Codice di Procedura Civile art. 769 - Istanza 1 .

Mauro Di Marzio

Istanza1.

[I]. L'inventario [484 3, 529, 705 2 c.c.] può essere chiesto al tribunale 2 dalle persone che hanno diritto di ottenere la rimozione dei sigilli [763 1-2] ed è eseguito dal cancelliere del tribunale [58] o da un notaio [770 1] designato dal defunto con testamento o nominato dal tribunale 3 [68 2].

[II]. L'istanza si propone con ricorso [125], nel quale il richiedente deve dichiarare la residenza [43 2 c.c.] o eleggere domicilio [47 1 c.c.] nel comune in cui ha sede il tribunale o indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o eleggere un domicilio digitale speciale4.

[III]. Il tribunale 5 provvede con decreto [135, 765].

[IV]. Quando non sono stati apposti i sigilli, l'inventario può essere chiesto dalla parte che ne assume l'iniziativa direttamente al notaio designato dal defunto nel testamento ovvero, in assenza di designazione, al notaio scelto dalla stessa parte6.

[1]  A norma dell'art. 27, comma 1, lett. c), numero 4) del d.lgs. 13 luglio 2017, n. 116, la parola: «tribunale» e' sostituita, ovunque ricorra, dalle seguenti: «giudice di pace»; ai sensi dell'art. 32, comma 3 del d.lgs. 116 cit., come da ultimo modificato dall'art. 8-bis, comma 1, lett. b), d.l. 30 dicembre 2019, n. 162, conv., con modif., in l. 28 febbraio 2020, n. 8, le disposizioni di cui all'art. 27 citato entrano in vigore il 31 ottobre 2025.

[2] V. sub artt. 661 e 733.

[3] V. sub artt. 661 e 733.

[4] Comma modificato dall'art. 3, comma 8, lett. p), del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164 che ha inserito, al primo periodo, le parole: «o indicare il proprio indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o eleggere un domicilio digitale speciale» dopo le parole «in cui ha sede il tribunale » . Ai sensi dell'art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.V. sub artt. 661 e 733.

[5] V. sub artt. 661 e 733.

[6] Comma aggiunto, in sede di conversione, dall'art. 13 del d.l. 22 dicembre 2011, n. 212, conv., con modif., dalla l. 17 febbraio 2012, n. 10

Inquadramento

Gli artt. 769 ss. regolano l'inventario dei beni ereditari, ma, mercé il rinvio contenuto nell'art. 777, si applicano a tutti i casi di inventario ordinato dalla legge (non, dunque, agli inventari stragiudiziali che ciascuno può scegliere di erigere in ogni caso in cui lo creda opportuno), salve le formalità speciali stabilite dal codice civile per l'inventario dei beni dei minori.

L'inventario giudiziale, d'altronde, riceve una disciplina unitaria non soltanto sul piano processuale, ma, come è stato evidenziato in dottrina, anche su quello sostanziale. Si è osservato, in proposito, che le varie ipotesi di inventario previste dall'ordinamento possono raggrupparsi attorno ai fenomeni più generali di amministrazione di beni altrui o di amministrazione limitata del patrimonio proprio (Comunale, 632).

Da un lato — quanto al primo aspetto — meritano segnalazione ipotesi quali l'inventario posto obbligatoriamente a carico del tutore del minore e dell'interdetto, ai sensi degli artt. 362 e 424 c.c., ovvero dell'adottante, con riguardo all'adottato minorenne, in caso di adozione non legittimante, ex art. 49 l. n. 184/1983. Alle ipotesi di inventario imposto al rappresentante legale può assimilarsi l'inventario richiesto a chi intenda immettersi nel possesso temporaneo dei beni dell'assente o del presunto morto, ex artt. 52 e 64 c.c., a fine di tutela di questi ultimi per l'eventualità che essi tornino. E, quale amministratore di beni altrui, deve compiere l'inventario il curatore dell'eredità giacente, ex art. 529 c.c., così come deve compierlo l'esecutore testamentario, ai sensi dell'art. 705 c.c., se tra i chiamati all'eredità vi sono minori, interdetti o persone giuridiche. Devono fare l'inventario, poi, il curatore del fallimento ed il commissario giudiziale, in caso di concordato preventivo, ex artt. 87 e 172 l. fall. (per la nuova disciplina v. art. 195, e art. 105 d.lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza). In queste ipotesi l'inventario serve a constatare che il patrimonio amministrato non sia stato depauperato ed a circoscrivere la responsabilità dell'amministratore in vista dell'obbligo di restituzione o, secondo i casi, di liquidazione dei beni (Comunale, 635).

Si deve ritenere, invece, che si collochino al di fuori dell'ambito di operatività dell'art. 777 quegli inventari che, pur previsti dalla legge, non siano riconducibili ad ipotesi di amministrazione di beni altrui o di amministrazione limitata del patrimonio proprio.

 Quanto alle ricadute dell’erezione dell’inventario rispetto al congegno di accettazione dell’eredità, è stato recentemente precisato che, ai fini della verifica del decorso del termine di decadenza dell'erede dal beneficio d'inventario, rileva la data di redazione dello stesso e non quella del suo inserimento nel registro delle successioni; ove l'inventario sia stato effettuato dopo la dichiarazione, il pubblico ufficiale che lo ha redatto deve, nel termine di un mese, fare inserire nel registro l'annotazione della data in cui è stato compiuto (Cass. n. 19838/2019).

Nozione, funzione ed efficacia probatoria dell'inventario

Nel linguaggio comune l'inventario è l'elencazione dei beni mobili ed immobili dei quali è costituito un patrimonio.

La nozione giuridica di inventario — per un aspetto — coincide con quella comune, giacché con esso s'elencano e si descrivono i singoli beni (mobili od immobili, ovvero gli uni e gli altri), in modo da consentire un'esatta visuale dell'entità patrimoniale (Scuto, 3).

Ma, con questa definizione, si pone l'accento sul solo significato che deve riconoscersi all'espressione inventario quale attività materiale di inventariazione. Difatti, accanto al significato indicato, con l'espressione inventario si intende sia l'atto disciplinato, quanto alla forma ed al contenuto, dagli artt. 769 ss., sia il documento formato dall'ufficiale procedente all'esito del procedimento, ossia il verbale di inventario.

L'inventario quale atto regolato dal codice di rito ha lo « scopo di precostituire la prova intorno alla quantità, all'estensione e allo stato delle cose predette » (Scuto, 3). Esso assume i connotati della « dichiarazione di scienza » (Comunale, 642) in cui si cristallizza un atto di accertamento, nel senso che colui che provvede all'inventario accerta che esistono in un determinato luogo e in un determinato tempo, determinate cose (Satta, 79).

Alla funzione probatoria dell'inventario si collega, secondo un'opinione comunemente accolta, quella in senso lato cautelare, giacché esso permette di constatare che il patrimonio non venga sminuito (Comunale, 635; Sessa, 664). L'inventario — secondo quest'indirizzo — è una misura « di generica conservazione dei beni costituenti l'asse ereditario » (Andrioli, 1964, 581), ovvero diretta a « garantire un'integrità patrimoniale » (D'Onofrio, 419) e ad « elidere ogni possibilità di danno nell'interesse non soltanto di tutti gli aventi diritto, ma altresì dell'erario e, in definitiva, dello Stato » (Masiello e Brama, 232).

La cautela si attua grazie all'efficacia probatoria privilegiata che l'inventario, quale documento, possiede. Il verbale di inventario, infatti, ha natura di atto pubblico, potendo essere formato esclusivamente da pubblici ufficiali, notai e cancellieri, autorizzati ad attribuirgli pubblica fede, ex art. 2699 c.c., alla luce, rispettivamente, degli artt. 1 l. n. 89/1913 e 57. Ne segue che esso, secondo l'art. 2700 c.c., fa piena prova della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.

Le funzioni probatoria e cautelare dell'atto, dunque, si coniugano nell'attribuzione al documento di efficacia fidefacente, giacché « attraverso l'inventario la cosa acquista una esistenza giuridica...: non si può negare la cosa senza negare l'inventario » (Satta, 1971, 80). Si tratta, in particolare, di una presunzione iuris et de iure di veridicità che si estende non solo agli elementi estrinseci dell'atto — provenienza, luogo e tempo —, ma anche al suo contenuto intrinseco, sebbene limitatamente alle dichiarazioni raccolte ed a quanto il pubblico ufficiale ha personalmente constato o compiuto.

In giurisprudenza si è detto che l'attività diretta alla formazione dell'inventario ha carattere meramente descrittivo della situazione patrimoniale quale risulta dalle carte e dalle note del defunto e la partecipazione di un pubblico ufficiale comporta la prova della verità degli atti da lui compiuti e quindi dell'esistenza delle carte, scritture e note da lui reperite, ma non la rispondenza alla realtà fattuale delle risultanze delle scritture (Cass. n. 2626/1983).

Natura del procedimento di formazione dell'inventario

L'erezione dell'inventario ha natura volontaria. Nell'ordinarne la formazione e controllare, se richiesto, lo sviluppo successivo del procedimento, il giudice sovrintende all'osservanza della disciplina dettata dagli art. 769 ss. mediante provvedimenti revocabili e modificabili, certamente non idonei ad acquistare autorità di cosa giudicata (v. Cass. n. 6997/1983; Cass. n. 6451/1992). Ed inoltre, lungi dal dirimere controversie su diritti, il giudice interviene nel realizzare la funzione latamente cautelare, in precedenza posta in luce, che l'inventario possiede quale strumento di constatazione dell'entità del patrimonio a fine di generica conservazione dell'integrità dell'asse.

Analogamente, in dottrina, si è osservato che il procedimento di formazione dell'inventario ha natura volontaria poiché ha per oggetto la descrizione dei beni che appartenevano al defunto e dei debiti da lui contratti, nonché la stima e la custodia dei soli mobili (Mazzacane, 222; Lorefice, 11).

In giurisprudenza si è ribadito che il decreto che autorizza la formazione dell'inventario, ai sensi dell'art. 769, e quello che concede la proroga del termine per la redazione del medesimo sono provvedimenti emessi all'esito di un procedimento di cui è parte il solo istante e nel quale il giudice si limita ad accertare la riconducibilità del medesimo alle categorie di persone aventi diritto alla rimozione dei sigilli ai sensi dell'art. 763; ne consegue che tali provvedimenti, non contenendo alcuna decisione in merito alla capacità a succedere del soggetto richiedente, sono riconducibili alla giurisdizione volontaria, e quindi privi del carattere di decisorietà e inidonei a passare in giudicato, con la conseguenza che non sono impugnabili col ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. n. 922/2010; Cass. n. 10446/2002).

Istanza di inventario rivolta al tribunale. Designazione del testatore. Istanza rivolta al notaio. Unicità dell'inventario

L'inventario si chiede anzitutto al tribunale, che provvede in composizione monocratica, ai sensi degli artt. 769,110 e 244, comma 2, d.lgs. n. 51/1998.

Territorialmente competente è il tribunale del luogo dell'aperta successione. Sebbene non vi sia una espressa disposizione in proposito, un ampio complesso di norme — si pensi agli artt. 484,493,508,509 c.c., 747 — radica dinanzi al giudice del luogo dell'aperta successione le varie articolazioni del procedimento di accettazione beneficiata dell'eredità, alla quale la formazione dell'inventario è elettivamente strumentale. L'opinione è condivisa dalla prevalente dottrina (D'Onofrio, 419; Satta 1971, 81).

Quanto all'ipotesi, dal punto di vista pratico del tutto marginale, del notaio designato dal defunto con testamento, la norma — è stato chiarito — contempla una disposizione non patrimoniale, che può essere inserita nel testamento «sia in concorso con altre disposizioni mortis causa, sia solitariamente. Essa concorre alla sistemazione degli interessi post mortem del testatore, nel senso che la designazione del notaio ben può rassicurarlo, a ragione della spiccata fiducia riposta nel prescelto, circa la piena correttezza dell'inventariazione» (Bonilini, 749).

Si tratta, in realtà, di una previsione, mai sufficientemente approfondita, per più versi singolare, per quanto riferita anche all'inventario di eredità beneficiata.

Da un lato, non è agevole immaginare il de cuius prefigurarsi l'inventariazione della sua eredità a seguito dell'accettazione con beneficio: in tal modo egli — esponendo un atteggiamento emotivo opposto a quello che normalmente informa la redazione del testamento — pronosticherebbe infatti che l'erede nominato col testamento non vorrà confondere l'uno e l'altro patrimonio, manifestando così sfiducia sulla convenienza dell'accettazione e, in definitiva, nei suoi stessi confronti.

Dall'altro lato l'inventario di eredità beneficiata, nel consentire all'erede beneficiato di concretizzare la propria limitazione di responsabilità, costituisce al tempo stesso strumento di tutela dei creditori e legatari, i quali potranno in tal modo individuare i beni su cui soddisfarsi: si tratta cioè di un atto a forte caratura oggettiva, giacché diretto a soddisfare interessi intrinsecamente confliggenti, il che rende inopportuno l'affidamento della scelta del notaio incaricato dell'inventario ad un soggetto, il testatore, che avrà generalmente a cuore i soli interessi dell'erede, non certo dei creditori e legatari.

La designazione del notaio incaricato dell'inventario, in ragione del rapporto fiduciario che lo leghi al de cuius, si colloca allora piuttosto nella logica dell'esecuzione testamentaria, nell'ipotesi contemplata dall'art. 705 c.c.: tale è la sede in cui elettivamente la designazione del notaio incaricato della redazione dell'inventario dell'eredità si giustifica e si comprende.

Si riteneva — fin tanto che l'art. 769 non è stato novellato nel senso che subito dopo si vedrà — che il notaio designato dal testatore (il quale, vale osservare, non può, ovviamente, nominare un cancelliere) non necessitasse della nomina del tribunale: nondimeno era ragionevole credere che, anche in caso di designazione, il notaio dovesse essere officiato dal giudice su istanza dell'interessato. La designazione, in altri termini, si poneva dal versante dell'individuazione dell'ufficiale destinatario dell'incarico di compimento dell'atto, non del conferimento dell'incarico stesso, comunque riservato per legge al tribunale.

Non sembra mai essersi posta la questione se il testatore potesse designare qualunque notaio, indipendentemente dal distretto notarile in cui la successione si fosse aperta, e se, operata la designazione, il giudice dovesse attenervisi. Quanto a quest'ultimo aspetto, ben può ritenersi che il giudice dovesse attenersi alla disposizione testamentaria nel caso di inventario da eseguirsi dall'esecutore testamentario: non così per l'inventario di eredità beneficiata, diretto a soddisfare i contrapposti interessi dell'erede beneficiato e dei creditori e legatari. Né può ammettersi che la disposizione testamentaria possa pregiudicare interessi di terzi estranei al testamento. Quanto alla questione dell'esercizio del ministero notarile al di fuori della circoscrizione di appartenenza del notaio, sembra da credere che l'art. 769, comma 1, dovesse essere coordinata con l'art. 27 l. n. 89/1913 e che, dunque, fosse da ritenere invalida la eventuale designazione fatta dal testatore (quantunque sia ovvio che egli non possa conoscere il luogo dell'aperta successione) di un notaio territorialmente incompetente per essere il luogo dell'aperta successione situato al di fuori del distretto.

L'affidamento al notaio dell'incarico di erigere l'inventario dei beni ereditari è stato oggetto di una novella legislativa (d.l. n. 212/2011, conv., con modif., con l. n. 10/2012). I lavori preparatori non spiegano il perché di una simile disposizione. Sta di fatto che gli interessati possono oggi avanzare l'istanza di erezione dell'inventario non solo al giudice, ma anche al notaio. Sulla base della nuova disposizione non occorre dunque rivolgersi al tribunale, ma si può avanzare l'istanza di inventario, sempre che non vi sia stata apposizione di sigilli, direttamente ad un notaio di fiducia del richiedente, o a quello già designato dal defunto nel testamento. Va precisato che il conferimento al notaio dell'incarico di ricevere l'accettazione di eredità con beneficio di inventario non comprende automaticamente quello di redigere l'inventario, trattandosi didue atti diversi che devono costituire oggetto di distinti specifici incarichi (Cass. 26419/2023).

Probabilmente il senso della novella è da intravvedere nell'intento di sgravare il personale di cancelleria dagli incombenti burocratici connessi alla formazione dell'inventario: sebbene si sappia che gli inventari di beni ereditari vengono di regola eseguiti — proprio perché svolti su istanza di parte ed al fine del soddisfacimento di privati interessi — al di fuori dell'orario di lavoro, sì da non pregiudicare le altre attività devolute al cancelliere. Tuttavia, si tratta di una mera possibilità di scelta, e non di un obbligo: sicché non è dato comprendere perché gli interessati dovrebbero intraprendere, rivolgendosi al notaio e non al tribunale, affinché nomini un cancelliere, una via economicamente più onerosa.

Anzitutto emerge l'irrazionalità della disposizione, laddove consente (anche e soprattutto) all'erede beneficiato di scegliere il notaio chiamato ad erigere l'inventario. Questo è infatti diretto a soddisfare gli interessi potenzialmente confliggente di una pluralità di soggetti, quale l'erede beneficiato, da un lato, ed i creditori e legatari dall'altro: ed è del tutto naturale, in tale frangente, che la nomina sia effettuata dal giudice, in funzione neutrale e super partes, secondo quanto stabilito dal comma 1 dell'art. 769; è invece inopportuno — pur considerando l'elevata affidabilità che la categoria professionale dei notai garantisce — che l'investitura al compimento dell'inventario provenga da uno dei soggetti in potenziale conflitto. La nomina del notaio ad opera dell'erede beneficiato esporrà il primo, se non altro, ad un atteggiamento di sospetto e diffidenza degli altri interessati, atteggiamento che non potrà non nuocere alla speditezza dello svolgimento delle operazioni.

Occorre poi dire che non qualsiasi notaio può essere incaricato della redazione dell'inventario (v. art. 27 l. n. 89/1913, come sostituito dall'art. 12, comma 5, d.l. n. 1/2012). È allora da credere che la competenza notarile si determini come quella del tribunale e che, cioè, debba trattarsi di un notaio appartenente al distretto nel cui territorio si è aperta la successione. Nel caso dell'incarico di formazione dell'inventario, infatti, si tratta per l'appunto di prestare il ministero notarile attraverso il compimento dell'attività di inventariazione, attività che il notaio non può compiere al di fuori del distretto di appartenenza: sicché è giocoforza ritenere che debba essere necessariamente officiato un notaio nel cui distretto la successione si sia aperta.

Qualora i beni da inventariare siano situati anche al di fuori del distretto, non sembra potersi invece dubitare che il notaio possa a tal fine direttamente delegare altro notaio territorialmente competente, senza alcun intervento del tribunale. Intervento che sarà invece necessario, e dovrà essere richiesto al giudice del luogo dell'aperta successione, nel caso in cui si intenda far eseguire da un cancelliere l'inventario dei beni extra distretto.

Va ricordato, poi, che il comma 2 dello stesso art. 769 stabilisce che l'stanza di inventario «si propone con ricorso, nel quale il richiedente deve dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel comune in cui ha sede il tribunale». Tale ricorso, contenente la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio non sembra poter mancare neppure in caso di istanza di inventario rivolta al notaio, giacché il ricorso è l'imprescindibile strumento attraverso il quale va compiuta la verifica della legittimazione alla proposizione dell'istanza, di cui si parlerà al paragrafo successivo. Dichiarazione di residenza ed elezione di domicilio, inoltre, vanno posti in correlazione con gli importanti adempimenti posti a carico dell'ufficiale procedente dal'art. 772.

Il congegno predisposto dal codice di rito, difatti, è indirizzato allo scopo di rendere edotti del procedimento di formazione dell'inventario tutti i soggetti che, di norma, sono potenzialmente interessati alla successione. In tale ottica: i) l'art. 770, comma 1, n. 3, prevede la consegna al notaio, in caso di inventario susseguente a sigillazione, di una nota delle opposizioni proposte con indicazione delle generalità, residenza e domicilio degli opponenti; ii) l'art. 771 elenca tra le persone che hanno diritto ad assistere all'inventario il coniuge superstite; gli eredi legittimi presunti; l'esecutore testamentario, gli eredi istituiti e i legatari; i creditori che hanno fatto opposizione alla rimozione dei sigilli; iii) l'art. 772 stabilisce che l'ufficiale che procede all'inventario deve dare avviso, almeno tre giorni prima, alle menzionate persone del luogo, giorno e ora in cui darà inizio alle operazioni.

La disciplina predisposta dall'art. 769 non regola espressamente l'eventualità di plurime istanze di inventario proposte da diversi soggetti tutti parimenti legittimati. Si può dire, tuttavia, sia stato dato sempre per scontato che l'inventario può essere uno ed uno soltanto, quantunque la questione non si sia posta in giurisprudenza se non in rarissime occasioni e non sia mai stata esaminata approfonditamente dalla dottrina: il meccanismo poc'anzi evidenziato, mediante il quale tutti i presumibili interessati devono essere portati a conoscenza dell'inventario da redigersi, rende infatti del tutto improbabile che essi, avvisati dell'inizio delle operazioni di inventario, propongano una nuova successiva istanza in tal senso invece di far valere le proprie ragioni nel corso dell'inventario già disposto.

La nomina di un secondo notaio per la redazione di un secondo inventario chiesta da un coerede pendente la procedura di inventario a seguito della precedente nomina di un notaio disposta su richiesta di un coerede non è ammissibile e, se disposta, va revocata (Trib. Venezia 7 dicembre 2009).

In effetti, vi sono diversi indici normativi dai quali può desumersi che, disposta la formazione dell'inventario, è inammissibile una successiva istanza volta al medesimo scopo:

i) l'art. 770, comma 1, n. 1, in caso di inventario successivo a sigillazione, prevede la consegna al notaio, ad opera del cancelliere, delle chiavi da lui custodite a norma dell'art. 756, ed è ovvio che tale consegna non possa avvenire più di una volta;

ii) l'art. 772 prevede l'obbligo di avviso alle persone interessate, all'evidente scopo di far confluire tutte le posizioni in un unico inventario;

iii) l'art. 776 prevede che, concluso l'inventario, le cose mobili e le carte inventariate siano consegnate alla persona indicata dalle parti interessate, o, in mancanza nominata con decreto dal giudice, ed è anche in questo caso evidente che, effettuata una prima volta la consegna, essa non possa essere effettuata una seconda volta;

iv) l'art. 490 c.c., nel fissare la regola della responsabilità dell'erede beneficiato intra vires e cum viribus, implica che non possa esservi se non «un unico inventario, che come atto facente fede fino a valore di falso è dimostrativo della consistenza dell'asse non avendo una qualsiasi giustificazione la redazione di ulteriori inventari» (Trib. Venezia, 7 dicembre 2009);

v) l'art. 510 c.c. stabilisce che l'accettazione con beneficio d'inventario fatta da uno dei chiamati giova a tutti gli altri, anche se l'inventario è compiuto da un chiamato diverso, e dunque espressamente dispone che l'erede beneficiato non deve reiterare l'inventario già compiuto;

vi) l'art. 511 c.c. pone le spese dell'inventario a carico dell'eredità, e non v'è dubbio che dette spese non possano essere immotivatamente dilatate in pregiudizio degli interessi dei creditori e legatari che sui beni ereditari devono potersi soddisfare.

In definitiva, «così come non è ipotizzabile che vi siano due giudici che operano contemporaneamente sullo stesso caso, ugualmente non è ammissibile che vi siano due notai che redigono il verbale della stessa eredità per conto del medesimo giudice» (Doria, 2076).

La nuova previsione dell'inventario direttamente affidato al notaio, senza passare per il provvedimento del giudice, sembra poter inopinatamente rinverdire l'interesse per la questione, altrimenti nei fatti sopita, dell'unicità dell'inventario. E ciò anzitutto per la considerazione che il codice di rito, come novellato per effetto dell'introduzione del comma 4 dell'art. 769, non prevede che il notaio debba informare l'ufficio giudiziario dell'affidamento dell'incarico, sicché è ben possibile che il giudice, richiesto dell'inventario, pronunci il decreto di cui all'art. 769, comma 3, non avendo contezza dell'inventario notarile già in corso. Ciò sembra costituire un difetto di coordinamento derivante dalla novella. D'altro canto, se nel sistema precedente tutte le possibili istanze di inventario erano destinate ad incanalarsi dinanzi al medesimo giudice, individuato ratione loci, sicché questi ben poteva avvedersi della reiterazione di tali istanze, oggi è possibile che più interessati propongano diverse istanze a diversi notai, i quali procedano ognuno per proprio conto, con le complicazioni che ciò può comportare.

È infine da ritenere che il notaio, una volta completato l'inventario, debba depositarne copia presso l'ufficio giudiziario competente, rendendone in tal modo disponibile la consultazione agli interessati. Quantunque il comma 4 dell'art. 769 nulla disponga in proposito, il deposito è indispensabile ai fini del controllo della composizione dell'asse da parte di ciascun interessato. Ciò in sintonia con la funzione dell'inventario precedentemente illustrata, giacché esso serve non solo ad identificare i beni che l'erede dovrà amministrare e liquidare, ma anche ai creditori per conoscere i beni che, facendo parte della massa ereditaria, potranno essere aggrediti.

Legittimazione alla richiesta di formazione dell'inventario

L'individuazione dei legittimati alla richiesta di inventario procede dalla combinazione di tre disposizioni, gli artt. 769, comma 1, 763, comma 1, e 753, nn. 1, 2 e 4. Sono legittimati a chiedere l'inventario, cioè, coloro i quali possono chiedere la rimozione dei sigilli, e possono chiedere la rimozione dei sigilli tutti quelli che possono chiederne l'apposizione, eccettuati i coabitanti e le persone di servizio del de cuius.

È bene chiarire che la legittimazione a richiedere l'inventario spetta alle persone che hanno diritto alla rimozione dei sigilli ai sensi dell'art. 763 anche quando l'apposizione dei sigilli, misura che può anche mancare, non sia stata in concreto disposta (Cass. n. 10446/2002). Perciò, la legittimazione spetta all'esecutore testamentario, a coloro che possono avere diritto alla successione e ai creditori. Per il resto, si deve rinviare al commento all'art. 753. Con specifico riguardo alla legittimazione al ricorso per erezione dell'inventario, tuttavia, si può aggiungere che essa spetta anche ai successibili ex lege non legittimari, sia pure diseredati (Cass. n. 22/1964).

La legittimazione a chiedere l'inventario spetta a chi fornisca precisi e concreti elementi indiziari circa la sussistenza di una scheda testamentaria a suo favore (Pret. Milano 10 dicembre 1990, Banca borsa tit. cred., 1991, 798).

Introduzione del procedimento

Nel procedimento di formazione dell'inventario si distinguono due fasi. La prima è volta ad ottenere il provvedimento con cui il giudice ordina la formazione dell'inventario e nomina, se del caso, l'ufficiale che deve procedervi. La seconda attiene alla vera e propria esecuzione dell'inventario.

Il procedimento si introduce con ricorso, nel quale il ricorrente, ai sensi dell'art. 769, comma 2, deve dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito, e ciò — ha osservato Satta, 81 — in collegamento col disposto dell'art. 772.

Il ricorso deve contenere l'indicazione dell'ultimo domicilio del de cuius, poiché, in mancanza, difetterebbe il criterio di collegamento indispensabile a radicare la competenza territoriale del giudice adito, competenza inderogabile ai sensi dell'art. 28.

Come il procedimento di sigillazione, anche quello di inventario può essere introdotto personalmente dai legittimati, ma questi possono anche conferire procura ai sensi dell'art. 83.

Il decreto che ordina l'inventario: forma, esecutività, impugnabilità, revocabilità

Il giudice, valutata la propria competenza e la legittimazione del ricorrente, provvede con decreto, ai sensi dell'art. 769, comma 3, ordinando la formazione dell'inventario e nominando, a tal fine, un cancelliere del tribunale o un notaio del distretto, salvo che alla designazione del notaio non abbia già provveduto il de cuius nel testamento, ai sensi dell'art. 769, comma 1.

Anche in quest'ultimo caso, però, il decreto che ordina l'inventario è indispensabile, al fine di « investire il notaio delle funzioni » (Satta, 1971, 81).

E, se egli è privo di delega del giudice e non è stato designato dal testatore, l'inventario che abbia redatto è nullo, con la conseguenza — se si tratti di inventario inserito nella procedura di accettazione beneficiata — che gli eredi non acquistano il beneficio di inventario e divengono eredi puri e semplici (Trib. Firenze 2 luglio 1962, Giur. tosc., 1962, 509).

Nel caso vi siano da inventariare beni situati al di fuori della circoscrizione del tribunale, si ritiene che il giudice del luogo dell'aperta successione possa nominare un cancelliere o un notaio del luogo in cui sono situati i beni. Tuttavia, si ammette anche che il giudice del luogo dell'aperta successione possa delegare la nomina al giudice del luogo in cui si trovano i beni e che possa autorizzare il cancelliere ad eseguire l'inventario al di fuori della circoscrizione del tribunale al quale appartiene, quantomeno in presenza di ragioni d'urgenza o di altri gravi motivi (Brama, 88).

Secondo alcuni il decreto con cui si ordina l'inventario è « reclamabile al tribunale e revocabile dallo stesso pretore che l'ha pronunciato » (Andrioli, 1964, 581, seguito da Comunale, 637, Lorefice, 11).

Secondo altri il provvedimento non è impugnabile, « nel senso almeno che non si possa impedire la sua esecuzione » (D'Onofrio, 409). Sicché, dalla richiesta di inventario da parte di un non legittimato potrebbe esclusivamente « determinare a carico del richiedente una responsabilità per spese » (D'Onofrio, 409).

In giurisprudenza si è ammesso che il decreto possa essere revocato e modificato (Cass. n. 10446/2002), come ogni provvedimento di volontaria giurisdizione, ex art. 742.

Il decreto che ordina l'inventario, invece, non è soggetto al reclamo di cui all'art. 739 neppure attraverso la norma di rinvio contenuta nell'art. 742-bis. Lo scopo latamente cautelare dell'inventario, quale semplice strumento di controllo della consistenza di un patrimonio, infatti, non esige né consente il reclamo. E, se il decreto non è reclamabile, è certo immediatamente efficace, non trovando applicazione l'art. 741. Al contrario, se si ammettesse la soggezione al reclamo, si dovrebbe allo stesso tempo riconoscere, in punto di efficacia, l'applicazione dell'art. 742, con conseguenze vistosamente incongrue, in particolare sul decorso del termine nel caso di inventario da eseguirsi in vista o in conseguenza dell'accettazione beneficiata.

Trovano ingresso le regole ordinarie sul reclamo, invece, in caso di provvedimento di diniego del decreto che ordina l'inventario, attraverso il rinvio all'art. 739 da parte dell'art. 742-bis.

Il decreto che autorizza la formazione dell'inventario, ai sensi dell'art. 769, e quello che concede la proroga del termine per la redazione del medesimo sono provvedimenti emessi all'esito di un procedimento di cui è parte il solo istante e nel quale il giudice si limita ad accertare la riconducibilità del medesimo alle categorie di persone aventi diritto alla rimozione dei sigilli ai sensi dell'art. 763; ne consegue che tali provvedimenti, non contenendo alcuna decisione in merito alla capacità a succedere del soggetto richiedente, sono riconducibili alla giurisdizione volontaria, e quindi privi del carattere di decisorietà e inidonei a passare in giudicato, con la conseguenza che non sono impugnabili col ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. n. 5460/2017). Egualmente, in tema di accettazione beneficiata dell'eredità, il provvedimento che decide sul reclamo proposto avverso i provvedimenti emessi a seguito di istanza di modifica del decreto di autorizzazione alla redazione dell'inventario, non è impugnabile col ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., in quanto riconducibile, al pari del decreto di cui all'art. 769, alla giurisdizione volontaria e, pertanto, privo del carattere della decisorietà e della idoneità al passaggio in giudicato (Cass. n. 5460/2017).

Inizio dell'inventario. Rinvio delle operazioni. Conclusione dell'inventario

Si affrontano qui, unitariamente, tre diversi aspetti: quando l'inventario possa dirsi iniziato, come si debba procedere al rinvio delle operazioni e quando possa dirsi completato.

Sul primo aspetto — che, in particolare, ha importanza, nella procedura di accettazione beneficiata, ai fini della concessione della proroga di cui all'art. 485 c.c. — un giudice di merito ha chiarito che l'inizio dell'inventario richiede l'inventariazione di almeno un bene (Trib. Roma 12 luglio 1999, Giur. rom., 1999, 367).

Quando l'inventario non può essere ultimato nel giorno del suo inizio, l'ufficiale che vi procede ne rinvia la continuazione ad un giorno prossimo, avvertendone verbalmente le parti presenti, ex art. 774. È ovvio che il rinvio ad altra data deve essere verbalizzato.

In mancanza, poiché l'art. 772, come si è visto, prevede che l'ufficiale incaricato della formazione dell'inventario dia avviso del luogo, del giorno e dell'ora in cui darà inizio alle operazioni, non v'è dubbio che analogo avviso debba essere nuovamente inviato nel caso che l'inventario si svolga in più sedute, quando il rinvio delle operazioni a data fissa non risulti dal verbale. In caso contrario il diritto di assistere all'inventario rimarrebbe del tutto frustrato.

Per quanto riguarda la nozione di completamento dell'inventario — nozione che ha notevole rilievo nelle vicende dell'accettazione beneficiata — sembra doversi affermare che essa va intesa in senso formale e che, cioè, sia l'ufficiale procedente, valutato l'esaurimento delle operazioni, a porre fine all'inventario, dopo l'ultima seduta, rivolgendo agli interessati, con esito negativo, l'interpello previsto dall'art. 192 disp. att. Ciò perché l'inventario, quale atto regolato dal codice di rito, deve rispondere alle regole che esso pone.

Non potrebbe ritenersi, pertanto, che l'inventario non sia stato completato perché, secondo una valutazione a posteriori, risulti non inventariato un qualche bene compreso, invece, nell'asse.

In tal senso — ad esempio — si è detto che se l'inventario sia stato eseguito e chiuso nelle forme prescritte, non può ritenersi incompiuto o imperfetto agli effetti del termine previsto dall'art. 487, comma 3, c.c. (App. Firenze 22 maggio 1953, Giur. tosc., 1953, 453). Tuttavia, va segnalato che una importante decisione di legittimità ha accolto una nozione — potremmo dire — sostanziale di conclusione dell'inventario, avendo considerato che esso — ai fini dell'applicazione degli artt. 485 e 487 c.c. — era da ritenersi concluso con l'elencazione delle sole poste attive, sebbene fosse poi proseguito per l'elencazione delle passività (Cass. n. 2664/1959).

I poteri del pubblico ufficiale nella formazione dell'inventario

Cancelliere e notaio vanno qualificati come ausiliari del giudice (Cass. n. 1953/1976), ma da ciò nulla si desume riguardo alla esatta latitudine dei loro poteri.

In proposito, esattamente si dice che il notaio e il cancelliere incaricati della formazione dell'inventario, in generale, mancano di poteri di imperio. E, d'altronde, neppure il giudice, nella materia, ne è titolare, se non entro un ambito assai ristretto: si pensi all'apposizione dei sigilli in corso di inventario ed alla nomina del custode delle cose inventariate.

Cancelliere e notaio, dunque, devono limitarsi a « registrare fedelmente tutte le attività compiute e le dichiarazioni ricevute» (Brama, 78), ma non sono investiti né di poteri inquisitori, né investigativi, né, tantomeno, di poteri coercitivi (effrazione di porte, sequestro di documenti e simili), posto che sono in definitiva gli stessi interessati ad avere l'onere di indicare quali beni o crediti debbono essere compresi nell'inventario ed a porre, quindi, l'ufficiale procedente nelle condizioni di espletare il proprio compito (Brama, 79). L'opinione è certo da condividersi. Si deve escludere, perciò, che l'ufficiale procedente possa vincere d'autorità la condotta di chi gli impedisca l'accesso in luoghi di pertinenza del de cuius. Ed è da credere che egli non possa servirsi dell'ausilio della forza pubblica, che l'art. 68, comma 3, riserva esclusivamente al giudice. Si segnala da alcuni, invece, in simili ipotesi, la possibilità di ricorrere all'apposizione dei sigilli in corso di inventario, ex art. 760 , sì da far entrare in questione i poteri di cui, in tal caso, è titolare il giudice (Brama, 79). Il che, peraltro, sembra corretto ammettere solo quando sussistano effettivamente i presupposti della sigillazione, come a suo tempo evidenziati. Naturalmente, se è precluso l'accesso coattivo in luoghi di pertinenza del defunto, è a maggior ragione precluso l'accesso coattivo in luoghi di pertinenza di terzi: si pensi alla richiesta dell'istante di accedere presso la sede di una società di cui il defunto fosse stato socio per indagare dell'esistenza di crediti di quest'ultimo verso la prima. Allo stesso modo, il notaio o il cancelliere non potrebbero impartire ordini di esibizione documentale, né ai partecipanti all'inventario, né, tantomeno, ad altri.

Tuttavia, deve esser chiaro che l'ufficiale addetto all'inventario — dopo il decreto di nomina e fintanto che non sia necessario ricorrere al giudice perché impartisca le disposizione di volta in volta necessarie — è il dominus del procedimento, nel quale svolge un ruolo di attore e non certo di spettatore passivo delle attività compiute e delle dichiarazioni pronunciate.

É l'ufficiale nominato dal giudice a fissare l'inizio delle operazioni, a dare gli avvisi necessari ed a scandire i tempi del procedimento, fissando le sedute di inventario in giorni l'uno prossimo all'altro. É l'ufficiale a stimare gli oggetti mobili o ad esercitare il potere discrezionale di nomina degli stimatori. Ed é l'ufficiale a formare il verbale di inventario, assumendo la paternità del suo contenuto, che deve riflettere nel modo più esatto — per quanto egli sia stato posto in grado di fare — la consistenza del patrimonio inventariato.

L'ufficiale — secondo l'opinione preferibile — non può perciò omettere di accedere presso l'ultimo domicilio del defunto per inventariare i beni là rinvenuti o per attestarne l'inesistenza, limitandosi a riferire della dichiarazione degli interessati che l'immobile è vuoto.

Dunque — nonostante il contrario responso di Trib. Padova 1° aprile 1985, Riv. not., 1985, II, 1006 — si è esattamente ritenuta la nullità di un inventario redatto de relato, senza accesso nell'ultimo domicilio del de cuius. E, una volta acceduti sul posto, il cancelliere o il notaio non possono omettere di inventariare i beni esistenti sulla semplice dichiarazione degli interessati — benché concorde — che gli stessi non appartenevano al de cuius. Tuttavia, l'ufficiale procedente potrebbe attenersi alle dichiarazioni degli interessati, se concordanti e solenni, secondo Trib. Torino 24 novembre 1967, Riv. not., 1969, II, 628 e Trib. Torino 12 gennaio 1968, Riv. not., 1969, II, 628. Ed ancora, rinvenuta documentazione comprovante l'esistenza di rapporti bancari del defunto, l'ufficiale non può rimanere inerte, ma deve interrogare le banche per sapere dell'esistenza di crediti da inventariare, dando atto delle risposte eventualmente ricevute.

Come è stato detto, in altri termini, la formazione dell'inventario è stata affidata « per garanzia di obbiettività, agli organi che esercitano la funzione giurisdizionale » (Trib. Vicenza 17 novembre 1983, Società, 1984, 683). Ed allora, se è vero che l'ufficiale procedente non possiede poteri coattivi di indagine, è altrettanto vero che, nei limiti della diligenza che è propria della funzione, deve rappresentare la consistenza del patrimonio nel modo più aderente alla realtà.

Nel quadro dei poteri propri dell'ufficiale che procede all'inventario, deve considerarsi anche quello di rimettere le parti dinanzi al giudice che lo ha nominato, di propria iniziativa o su istanza delle parti, per la risoluzione di incidenti che richiedano il suo intervento. Difatti, oltre che in via di interpretazione analogica dell'art. 776 , un simile potere sembra potersi desumere dall'intrinseca natura del rapporto che intercorre tra il giudice ed il cancelliere o notaio, i quali — come si è visto — vanno considerati ausiliari del primo (Cass. n. 1953/1976). Il giudice, dunque, potrà stabilire se un bene debba o meno essere inventariato: si pensi al caso del diritto di usufrutto, o al credito che sia sorto a favore degli eredi iure proprio e non iure hereditatis; ovvero se un bene debba essere o meno stimato: si pensi ad una partecipazione societaria; ovvero se e come debba procedersi all'inventariazione di un bene di cui sia controversa la proprietà; ovvero se si sia verificata invalidità dell'inventario per l'omesso avviso del giorno e dell'ora in cui darà inizio e proseguirà le operazioni (Trib. Roma 7 luglio 1999, Giur. rom., 1999, 337).

Naturalmente, le parti possono rivolgersi direttamente al giudice, senza la mediazione dell'ufficiale incaricato di erigere l'inventario. Deve esser chiaro, però, che l'intervento del giudice — sia esso sollecitato dall'ufficiale procedente o dalle parti — va contenuto nei limiti determinati dalla natura volontaria del procedimento di inventario. Il giudice, cioè, può esercitare i suoi poteri per quanto attiene alla direzione del procedimento, non alla risoluzione di controversie insorte nel corso ed in relazione alla sua erezione.

Particolari osservazioni vanno aggiunte sui poteri del cancelliere o del notaio in caso di ritrovamento, nel corso dell'inventario, di un testamento olografo del de cuius. Vanno distinte, in particolare, le ipotesi che il testamento sia o meno custodito in un involucro chiuso, dal quale — nel primo caso — risulti trattarsi delle disposizioni di ultima volontà del defunto.

Il plico chiuso — secondo la dottrina — non può essere aperto se non alla presenza del notaio incaricato della pubblicazione. Esso, perciò, va soltanto descritto a verbale nella sua forma esterna, oltre che sottoscritto dall'ufficiale procedente (Brama, 80). Altrimenti, oltre alla sottoscrizione del documento da parte dell'ufficiale procedente, è necessario trascrivere il testo dell'olografo nel verbale di inventario (Brama, 80).

In un caso simile a quello del rinvenimento in corso di inventario, infatti, si è osservato che la trascrizione del testo di un testamento olografo nel verbale di apertura di una cassetta di sicurezza non è vietata dal alcuna norma e pertanto non costituisce contravvenzione all'art. 28, n. 1, l. n. 89/1913 - legge notarile (Trib. Milano 26 giugno 1964, Riv. not., 1965, II, 165). Per il resto, è da ritenere che, anche in corso di inventario, possa trovare applicazione analogica l'art. 757 , dettato per il procedimento di sigillazione.

Le spese del procedimento di formazione dell'inventario

L'art. 511 c.c. pone le spese di inventario a carico dell'eredità.

Secondo la S.C., con lo stabilire che « le spese dell'apposizione dei sigilli, dell'inventario e di ogni altro atto dipendente dall'accettazione con beneficio di inventario sono a carico dell'eredità », l'art. 511 c.c., per un verso, detta per tali spese un regime particolare, prevalente senz'altro su quello dell'art. 90, che rimane operante solo per quanto attiene all'onere di anticipazione e, per altro verso, offre un incentivo all'accettazione beneficiata, in ragione dei vantaggi che essa assicura e ai coeredi e ai creditori, e sopperisce inoltre all'esigenza di renderla meno onerosa nelle diffuse ipotesi in cui è imposta dalla legge (Cass. n. 1953/1976). La pronuncia ha bene evidenziato la differenza tra onere di anticipazione delle spese di inventario, che non può gravare se non su colui che lo abbia richiesto, ed onere di sopportare definitivamente le medesime, che è disciplinato dall'art. 511 c.c. La Corte suprema, inoltre, ha esaminato il caso che l'eredità sia stata accettata da un erede con beneficio di inventario e da un altro puramente e semplicemente, ed ha chiarito che, in tale ipotesi, entrambi sono soggetti passivi dell'obbligazione, nei limiti fissati dall'art. 754 c.c., che pone il principio nomina hereditaria ipso iure dividuntur (Cass. n. 1953/1976).

L'argomento, dunque, si esaurisce rilevando che, in base a quanto disposto dagli artt. 511 e 754 c.c., le spese relative all'inventario sono pesi ereditari, e come tali devono essere sostenute da ciascun coerede pro quota.

Il notaio, pertanto, per ottenere il compenso legato all'esecuzione dell'inventario potrà rivolgersi ad ognuno di essi per la parte che gli spetta (Santangelo, 1977, 74 ss.).

Una decisione di merito, poi, ha esaminato il rapporto tra onere di anticipazione ed onere di sopportare definitivamente le spese previste dall'art. 511 c.c., ed ha ritenuto che l'erede beneficiato, potendo amministrare il compendio ereditario, possa direttamente ritrarre tali spese dall'attivo ereditario (Pret. Roma 18 novembre 1998).

Difatti, appunto perché a carico dell'eredità, le spese in questione vanno a ridurre l'attivo ereditario e, perciò, devono essere prelevate prima di eseguire i pagamenti a creditori e legatari (Brama, 247).

In tal senso è la S.C.: i debiti costituenti il passivo ereditario il cui valore va detratto da quello dei beni costituenti la massa, al fine di determinare quanta parte dell'attivo patrimoniale del de cuius sia necessaria per formare la legittima sono non soltanto i debiti propri del defunto, ma anche quelli sorti in occasione della sua morte e che sono conseguenza necessaria dell'apertura della successione, quali il pagamento dell'imposta di successione e le spese funerarie e di sepoltura, per l'apposizione dei sigilli, la compilazione dell'inventario e la formazione delle quote (Cass. n. 2023/1966).

Naturalmente, l'erede beneficiato deve sempre munirsi della prova dei pagamenti effettuati con prelievo dalla massa, sì da poter ottemperare all'obbligo di rendiconto di cui all'art. 496 c.c.

È infine anche qui da ricordare che le spese per l'inventario, ai sensi dell'art. 511 c.c., costituiscono debito prededucibile: vanno, cioè, ad abbattere l'attivo ereditario, dovendo essere prelevate prima di ogni altra passività.

Invalidità dell'inventario

Sul problema dell'invalidità dell'inventario non si rinvengono se non sporadiche decisioni, incentrate su aspetti particolari, né la dottrina ha specificamente approfondito il tema.

In linea generale, si afferma che l'omissione delle formalità prescritte dalla legge rende nullo l'inventario (Cass. 29 aprile 1930, n. 1411, Mass. Foro it., 1930, 284). La decisione, benché remota, appare ancora attuale, in quanto la disciplina previgente dell'istituto non differiva sensibilmente da quella odierna. Sulla nullità dell'inventario, poi, si è soffermata, sotto diversi profili, una decisione già ricordata, secondo cui l'inventario è nullo se eretto da un notaio non delegato dal giudice, né designato dal de cuius nel testamento (Trib. Firenze 2 luglio 1962, Giur. tosc., 1962, 509). Ed inoltre, la stessa pronuncia ha riconosciuto la nullità dell'inventario eseguito senza che uno degli eredi residenti fuori della circoscrizione del tribunale fosse stato notiziato dell'inizio delle operazioni o gli fosse stato nominato un notaio per rappresentarlo, ai sensi dell'art. 772 (Trib. Firenze 2 luglio 1962, Giur. tosc., 1962, 509; contra App. Roma 23 febbraio 1982, Riv. not., 1982, II, 897).

Un altro giudice di merito ha affermato che, ai fini dell'efficacia dell'inventario redatto nel corso della procedura di eredità beneficiata, qualsiasi omissione od errore relativo alla redazione dell'inventario rende lo stesso inattendibile (Trib. Milano 17 aprile 1969, Monitore trib., 1969, 688).

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