Codice di Procedura Civile art. 830 - Decisione sull'impugnazione per nullità12.[I]. La corte d'appello decide sull'impugnazione per nullità e, se l'accoglie, dichiara con sentenza la nullità del lodo. Se il vizio incide su una parte del lodo che sia scindibile dalle altre, dichiara la nullità parziale del lodo. [II]. Se il lodo è annullato per i motivi di cui all'articolo 829, commi primo, numeri 5), 6), 7), 8), 9), 11) o 12), terzo, quarto o quinto, la corte d'appello decide la controversia nel merito salvo che le parti non abbiano stabilito diversamente nella convenzione di arbitrato o con accordo successivo. Tuttavia, se una delle parti, alla data della sottoscrizione della convenzione di arbitrato, risiede o ha la propria sede effettiva all'estero, la corte d'appello decide la controversia nel merito solo se le parti hanno così stabilito nella convenzione di arbitrato o ne fanno concorde richiesta. [III]. Quando la corte d'appello non decide nel merito, alla controversia si applica la convenzione di arbitrato, salvo che la nullità dipenda dalla sua invalidità o inefficacia. [IV]. Su istanza di parte anche successiva alla proposizione dell'impugnazione, la corte d'appello può sospendere con ordinanza l'efficacia del lodo, quando ricorrono gravi motivi. [1] Articolo sostituito dall'art. 24 d.lg. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006. Ai sensi dell'art. 27, comma 4, d.lg. n. 40, cit., le disposizioni «si applicano ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente all'entrata in vigore del presente decreto». Precedentemente l'articolo era stato sostituito dall'art. 22 l. 5 gennaio 1994, n. 25. Il testo anteriore alla riforma: «[I]. La corte di appello, quando accoglie l'impugnazione, dichiara con sentenza la nullità del lodo; qualora il vizio incida soltanto su una parte del lodo che sia scindibile dalle altre, dichiara la nullità parziale del lodo. [II]. Salvo volontà contraria di tutte le parti, la corte di appello pronuncia anche sul merito, se la causa è in condizione di essere decisa, ovvero rimette con ordinanza la causa all'istruttore, se per la decisione del merito è necessaria una nuova istruzione. [III]. In pendenza del giudizio, su istanza di parte, la corte d'appello può sospendere con ordinanza l'esecutorietà del lodo». [2] In materia di trasferimento alla sede arbitrale di procedimenti pendenti dinanzi all'autorità giudiziaria, v. art. 14 d.l. 12 settembre 2014, n. 132, conv., con modif., in l. 10 novembre 2014, n. 162. InquadramentoAi sensi della norma in commento l'impugnazione per nullità del lodo rituale può a seconda dei casi articolarsi in una duplice fase rescindente e rescissoria, la quale ultima può svolgersi anche dinanzi ad un collegio arbitrale costituito in forza della convenzione di arbitrato già stipulata. È stato difatti in proposito chiarito che il giudizio di impugnazione arbitrale si compone di due fasi, la prima rescindente, finalizzata all'accertamento di eventuali nullità del lodo e che si conclude con l'annullamento del medesimo, la seconda rescissoria, che fa seguito all'annullamento e nel corso della quale il giudice ordinario procede alla ricostruzione del fatto sulla base delle prove dedotte; nella prima fase non è consentito alla corte d'appello procedere ad accertamenti di fatto, dovendo limitarsi all'accertamento delle eventuali nullità in cui siano incorsi gli arbitri, pronunciabili soltanto per determinati errori in procedendo, nonché per inosservanza delle regole di diritto nei limiti previsti dal medesimo art. 829; solo in sede rescissoria al giudice dell'impugnazione è attribuita la facoltà di riesame del merito delle domande, comunque nei limiti del petitum e delle causae petendi dedotte dinanzi agli arbitri, con la conseguenza che non sono consentite né domande nuove rispetto a quelle proposte agli arbitri, né censure diverse da quelle tipiche individuate dall'art. 829 (Cass. n. 20880/2010; Cass. n. 12199/2012). Vi sono tuttavia casi, i quali si individuano per esclusione attraverso l'art. 830, in cui la corte d'appello si limita alla dichiarazione di nullità e, dunque, alla sola pronuncia rescindente. In particolare, la pronuncia rescissoria è ad esempio esclusa: i) in caso di inesistenza della convenzione di arbitrato (Cass. n. 22083/2009; Cass. n. 19025/2003); in caso di inesistenza del lodo arbitrale, per mancanza del compromesso o della clausola compromissoria, ovvero perché la materia affidata alla decisione degli arbitri è estranea a quelle suscettibili di formare oggetto di compromesso, alla corte d'appello è precluso il passaggio alla fase rescissoria, mancando in radice la potestas decidendi degli arbitri, mentre le eventuali difformità dai requisiti e dalle forme del giudizio arbitrale possono provocare la dichiarazione di nullità del lodo, con la conseguenza che il giudice dell'impugnazione è tenuto a pronunciare nel merito, senza possibilità di distinguere tra le varie ipotesi che abbiano dato luogo alla rilevata censura (Cass. n. 19604/2020); ii) in caso di arbitrato svoltosi su materia non compromettibile (Cass. n. 2598/2006); iii) in caso di compromesso nullo (Cass. n. 8206/2004); iv) in caso di arbitri incapaci o nominati illegittimamente (Cass. n. 1723/2001); v) in caso di vizi attinenti alla potestas iudicandi degli arbitri per aver pronunciato fuori dai limiti del compromesso o per omissione di pronuncia (Cass. n. 11788/2007); vi) in caso di violazione del termine previsto nella convenzione di arbitrato per l'inizio del medesimo (Cass. n. 8739/1998); vii) in caso di difetto di un atto introduttivo del giudizio arbitrale (Cass. n. 15445/2012). Con riguardo al caso del lodo arbitrale emesso oltre il termine, occorre rammentare che esso non è, benché nullo, emesso in carenza radicale di potestas iudicandi degli arbitri, atteso che, a norma dell'art. 821, il decorso del termine per la decisione non può essere fatto valere come causa di nullità del lodo se la parte, prima della deliberazione di quest'ultimo, non abbia notificato alle altre parti e agli arbitri che intende far valere la decadenza, e la possibilità che, con il mancato adempimento di tale onere, la nullità del lodo sia sanata è incompatibile con l'esclusione radicale della potestas iudicandi. Deriva da quanto precede, pertanto, che la declaratoria di nullità del lodo per tale causa non impedisce alla corte di appello il passaggio alla fase rescissoria ai sensi dell'art. 830, comma 2 (Cass. n. 744/2015). Esiti dell'impugnazione per nullitàL'impugnazione per nullità può essere: a) dichiarata inammissibile; b) dichiarata improcedibile; c) rigettata; d) accolta. Va dichiarata anche d'ufficio l'inammissibilità, tra gli altri casi: i) se l'impugnazione è proposta fuori termine (Cass. n. 5649/2000); ii) se è impugnato immediatamente un lodo non definitivo che non contiene alcuna decisione di merito (v. sub art. 827); iii) se l'impugnazione manca del requisito di specificità dei motivi (Cass. n. 6194/1996; Cass. n. 5370/1997); iv) se l'impugnante non rispetta i termini a comparire (v. sub art. 828); v) se l'impugnazione è indirizzata contro un lodo irrituale (Cass. n. 9392/2004; Cass. n. 16049/2004; Cass. n. 2213/2007; Cass. n. 25268/2009). Va dichiarata l'improcedibilità ove ricorrano le ipotesi previste dall'art. 348 (Cass. n. 13898/2014; v. sub art. 828). In caso di rigetto, la corte d'appello può integrare o rettificare la motivazione adottata dagli arbitri, quando questa sia conforme a diritto (Cass. n. 2102/1982). In caso di accoglimento, la corte d'appello dichiara la nullità del lodo e, ricorrendone le condizioni, pronuncia anche sul merito. Non è indispensabile cioè che vengano pronunciate due distinte sentenze, l'una a chiusura della fase rescindente, l'altra a chiusura della fase rescissoria: riguardo al giudizio di impugnazione delle pronunce arbitrali, l'unificazione della fase rescindente e della fase rescissoria non costituisce infatti causa di nullità dell'intero procedimento qualora il giudice abbia tenuto distinte sul piano logico, giuridico e concettuale le due fasi e, dopo aver pronunciato sulla nullità, abbia esaminato le conclusioni di merito, ritualmente precisate dalle parti, e ritenuto di poter pronunciare la decisione definitiva in base agli elementi di prova già acquisiti al processo arbitrale ed alle constatazioni compiute dagli arbitri (Cass. S.U., n. 24785/2008). In altre parole l'unificazione della fase rescindente e di quella rescissoria non determina la nullità del procedimento a condizione che la corte d'appello abbia tenuto concettualmente distinte le due fasi e, dopo aver dichiarato la nullità del lodo, abbia esaminato le conclusioni di merito ritualmente precisate dalle parti e ritenuto di potere pronunciare la decisione definitiva in base agli elementi di prova già acquisiti nel processo arbitrale ed alle altre constatazioni compiute dagli arbitri, senza bisogno di una nuova istruzione (Cass. S.U., n. 24785/2008). D'altra parte, in tema di impugnazione di pronunce arbitrali, costituisce error in procedendo del giudice l'assunzione di una prova orale senza la preventiva declaratoria di nullità, parziale o totale, del lodo, ma detto errore non consente di attribuire alla corrispondente ordinanza ammissiva il valore di sentenza dichiarativa di una siffatta nullità, e provoca invece soltanto la nullità dell'ordinanza medesima, da denunciarsi, peraltro, tempestivamente davanti allo stesso giudice (Cass. n. 14201/2013). Inoltre, la sentenza dichiarativa della nullità del lodo per violazione del principio del contraddittorio non ha carattere definitivo perché non esaurisce la controversia tra le parti ma decide solo una questione pregiudiziale processuale. Infatti, dopo aver accertato una siffatta nullità, il giudice dell'impugnazione è tenuto, salva diversa concorde volontà delle parti, ad esperire il giudizio rescissorio garantendo il rispetto dinanzi a sé del menzionato principio in precedenza violato dagli arbitri (Cass. n. 3063/2013). Se la nullità viene dichiarata con riguardo ad un vizio tale da incidere parzialmente sul lodo, detta dichiarazione non travolge la restante parte del lodo medesimo (Cass. n. 6950/2004, in Giust. civ. 2005, I, 1329, con nota di Ruffini). Anche nel giudizio di impugnazione per nullità del lodo arbitrale trova inoltre applicazione il principio, desumibile dall'art. 336, comma 1, secondo cui la riforma, anche parziale, della sentenza di primo grado ha effetto sulle parti dipendenti dalla parte riformata (c.d. «effetto espansivo interno») e determina, pertanto, la caducazione del capo che ha statuito sulle spese di lite; ne consegue che il giudice di appello ha il potere-dovere di rinnovare totalmente, anche d'ufficio, il regolamento di tali spese, alla stregua dell'esito finale della causa, potendo anche pervenire ad un provvedimento di compensazione, totale o parziale, delle spese dell'intero giudizio (Cass. n. 17631/2007; Cass. n. 8919/2012). La sospensivaL'ultimo comma della norma in commento stabilisce che su istanza di parte, anche successiva alla proposizione dell'impugnazione, la corte d'appello può sospendere, con ordinanza, l'efficacia del lodo quando ricorrono gravi motivi, secondo quanto previsto nell'art. 283 per il giudizio d'appello. Tale disposizione ha subito nel corso del tempo successive rilevanti modificazioni, nel complesso tese — sembra potersi sintetizzare — a precisarne il contenuto e delimitarne l'ambito di applicazione. All'origine tale disposizione stabiliva che: «In pendenza del giudizio il pretore, il tribunale o la corte d'appello può sospendere con ordinanza l'esecuzione della sentenza impugnata». Per un verso, dunque, la disposizione discendeva dalla distribuzione in senso verticale della competenza sull'impugnazione per nullità del lodo arbitrale; per altro verso essa aveva una formulazione particolarmente scarna (priva di qualunque riferimento agli aspetti procedurali dell'inibitoria, se non per l'indicazione del tipo di provvedimento da assumere) la quale poteva essere rilasciata (stando alla lettera: ma la giurisprudenza e dottrina hanno poi precisato trattarsi dell'esecutività), non prima dell'intrapresa esecuzione del lodo arbitrale. L'art. 22 l. n. 25/1994, ha quindi così disposto: «In pendenza del giudizio, su istanza di parte, la corte d'appello può sospendere con ordinanza l'esecutorietà del lodo». La norma, dunque, si differenzia dalla precedente perché: a) l'inibitoria è attribuita alla corte d'appello, divenuta competente per materia sull'impugnazione per nullità del lodo arbitrale; b) si chiarisce che l'inibitoria presuppone l'istanza di parte; c) si prevede che possa essere sospesa, a monte dell'esecuzione, l'esecutorietà del lodo. La norma è stata nuovamente modificata con il d.lgs. n. 40/2006, che ha complessivamente riformato la disciplina dell'arbitrato. L'ultimo comma della norma in esame precisa dunque che: a) l'istanza di inibitoria, a differenza di quanto previsto per l'inibitoria contro la sentenza di primo grado, può essere proposta anche successivamente alla proposizione dell'impugnazione; b) l'inibitoria opera non sull'esecuzione, né sull'esecutorietà del lodo, ma, in una prospettiva più ampia, sulla sua efficacia, il che starebbe a significare secondo alcuni che anche i lodi recanti statuizioni non condannatorie, ma costitutive o dichiarative, potrebbero essere oggetto di inibitoria; c) presupposto per l'inibitoria del lodo arbitrale è la sussistenza di «gravi motivi», ossia il medesimo presupposto richiesto dall'art. 283, nel testo ante vigente, tenuto conto che l'art. 2, comma 1, lett. q, l. n. 263/2005, richiede la sussistenza di «gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti». Nel previgente quadro normativo si sono delineati tre orientamenti interpretativi: i) il primo orientamento tendeva ad apparentare l'inibitoria del lodo arbitrale con quella della sentenza di primo grado, sì da rendere per analogia applicabile, precipuamente con riguardo all'individuazione dei presupposti dell'inibitoria, oltre che per la sua disciplina processuale, la previsione degli artt. 283-351 (App. Genova 20 maggio 1955; App. Milano 16 gennaio 1959; App. Lecce 31 marzo 1966; App. Roma 20 maggio 1996; in dottrina v. pure Zucconi Galli Fonseca, 1993, 385; Ruffini, 697); ii) il secondo orientamento tendeva viceversa ad avvicinare l'inibitoria del lodo arbitrale a quella della sentenza di appello, sì da rendere per analogia applicabile, in proposito, la previsione dell'art. 373 (App. Genova 10 febbraio 1948; App. Genova 22 settembre 1950; App. Venezia 26 febbraio 1950; App. Genova 29 dicembre 1949, aveva ad esempio per tale via escluso l'applicabilità al inibitoria del lodo arbitrale del procedimento d'urgenza avanti il presidente del collegio previsto per le decisioni di primo grado dall'art. 351; in seguito App. Bari 1° dicembre 1993, in Riv. arb. 1995, 257, con nota di Spagnolo; App. Bologna 7 gennaio 1992; App. Roma 4 aprile 1966; App. Roma 14 gennaio 1996; App. Roma 26 luglio 1995, in Riv. arb. 1995, 695, con nota di Vaccarella; App. Roma 9 ottobre 1996, in Riv. arb. 1997, 80, con nota di Fazzalari), richiedendo allo scopo la sussistenza di un danno grave e irreparabile; iii) il terzo orientamento sottolineava l'autonomia dell'inibitoria del lodo arbitrale, escludendo conseguentemente l'applicazione analogica tanto del combinato disposto degli artt. 283-351, quanto dell'art. 373. Nell'attuale quadro normativo, la dottrina sembra non dubitare che l'indicazione del presupposto dei «gravi motivi», ad opera del d.lgs. n. 40/2006, imponga al giudice, come nell'inibitoria della sentenza di primo grado, lo scrutinio tanto del fumus boni iuris (la probabile fondatezza dell'impugnazione) quanto del periculum in mora, ossia il pregiudizio paventato dall'esecuzione (Santini, 455, in nota a App. Genova 18 gennaio 2011; Corea, & 1, in nota a App. Roma 11 marzo 2011). La soluzione, peraltro, è condotta non già sul piano dell'analogia tra l'una e l'altra inibitoria, bensì sulla sottolineatura della autonomia e completezza della disciplina dell'inibitoria del lodo arbitrale (Arcadi, 148, in nota a App. Milano 15 luglio 2010). In effetti la formula «gravi motivi» non solo coincide con quella in precedenza adottata dall'art. 351 — ove l'inquadramento dell'inibitoria quale provvedimento latamente cautelare, fondato sulla sussistenza del duplice requisito di fumus e periculum era ampiamente prevalente —, ma è altresì identica a quella utilizzata dall'art. 431, in tema di inibitoria nel rito del lavoro, dagli artt. 615 e 624 per la sospensione dell'efficacia del titolo esecutivo e dell'esecuzione forzata a seguito di opposizione, nonché dall'art. 649 per la sospensione dell'esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo opposto. Il dato letterale certamente giustifica l'opinione secondo cui l'inibitoria del lodo richiede l'esame prognostico dell'impugnazione per nullità. D'altro canto, l'individuazione dei presupposti della inibitoria del lodo arbitrale non sembra poter prescindere dalla considerazione del carattere dell'impugnazione per nullità del lodo. Nel vigore del precedente testo dell'art. 830, u.c., che ancora non contemplava il requisito dei «gravi motivi», si era osservato come l'indirizzo giurisprudenziale che richiedeva, ai fini dell'inibitoria del lodo, la sussistenza del requisito del danno grave e irreparabile, previsto dall'art. 373, pur in passato censurabile, fosse divenuto pienamente armonico con il dato normativo a seguito della riforma dell'arbitrato e, in particolare, della sua caratterizzazione in termini di giudizio di impugnazione con duplice fase, rescindente e rescissoria, la prima dotata di una propria evidente autonomia, sancita in modo espresso dal comma 2 dell'art. 830. Sicché, a proposito del lodo è stato detto che esso chiude il giudizio di merito, e può dirsi che l'impugnazione per nullità tende — alla pari del ricorso per cassazione — attraverso una pronuncia rescindente alla riapertura di un giudizio di merito ormai esaurito. La riforma dell'arbitrato del 2006 sembra aver ulteriormente rafforzato l'autonomia dell'impugnativa dei lodi e il suo carattere di rimedio con duplice fase rescindente e rescissoria: il che rende per tale aspetto difficoltoso immaginare, in sede di inibitoria, che si colloca temporalmente nella fase rescindente, un giudizio prognostico concernente il merito dell'impugnazione, la quale pertiene al profilo rescissorio. Non è difatti a caso che il medesimo regime della sospensione di cui all'art. 373 sia previsto per i mezzi (esplicitamente qualificati) straordinari della revocazione (art. 401) e dell'opposizione di terzo (art. 407), i quali anch'essi presuppongono un giudizio di merito concluso, del quale si invoca la riapertura, e perfino presidiato dall'immutabilità del giudicato. Altra questione attualmente dibattuta è quella concernente la reclamabilità e revocabilità dell'ordinanza di inibitoria, in prevalenza sostenuta dalla dottrina, ed in prevalenza esclusa dalla giurisprudenza (App. Catania 10 novembre 2003; App. Genova 18 gennaio 2011; App. Milano 15 dicembre 2006; per la revocabilità dell'ordinanza, sul rilievo che l'art. 830, u.c., a differenza di quanto disposto dall'art. 351, comma 3, non definisce «non impugnabile» l'ordinanza che decide in ordine alla sospensione del lodo impugnato, v. App. Roma 23 agosto 2011, in Riv. arb. 2012, 599, con nota di Santini; App. Roma 21 marzo 2011, in Riv. arb. 2012, 599, con nota di Santini, in cui si aggiunge che la modifica e/o la revoca del provvedimento emesso può tra l'altro avvenire, alla luce dell'art. 669-decies, comma 1, se si verificano mutamenti nelle circostanze). In proposito, la piena equiparazione dell'inibitoria del lodo arbitrale ad un provvedimento cautelare appare preclusa, al di là di ogni sforzo sostenuto dalla dottrina al fine della dimostrazione del contrario, dalla considerazione — già risolutiva della medesima questione prospettata con riguardo al inibitoria della sentenza, prima che la sua non impugnabilità fosse stabilita per legge — che tale provvedimento interviene all'esito di un giudizio di merito a cognizione piena. Questione rilevante è pure quella concernente l'applicabilità in sede di inibitoria della cauzione. In proposito si è da un lato sostenuto che la mancata previsione, nell'art. 830, della cauzione renderebbe impossibile l'applicazione analogica delle altre norme sulle inibitorie processuali delle sentenze, ove l'imposizione della cauzione è prevista; dall'altro lato si è affermato che, data l'affinità funzionale delle diverse inibitorie processuali, l'esclusione dell'imposizione della cauzione nei riguardi della sola inibitoria del lodo arbitrale sarebbe irragionevole. BibliografiaAuletta F., Dell'arbitrato, in Sassani B. (a cura di), La riforma delle società. Il processo, Torino, 2003, 336; Bertoldi, Art. 813-bis. Decadenza degli arbitri, in Consolo (diretto da), Codice di procedura civile commentato, I, Milano, 2013; Borghesi, L'arbitrato del lavoro dopo la riforma, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2006, 823; Bove, L'arbitrato nelle controversie societarie, in Giust. civ. 2003, II, 476; Bove, L'arbitrato irrituale dopo la riforma, in judicium.it 2006; Bove, Art. 808-ter. 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