figlio non comune ad entrambi i coniugi, ma del solo beneficiario dell'assegno (Cass. I, n. 21675/2012, in Foro it., 2013, n. 4, 1193, con nota di Casaburi). Peraltro, l'assegno perequativo disposto dal giudice nella sentenza di separazione decorre dalla data della decisione e non dalla data della proposizione della domanda, trattandosi di una pronuncia determinativa che non può operare per il passato, per il quale continuano a valere le determinazioni provvisorie di cui agli artt. 708 e 709 (Cass. I, n. 18538/2013). Reclamo L'art. 2 l. n. 54/2006, recante disposizioni in materia di separazione dei genitori e di affidamento condiviso dei figli, ha introdotto un nuovo comma all'interno dell'art. 708, che innova in punto di regime dei provvedimenti presidenziali prevedendone la reclamabilità, nel termine di dieci giorni dalla notificazione, dinanzi alla Corte di Appello che deciderà sul ricorso in camera di consiglio. Peraltro, secondo un precedente di merito, il provvedimento provvisorio avente ad oggetto l'affido e il mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio va impugnato ex art. 709-ter c.p.c., ovverosia «nei modi ordinari», e non tramite reclamo; il provvedimento, in altri termini, potrà essere impugnato solo con la pronuncia conclusiva del procedimento (App. Roma fam., 18 gennaio 2016). È stato chiarito, rispetto al concorso tra tali rimedi, che ove la parte lamenti errori di valutazione da parte del Presidente del tribunale su fatti portati alla sua conoscenza dovrà proporre reclamo, entro il termine perentorio previsto dall'art. 708 comma 4, avanti alla Corte d'Appello; qualora, invece, affermi l'esistenza di circostanze sopravvenute o anche di fatti preesistenti di cui, però, si sia acquisita conoscenza successivamente, ovvero alleghi fatti emergenti da una successiva attività istruttoria, dovrà richiedere al giudice istruttore la revoca o la modifica del provvedimento presidenziale ex art. 709, comma 4 (Trib. Lamezia Terme 30 novembre 2010, in Giur. mer., 2013, n. 10, 2108, con nota di Serrao). In sede applicativa si è evidenziato, da un lato, che la Corte d'appello può pronunciarsi sul reclamo anche qualora, nelle more si sia celebrata l'udienza dinanzi al giudice istruttore e che, dall'altro, in sede di reclamo avverso un provvedimento presidenziale non è normalmente consentito svolgere un'autonoma attività istruttoria che sfoci nella audizione di testimoni, nell'effettuazione di consulenze tecniche, e nell'esame di documenti diversi da quelli considerati nella fase presidenziale (App. Bari 28 marzo 2014, in Dir. fam. e pers., 2014, n. 3, 1090, con nota di Zingales). Secondo un certo orientamento, poiché i provvedimenti che la Corte d'appello può adottare in sede di reclamo ex art. 708, comma 4, hanno gli stessi requisiti di precarietà ed approssimatività delle misure presidenziali reclamate, la decisione della corte si giustifica solo in quanto, precedendo l'udienza di comparizione e trattazione davanti al giudice istruttore, abbia un apprezzabile margine temporale di applicazione, al fine di esplicare appieno la sua efficacia cautelare ed in ogni caso sia volta a modificare provvedimenti presidenziali che, per la loro abnormità o non manifesta rispondenza alle emergenze della causa già evidenziatesi, siano oggettivamente in grado di danneggiare le parti anche nel breve lasso di tempo che separa l'udienza presidenziale da quella di prima comparizione davanti al giudice istruttore (App. Firenze 9 aprile 2010, in Foro it., 2010, n. 7-8, con note di Cea e Proto Pisani). Sulla questione, sempre in sede applicativa, si è evidenziato che la fissazione dell'udienza per la trattazione del reclamo in data successiva a quella di ammissione delle prove in primo grado non influisce sul diritto del coniuge di chiedere ed eventualmente ottenere la revisione dei provvedimenti provvisori da parte del giudice d'appello, fermo restando che la decisione della Corte non ha però carattere vincolante sui poteri del giudice istruttore che, in presenza di fatti nuovi rispetto a quelli valutati dal giudice del reclamo, potrà regolare in modo diverso i rapporti patrimoniali e personali dei coniugi (App. Catania, 29 febbraio 2016). Il provvedimento che decide il reclamo avverso i provvedimenti presidenziali provvisori ed urgenti emessi in sede di separazione giudiziale dei coniugi ha natura immediatamente esecutiva ai sensi dell'art. 189 disp. att. (Trib. Modena, II, 3 maggio 2012, n. 710). Non può per altro verso trascurarsi che, secondo la successiva giurisprudenza di legittimità, gli accordi tra i coniugi modificativi delle disposizioni contenute nel decreto di omologazione della separazione ovvero nell'ordinanza presidenziale ex art. 708 c.p.c., trovando legittimo fondamento nell'art. 1322 c.c., sono validi ed efficaci, anche a prescindere dal procedimento exart. 710 c.p.c., qualora non superino i limiti di derogabilità posti dall'art. 160 c.c. e purché non interferiscano con l'accordo omologato ma ne specifichino il contenuto con disposizioni maggiormente rispondenti agli interessi ivi tutelati (Cass. n. 298/2016). In generale, nel corso del giudizio di separazione personale dei coniugi, la corte d'appello adita in sede di reclamo avverso l'ordinanza emessa dal presidente del tribunale ai sensi dell'art. 708, comma 3, c.p.c., non deve statuire sulle spese del procedimento, poiché, trattandosi di provvedimento cautelare adottato in pendenza della lite, spetta al tribunale provvedere sulle spese, anche per la fase di reclamo, con la sentenza che conclude il giudizio (Cass. n. 8432/2020). La Corte d'appello adita in sede di reclamo avverso l'ordinanza emessa dal presidente del tribunale ai sensi dell'art. 708, comma 3, c.p.c., non deve statuire sulle spese del procedimento, poiché, trattandosi di provvedimento cautelare adottato in pendenza della lite, spetta al tribunale provvedere sulle spese, anche per la fase di reclamo, con la sentenza che conclude il giudizio (Cass. n. 10195/2021). Ricorso straordinario per cassazione Costituisce jus receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio per il quale avverso il decreto emesso dalla Corte d'appello sul reclamo contro il provvedimento adottato, ai sensi dell'art. 708, dal presidente del tribunale all'esito dell'udienza di comparizione dei coniugi, non è ammesso il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., essendo essa priva del carattere della definitività in senso sostanziale, in quanto il predetto provvedimento presidenziale anche dopo la previsione normativa della sua impugnabilità con reclamo in appello, pur se confermato o modificato in tale sede ex art. 708, comma 4, continua ad avere carattere interinale e provvisorio, essendo modificabile e revocabile dal giudice istruttore ed essendo destinato a essere trasfuso nella sentenza che decide il processo, impugnabile per ogni profilo di merito e di legittimità (Cass. n. 19587/2011). Tale principio trova applicazione anche nell'ipotesi in cui la Corte d'Appello abbia dichiarato l'inammissibilità del reclamo proposto (Cass. I, n. 12177/2011). Ultrattività dei provvedimenti presidenziali nell'ipotesi di estinzione del giudizio Qualora il procedimento di separazione si estingua, in deroga all'art. 310 (che riconnette la sopravvivenza del provvedimento giudiziale al carattere decisorio di esso) ed analogamente a quanto previsto per le ordinanze anticipatorie di condanna (Picardi, § 220.3), l'art. 189, comma 2, disp. att. statuisce che i provvedimenti presidenziali sopravvivono fintanto che non vengano modificati in un nuovo giudizio di separazione, instaurabile in ogni tempo. Per alcuni l'art. 189 disp. att. detta una disciplina autonoma che trova applicazione a prescindere dalla fase o dal grado del procedimento nel quale si è verificata l'estinzione (Cipriani, 1970, 295). Per altri, invece, la norma opera con limitato riguardo al giudizio di primo grado (Mandrioli, 1972, 231). Casistica Nel caso di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, ai sensi degli artt. 155, comma 4, c.c., in tema di separazione personale, e 6, comma 6, l. n. 898/1970 (come sostituito dall'art. 11, l. 6 marzo 1987, n. 74), in tema di divorzio, il relativo provvedimento — in quanto avente per definizione data certa, sia esso la sentenza che definisce il giudizio di separazione o di divorzio, sia il provvedimento provvisorio pronunziato dal Presidente del tribunale ai sensi degli artt. 708 e 4, comma 8, l. n. 898/1970 e successive modifiche — è opponibile al terzo acquirente del bene in epoca successiva al provvedimento medesimo, nel termine di nove anni, ed anche oltre se il provvedimento sia stato trascritto (Cass. I, n. 28229/2013). L'assegnazione della casa coniugale disposta sulla base della concorde richiesta dei coniugi in sede di giudizio di separazione, in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, non è opponibile né ai terzi acquirenti, né al coniuge non assegnatario che voglia proporre domanda di divisione del bene immobile di cui sia comproprietario, poiché l'opponibilità è ancorata all'imprescindibile presupposto che il coniuge assegnatario della casa coniugale sia anche affidatario della prole, considerato che in caso di estensione dell'opponibilità anche all'ipotesi di assegnazione della casa coniugale come mezzo di regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, si determinerebbe una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà dell'altro coniuge, in quanto la durata del vincolo coinciderebbe con la vita dell'assegnatario (Cass. II, n. 4735/2011). La revoca dell'assegnazione della casa familiare, contenuta nella sentenza con cui il tribunale definisce il giudizio di separazione tra coniugi, costituisce titolo idoneo per il rilascio, senza necessità che, con la pronuncia, sia esplicitato altresì un apposito comando, rivolto al coniuge ex assegnatario e diretto al suo allontanamento dall'immobile (Cass. III, n. 1367/2012). Il contributo al mantenimento della prole deve tenere conto delle esigenze complessive di vita dei minori e nel determinarlo si deve fare riferimento non solo ai redditi dei genitori ma anche alle concrete capacità lavorative ed alle potenzialità reddituali (App. Catania, 28 gennaio 2015). Va riformato, in sede di reclamo, il provvedimento presidenziale con cui, a titolo di mantenimento del coniuge più debole, si è posto a carico dell'altro coniuge il pagamento di una somma mensile superiore alla richiesta formulata dalla stessa parte beneficiaria (App. Bari 28 marzo 2014, in Dir. fam e pers., 2014, n. 3, 1090, con nota di Zingales). Al fine di stabilire l'ammontare del reddito da lavoro dipendente del coniuge debitore dell'assegno di separazione personale, si deve avere riguardo al lordo della busta paga percepita da quest'ultimo, detratte le ritenute fiscali e previdenziali, ma non quelle sindacali, mentre le ritenute per cessione del quinto vanno considerate solo se la cessione si sia resa necessaria per fare fronte a spese indispensabili, quali quelle sanitarie. Pertanto, il ricorrente che lamenti la mancata considerazione da parte del giudice di appello delle trattenute in busta paga, deve specificarne i titoli, onde consentire di valutarne la rilevanza (Cass. I, n. 10380/2012, in Dir. fam., 2013, n. 1, 37, con nota di Vaccarella). Pronuncia dei provvedimenti presidenziali e scioglimento della comunione coniugaleLa riforma di cui alla l. n. 55/2015 sul c.d. divorzio breve ha inciso espressamente sul momento dal quale si verifica lo scioglimento della comunione legale prevedendo, mediante una modifica dell’art. 191 c.c., che ciò avvenga a seguito della pronuncia dei provvedimenti ex art. 708 ovvero della sottoscrizione del verbale di separazione consensuale dinanzi al Presidente, purché omologato. Resta silente, ancora una volta, il legislatore con riguardo al momento nel quale si determina lo scioglimento della comunione coniugale ove le parti decidano di separarsi mediante procedure stragiudiziali come la negoziazione assistita o le relative dichiarazioni dinanzi all’ufficiale di stato civile: il problema che si pone non è di poco momento, non essendo prevista alcuna comparizione delle parti in udienza dinanzi ad un giudice. Una soluzione potrebbe essere, come argomentato in dottrina, quella di ascrivere tale effetto alla sottoscrizione degli accordi di negoziazione assistita certificati dai difensori (ovvero alla dichiarazione della volontà di separarsi formulata dinanzi all’ufficiale di stato civile), che ex art. 6 d.l. n. 132/2014 sono equiparati ai relativi provvedimenti giudiziali, fermo l’operare della condizione risolutiva determinato dalla mancanza di nulla osta o autorizzazione (Tizi, 1082). Differente era il “diritto vivente” antecedente alla novellazione normativa. Invero, sebbene fossero state affermate, sia da parte di autorevole dottrina che nella giurisprudenza di merito, anche altre tesi (cfr. Trib. Ravenna, 17 maggio 1990, in Giust. civ., 1991, con nota di Finocchiaro) costituiva jus receptum in sede di legittimità il principio in forza del quale lo scioglimento si determina con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale (ovvero con la definitività del decreto di omologa. Sul punto, è stato più volte ribadito che, poiché l'art. 191 c.c. prevede le cause di scioglimento della comunione e, tra essi, la separazione personale (giudiziale o consensuale), lo scioglimento si perfeziona con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale o l'omologa di quella consensuale, sicché nel passaggio in giudicato o nell'omologa si individua il momento nel quale sorge l'interesse ad agire, concreto ed attuale, volto allo scioglimento della comunione ed alla divisione, ma esso può anche riguardarsi come il fatto costitutivo del diritto ad ottenere tale scioglimento e la conseguente divisione (v., tra le molte, Cass. n. 4757/2010). Peraltro, erano stati evidenziati in dottrina gli inconvenienti cui detta impostazione dava luogo (e che inducevano molti ad optare per il regime della separazione dei beni), “costringendo” i coniugi che ormai avevano da tempo vite separate e spesso erano in conflitto tra loro a continuare ad avere sino al passaggio in giudicato della sentenza sulla separazione il regime della comunione dei beni (Oberto, 615). Nel sistema riformato, invece, una volta che il Presidente abbia pronunciato i provvedimenti di cui all’art. 708 ovvero sia sottoscritto il verbale di separazione consensuale, potrà essere proposta domanda di divisione giudiziale dei beni, essendo venuta meno la comunione legale degli stessi ex art. 191 c.c. Occorre ricordare, sulla questione, che sinora la giurisprudenza ha sempre affermato, in coerenza con l’interpretazione dell’art. 191 c.c. avallata in parte qua, che la domanda di divisione poteva invece essere formulata soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza sulla separazione giudiziale (ovvero dopo l’omologazione di quella consensuale), con conseguente improponibilità della stessa ove proposta prima di quel momento (Cass. n. 6234/1998). Tuttavia, era stato al contempo chiarito che il passaggio in giudicato della sentenza sulla separazione non costituiva presupposto processuale ai fini della proposizione della domanda di divisione, bensì condizione di tale azione, sicché, se prima della definizione del giudizio di divisione maturava tale condizione, il giudice adito poteva decidere sulla divisione dei beni coniugali (Cass. n. 4757/2010). Volendo applicare i principi sopra enunciati nel sistema oggi novellato possiamo quindi dire che: a) la domanda di divisione dei beni può essere proposta solo dopo la pronuncia dei provvedimenti ex art. 708; b) peraltro ove il giudizio divisorio proposto prima di detto momento non sia stato ancora definito, atteggiandosi l’emanazione dei provvedimenti presidenziali alla stregua di una condizione dell’azione di divisione, la pronuncia degli stessi consentirà una decisione sul merito di detta azione. Sul piano sostanziale, poi, l’anticipata cessazione della comunione legale consente anche di evitare che i beni acquistati dai coniugi nelle more del giudizio di separazione ricadano, ai sensi dell’art. 177, comma 1, lett. a), c.c., nella comunione legale. 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