Codice di Procedura Civile art. 822 - Norme per la deliberazione 1

Mauro Di Marzio

Norme per la deliberazione1

[I]. Gli arbitri decidono secondo le norme di diritto, salvo che le parti abbiano disposto con qualsiasi espressione che gli arbitri pronunciano secondo equità.

[II]. Quando gli arbitri sono chiamati a decidere secondo le norme di diritto, le parti, nella convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all'instaurazione del giudizio arbitrale, possono indicare le norme o la legge straniera quale legge applicabile al merito della controversia. In mancanza, gli arbitri applicano le norme o la legge individuate ai sensi dei criteri di conflitto ritenuti applicabili2.

[1] Articolo sostituito dall'art. 23, d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006. Ai sensi dell'art. 27, comma 4, d.lg. n. 40, cit., la disposizione si applica ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del decreto. Precedentemente l'articolo era stato modificato dall'art. 15 l. 5 gennaio 1994, n. 25. Il testo anteriore alla riforma recitava: «[I]. Gli arbitri decidono secondo le norme di diritto, salvo che le parti li abbiano autorizzati con qualsiasi espressione a pronunciare secondo equità».

[2] Comma aggiunto dall'art. 3, comma 53,  del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022, il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

Inquadramento

La disposizione in commento stabilisce la regola secondo cui gli arbitri decidono secondo diritto. Solo se le parti hanno disposto che gli arbitri pronuncino secondo equità essi possono e devono adeguarsi alla volontà delle parti.

Poiché gli arbitri decidono di regola secondo diritto, così come i giudici dello Stato ex art. 113, anche all'arbitrato si applica il principio iura novit curia. Ne discende che essi non possono affidare ad un consulente tecnico la soluzione di quesiti giuridici strumentali alla decisione della controversia (Cass. n. 2765/1989).

La decisione secondo equità

Nel disporre che gli arbitri decidano secondo equità, le parti possono impiegare «qualsiasi espressione», espressione da scrutinarsi ai sensi degli artt. 1362 ss. c.c.

Poiché la norma stabilisce che le parti «dispongono» che gli arbitri pronuncino secondo equità, essi hanno l'obbligo e non semplicemente la facoltà di decidere secondo equità (v. già prima della novella della disposizione (Cass. n. 2879/1988; Cass. n. 3414/1981). Nulla esclude, peraltro, che le parti attribuiscano agli arbitri una semplice facoltà e non un obbligo di decidere secondo equità. D'altro canto, gli arbitri rituali, autorizzati a pronunciare secondo equità ai sensi dell'art. 822, ben possono decidere secondo diritto allorché essi ritengano che diritto ed equità coincidano, senza che sia per essi necessario affermare e spiegare tale coincidenza, che può desumersi anche implicitamente dal complesso delle argomentazioni svolte a sostegno della decisione, potendosi configurare l'esistenza di un vizio riconducibile alla violazione dei limiti del compromesso solo quando gli arbitri neghino a priori la possibilità di avvalersi dei poteri equitativi loro conferiti (Cass. n. 18452/2011; Cass. n. 6993/2003).

La S.C. ha chiarito che la clausola «gli arbitri giudicheranno secondo diritto ed equità» deve essere interpretata nel senso che il giudizio si deve svolgere secondo il diritto finché la soluzione da adottare non contrasti con l'equità e che deve, invece, concludersi con una pronuncia secondo equità allorquando questa risulti contraria e non adeguata ad una decisione rigorosamente giuridica (Cass. n. 2698/1962). Inoltre, secondo un indirizzo ribadito, deve essere interpretata come riferita alla decisione secondo equità la clausola che qualifica gli arbitri come amichevoli compositori (Cass. n. 833/1999; Cass. n. 874/1995; Cass. n. 8075/1994). Al contrario, la previsione della non impugnabilità del lodo contenuta nella clausola compromissoria non implica, ipso facto, il conferimento agli arbitri del potere-dovere di decidere secondo equità, atteso che la non impugnabilità può essere legittimamente convenuta, tra le parti contraenti, anche con riferimento all'ipotesi di pronunzia del lodo secondo diritto (Cass. n. 14008/2002; Cass. n. 6638/1988).

Gli arbitri autorizzati a pronunciare secondo equità sono svincolati dalla rigorosa osservanza delle norme di diritto, avendo facoltà di ricorrere ai criteri e principi di prudenza e di opportunità che appaiano più equi alla loro coscienza, con la conseguenza che resta(va) preclusa, ai sensi dell'art. 829, comma 2, l'impugnazione per nullità del lodo per violazione delle norme di diritto sostanziale o in generale per errores in iudicando (Cass. n. 8563/1993): si rammenti, oggi, che l'esclusione dell'impugnazione per violazione delle regole di diritto applicabile al merito della controversia è sancita come regola generale dall'art. 829. Naturalmente, l'autorizzazione agli arbitri a pronunciare secondo equità comporta(va) preclusione dell'impugnazione per nullità del lodo per violazione delle norme di diritto sostanziale o, in generale, per errores in iudicando che non si traducano nell'inosservanza di norme fondamentali e cogenti di ordine pubblico, dettate a tutela di interessi generali e perciò non derogabili dalla volontà delle parti (Cass. S.U., n. 10827/1993). Nello stesso senso vale richiamare il disposto dell'art. 829, comma 3, che, nello stabilire la regola della non impugnabilità del lodo per error in iudicando, fa salva in ogni caso l'impugnazione per contrarietà all'ordine pubblico.

D'altro canto la norma in forza della quale gli arbitri, anche quando hanno la facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio arbitrale nel modo che ritengono più opportuno, debbono in ogni caso assegnare alle parti i termini per presentare documenti e memorie, e per esporre le loro repliche, ha carattere inderogabile e serve a far conoscere alle parti i risultati dell'istruttoria per le loro deduzioni e difese a seguito dell'istruttoria espletata: dunque il collegio arbitrale che, pur se autorizzato a decidere secondo equità, conceda alle parti un unico termine per presentare documenti e memorie, e per esporre le repliche, viola la norma suddetta, atteso che la facoltà di replica, per poter essere concretamente esercitata, postula che le parti, dopo la chiusura dell'istruttoria (orale o documentale che sia), abbiano a disposizione un lasso di tempo, in aggiunta a quello concesso per l'espletamento dell'istruttoria, per valutare gli elementi raccolti e (eventualmente) controdedurre (Cass. n. 3006/1996).

Qualora il compromesso affidi agli arbitri il compito di decidere secondo equità, la pronuncia del lodo secondo diritto integra un errore in procedendo, come tale denunciabile con l'impugnazione per nullità, ai sensi dell'art. 829, comma 1, n. 4, senza che sia onere del denunciante dedurre e dimostrare che la statuizione sia difforme da quella che sarebbe stata adottata in applicazione del parametro equitativo (Cass. n. 13968/2011; Cass. n. 2879/1988).

Al di fuori di tale ipotesi, è preclusa, ai sensi dell'art. 829, comma 2, ultima parte, l'impugnazione per nullità del lodo di equità per violazione delle norme di diritto sostanziale, o, in generale, per errores in iudicando, che non si traducano nell'inosservanza di norme fondamentali e cogenti di ordine pubblico, dettate a tutela di interessi generali e perciò non derogabili dalla volontà delle parti, né suscettibili di formare oggetto di compromesso (Cass. n. 16553/2020).

La scelta della legge applicabile

La riforma del 2022 (d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149) ha aggiunto un comma alla disposizione in esame, in forza del quale, quando gli arbitri sono chiamati a decidere secondo le norme di diritto, le parti possono indicare le norme o la legge straniera quale legge applicabile al merito della controversia. Tale indicazione può avvenire nella convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all'instaurazione del giudizio arbitrale. In mancanza di tale indicazione, gli arbitri applicano le norme o la legge individuate ai sensi dei criteri di conflitto ritenuti applicabili. La disposizione intende realizzare un intervento migliorativo della disciplina dell'arbitrato, avvicinandola a quella di altri ordinamenti stranieri mediante il riconoscimento alle parti dei poteri di optio legis. La modifica individua sia l'atto (la convenzione di arbitrato o una scrittura anteriore all'instaurazione del giudizio arbitrale) sia la scansione temporale per l'esercizio del potere delle parti di indicare le norme straniere applicabili, fermo restando che in difetto di optio iuris gli arbitri applicano le norme o la legge individuate ai sensi dei criteri di conflitto ritenuti applicabili.

Bibliografia

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