Codice di Procedura Civile art. 829 - Casi di nullità 1 .

Mauro Di Marzio

Casi di nullità1.

[I]. L'impugnazione per nullità è ammessa, nonostante qualunque preventiva rinuncia, nei casi seguenti:

1) se la convenzione d'arbitrato è invalida, ferma la disposizione dell'articolo 817, terzo comma;

2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi prescritti nei capi II e VI del presente titolo, purché la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale;

3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell'articolo 812;

4) se il lodo ha pronunciato fuori dei limiti della convenzione d'arbitrato, ferma la disposizione dell'articolo 817, quarto comma, o ha deciso il merito della controversia in ogni altro caso in cui il merito non poteva essere deciso;

5) se il lodo non ha i requisiti indicati nei numeri 5), 6), 7) dell'articolo 823;

6) se il lodo è stato pronunciato dopo la scadenza del termine stabilito, salvo il disposto dell'articolo 821;

7) se nel procedimento non sono state osservate le forme prescritte dalle parti sotto espressa sanzione di nullità e la nullità non è stata sanata;

8) se il lodo è contrario ad altro precedente lodo non più impugnabile o a precedente sentenza passata in giudicato tra le parti purché tale lodo o tale sentenza sia stata prodotta nel procedimento;

9) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio;

10) se il lodo conclude il procedimento senza decidere il merito della controversia e il merito della controversia doveva essere deciso dagli arbitri;

11) se il lodo contiene disposizioni contraddittorie;

12) se il lodo non ha pronunciato su alcuna delle domande ed eccezioni proposte dalle parti in conformità alla convenzione di arbitrato.

[II]. La parte che ha dato causa a un motivo di nullità, o vi ha rinunciato, o che non ha eccepito nella prima istanza o difesa successiva la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale, non può per questo motivo impugnare il lodo.

[III]. L'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge. È ammessa in ogni caso l'impugnazione delle decisioni per contrarietà all'ordine pubblico.

[IV]. L'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è sempre ammessa:

1) nelle controversie previste dall'articolo 409;

2) se la violazione delle regole di diritto concerne la soluzione di questione pregiudiziale su materia che non può essere oggetto di convenzione di arbitrato.

[V]. Nelle controversie previste dall'articolo 409, il lodo è soggetto ad impugnazione anche per violazione dei contratti e accordi collettivi.

[1] Articolo sostituito dall'art. 24 d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006. Ai sensi dell'art. 27, comma 4, d.lg. n. 40, cit., le disposizioni «si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente all'entrata in vigore del presente decreto». Precedentemente l'articolo era stato sostituito dall'art. 21 l. 5 gennaio 1994, n. 25. Il testo anteriore alla riforma recitava: «[I]. L'impugnazione per nullità è ammessa, nonostante qualunque rinuncia, nei casi seguenti: 1) se il compromesso è nullo; 2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi prescritti nei capi I e II del presente titolo, purché la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale; 3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell'articolo 812; 4) se il lodo ha pronunciato fuori dei limiti del compromesso o non ha pronunciato su alcuno degli oggetti del compromesso o contiene disposizioni contraddittorie, salva la disposizione dell'articolo 817; 5) se il lodo non contiene i requisiti indicati nei numeri 3, 4, 5 e 6 del secondo comma dell'articolo 823, salvo il disposto del terzo comma di detto articolo; 6) se il lodo è stato pronunciato dopo la scadenza del termine indicato nell'articolo 820, salvo il disposto dell'articolo 821; 7) se nel procedimento non sono state osservate le forme prescritte per i giudizi sotto pena di nullità, quando le parti ne avevano stabilita l'osservanza a norma dell'articolo 816 e la nullità non è stata sanata; 8) se il lodo è contrario ad altro precedente lodo non più impugnabile o a precedente sentenza passata in giudicato tra le parti, purché la relativa eccezione sia stata dedotta nel giudizio arbitrale; 9) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorio. [II]. L'impugnazione per nullità è altresì ammessa se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto, salvo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile. [III]. Nel caso previsto nell'articolo 808, secondo comma, il lodo è soggetto all'impugnazione anche per violazione e falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi».

Inquadramento

La disposizione in commento reca una tassativa elencazione dei possibili motivi dell'impugnazione per nullità, la quale, come tale, si configura come impugnazione a critica limitata, proponibile, per l'appunto, nei soli limiti fissati dalla norma.

Essa è stata novellata dal d.lgs. n. 40/2006, che: a) ha elevato il numero dei motivi da nove a dodici, distribuendoli diversamente, ma non innovando sostanzialmente rispetto al passato; b) ha introdotto una previsione di sanatoria dei vizi processuali cui la parte abbia dato causa, o ai quali abbia rinunciato ovvero che non abbia eccepito nel corso dell'arbitrato; c) ha ribaltato il rapporto regola-eccezione con riguardo all'impugnabilità del lodo per violazione delle regole di diritto applicabili al merito della controversia.

Nel complesso, l'impugnazione per nullità rimane congegnata come impugnazione a critica limitata, con duplice fase rescindente e rescissoria, nella quale il merito della controversia sottoposta all'esame degli arbitri è suscettibile di essere riconsiderato solo se il giudizio rescindente abbia esito positivo e, cioè, se venga riscontrato alcuno dei motivi di nullità normativamente indicati.

La valutazione dei fatti dedotti dalle parti nel giudizio arbitrale e delle prove acquisite nel corso del procedimento non può dunque essere contestata per mezzo dell'impugnazione per nullità del lodo ordinanza (Cass. n. 16553/2020).

In sede di ricorso per cassazione, il lodo non è mai sottoposto al giudizio della Corte di cassazione. In sede di ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia deciso sull'impugnazione per nullità del lodo arbitrale, cioè, la Corte di cassazione non può apprezzare direttamente il lodo arbitrale, ma solo la decisione impugnata nei limiti dei motivi di ricorso relativi alla violazione di legge e, ove ancora ammessi, alla congruità della motivazione della sentenza resa sul gravame, non potendo peraltro sostituire il suo giudizio a quello espresso dalla Corte di merito sulla correttezza della ricostruzione dei fatti e della valutazione degli elementi istruttori operata dagli arbitri (Cass. n. 2985/2018).

Poiché l'impugnazione per nullità è ammessa, nonostante qualunque preventiva rinuncia, le parti non possono preventivamente escludere l'impugnazione per nullità per errores in procedendo (Cass. n. 12543/2013). È invece ammessa la rinuncia successiva alla pronuncia del lodo.

I singoli casi di nullità

I casi di nullità, in presenza dei quali l'impugnazione è ammessa nonostante qualunque preventiva rinuncia, sono elencati dall'art. 829 come segue:

1) se la convenzione d'arbitrato è invalida, ferma la disposizione dell'art. 817, comma 3, secondo il quale la parte che non eccepisce nel corso dell'arbitrato che le conclusioni delle parti esorbitano dai limiti della convenzione arbitrale non può, per questo motivo, impugnare il lodo; è stato in proposito chiarito che le nullità del patto compromissorio, menzionate nell'art. 829, comma 1, n. 1, non sono solo quelle che derivano da vizi di forma estrinseca, ma comprendono anche quelle che traggono origine dai limiti di compromettibilità della controversia e da ogni altra ipotesi di nullità, annullabilità o inefficacia che determini l'insussistenza — originaria o sopravvenuta — della volontà contrattuale delle parti, la quale costituisce il fondamento della potestà decisoria degli arbitri, dovendosi la nozione di nullità di cui alla norma citata riferire a tutti i casi di radicale inidoneità del negozio compromissorio a produrre i suoi effetti; in tali ipotesi, il giudice dell'impugnazione, ravvisata la carenza di detta potestà decisoria, si limita a dichiarare la nullità del lodo e si astiene dal passare alla fase rescissoria del giudizio, senza alcun pregiudizio per le parti, che restano libere di riproporre le loro domande nella sede che ritengano più opportuna (Cass. n. 8206/2004; Cass. n. 21215/2014); a ciò deve aggiungersi che, a norma della disposizione medesima, il difetto di potestas iudicandi del collegio arbitrale può essere rilevato anche d'ufficio, indipendentemente dalla sua precedente deduzione nella fase apud arbitros, soltanto qualora derivi dalla nullità del compromesso o della clausola compromissoria (che, ad esempio, prevedano l'affidamento di un incarico arbitrale a soggetti diversi da quelli previsti dalla normativa in tema di appalti pubblici, dispongano la devoluzione delle controversie fra società e soci ad un collegio di probiviri nominato senza il voto favorevole del socio in conflitto, ecc.), mentre, in tutti gli altri casi — e, cioè, nelle più semplici ipotesi di nomine avvenute con modalità diverse da quelle previste dalle parti o, in mancanza, dal codice di rito civile — l'irregolare composizione del collegio decidente può costituire motivo di impugnazione soltanto quando essa sia stata già denunciata nel corso del giudizio arbitrale (Cass. n. 10561/2004; Cass. n. 6425/2006; Cass. n. 10729/2013; Cass. n. 21215/2014); ove si deduca la nullità del lodo per inesistenza della clausola compromissoria, alla cognizione del giudice ordinario non possono essere applicati i limiti stabiliti per la valutazione delle altre clausole, né la sanatoria per decadenza dal termine di impugnazione o l'applicazione del principio generale di conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione o ancora la sanatoria del vizio per il comportamento delle parti, poiché in tale ipotesi il giudice deve interpretare previamente la detta previsione contrattuale oggetto di contestazione, per accertare se contenga o meno la volontà di compromettere in arbitri, presupposto per la regolare instaurazione del relativo giudizio (Cass. n. 19917/2017);

2) se gli arbitri non sono stati nominati con le forme e nei modi prescritti nei capi II e VI del medesimo titolo, purché la nullità sia stata dedotta nel giudizio arbitrale; l'impugnazione sotto tale profilo è dunque condizionata dalla deduzione della relativa nullità nell'arco del giudizio arbitrale, senza che possa peraltro porsi alcuna questione di limiti temporali di detta deduzione che si giustifichi con l'esigenza dell'indispensabile rispetto del principio del contraddittorio, restando irrilevante che la relativa deduzione sia sollevata non nella prima difesa della parte eccipiente, ma in una memoria successiva (Cass. n. 2208/2003); è stato precisato che l'obbligo di dedurre nel giudizio arbitrale la nullità della nomina degli arbitri si applica anche al caso in cui la censura si fondi sulla mancanza di chiarezza ed univocità della clausola che prevede le modalità di nomina del terzo arbitro, dal momento che la disposizione in esame non distingue tra le diverse ragioni di difformità della nomina rispetto alle regole dettate in materia (Cass. n. 2139/2003); parimenti la doglianza secondo cui la nomina del terzo arbitro sia avvenuta in maniera difforme da quanto previsto dall'art. 809, comma 2, deve essere dedotta nel giudizio arbitrale e non può essere sollevata per la prima volta in sede di impugnazione (Cass. n. 10561/2004); è stato inoltre chiarito che il vizio afferente l'invalida o irregolare costituzione del collegio arbitrale (anche costituito per obbligo di legge), derivante dal fatto che la nomina sia stata effettuata in violazione dei modi e delle forme di cui ai Capi I e II del titolo VIII del libro IV, va ricondotto non già all'art. 158, relativo al vizio di costituzione del giudice, ma, per l'appunto, alle nullità previste dall'art. 829, comma 1, n. 2, in quanto il lodo arbitrale, che costituisce una decisione per la soluzione della controversia sul piano privatistico, non potrebbe accostarsi a un dictum giurisdizionale (così Cass. n. 13246/2011; di recente Cass. n. 7335/2024);

3) se il lodo è stato pronunciato da chi non poteva essere nominato arbitro a norma dell'art. 812, ossia chi è privo in tutto o in parte della capacità legale di agire;

4) se il lodo ha pronunciato fuori dei limiti della convenzione d'arbitrato (se era affetto, cioè, da vizio di extrapetizione), ferma la disposizione dell'art. 817, comma 4 (ma l'art. 817 non ha un comma 4, sicché il richiamo deve intendersi riferito all'ultimo comma, ossia al comma 3, poc'anzi ricordato), o ha deciso il merito della controversia in ogni altro caso in cui il merito non poteva essere deciso (v. le ipotesi di questioni pregiudiziali non compromettibili contemplate dall'art. 819, nonché quelle di mancanza delle condizioni dell'azione, o di legittimazione processuale, di litisconsorzio necessario); la disposizione concerne un difetto di potestas iudicandi del collegio decidente che, come si è già osservato, può essere rilevato di ufficio nel giudizio di impugnazione, indipendentemente dalla sua precedente deduzione nella fase arbitrale, soltanto qualora derivi dalla nullità del compromesso o della clausola compromissoria (Cass. n. 10132/2006; Cass. n. 21215/2014): in ogni altro caso occorre la preventiva deduzione del vizio nel corso dell'arbitrato; nel caso di impugnazione concernente l'ipotesi contemplata dall'art. 829, n. 4, la corte d'appello, una volta verificato dunque che la questione non sia preclusa ai sensi dell'art. 817, deve prendere in esame la convenzione di arbitrato ed i quesiti e, esclusivamente sulla base della loro rispettiva interpretazione, deve sia verificare l'ambito della clausola compromissoria del compromesso, identificandone l'oggetto nella sua estensione e nei suoi limiti; a tale operazione ermeneutica, in quanto volta ad accertare il contenuto della clausola arbitrale e dei quesiti in relazione alla verifica della potestas iudicandi degli arbitri, resta del tutto estraneo l'esame dell'esistenza delle condizioni sostanziali per l'accoglimento delle domande formulate con i quesiti, ivi comprese le eventuali decadenze o la prescrizione dedotte dalle parti (Cass. n. 9111/1999; Cass. n. 5466/2006); anche la pronuncia secondo diritto quando il compromesso prevedeva la decisione secondo equità configura nullità ai sensi della disposizione in esame (Cass. n. 13968/2011);

5) se il lodo non ha i requisiti indicati nei numeri 5 (esposizione sommaria dei motivi), 6 (dispositivo), 7 (sottoscrizione degli arbitri) dell'art. 823; attraverso questa disposizione, in particolare nella parte in cui richiama l'esposizione sommaria dei motivi, non è consentito far entrare nel giudizio di impugnazione per nullità doglianze concernenti la congruità della motivazione addotta dagli arbitri; è fermo nella giurisprudenza della S.C. l'insegnamento secondo cui l'obbligo di esposizione sommaria dei motivi della decisione imposto agli arbitri dall'art. 823, n. 5, il cui mancato adempimento integra la possibilità di impugnare il lodo per nullità, può ritenersi non soddisfatto solo quando la motivazione manchi del tutto o sia talmente carente da non consentire di comprendere l'iter logico che ha determinato la decisione arbitrale o contenga contraddizioni inconciliabili nel corpo della motivazione o del dispositivo tali da rendere incomprensibile la ratio della decisione (Cass. S.U., n. 24785/2008; Cass. n. 11301/2009; Cass. n. 28218/2013;  Cass. n. 16077/2021): dunque il vizio ricorre se la motivazione o è radicalmente mancante, o è meramente apparente, o è talmente insostenibile da risultare non suscettibile di traduzione in una proposizione di significato comprensibile; se invece una motivazione c'è, condivisibile o no, essa è intangibile; l'impugnazione per nullità del lodo arbitrale, che è impugnazione a critica ristretta, secondo tale impostazione, «non può mirare ad una rivalutazione dei fatti, nemmeno in via di controllo sull'adeguatezza e congruità dell'iter argomentativo seguito dagli arbitri» (così, in motivazione, Cass. n. 5633/1999; conformi, tra le tante, Cass. n. 7259/2004; Cass. n. 21802/2006); anche di recente è stato ribadito che, in tema di impugnazione del lodo arbitrale, il difetto di motivazione, quale vizio riconducibile all'art. 829 n. 5, in relazione all'art. 823 n. 3 stesso codice, è ravvisabile soltanto nell'ipotesi in cui la motivazione del lodo manchi del tutto ovvero sia a tal punto carente da non consentire l'individuazione della ratio della decisione adottata o, in altre parole, da denotare un iter argomentativo assolutamente inaccettabile sul piano dialettico, sì da risolversi in una non-motivazione (Cass. n. 12321/2018); in definitiva, il giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale non costituisce un comune appello avverso la pronuncia degli arbitri, in quanto è limitato all'accertamento delle cause di nullità previste dall'art. 829 e dedotte con l'atto di impugnazione; corollario dei principi enunciati è che appartiene alla valutazione del giudice dell'impugnazione del lodo determinare se esso contenga un'esposizione dei motivi sufficiente a far intendere il percorso logico seguito dagli arbitri, mentre il controllo della S.C. resta limitato ad accertare se la corte di appello abbia adeguatamente motivato in relazione ai motivi di impugnazione del lodo (per tali argomenti v. Cass. n. 13511/2007);

6) se il lodo è stato pronunciato dopo la scadenza del termine stabilito, salvo il disposto dell'art. 821, secondo cui detta nullità non può essere fatta valere se la parte, prima della deliberazione del lodo non abbia notificato alle altre parti ed agli arbitri che intende far valere la loro decadenza; in tal modo la disposizione ha ribaltato l'orientamento precedente secondo cui l'impugnazione del lodo arbitrale, per nullità derivante dalla sua pronuncia dopo la scadenza del termine, postulava soltanto, a norma dell'art. 821, che la parte, dopo il decorso del termine, e prima della pronuncia arbitrale, avesse notificato il proprio intento di far valere la decadenza degli arbitri, e non richiedeva pertanto anche una preventiva diffida agli arbitri stessi, prima di detta scadenza, a non proseguire la loro attività (Cass. n. 22/1986); si è in proposito osservato che il sistema delineato dal combinato disposto degli artt. 821 e 829, nella formulazione successiva alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 40/2006, descrive, con riferimento alla pronuncia del lodo oltre il termine stabilito, una nullità relativa, nel senso che il decorso del termine non può essere fatto valere come causa di nullità del lodo se la parte, prima della deliberazione del lodo stesso, non abbia notificato alle altre parti e agli arbitri l'intenzione di far valere la loro decadenza, con ciò disponendo in merito alla nullità; tale notificazione, pertanto, non costituisce una mera eccezione da proporsi nell'ambito del procedimento arbitrale, ma un atto, imprescindibile, in difetto del quale la nullità del lodo non può essere fatta valere (Cass. n. 889/2012); bisogna in ogni caso aver presente che il lodo arbitrale emesso oltre il termine non è, benché nullo, emesso in carenza radicale di potestas iudicandi degli arbitri, atteso il disposto dell'art. 821, con la conseguenza che la declaratoria di nullità del lodo per tale causa non impedisce alla corte di appello il passaggio alla fase rescissoria ai sensi dell'art. 830, comma 2 (Cass. n. 4207/2006);

7) se nel procedimento non sono state osservate le forme prescritte dalle parti sotto espressa sanzione di nullità e la nullità non è stata sanata; tale previsione, diversamente dal passato, attribuisce alle parti il potere di stabilire nullità aventi ad oggetto la violazione di regole del procedimento anche al di là delle previsioni codicistiche;

8) se il lodo è contrario ad altro precedente lodo non più impugnabile o a precedente sentenza passata in giudicato tra le parti purché tale lodo o tale sentenza sia stata prodotta nel procedimento; detta disposizione consente l'impugnazione del lodo soltanto se contrario ad una «precedente sentenza» passata in giudicato tra le parti che sia stata prodotta nel procedimento arbitrale, essendo quindi inidonea a rendere nullo il lodo la decisione che risalga ad epoca successiva alla sua pronuncia (Cass. n. 28827/2017);

9) se non è stato osservato nel procedimento arbitrale il principio del contraddittorioperaltro, la questione della violazione del contraddittorio deve essere esaminata non sotto il profilo formale ma nell'ambito di una ricerca volta all'accertamento di una effettiva lesione della possibilità di dedurre e contraddire, onde verificare se l'atto abbia egualmente raggiunto lo scopo di instaurare un regolare contraddittorio e se, comunque, l'inosservanza non abbia causato pregiudizio alla parte; ne consegue che la nullità del lodo e del procedimento devono essere dichiarate solo ove nell'impugnazione, alla denuncia del vizio idoneo a determinarle, segua l'indicazione dello specifico pregiudizio che esso abbia arrecato al diritto di difesa (Cass. n. 18600/2020); qualora le parti non abbiano determinato, nel compromesso o nella clausola compromissoria, le regole processuali da adottare, in particolare, gli arbitri sono liberi di regolare l'articolazione del procedimento nel modo che ritengano più opportuno, anche discostandosi dalle prescrizioni dettate dal codice di rito, con l'unico limite del rispetto dell'inderogabile principio del contraddittorio, posto dall'art. 101, il quale, tuttavia, va opportunamente adattato al giudizio arbitrale, nel senso che deve essere offerta alle parti, al fine di consentire loro un'adeguata attività difensiva, la possibilità di esporre i rispettivi assunti, di esaminare ed analizzare le prove e le risultanze del processo, anche dopo il compimento dell'istruttoria e fino al momento della chiusura della trattazione, nonché di presentare memorie e repliche e conoscere in tempo utile le istanze e richieste avverse (Cass. n. 10809/2015); l'osservanza di tale principio deve dunque realizzarsi in piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo, il che impone agli arbitri di consentire alle parti di esporre i rispettivi assunti, di conoscere le prove e le risultante del processo, di presentare entro un termine prefissato memorie e repliche e di prendere visione in un tempo utile delle istanze e delle richieste avversarie (Cass. n. 1496/2001); non ricorre la nullità ad es. nel caso di mancata fissazione, da parte del collegio arbitrale, di un'udienza specificatamente destinata alla formulazione delle conclusioni o alla discussione, gravando sulle parti, qualora dopo il deposito delle rispettive note difensive la causa venga informalmente discussa, l'onere di richiedere un eventuale termine per ulteriori note e repliche e, eventualmente, la fissazione di un'udienza formale di discussione (Cass. n. 12453/1999); il limite del rispetto del principio del contraddittorio, insomma, va opportunamente adattato al giudizio arbitrale, dovendo essere offerta alle parti, al fine di consentire loro un'adeguata attività difensiva, la possibilità di esporre i rispettivi assunti, di esaminare e analizzare le prove e le risultanze del processo, di presentare memorie e repliche e conoscere in tempo utile le istanze e richieste avverse (Cass. n. 8331/2018, che ha confermato la sentenza con la quale la corte di appello, preso atto della nullità della notifica dell'originario atto introduttivo del giudizio arbitrale in quanto eseguita nei confronti degli organi sociali invece che del commissario liquidatore dopo l'apertura della liquidazione coatta amministrativa, aveva considerato regolarmente introdotto il procedimento arbitrale nei confronti del commissario attraverso la notifica della domanda unitamente alla copia dell'ordinanza arbitrale di rinvio della prima udienza ancorché priva di sottoscrizione e di certificazione di conformità all'originale).

10) se il lodo conclude il procedimento senza decidere il merito della controversia e il merito della controversia doveva essere deciso dagli arbitri; tale disposizione regola il caso in cui gli arbitri abbiano definito il procedimento con una pronuncia di rito, affermando l'esistenza di un impedimento processuale in realtà non sussistente;

11) se il lodo contiene disposizioni contraddittorie; a tal riguardo va richiamato l'indirizzo formatosi con riferimento al n. 4 del previgente art. 829, secondo cui la nullità ivi prevista non corrisponde a quella dell'art. 360, comma 1, n. 5, ma va intesa nel senso che detta contraddittorietà deve emergere tra le diverse componenti del dispositivo, ovvero tra la motivazione ed il dispositivo, mentre la contraddittorietà interna tra le diverse parti della motivazione, non espressamente prevista tra i vizi che comportano la nullità del lodo, può assumere rilevanza, quale vizio del lodo, soltanto in quanto determini, come si evidenziava poc'anzi, l'impossibilità assoluta di ricostruire l'iter logico e giuridico sottostante alla decisione per totale assenza di una motivazione riconducibile al suo modello funzionale (Cass. n. 2747/2021; Cass. n. 291/2021Cass. n. 11895/2014; Cass. n. 3768/2006; Cass. n. 6069/2004);

12) se il lodo non ha pronunciato su alcuna delle domande ed eccezioni proposte dalle parti in conformità alla convenzione di arbitrato. La nullità del lodo per omessa pronunzia su domande ed eccezioni delle parti, in conformità alla convenzione di arbitrato, exart. 829, comma 1, n. 12, è configurabile solo nel caso di mancatoesame, da parte degli arbitri, di questioni di merito e non anche di rito, nel qual caso l'impugnazione per nullità può essere proposta soltanto, in base ad altri numeri del medesimo art. 829, per far valere la mancanza delle condizioni per la decisione nel merito da parte degli arbitri (Cass. n. 15613/2021).

Lo stesso art. 829 stabilisce poi:

i) che la parte che ha dato causa a un motivo di nullità, o vi ha rinunciato, o che non ha eccepito nella prima istanza o difesa successiva la violazione di una regola che disciplina lo svolgimento del procedimento arbitrale, non può per questo motivo impugnare il lodo.

ii) che l'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge; è ammessa in ogni caso l'impugnazione delle decisioni per contrarietà all'ordine pubblico; non costituisce causa di nullità del lodo per contrasto con l'ordine pubblico la circostanza che l'arbitro abbia statuito circa il risarcimento del danno derivante da un contratto di mediazione concluso con un soggetto non iscritto al ruolo dei mediatori, in quanto la nozione di ordine pubblico cui rinvia l'art. 829, comma 3, c.p.c. coincide con le norme fondamentali dell'ordinamento, tra cui non rientra la regola organizzativa posta dall'art. 6 della l. n. 39 del 1989 (Cass. n. 21850/2020); è cioè preclusa l'impugnazione per nullità del lodo di equità per violazione delle norme di diritto sostanziale, o, in generale, per errores in iudicando, che non si traducano nell'inosservanza di norme fondamentali e cogenti di ordine pubblico, dettate a tutela di interessi generali e perciò non derogabili dalla volontà delle parti, né suscettibili di formare oggetto di compromesso (Cass. n. 16553/2020);

iii) che l'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è sempre ammessa: 1) nelle controversie previste dall'art. 409, ossia nelle controversie in materia di lavoro; 2) se la violazione delle regole di diritto concerne la soluzione di questione pregiudiziale su materia che non può essere oggetto di convenzione di arbitrato.

iv) che nelle controversie previste dall'art. 409, il lodo è soggetto ad impugnazione anche per violazione dei contratti e accordi collettivi.

Gli errores in iudicando

Come si diceva, emerge dall'art. 829 una impugnazione a critica limitata, ammissibile cioè esclusivamente sulla base della deduzione di uno o più motivi specificamente riconducibili alla previsione normativa. Assume significativo rilievo, in particolare, la regola secondo cui, salvo che l'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia non sia prevista direttamente dalla legge, essa è ammessa soltanto se espressamente disposta dalle parti, mentre è ammessa in ogni caso l'impugnazione delle decisioni per contrarietà all'ordine pubblico. 

Al di fuori della previsione normativa dell'impugnazione per violazione delle regole di diritto applicabili al merito della controversia, la S.C., nel soffermarsi sull'interpretazione del comma 3 dell'art. 829, ha prestato di recente adesione all'opinione della dottrina (Nela, 919; Zucconi Galli Fonseca, 2007, 769; Punzi, 2007, 435), manifestata in controtendenza rispetto alla legge-delega, che ha per l'appunto inteso in tal modo limitare l'ampiezza del controllo giudiziario sul lodo, garantendo a quest'ultimo una maggior stabilità, secondo cui le convenzioni concluse prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 40/2006, che ha riformato la disciplina codicistica dell'arbitrato, continuerebbero ad essere regolate dalla legge previgente, che disponeva l'impugnabilità del lodo per violazione della legge sostanziale, a meno che le parti non avessero stabilito diversamente, e che la salvezza di tali convenzioni dovrebbe ritenersi insita nel sistema, pur in difetto di un'esplicita previsione della norma transitoria (Cass. n. 6148/2012, in Riv. arb. 2013, 411, con nota di Notarpasquale, cui la successiva giurisprudenza si è adeguata).

Insorto contrasto su tale soluzione, sono intervenute le Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 9284/2016), le quali hanno stabilito che:

- l'art. 829, comma 3, come riformulato dall'art. 24 d.lgs. n. 40/2006, si applica, ai sensi della disposizione transitoria di cui all'art. 27 d.lgs. n. 40 cit., a tutti i giudizi arbitrali promossi dopo l'entrata in vigore della novella, ma, per stabilire se sia ammissibile l'impugnazione per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, la legge - cui l''art. 829, comma 3, rinvia - va identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato, sicché, in caso di convenzione cd. di diritto comune stipulata anteriormente all'entrata in vigore della nuova disciplina, nel silenzio delle parti deve intendersi ammissibile l'impugnazione del lodo, così disponendo l''art. 829, comma 2, nel testo previgente, salvo che le parti stesse avessero autorizzato gli arbitri a giudicare secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile;

- lo stesso comma 3 si applica, ai sensi del citato art. 27, a tutti i giudizi arbitrali promossi dopo l'entrata in vigore della novella, ma, per stabilire se sia ammissibile l'impugnazione per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, la legge - cui l''art. 829, comma 3 - va identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato, sicché, in caso di clausola compromissoria societaria, inserita nello statuto anteriormente alla novella, è ammissibile l'impugnazione del lodo per errores in iudicando ove "gli arbitri, per decidere, abbiano conosciuto di questioni non compromettibili ovvero quando l'oggetto del giudizio sia costituito dalla validità delle delibere assembleari", così espressamente disponendo la legge di rinvio, da identificarsi con l'art. 36 d.lgs. n. 5/2003.

Al dibattito sembra aver posto fine la Corte costituzionale, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell''art. 829, comma 3, come sostituito dall'art. 24 d.lgs. n. 40/2006, in combinato disposto con l'art. 27, comma 4, del medesimo decreto legislativo, sollevata dalla Corte di appello di Milano, in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost. Questo il caso da cui si è originata la pronuncia del giudice delle leggi. Viene promosso dinanzi alla Corte d'appello di Milano un giudizio di impugnazione per nullità di un lodo rituale, lodo pronunciato all'esito di un arbitrato introdotto con domanda proposta dopo il 2 marzo 2006, ma sulla base di una convenzione di arbitrato stipulata in data precedente. Sorge, nel giudizio di impugnazione, questione in ordine all'ammissibilità delle censure di violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia. Difatti, quelle censure sarebbero ammissibili alla luce della lettura dell''art. 829, comma 3, data daCass. S.U. n. 9284/2016. Quest'ultima decisione, difatti, ha affermato, come si è detto, che l'art. 829, comma 3, come riformulato dal d.lgs. n. 40/2006, entrato in vigore per l'appunto il 2 marzo 2006, si applica a tutti i giudizi arbitrali promossi dopo l'entrata in vigore della novella, ma, per stabilire se sia ammissibile l'impugnazione per violazione delle regole di diritto sul merito della controversia, la legge, cui l'art. 829, comma 3, c.p.c., rinvia, va identificata in quella vigente al momento della stipulazione della convenzione di arbitrato, sicché, in caso di convenzione stipulata anteriormente all'entrata in vigore della nuova disciplina, nel silenzio delle parti deve intendersi ammissibile l'impugnazione del lodo, così disponendo l'art. 829, comma 2, nel testo previgente, salvo che le parti stesse avessero autorizzato gli arbitri a giudicare secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile. Secondo la Corte d'appello, però, l'art. 829, comma 3, nella lettura accolta dalle Sezioni Unite, sarebbe incostituzionale sia in relazione all'art. 3 Cost., per violazione del principio di uguaglianza, comportando una disparità di trattamento tra situazioni analoghe, sia per violazione del principio dell'autonomia privata e della libertà contrattuale stabilito dall'art. 41 Cost. Per comprendere i termini della questione occorre fare alcuni passi indietro. Prima della riforma del giudizio arbitrale del 2006 l''art. 829, comma 2, stabiliva che: «L'impugnazione per nullità è altresì ammessa se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto, salvo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile». La norma, dunque, attribuiva al silenzio delle parti, al momento della convenzione di arbitrato, un preciso significato: quello di consentire l'impugnazione per errores in iudicando. Con la riforma, la materia è stata regolata dall'art. 829, comma 3, secondo cui: «L'impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge». La norma ha cioè capovolto, rispetto al passato, il significato del silenzio delle parti al momento della convenzione di arbitrato: se essi hanno taciuto l'impugnazione per errores in iudicando non è ammessa, a meno che non sia prevista dalla legge. La riforma contiene inoltre al riguardo una disposizione di diritto transitorio, art. 27, comma 4, del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ove è stabilito che: «Le disposizioni degli artt. 21, 22, 23, 24 e 25 si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato é stata proposta successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto», ossia al 2 marzo 2006. In particolare, poi, la disposizione transitoria richiama anche l'art. 24, che è per l'appunto quello che ha novellato l''art. 829, ivi compreso il terzo comma. Il dato normativo, dunque, in sé è chiarissimo. Stando al testo di legge, se la convenzione di arbitrato, stipulata prima del 2 marzo 2006, tace sul punto, e l'arbitrato ha inizio dopo la stessa data, l'impugnazione per errores in iudicando non è ammessa. Il precetto, tuttavia, ha suscitato nella prevalente dottrina sospetti di incostituzionalità: in buona sostanza perché modifica i termini di impugnabilità in corso del rapporto. La soluzione offerta dalla dottrina ha fatto perlopiù leva sulla lettura del citato art. 27, ed è cioè stata diretta a sostenere che la norma transitoria non fosse in realtà riferibile anche al comma 3 dell''art. 829. La giurisprudenza della cassazione si è inizialmente divisa, una parte nel senso di ammettere, nella situazione in considerazione, il sindacato degli errores in iudicando, l'altra parte nel senso di negarlo. Sicché sono intervenute le Sezioni Unite, affermando il principio poc'anzi citato. L'operazione compiuta è stata in effetti ardita, ma necessitata dall'impossibilità di lavorare sull'art. 27, data la sua inequivocità, con conseguente insussistenza di spazi per un'interpretazione correttiva, costituzionalmente orientata. Le Sezioni Unite, allora, hanno risolto il problema valorizzando l'inciso «dalla legge», contenuto nel terzo comma dell''art. 829: e cioè hanno affermato che la legge cui la disposizione rinvia è, anche, per le convenzioni di arbitrato stipulate prima del 2 marzo 2006, il previgente art. 829, comma 2, norma che, come abbiamo visto, dava al silenzio delle parti un significato di sindacabilità del lodo, nel successivo giudizio di impugnazione per nullità, per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia. 

La Corte costituzionale spezza una lancia a favore della soluzione accolta dalle Sezioni Unite, alla quale riconosce il rilievo del «diritto vivente». Nello scrutinare la censura fondata sull'art. 3 Cost., ossia sulla violazione del principio di uguaglianza, la Corte costituzionale evidenzia che, in realtà, le situazioni comparate dalla Corte milanese non sono affatto omogenee: coloro che hanno stipulato una clausola compromissoria nella vigenza del vecchio testo dell''art. 829, comma 2, si trovano cioè in una situazione diversa rispetto ai contraenti che, dopo il 2 marzo del 2006, vigente la nuova regola, debbono esprimere una specifica volontà per realizzare il medesimo obiettivo dell'impugnazione del lodo per violazione delle regole di diritto. Il punto di riferimento ai fini della valutazione sulla identità delle fattispecie non può — sottolinea la Consulta — essere individuato solo nella data di proposizione dell'arbitrato, in quanto così facendo si astrarrebbe la domanda dal suo contesto, trascurando il quadro normativo in cui la volontà delle parti si è formata e il ruolo che questa assume nell'arbitrato, come suo indefettibile fondamento. In buona sostanza, ciò che riceve il pieno riconoscimento è l'affermazione già svolta dalle Sezioni Unite secondo cui: «Non è possibile che una norma sopravvenuta ascriva al silenzio delle parti un significato convenzionale che le vincoli per il futuro in termini diversi da quelli definiti dalla legge vigente al momento della conclusione del contratto». Il ragionamento si completa con il (necessario, per rendere saldo il ragionamento) riconoscimento della natura sostanziale e non meramente processuale della regola posta dal novellato'art. 829, comma 3, nonché con l'esclusione della violazione del principio tempus regit processum.

È agevole poi il rigetto della questione di costituzionalità svolta in riferimento all'art. 41. Osserva la Corte costituzionale che anche nel regime precedente alla riforma del 2006, l'autonomia negoziale si poneva come momento fondamentale della disciplina dell'arbitrato, in quanto la legge consentiva l'impugnazione del lodo, per violazione delle regole di diritto, salva diversa volontà delle parti. Il mutamento di disciplina, che restringe i motivi di impugnazione del lodo arbitrale non può, quindi, essere considerato come fondato sulla scelta di attribuire un maggiore rilievo all'autonomia delle stesse parti, visto che essa era pienamente salvaguardata anche nel vigore della precedente normativa.

Con riguardo ai limiti posti all'impugnabilità del lodo arbitrale per violazione della legge sostanziale, è stato chiarito che la devoluzione in via esclusiva agli arbitri della ricostruzione in fatto del rapporto controverso, in linea con la scelta operata dalle parti con il compromesso, si riverbera sui confini entro i quali può essere denunciata la nullità del lodo per inosservanza di regole di diritto in iudicando, ed inoltre sui requisiti occorrenti per conferire specificità alla relativa deduzione. Tale denuncia, in quanto ancorata agli elementi accertati dagli arbitri, e quindi circoscritta in ambito analogo a quello della violazione di legge opponibile con il ricorso per cassazione ex art. 360, n. 3 (v. Cass. n. 5370/1997), postula l'allegazione dell'erroneità del canone di diritto applicato rispetto a quegli elementi, di modo che non è proponibile in collegamento con la deduzione di lacune d'indagine e di motivazione, che potrebbero evidenziare l'inosservanza di legge solo in esito al riscontro dell'omesso od inadeguato esame di circostanze di carattere decisivo; la denuncia medesima, inoltre, per ottemperare all'onere della specificazione delle ragioni dell'impugnazione, non può esaurirsi nel richiamo di principi di diritto, con invito al giudice dell'impugnazione di controllarne l'osservanza da parte degli arbitri, ma esige un pertinente riferimento ai fatti ritenuti dagli arbitri, per rendere autosufficiente ed intellegibile la tesi secondo cui le conseguenze tratte da quei fatti violerebbero i principi medesimi (Cass. n. 5633/1999).

In tale prospettiva, il giudizio di impugnazione del lodo arbitrale ha ad oggetto unicamente la verifica della legittimità della decisione resa dagli arbitri, non il riesame delle questioni di merito ad essi sottoposte, sicché l'accertamento in fatto compiuto dagli arbitri, quale è quello concernente l'interpretazione del contratto oggetto del contendere, non è censurabile nel giudizio di impugnazione del lodo, salvo che la motivazione sul punto sia completamente mancate od assolutamente carente (Cass. n. 19602/2020).

Quanto alla impugnazione del lodo per contrarietà all'ordine pubblico, occorre in generale rammentare che, in tema di impugnazione del lodo arbitrale, il rimando alla clausola dell'ordine pubblico da parte dell'art. 829, comma 3, c.p.c. deve essere interpretato in senso restrittivo, come rinvio limitato alle norme fondamentali e cogenti dell'ordinamento, escludendosi, in radice, una nozione «attenuata» di ordine pubblico, che coincide con il c.d. ordine pubblico interno e, cioè, con l'insieme delle norme imperative (Cass. n. 8718/2024).  E' stato escluso che la decisione arbitrale possa essere impugnata per violazione del divieto del patto commissorio, poiché il disposto dell'art. 2744 c.c., pur trattandosi di una norma imperativa, non esprime in sé un valore insopprimibile dell'ordinamento, ma è posto a tutela del patrimonio del contraente, tant'è che lo stesso legislatore ha previsto casi in cui tale divieto non si applica ex art. 6 del d.lgs. n. 170 del 2004 (Cass. n. 27615/2022)

Bibliografia

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