Codice di Procedura Civile art. 818 - Provvedimenti cautelari 1Provvedimenti cautelari1 [I]. Le parti, anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali, possono attribuire agli arbitri il potere di concedere misure cautelari con la convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all'instaurazione del giudizio arbitrale. La competenza cautelare attribuita agli arbitri è esclusiva. [II]. Prima dell'accettazione dell'arbitro unico o della costituzione del collegio arbitrale, la domanda cautelare si propone al giudice competente ai sensi dell'articolo 669-quinquies. [1] Articolo modificato dall'art. 89 l. 26 novembre 1990, n. 353; successivamente sostituito dall'art. 22, d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40 e, da ultimo, dall'art. 3, comma 52, lett. b), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022, il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.". Si riporta il testo prima della sostituzione:«[I].Gli arbitri non possono concedere sequestri, né altri provvedimenti cautelari, salva diversa disposizione di legge.». InquadramentoLa disposizione confermava la tradizionale estraneità della tutela cautelare rispetto ai poteri spettanti agli arbitri: soltanto i giudici ordinari, si riteneva, sono competenti ad emettere provvedimenti cautelari. La disposizione è stata però novellata dalla riforma del 2022 (d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149). Si tratta pare certamente della novità di maggior impatto, anche sistematico, dell'intervento sull'arbitrato. La delega contemplava «l'attribuzione agli arbitri rituali del potere di emanare misure cautelari nell'ipotesi di espressa volontà delle parti in tal senso, manifestata nella convenzione di arbitrato o in atto scritto successivo, salva diversa disposizione di legge; mantenere per tali ipotesi in capo al giudice ordinario il potere cautelare nei soli casi di domanda anteriore all'accettazione degli arbitri; disciplinare il reclamo cautelare davanti al giudice ordinario per i motivi di cui all'art. 829, primo comma, c.p.c. e per contrarietà all'ordine pubblico; disciplinare le modalità di attuazione della misura cautelare sempre sotto il controllo del giudice ordinario». La norma in commento si è dunque allineata alla delega, in conformità a quanto avviene nella maggior parte degli ordinamenti europei. Nondimeno, gli arbitri hanno poteri cautelari solo se sono le parti ad affidarglieli espressamente. Altrove si segue il meccanismo inverso: gli arbitri sono di regola titolari di poteri cautelari, salvo che ciò non sia escluso dal compromesso o dalla clausola compromissoria. Caratteri generali della novellaLa riforma è dunque solo un primo passo verso l'omogeneizzazione con le regole applicabili in paesi con i quali ha senso confrontarsi, per esempio la Francia e l'Inghilterra, oltre che Svizzera. Presso di noi gli arbitri hanno poteri cautelari, salvo quanto si dirà, se sono le parti ad affidarglieli espressamente. Altrove si segue il meccanismo inverso: gli arbitri sono di regola titolari di poteri cautelari, salvo che ciò non sia escluso dal compromesso o dalla clausola compromissoria. Il previgente art. 818 c.p.c., sotto la rubrica: «Provvedimenti cautelari», stabiliva che: «Gli arbitri non possono concedere sequestri né altri provvedimenti cautelari, salva diversa disposizione di legge». La disposizione confermava l'estraneità della tutela cautelare ai poteri spettanti agli arbitri: sicché, qualora ritenessero sussistenti i presupposti per la concessione di un provvedimento cautelare, le parti, non potevano che rivolgersi al giudice altrimenti competente a conoscere del merito. Le ragioni poste a fondamento del divieto erano da ricondursi a tre linee di pensiero: i) mancanza di imperium; secondo tale tradizionale orientamento il divieto di adottare provvedimenti cautelari discende dalla mancanza di poteri coercitivi in capo all'arbitro, ossia dei poteri coercitivi riservati al giudice statale (Carnacini, Arbitrato rituale, in Nss. dig. it., Torino, 1958, 881; Verde, Diritto dell'arbitrato rituale, Torino, 2000, 358); l'opinione affonda le radici nell'osservazione di Piero Calamandrei: «Forse proprio per aver intuito che le misure cautelari attengono più che alla tutela dei diritti soggettivi, alla polizia del processo, la giurisprudenza si è dimostrata restia ad ammettere che agli arbitri possa esser conferito … il potere di conceder sequestri» (Calamandrei, Introduzione allo studio sistematico dei provvedimenti cautelari, Padova, 1936, 145); ii) mancanza di poteri di cognizione sommaria; secondo questa tesi gli arbitri non possono pronunciare provvedimenti sommari (e così, secondo la giurisprudenza, non possono adottare l'ordinanza di convalida di sfratto ed il decreto ingiuntivo: v. p. es. Cass. n. 387/1991; Cass. n. 10839/1992; Cass. n. 1142/1993), sicché tale interdizione all'esercizio della cognizione sommaria andrebbe generalizzata e comporterebbe il divieto di adottare provvedimenti cautelari (Auletta, Cognizione sommaria e giudizio arbitrale, in Verde, Diritto dell'arbitrato, Torino, 2005, 362; Cecchella, Il processo cautelare, Torino, 1997, 37; iii) «inaffidabilità» degli arbitri; si sostiene, ancora, che il divieto di rilascio di provvedimenti cautelari si spiegherebbe con la «volontà di tenere fermo il principio di totale estraneità alla materia cautelare da parte di organi che non offrono quelle garanzie di indipendenza ritenute indispensabili per la pronuncia di provvedimenti destinati ad incidere immediatamente […] sulla realtà sostanziale» (Arieta, Note in tema di rapporti tra arbitrato rituale ed irrituale e tutela cautelare, in Riv. dir. proc., 1993, 750). Nondimeno, gran parte della dottrina riteneva, de iure condendo, che si dovesse consentire agli arbitri di adottare provvedimenti cautelari, sia pur sottoponendo tali provvedimenti al controllo dell'autorità giudiziaria. L'art. 818 c.p.c. conteneva però una clausola di salvezza di disposizioni di legge di segno diverso: ed in effetti taluni poteri cautelari erano già riconosciuti agli arbitri. A tal riguardo, il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, introduttivo dell'oggi abrogato processo societario, conteneva una disposizione, l'art. 34, sopravvissuta all'abrogazione attuata mediante l'art. 54 l. 18 giugno 2009, n. 69, istitutiva dell'arbitrato societario, quale speciale forma di arbitrato destinato a definire controversie relative ai rapporti interni alle società commerciali. Il successivo art. 35, sotto la rubrica: «Disciplina inderogabile del procedimento arbitrale», stabiliva tra l'altro, al comma 5, che: «La devoluzione in arbitrato, anche non rituale, di una controversia non preclude il ricorso alla tutela cautelare a norma dell'art. 669-quinquies c.p.c., ma se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari agli arbitri compete sempre il potere di disporre, con ordinanza non reclamabile, la sospensione dell'efficacia della delibera». La previsione è confluita nell'art. 838-ter c.p.c., anch'esso di nuova introduzione, secondo il quale: «Salvo quanto previsto dall'art. 818, in caso di devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari, agli arbitri compete il potere di disporre, con ordinanza reclamabile ai sensi dell'art. 818-bis, la sospensione dell'efficacia della delibera». Il nuovo testo dell'art. 818 stabilisce che: -) le parti, anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali, possono attribuire agli arbitri il potere di concedere misure cautelari con la convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all'instaurazione del giudizio arbitrale; la competenza cautelare attribuita agli arbitri è esclusiva, -) prima dell'accettazione dell'arbitro unico o della costituzione del collegio arbitrale, la domanda cautelare si propone al giudice competente ai sensi dell'art. 669-quinquies. Abbiamo dunque un quadro in cui: i) in linea generale, se una controversia è compromessa in arbitri, ad essi non competono poteri cautelari se le parti non glieli hanno attribuiti; ii) in materia di arbitrato societario, se la controversia è compromessa in arbitri, essi hanno anche poteri cautelari di sospensione di delibere ivi impugnate. Cosa, quest'ultima, ovvia, giacché intervenire su una delibera assembleare senza poterla interinalmente sospendere, sarebbe un non-senso: poteri cautelari operanti, però, «salvo quanto previsto dall'art. 818», e cioè sempre che gli arbitri abbiano già accettato, altrimenti il relativo potere, anche in questo caso di arbitrato societario, è ancora nella mani del giudice. Il potere cautelare degli arbitri, secondo l'art. 818, è espressamente previsto come esclusivo: e cioè, una volta che gli arbitri abbiano accettato, è escluso il ricorso cautelare al giudice. Nondimeno, una situazione di concorso potrebbe aver luogo nel caso in cui le parti abbiano conferito agli arbitri poteri limitati al rilascio di taluni cautelari, ma non di altri, come ad esempio di tutti i cautelari ad eccezione del sequestro giudiziario, limitazione certamente possibile, sembrerebbe, giacché, se è possibile attribuire agli arbitri l'intero potere cautelare non dovrebbe esservi ragione per vietare all'autonomia negoziale delle parti di attribuirgliene solo una parte. Inoltre si pone il problema, che non riguarda solo il cautelare in arbitrato, ma l'arbitrato in genere, della controversia che coinvolga terzi i quali non siano parte della convenzione di arbitrato. Una possibile difficoltà di coordinamento discende dal comma 2 dell'art. 818 c.p.c., che come si è visto stabilisce che «prima dell'accettazione dell'arbitro unico o della costituzione del collegio arbitrale, la domanda cautelare si propone al giudice competente ai sensi dell'art. 669-quinquies». È dunque possibile che si sovrappongano domande cautelari rivolte al giudice e domande cautelari rivolte agli arbitri, e che il giudice e gli arbitri decidano in difformità. Il cautelare rilasciato dagli arbitri è reclamabile ai sensi dell'art. 818-bis c.p.c.: «Contro il provvedimento degli arbitri che concede o nega una misura cautelare è ammesso reclamo a norma dell'articolo 669-terdecies davanti alla corte di appello, nel cui distretto è la sede dell'arbitrato, per i motivi di cui all'art. 829, comma 1, in quanto compatibili, e per contrarietà all'ordine pubblico». È superfluo precisare che reclamabile è sia il provvedimento che concede, sia quello che nega il cautelare: il testo della norma non autorizza altra conclusione, e del resto è a tutti noto che quando il legislatore ebbe a prevedere, del tutto ragionevolmente, la reclamabilità del solo provvedimento positivo, la Corte costituzionale si frappose alla soluzione con una pronuncia tale da manipolare profondamente il progetto che era stato consapevolmente apprestato. La soluzione del reclamo al giudice ordinario sembra fosse in effetti obbligata: escludere il reclamo sarebbe stato insensato ed in fondo anche discriminatorio, e visto che bisogna poter reclamare, non vi è altra possibilità di farlo se non dinanzi al giudice ordinario. Del resto, sembra da escludere una eccessiva ingerenza del giudice nel giudizio arbitrale, ove si consideri che il reclamo è dato «per i motivi di cui all'art. 829, comma 1, c.p.c. e per contrarietà all'ordine pubblico», e cioè, a parte l'ordine pubblico, dinanzi a vizi di legittimità del provvedimento degli arbitri, senza che sia previsto un diretto riesame del merito della decisione cautelare. Insomma il reclamo cautelare avverso il provvedimento cautelare degli arbitri non è assimilabile al reclamo cautelare dell'art. 669-terdecies, pur richiamato dall'art. 818-bis: il reclamo cautelare è un gravame a critica libera ed integralmente devolutivo; il reclamo arbitrale è un'impugnazione a critica vincolata per soli motivi di legittimità connessi ad errores in procedendo arbitrali, fatta salva la valvola di sicurezza dell'ordine pubblico. Dopodiché occorre chiedersi cosa accada ove la corte d'appello riscontri la sussistenza di una delle ipotesi di cui all'art. 829, comma 1, c.p.c. Per avere un senso, il reclamo cautelare deve essere congegnato come rimedio articolato ― com'è per l'impugnazione del lodo arbitrale ― in un primo momento rescindente ed in un successivo eventuale momento rescissorio, volto alla decisione del «merito» cautelare. E cioè sembra doversi ammettere che la Corte d'appello, dopo aver constatato la nullità del provvedimento cautelare, possa rivalutare autonomamente, se richiesta, la sussistenza di fumus e periculum. Certo, la soluzione richiede un qualche sforzo interpretativo, a fronte di una disposizione forse troppo stringata, dal momento che l'art. 818 c.p.c. contiene un richiamo ad un solo comma dell'art. 829 c.p.c., sicché non è agevole ritenere che il legislatore abbia voluto rinviare al meccanismo di fondo che governa l'impugnazione per nullità del lodo arbitrale, tanto più che l'art. 830 c.p.c. contempla la fase rescissoria solo, per quanto qui rileva, se il lodo è annullato per i motivi di cui all'art. 829, comma 1, n. 5), 6), 7), 8), 9), 11) o 12). Resta da dire che la riforma ha anche introdotto l'art. 818-ter c.p.c., che disciplina l'attuazione dei provvedimenti cautelari adottati dagli arbitri, attuazione che rimane sotto il controllo del giudice ordinario: «L'attuazione delle misure cautelari concesse dagli arbitri è disciplinata dall'art. 669-duodecies e si svolge sotto il controllo del tribunale nel cui circondario è la sede dell'arbitrato o, se la sede dell'arbitrato non è in Italia, il tribunale del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata. Resta salvo il disposto degli artt. 677 ss. in ordine all'esecuzione dei sequestri concessi dagli arbitri. Competente è il tribunale previsto dal primo comma». La Relazione illustrativa alla riforma osserva che il mantenimento in capo al giudice ordinario dei poteri necessari per l'attuazione del provvedimento cautelare risponde alla constatazione che gli arbitri, in quanto privati, sono sprovvisti di ius imperii e non posseggono poteri coercitivi, necessari in sede di attuazione. Mancata previsione nella convenzione del cautelare in arbitratoDetto questo, se la convenzione di arbitrato non attribuisce agli arbitri poteri cautelari, il potere rimane al giudice e trovano applicazione le regole previgenti. La parte che, in presenza di una controversia compromessa in arbitri, ambisca al rilascio di un provvedimento cautelare deve agire dinanzi al giudice ordinario, il quale farà in buona sostanza applicazione della ordinaria disciplina del procedimento cautelare uniforme. La materia è regolata dagli artt. 669-quinquies, 669-octies, 669-novies e 669-decies c.p.c.. Secondo la prima delle menzionate disposizioni, in caso di controversia devoluta alla cognizione arbitrale, la domanda cautelare «si propone al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito» (in ogni caso al tribunale anche qualora la causa sia di competenza del giudice di pace: art. 669-ter c.p.c.), con l’aggiunta, introdotta dall’ultima novella, «salvo quanto disposto dall’art. 818, primo comma». Trovano pertanto applicazione gli ordinari criteri di radicamento della competenza: in breve, cioè, la domanda cautelare si propone al medesimo giudice al quale essa sarebbe stata proposta se la controversia non fosse stata oggetto di compromesso o clausola compromissoria. Secondo l’art. 669-octies, comma 5, c.p.c., che quanto ai termini rinvia ai precedenti commi 1 e 2, se è stato pronunciato un cautelare ante causam, e la controversia è devoluta alla cognizione arbitrale, il beneficiario del provvedimento cautelare deve introdurre il giudizio arbitrale entro il termine fissato dal giudice o, in mancanza, entro sessanta giorni. A tal fine, la parte «deve notificare all'altra un atto nel quale dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri». Secondo l’art. 669-novies c.p.c. la mancata introduzione del giudizio arbitrale determina l’inefficacia del provvedimento cautelare rilasciato: tuttavia sorge in questo caso, come d’ordinario, il problema della distinzione tra cautelari anticipatori, per i quali il giudizio di merito non è indispensabile, e cautelari conservativi, per i quali, invece, occorre introdurre il giudizio di merito a pena di inefficacia del provvedimento adottato. Ed infatti, la regola dell’introduzione del giudizio di merito, in applicazione dell’art 669-octies, comma 6, c.p.c., non si applica «ai provvedimenti d’urgenza emessi ai sensi dell’art. 700 e agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito». Ulteriori ipotesi di inefficacia del provvedimento cautelare sono previste dall’art. 669-novies c.p.c.: l’estinzione del giudizio di merito (comma 1), l’omesso versamento della cauzione di cui all’art. 669-undecies c.p.c. e la «pronuncia di un lodo che dichiari l’inesistenza del diritto a cautela del quale la misura cautelare è stata concessa». È inoltre stabilito che il provvedimento cautelare pronunciato prima dell’introduzione del giudizio arbitrale italiano o estero perda efficacia se il beneficiario, una volta conclusosi detto giudizio, non presenti nei termini domanda di esecutorietà del lodo arbitrale. Ove il lodo dichiari inesistente il diritto sottoposto a cautela, l’inefficacia discende automaticamente dalla pronuncia del lodo, indipendentemente dal decorso dei termini per impugnare. Secondo l’art. 669-decies c.p.c., se la causa di merito è devoluta alla cognizione arbitrale, i provvedimenti di revoca e modifica del cautelare sono richiesti al giudice che ha emanato il provvedimento cautelare medesimo. L’art. 669-duodecies c.p.c., infine, che regola l’attuazione del procedimento cautelare, attribuisce il compito al giudice che ha emesso il provvedimento, aggiungendo che «ogni altra questione va proposta nel giudizio di merito», ossia, in caso di controversia compromessa in arbitri, nel giudizio arbitrale. Un’ultima notazione va fatta al procedimento di istruzione preventiva, che, in caso di compromesso o clausola compromissoria, si riteneva precluso dalle regole dettate dal procedimento cautelare uniforme. Occorre dire che detto limite è caduto giacché la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3, comma 1, e 24, comma 2, cost., l'art. 669 quaterdecies c.p.c., nella parte in cui, escludendo l'applicazione dell'art. 669 quinquies c.p.c. ai provvedimenti di cui all'art. 696 c.p.c., impedisce, in caso di clausola compromissoria, di compromesso o di pendenza di giudizio arbitrale, la proposizione della domanda di accertamento tecnico-preventivo al giudice che sarebbe competente a conoscere del merito (Corte cost. n. 26/2010). Di Marzio Mauro BibliografiaAuletta F., Dell'arbitrato, in Sassani B. (a cura di), La riforma delle società. Il processo, Torino, 2003, 336; Bertoldi, Art. 813-bis. 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