Codice di Procedura Civile art. 749 - Procedimento per la fissazione dei termini.Procedimento per la fissazione dei termini. [I]. L'istanza per fissazione di un termine entro il quale una persona deve emettere una dichiarazione o compiere un determinato atto [481, 488, 496, 500, 620 2, 621 1, 645, 650, 702 3 c.c.], se non è proposta nel corso di un giudizio, si propone con ricorso [125] al tribunale del luogo in cui si è aperta la successione [456 c.c.] 1(1). [II]. Il giudice fissa con decreto l'udienza di comparizione del ricorrente e della persona alla quale il termine deve essere imposto e stabilisce il termine entro il quale il ricorso e il decreto debbono essere notificati [137 ss.], a cura del ricorrente, alla persona stessa2 (2). [III]. Il giudice provvede con ordinanza, contro la quale è ammesso reclamo al tribunale in composizione collegiale a norma dell'articolo 739. Il collegio, del quale non può far parte il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato, provvede con ordinanza non impugnabile in camera di consiglio, previa audizione degli interessati a norma del comma precedente 3(3). [IV]. Le stesse forme si osservano per chiedere la proroga di un termine stabilito dalla legge [485 1, 488 2 c.c.]. La proroga del termine stabilito dal giudice si chiede al giudice stesso [152 1, 154]. [1] Comma così modificato dall'art. 113 1a d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, dal 2 giugno 1999. [2] Comma così modificato dall'art. 113, comma 1, lettera b, d.lg. n. 51, cit. , con effetto, ai sensi dell'art. 247 comma 1 dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, cit., dal 2 giugno 1999. [3] Comma così sostituito dall'art. 113, comma 1, lettera c, d.lg. n. 51, cit. , con effetto, ai sensi dell'art. 247, comma 1, dello stesso decreto quale modificato dall'art. 1 l. 16 giugno 1998, n. 188, cit., dal 2 giugno 1999. InquadramentoLa disposizione in commento regola il procedimento per la fissazione dei termini. Ad esso si riconosce in prevalenza natura volontaria, poiché non è diretto a risolvere una controversia su diritti, ma soltanto a regolarne l'esercizio (Mazzacane, 223; Lorefice, 6). Secondo alcuni l'intera categoria dei procedimenti successori deriverebbe la propria natura volontaria dal vertere non su diritti, ma sulla gestione di interessi (Chizzini, 58) Altri negano tale natura (Montesano, 4). Altri ancora risolvono il quesito affermando che, di fronte alla precisa volontà del legislatore, è inutile disputare se il procedimento abbia carattere volontario o meno (Satta, 1971, 63). Né la natura contenziosa del procedimento può essere desunta dalla previsione della fissazione del termine in pendenza del giudizio giacché «proprio questa sembra, invero, confermare il contrario, ossia che di norma il procedimento appartiene appieno titolo alla sola giurisdizione volontaria» (Chizzini, 55). In effetti, il giudice di legittimità ha espressamente riconosciuto che il procedimento di fissazione dei termini appartiene alla sfera della volontaria giurisdizione — si trattava del diniego di fissazione del termine di cui agli artt. 500 e 496 c.c. all'erede beneficiato — ascrivendovi senza incertezze il provvedimento nell'occasione esaminato (Cass. n. 3244/1998). DisciplinaEsordisce la norma stabilendo che l'istanza per la fissazione di un termine entro il quale una persona deve emettere una dichiarazione o compiere un determinato atto, se non è proposta nel corso di un giudizio, si propone con ricorso. La competenza spetta al tribunale del luogo in cui si è aperta la successione, ossia dell'ultimo domicilio del defunto. Occorre precisare, inoltre, che si tratta del tribunale in composizione monocratica. Ciò perché le funzioni del pretore non attribuite espressamente ad altra autorità — come è nel caso in esame — sono attribuite al giudice singolo, anche se relative a procedimenti disciplinati dagli artt. 737 ss. o nei quali è previsto l'intervento obbligatorio del pubblico ministero, ex art. 244 d.lgs. n. 51/1998. Occorre, poi, chiarire i limiti entro i quali è consentito all'istante chiedere la fissazione del termine nel corso del giudizio, invece che con ricorso al giudice delle successioni. Secondo la giurisprudenza, infatti, l'art. 749 presuppone che vi sia una connessione necessaria tra il procedimento di cognizione ordinaria ed il procedimento diretto alla fissazione del termine (Cass. n. 1301/1998). La Corte suprema, perciò, ha negato la sussistenza di una connessione del tipo siffatto fra giudizio di pagamento del legato e procedimento di fissazione di un termine agli eredi per rendere il conto dell'amministrazione dell'eredità. Tale soluzione è stata sottoposta a critiche sul rilievo che la menzionata limitazione « non traspare dalla legge, neppure dallo scopo della norma, appare pertanto del tutto arbitraria » (Chizzini, 56). Sempre in tema di rapporto tra la pendenza di un giudizio contenzioso e la fissazione o proroga del termine, occorre poi ricordare, poi, che nel procedimento promosso contro il chiamato all'eredità, la richiesta di fissazione di un termine, entro il quale il convenuto debba accettare o rinunciare all'eredità medesima (art 481 c.c.), non può essere avanzata per la prima volta in grado di appello, ai sensi dell'art. 345 (Cass. n. 920/1977). Questo indirizzo (ribadito da Cass. n. 1885/1988), già criticato da parte della dottrina (Lorefice, 6), sembra a maggior ragione da tenere per fermo alla luce della attuale formulazione dell'art. 345 (al cui commento si rinvia) e della lettura datane dalla giurisprudenza. Ai sensi dell'art. 749, comma 2, il giudice fissa con decreto l'udienza di comparizione del ricorrente e della persona alla quale il termine deve essere imposto e stabilisce il termine entro il quale il ricorso e il decreto debbono essere notificati, a cura del ricorrente, alla persona stessa. Si provvede, quindi, con ordinanza fissando o denegando la fissazione del termine. Reclamo e ricorribilità per cassazioneContro l'ordinanza — in applicazione della formulazione dell'art. 749, comma 3, introdotta dall'art. 113 d.lgs. n. 51/1998 — può essere proposto dagli interessati reclamo al tribunale in composizione collegiale a norma dell'art. 739, ossia entro dieci giorni dalla comunicazione o notificazione. Pertinenti considerazioni sul procedimento di reclamo sono contenute in una pronuncia della S.C. in cui, in primo luogo, si afferma che il decorso del termine per l'impugnazione richiede che il reclamante sia stato posto in condizione di partecipare al procedimento conclusosi con l'ordinanza reclamata (Cass. n. 10174/1998). La S.C., inoltre, ha escluso l'applicabilità del principio, proprio del contenzioso amministrativo, della decorrenza del termine per la parte interessata dalla conoscenza a qualsiasi titolo acquisita del provvedimento impugnando. Il termine per il reclamo, dunque, decorre dalla data di conoscenza legale del provvedimento reclamato (Cass. n. 10174/1998). Il collegio, del quale — giusta la formulazione dell'art. 749 dettata dall'art. 113 d.lgs. n. 51/1998 — non può far parte il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato, decide con ordinanza non impugnabile in camera di consiglio, previa audizione degli interessati a norma del comma 2 della disposizione. Contro l'ordinanza resa sul reclamo, che — di norma — non ha contenuto decisorio, non incidendo definitivamente su diritti soggettivi in contestazione, non è ammesso ricorso per cassazione, ex art. 111 Cost. (Cass. n. 5958/1998; Cass. n. 3244/1998). Viceversa, è ricorribile per cassazione l'ordinanza resa in sede di reclamo quando sia dotata dei requisiti della decisorietà e definitività: quando, cioè, decida su diritti soggettivi o status e non sia sottoposta ad altri rimedi (Cass. n. 4897/1987; Cass. S.U., n. 1521/2005; Cass. n. 7214/1996; Cass. n. 4620/1996). Capovolgendo tale prospettiva, la S.C. n. ha in seguito affermato che non sarebbe ricorribile ai sensi dell'art. 111 Cost. l'ordinanza, resa in sede di reclamo, di conferma del diniego della proroga (proroga che può essere concessa una sola volta, sì che il termine all'uopo concesso deve ritenersi perentorio, come confermato da Cass. n. 2033/2010) per l'erezione dell'inventario avanzata dall'erede accettante con beneficio (Cass. n. 2721/2010), diniego che, secondo la previsione dell'art. 485, comma 2, comporta l'acquisto della qualità di erede puro e semplice e, così, la responsabilità ultra vires dell'erede per le passività ereditarie. La stessa decisione assume che il principio affermato non si porrebbe in contrasto con quello stabilito dalle Sezioni Unite, le quali hanno stabilito che è invece ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso l'ordinanza con cui il tribunale, in sede di reclamo, revochi la proroga del termine assegnato agli eredi che accettano con beneficio d'inventario per liquidare le attività ereditarie e formare lo stato di graduazione (Cass. S.U., n. 1521/2005). Per una diversa soluzione v. Cass. n. 922/2010, in motivazione. Più di recente è stato detto che l'ordinanza con cui il tribunale provveda, in sede di reclamo, a revocare il provvedimento del tribunale in composizione monocratica che aveva fissato al legatario un termine ex art. 749 c.c. entro il quale assolvere all'onere testamentario, non ha contenuto decisorio, non incidendo in via definitiva su posizioni di diritto soggettivo in conflitto, e, pertanto, non è impugnabile con il ricorso per cassazione exart. 111 Cost. (Cass. n. 14202/2017). È inammissibile il ricorso per cassazione proposto dall'erede accettante con beneficio d'inventario avverso l'ordinanza con cui il tribunale, in sede di reclamo, ha confermato il rigetto della sua istanza di ulteriore proroga dei termini per la liquidazione delle attività e per la formazione dello stato di graduazione (Cass. n. 25887/2016). Ed ancora, in tema di accettazione con beneficio d'inventario, il decreto con cui il tribunale rigetta l'istanza di proroga del termine ex art. 500 c.c. per completare la procedura di liquidazione non è impugnabile con ricorso per cassazione a norma dell'art. 111 Cost., in quanto, pur riguardando posizioni di diritto soggettivo, chiude un procedimento di tipo non contenzioso privo di un vero e proprio contraddittorio e non statuisce in via decisoria e definitiva attesa la sua revocabilità e modificabilità alla stregua dell'art. 742 (Cass. n. 20132/2014). Da ultimo si è detto che, in tema di accettazione dell'eredità, l'ordinanza emessa in sede di reclamo avverso l'ordinanza resa dal Tribunale, ai sensi degli artt. 481 c.c. e 749 c.p.c., con cui si sia fissato un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinuncia all'eredità stessa, non è ricorribile per cassazione, in quanto priva di decisorietà e definitività, attesa anche la sua revocabilità e modificabilità alla stregua dell'art. 742 c.p.c. (Cass. n. 969/2022). CasisticaL'art. 749 — osserva Andrioli, 1964, 565 — disciplina quattro distinte ipotesi: i) la fissazione del termine entro il quale una persona deve emettere una dichiarazione: ad esempio, art. 481 c.c., sul quale ci si soffermerà in seguito, art. 650 c.c., riguardante la rinunzia al legato, art. 702 c.c., sull'accettazione della nomina ad esecutore testamentario; ii) la fissazione di un termine entro il quale una persona deve compiere un atto: ad esempio, art. 500 c.c., sulla liquidazione delle attività ereditarie e formazione dello stato di graduazione; art. 620 c.c., sulla pubblicazione del testamento olografo; art. 621 c.c., sulla pubblicazione del testamento segreto; art. 645 c.c., sull'adempimento della condizione potestativa apposta all'istituzione di erede o al legato; iii) proroga di un termine stabilito dalla legge: ad esempio, artt. 485 e 487 c.c. sul termine per la formazione dell'inventario su cui v. sub art. 769; iv) proroga di un termine stabilito dal giudice: ad esempio, quello di cui all'art. 500 c.c., già citato. Vi è da aggiungere, infine, che l'art. 749 trova applicazione, grazie al rinvio contenuto nell'art. 81 disp. att. c.c., anche nei casi previsti dagli artt. 1286, comma 3, e 1287, comma 3, c.c., riguardo alla scelta nelle obbligazioni alternative. E si è da alcuni sostenuto che il procedimento in esame possa utilizzarsi in tutti i casi in cui il giudice ha il compito di fissare un termine per il compimento di un atto giuridico, come, ad esempio, nel caso dell'art. 1183 c.c.. Ma la tesi è apparsa accettabile solo de lege condenda, essendo la disposizione limitata a regolare la materia successoria (D'Onofrio, 1957, 405). È, invece, inammissibile il ricorso in camera di consiglio con cui l'acquirente chiede la fissazione del termine entro il quale il venditore liberi la cosa venduta da garanzie reali a pena di automatica risoluzione del contratto (Trib. Monza 11 luglio 1987, Foro it., 1988, I, 619). Nell'ambito del procedimento per la fissazione dei termini di cui all'art. 749, va riconosciuto particolare rilievo all'actio interrogatoria prevista dall'art. 481 c.c. In proposito va aggiunto, in riferimento agli aspetti processuali, che il giudice non può fissare d'ufficio il termine e, in mancanza di iniziativa della parte interessata, neppure può disporre l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei prossimi parenti del de cuius al fine di consentire agli interessati di avvalersi della facoltà di chiedere la fissazione del termine (Cass. n. 880/1967). Quanto alla concreta fissazione del termine, la legge nulla prevede, sicché essa è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, il quale dovrà tenere conto delle particolarità del caso. Se, all'udienza fissata ai sensi dell'art. 749 il chiamato all'eredità non compare, il giudice può disporre che il termine decorra dalla sua notificazione. Altrimenti, troveranno applicazione i principi fissati dall'art. 134. Non vi sono impedimenti di ordine concettuale ad ammettere che possa essere utilizzato — sia per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza, sia per la notificazione dell'ordinanza — il procedimento di notificazione di cui all'art. 143. Occorre, poi, soffermarsi sulla questione se il termine fissato ai sensi dell'art. 481 c.c. possa essere prorogato. Vale osservare, in proposito, che l'art. 749 prevede l'osservanza del procedimento ivi contemplato anche per chiedere la proroga di un termine stabilito dalla legge. Tuttavia, si è esattamente osservato che esso si riferisce ai casi in cui la legge consenta che il termine sia prorogato, mentre l'art. 481 stabilisce perentoriamente che, trascorso il termine senza che il chiamato abbia accettato, questi perde il diritto di accettare. Alla dottrina concorde si è associata la giurisprudenza, la quale ha in un'occasione qualificato il termine di cui all'art. 481 c.c. come termine « improrogabile di decadenza » (Cass. n. 751/1970). Tuttavia, la Corte suprema, con l'ultima decisione ricordata, pur escludendo la prorogabilità del termine, ha affermato che l'ordinanza con cui esso viene fissato è modificabile d'ufficio in ogni tempo, il che consentirebbe al giudice di sostituire al termine precedentemente fissato un termine più ampio (Cass. n. 751/1970). Secondo la Corte suprema, la disciplina regolatrice della materia va desunta non già dall'art. 177, riferita alle ordinanze istruttorie, ma dal combinato disposto degli artt. 737, 739, 742 e 742-bis, relativo ai procedimenti in camera di consiglio. E, in particolare — ha osservato ancora il giudice di legittimità — l'art. 742 stabilisce che i decreti pronunciati ai sensi delle disposizioni ricordate possono essere modificati o revocati in ogni tempo, mentre l'art. 742-bis estende l'applicazione delle disposizioni ivi contemplate a tutti i procedimenti in camera di consiglio, senza che costituisca ostacolo all'estensione la circostanza che il provvedimento reso ai sensi dell'art. 481 c.c. sia un'ordinanza e non un decreto. La dottrina ha mosso critiche alla decisione, ponendo l'accento sulla scadente formulazione dell'art. 742, laddove ammette la modificabilità e revocabilità in ogni tempo dei decreti pronunciati all'esito dei procedimenti camerali, ed ha nitidamente osservato che la modifica di un provvedimento che fissa un termine di decadenza di un diritto soggettivo non può avvenire in ogni tempo, ma solo prima della scadenza del termine: dopo è già sorto il diritto di accettare di un altro soggetto, che può essere accertato negativamente con sentenza, ma non vanificato con un provvedimento di giurisdizione volontaria. Successivamente la giurisprudenza è tornata sull'argomento pervenendo, in un caso peculiare, alla soluzione opposta (Cass. n. 4897/1987). La Corte di cassazione ha in due occasioni ribadito che, nel procedimento promosso contro il chiamato all'eredità, la richiesta di fissazione di un termine entro il quale il convenuto debba accettare o rinunciare all'eredità medesima non può essere avanzata per la prima volta in grado di appello, ai sensi dell'art. 345 (Cass. n. 1885/1988; Cass. n. 920/1977). BibliografiaBonilini, La designazione testamentaria del notaio preposto alla redazione dell'inventario, in Fam. pers. succ. 2009, 748; Brama, Accettazione di eredità con beneficio di inventario, Milano, 1995; Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936; Campanile, I riflessi del giudice unico sull'attività notarile, in Documenti giust. 649-662, 1999; Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, Napoli, 1923; Chizzini, La disciplina processuale dei procedimenti relativi all'apertura della successione, in Bonilini (a cura di), Trattato di diritto delle successioni e donazioni, Milano, 2009; Civinini, I procedimenti in camera di consiglio, Torino, 1994; Comunale, Inventario, in Enc. dir., XXII, Milano, 1972; Di Marzio, I procedimenti di successione, Milano, 2002; Di Marzio e Thellung De Courtelary, Volontaria giurisdizione e successione mortis causa, Milano, 2000; D'Onofrio, Commento al codice di procedura civile, II, Torino, 1957; Doria, Necessaria unicità dell'inventario nella successione beneficiate, in Giur. it., 2010, 2076; Giannattasio, Delle successioni. Successioni testamentarie, in Comm. c.c., Torino, 1961; Grossi, Sigilli, in Enc. dir., XVII, Milano, 1990; Jannuzzi, Manuale della volontaria giurisdizione, Milano, 1984; Lazzaro, Gurrieri e D'Avino, Il giudice unico nelle mutate regole del processo civile e nella nuova geografia giudiziaria, Milano, 1998; Lorefice, Dei provvedimenti di successione, Padova, 1991; Maltese, I procedimenti in camera di consiglio: la disciplina in generale, in Quad. Csm 1999; Masiello e Brama, La volontaria giurisdizione presso la pretura, Milano, 1992; Mazzacane, La volontaria giurisdizione nell'attività notarile, Roma, 1980; Migliori, Aspetti pratici della esecuzione testamentaria, in Riv. not. 1971, 239; Montesano, Giurisdizione volontaria, in Enc. giur., XV, Roma, 1989 Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, V, Milano, 1923; Moscati, Sigilli (Diritto privato e diritto processuale civile), in Nss. D.I., XVII, Torino, 1970; Natoli, L'amministrazione dei beni ereditari, I, L'amministrazione durante il periodo antecedente all'accettazione dell'eredità, Milano, 1968; Prestipino, Delle successioni in generale, in Comm. c.c., diretto da De Martino, Roma, 1981; Redenti, Diritto processuale civile, III, Milano, 1957; Rocco, Trattato di diritto processuale civile, V, Torino, 1960; Scuto, Inventario (Diritto vigente), in Nss. D.I., IX, Torino, 1963; Serretta, La facultas postulandi del notaio nei procedimenti di volontaria giurisdizione, in Giust. civ. 1985, II, 211; Sessa, Artt. 743-783, in Codice di procedura civile commentato, a cura di Vaccarella e Verde, Torino, 1997. |