Codice di Procedura Penale art. 18 - Separazione di processi.

Aldo Aceto

Separazione di processi.

1. La separazione di processi è disposta [304 5, 610 3], salvo che il giudice ritenga la riunione assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti (1):

a) se, nell'udienza preliminare [416 s.], nei confronti di uno o più imputati o per una o più imputazioni è possibile pervenire prontamente alla decisione, mentre nei confronti di altri imputati o per altre imputazioni è necessario acquisire ulteriori informazioni a norma dell'articolo 422;

b) se nei confronti di uno o più imputati o per una o più imputazioni è stata ordinata la sospensione del procedimento [3, 41, 47, 71, 344, 479; 28 min.];

c) se uno o più imputati non sono comparsi al dibattimento per nullità dell'atto di citazione o della sua notificazione [178, 179, 420-quater], per legittimo impedimento [420-ter, 420-quater] o per mancata conoscenza incolpevole dell'atto di citazione [420-bis, 420-quater 6];

d) se uno o più difensori di imputati non sono comparsi al dibattimento per mancato avviso [178, 179] ovvero per legittimo impedimento [420-ter];

e) se nei confronti di uno o più imputati o per una o più imputazioni l'istruzione dibattimentale [496-515] risulta conclusa, mentre nei confronti di altri imputati o per altre imputazioni è necessario il compimento di ulteriori atti che non consentono di pervenire prontamente alla decisione;

e-bis) se uno o più imputati dei reati previsti dall'articolo 407, comma 2, lettera a), è prossimo ad essere rimesso in libertà per scadenza dei termini per la mancanza di altri titoli di detenzione (2).

2. Fuori dei casi previsti dal comma 1, la separazione può essere altresì disposta, sull'accordo delle parti, qualora il giudice la ritenga utile ai fini della speditezza del processo (3).

(1) Vedi Corte cost. 10 giugno 1992, n. 266.

(2) Lettera aggiunta, in sede di conversione, dall'art. 1, comma 1,  d.l. 24 novembre 2000, n. 341, conv., con modif., in l. 19 gennaio 2001, n. 4.

(3) Il comma era stato modificato dall'art. 1, comma 2, d.l. n. 341, cit., disposizione soppressa in sede di conversione del decreto-legge.

Inquadramento

Diversamente dalla riunione, la separazione di processi presuppone l'esercizio cumulativo dell'azione penale nei confronti di più imputati, per una o più imputazioni, o di un solo imputato per più imputazioni; come la riunione, la norma disciplina solo i casi in cui il giudice è ugualmente competente per tutti gli imputati e per tutte le imputazioni (dovendo altrimenti applicarsi i rimedi processuali previsti in caso di incompetenza del giudice adito).

La riunione di processi, anche se effettuata per motivi di connessione, non ne impedisce la successiva separazione se ne sussiste la necessità (Cass. I, n. 3985/1994).

I presupposti di applicabilità della norma.

Il tenore letterale dell'art. 18, comma 1, non lascia adito a dubbi sul fatto che, in costanza dei relativi presupposti, la separazione deve essere disposta, a meno che il giudice non ritenga la riunione assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti (Corte cost. n. 371/1996: l'uso corretto di tale facoltà dovrebbe indurre il giudice a considerare, di regola, «assolutamente necessaria» la riunione innanzitutto nei casi di reato a concorso necessario, tutte le volte in cui l'identificazione di un concorrente e l'accertamento della sua responsabilità costituiscano momenti imprescindibili per la configurabilità del reato). La “assoluta necessità” che costituisce l'unico limite al dovere di separare i processi esprime con chiarezza il ‘favor separationis' che ispira l'intera disciplina della riunione e della separazione dei processi (ma anche della connessione, secondo lo spirito che alimentava, almeno nelle iniziali intenzioni, i compilatori del codice), reso ancor più esplicito dal fatto che mentre la riunione può essere disposta (art. 17, comma 1), la separazione deve essere disposta, senza che al giudice residuino margini di discrezionalità sul punto (chiara in tal senso la Relazione al progetto preliminare e definitivo del codice).

La separazione può riguardare, come detto, anche una o più imputazioni a carico dello stesso imputato, costituendo regola (pur se largamente disattesa nella prassi) che il pubblico ministero eserciti l'azione penale per quella sola imputazione, tra le altre, che ritenga di poter coltivare proficuamente (art. 130, disp. att. che, come ricordato da Cass. VI, n. 12729/1994, costituisce uno dei cardini del nuovo sistema proiettato alla realizzazione di un generale «favor separationis», proteso verso l'esigenza di favorire, quando una frazione del procedimento sia ormai pervenuta al punto di consentire l'adozione dell'atto che segna il passaggio dalla fase delle indagini alla fase del processo, quelle scomposizioni di «res iudicandae» in grado di permettere una pronta decisione).

I casi tipici della separazione necessaria

I casi tipici che comportano la separazione necessaria di processi possono essere ascritti a tre cause:

a) la pronta definizione della fase processuale (udienza preliminare o dibattimento) per uno o più imputati o per una o più imputazioni e la necessità di ulteriori approfondimenti istruttori a carico degli altri imputati e/o di altre imputazioni (lettere a e b);

b) l'impossibilità di aprire o proseguire il dibattimento, e dunque di garantire il contraddittorio, nei confronti di uno o più imputati per difetti della ‘vocatio in jus' o per legittimo impedimento a comparire dell'imputato e/o del suo difensore (lett. c e d);

c) la sospensione del procedimento a causa: i) della accertata incapacità di uno o più imputati a partecipare coscientemente al processo (art. 71); ii) della necessità di chiedere l'autorizzazione a procedere nei confronti di uno o più degli imputati (ma in tal caso la separazione è facoltativa: art. 344, comma 4); iii) della assenza di uno degli imputati (art. 420-quater, comma 2); iv) della messa alla prova di uno degli imputati (art. 464-quater); v) della pregiudiziale civile o amministrativa di cui all'art. 479; vi) della concessione dei termini a difesa per uno degli imputati.

A queste tre cause si aggiunge l'ipotesi in cui nei confronti di uno o più imputati siano prossimi a scadere i termini di durata massima della custodia cautelare (o degli arresti domiciliari) di cui all'art. 303 se: i) la misura è stata applicata per uno dei reati di cui all'art. 407, comma 2, lett. a; ii) non vi sono altri titoli di detenzione che impediscano all'imputato di tornare in libertà (lett. e-bis, aggiunta dall'art. 1, comma 1, d.l. n. 341/2000, conv., con modif., l. n. 4/2001). In tali casi la separazione dei processi può essere disposta nel pronunciare sentenza (art. 533, comma 3-bis). Per evitare la scadenza dei termini di fase prima dell'esercizio dell'azione penale il   pubblico ministero deve procedere separatamente nei confronti del detenuto per uno dei reati di cui all'art. 407, comma 2, lett. a, che sia prossimo ad essere liberato per mancanza di altri titoli privativi della libertà (art. 130-bis, disp. att., inserito dall'art. 1, d.l. n. 341/2000, cit.).

In tutti questi casi, dunque, la separazione dei processi — che può essere disposta anche d'ufficio (art. 19) — è obbligatoria, a meno che il giudice non ritenga la riunione assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti (Cass. I, n. 5943/1996; Cass. VI, n. 22065/2015 la ritiene obbligatoria nell'ipotesi in cui la causa della sospensione risulti protrarsi sostanzialmente « sine die»). Salvi i casi in cui l'ordinanza è espressamente impugnabile (artt. 71, comma 3, e 479, comma 2) o comporti una inammissibile regressione o una stasi del processo non altrimenti risolvibile, il provvedimento con cui il giudice dispone la separazione è ritenuto insindacabile dalla costante giurisprudenza di legittimità (che ne trae argomento per sostenere la natura ordinatoria della relativa disciplina Cass. III, n. 17368/2019; Cass. II, n 57761/2018; si veda, però, il commento sub art. 19).

I presupposti di applicabilità della norma. La separazione facoltativa

Al di fuori dei casi tipici che la impongono, la separazione può essere sempre disposta dal giudice per favorire la speditezza del processo, purché vi sia l'accordo delle parti.

Le ipotesi non tipizzate di separazione. La scelta dell'azione

Ipotesi particolari di separazione sono quelle previste in sede di esercizio dell'azione penale con le forme del giudizio direttissimo e del giudizio immediato. In entrambi i casi, se il reato per il quale si procede risulta connesso con altri reati per i quali mancano le condizioni che giustificano la scelta del rito si procede separatamente per gli altri reati e nei confronti degli altri imputati, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini (artt. 449, comma 6, e 453, comma 2).

Segue. La scelta del rito alternativo

Un'ulteriore ipotesi non tipizzata di separazione è quella che deriva dalla scelta del rito alternativo da parte dell'imputato. La possibilità che tale opzione possa essere esercitata anche nel giudizio a seguito della contestazione di un reato connesso ai sensi dell'art. 12, lett. b, o di una circostanza aggravante non menzionati nel decreto che dispone il giudizio (art. 517, come interpolato dalle numerose sentenze della Corte costituzionale che l'hanno dichiarato illegittimo nella parte in cui non consente all'imputato di accedere ai riti alternativi esclusivamente per il reato oggetto della nuova contestazione o per il reato come ulteriormente aggravato, quando la nuova contestazione concerne un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento dell'esercizio dell'azione penale), o prima della dichiarazione di apertura del dibattimento a seguito di citazione diretta a giudizio (art. 555, comma 2), esclude la riconducibilità di tali evenienze processuali alla fattispecie di cui all'art. 18, lett. a), trattandosi di conseguenza necessaria della scelta dell'imputato.

A quel punto le conseguenze possono essere due: 1) l'imputato con la scelta del rito definisce interamente la propria posizione processuale; 2) l'imputato opta per il rito alternativo solo per una o più, ma non per tutte le imputazioni.

Nel primo caso, la separazione costituisce conseguenza automatica e necessaria della ammissione al rito.

Nel secondo caso si discute se sia possibile accedere al rito alternativo quando ciò non esclude la necessità che il processo prosegua nei confronti dello stesso imputato per le altre imputazioni. Poiché condizione di ammissibilità del giudizio abbreviato è la definizione del processo nella sua interezza (art. 438; Cass. II, n. 20575/2008; Cass. VI, n. 2251/2011), la questione resta confinata ai casi dell'oblazione e dell'applicazione della pena su richiesta dell'imputato che, diversamente dal giudizio abbreviato, possono essere chiesti anche in sede di indagini preliminari.

Secondo una prima impostazione interpretativa la questione andrebbe risolta a seconda della natura, tassativa o meno, che si voglia dare ai casi tipici di separazione previsti dall'art. 18, comma 1.

Se si ritiene la natura tassativa, ne deriva l'impossibilità di procedere sempre e comunque a un patteggiamento “parziale” che comporti una separazione non consentita (nel senso della tassatività, Cass. II, n. 45907/2001).

Tale opzione interpretativa, però, non trova conforto nel fatto che, da un lato, la separazione può essere disposta anche su accordo delle parti (art. 18, comma 2), e che, dall'altro, il giudice del dibattimento non può impedire all'imputato di reato connesso o riunito che sia stato citato direttamente a giudizio monocratico insieme con altri, di definire separatamente la propria posizione mediante richiesta di applicazione della pena (ipotesi non prevista dall'art. 18, comma 1), e che l'imputato può chiedere di definire in modo alternativo il solo reato oggetto di contestazione effettuata ai sensi dell'art. 517, quando ricorrono i presupposti indicati con le sentenze della Corte cost. n. 139/2015, Corte cost. n. 237/2012 e Corte cost. n. 333/2009 (Cass. V, n. 23595/2014 ne ha tratto la conseguenza che la contestazione di un reato concorrente, in sede di istruttoria dibattimentale, legittima l'imputato all'esercizio della facoltà di richiedere l'applicazione della pena, ex art. 444, esclusivamente con riguardo al nuovo reato contestato, con la conseguenza che il c.d. patteggiamento non può essere esteso ai reati precedentemente e correttamente contestati e per i quali l'imputato non abbia, pertanto, tempestivamente richiesto i riti alternativi, accettando il dibattimento).

Se ne è così tratta la conseguenza che l'elencazione dei casi in cui la separazione è consentita non costituisce fattore ostativo al patteggiamento parziale per alcune delle imputazioni (Cass. III, n. 34915/2011; Cass. VI, n. 22427/2008).

La questione, tutt'altro che definita in giurisprudenza, deve essere risolta avuto riguardo alla funzione deflattiva dei riti alternativi e al fatto che la separazione di processi presuppone l'esercizio dell'azione penale nei confronti di più persone, per il medesimo o più reati, o nei confronti di una sola persona per più reati.

Non si può dunque parlare di separazione in senso stretto nel caso in cui l'applicazione della pena sia chiesta in sede di indagini preliminari ai sensi dell'art. 447, poiché in tal caso non è data facoltà al giudice di sindacare la scelta del PM di separare la posizione dell'imputato o della singola imputazione ai sensi e per gli effetti dell'art. 130, disp. att. e di esercitare l'azione penale per il singolo reato.

In questo caso, il giudice investito della domanda non può respingerla restituendo gli atti al PM sol perché ravvisa ulteriori reati a carico dell'imputato in relazione ai quali l'azione penale non è stata esercitata; per cui, se ritiene di ratificare l'accordo deve obbligatoriamente trasmettere gli atti al pubblico ministero perché proceda per gli altri reati desumibili dagli atti trasmessi esclusi dall'accordo ed in ordine ai quali l'azione penale non è stata ancora esercitata.

Di separazione vera e propria, dunque, deve parlarsi solo quando il pubblico ministero esercita l'azione nei confronti di più persone (per uno o più reati) o di una sola persona per più reati.

L'oblazione è un istituto di diritto penale sostanziale che non comporta alcuna conseguenza “premiale” collegata ad una specifica condotta processuale dell'imputato e dunque dovrebbe essere consentita anche se non definisce l'intero processo; la riduzione della pena che deriva dalla sua applicazione su richiesta costituisce invece il “corrispettivo” dell'effettivo alleggerimento della regiudicanda nei confronti del singolo imputato. Il che non accade quando, per esempio, il fatto oggetto dell'imputazione “patteggiata” deve comunque essere oggetto di istruttoria dibattimentale (come, per esempio, nei casi di reati connessi, di reato continuato o di concorso formale di reati) e la separazione del processo per le residue imputazioni determini anche l'incompatibilità del giudice che pronuncia la sentenza di applicazione della pena (con ulteriori aggravi nella definizione del processo).

In questi casi è condivisibile l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale l'accordo tra le parti e la conseguente sentenza possono limitarsi ad alcuni dei reati contestati solo a condizione che per gli ulteriori sussistano cause di non punibilità rilevanti ai sensi dell'art. 129 (Cass. III, n. 41138/2013; Cass. II, n. 28225/2010).

Quando però nei confronti della medesima persona l'azione penale viene esercitata per più reati tra loro non connessi, né collegati ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. b), ma del tutto eterogenei (tipica l'ipotesi di più reati la cui prova deriva dalle intercettazioni telefoniche), l'imputato non può essere pregiudicato dalla scelta del pubblico ministero di esercitare cumulativamente l'azione penale al di fuori dei casi in cui è consentita la riunione di processi.

In questi casi, dunque, la definizione della posizione dell'imputato relativamente ad una o più (ma non tutte) delle imputazioni deve essere consentita perché la separazione dei processi opera come correttivo della scelta (pur insindacabile) del pubblico ministero di esercitare cumulativamente l'azione penale al di fuori dei casi consentiti dall'art. 17 (in tema, Cass. III, n. 10109/2016, ha ribadito il principio secondo il quale è inammissibile la richiesta di patteggiamento riguardante soltanto alcuni dei reati contestati all'interno di uno stesso procedimento, salvo che l'azione penale sia stata esercitata nei confronti del medesimo imputato per fatti tra loro non connessi, o che comunque non potrebbero essere nemmeno riuniti ai sensi dell'art. 17, nel qual caso la separata definizione è utile alla speditezza del processo).

Le conseguenze della separazione. Rinvio

La separazione di processi non comporta problemi di utilizzabilità nel processo separato delle medesime prove raccolte in quello di provenienza, nemmeno se per competenza (amplius sub art. 26; Cass. III, n. 40676/2018; Cass. VI, n. 8934/2015): nel procedimento separato per ragioni di competenza territoriale sono utilizzabili gli esiti delle intercettazioni disposte nel procedimento originario prima della separazione in relazione alla medesima notizia di reato), ma in caso di trattazione, in uno stesso procedimento, di posizioni giudicate mediante rito abbreviato condizionato e di posizioni giudicate mediante rito abbreviato incondizionato, il regime di assunzione e utilizzazione delle prove deve seguire le regole specifiche previste per ciascun rito, non potendo la disciplina del simultaneus processus modificare la disciplina imposta per legge per ogni singolo rapporto processuale. Sicché la parte giudicata con rito abbreviato incondizionato non ha diritto né a partecipare all'assunzione delle prove ammesse in via integrativa nel rito abbreviato condizionato né ad utilizzare i risultati delle stesse (Cass. III, n. 4983/2007).

I riflessi della separazione dei processi sulla incompatibilità del giudice saranno trattati anche in sede di commento all'art. 34 (si veda, per ulteriori spunti, anche il commento all'art. 19).

La separazione in appello e in cassazione

La separazione in appello non è  disciplinata da norme diverse da quelle che la regolano in primo grado (art. 598).

Considerata la peculiarità del grado di giudizio e avuto riguardo alla finalità dell'istituto, la separazione deve essere disposta nel caso di sospensione del processo nei confronti di uno degli imputati incapace di partecipare coscientemente al processo (è se l'incapacità non ha prospettive certe di positiva risoluzione), o dichiarato assente (art. 420-quater, comma 2), o quando uno degli imputati sia prossimo ad essere rimesso in libertà per scadenza dei termini di efficacia della misura applicata per uno reati di cui all'art. 407, lett. a).

In questi casi l'assoluta necessità per l'accertamento dei fatti, che condiziona, negativamente, la separazione dei processi, trova un limite nella natura del giudizio di appello nel quale la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale costituisce istituto sostanzialmente eccezionale.

In tal caso la separazione può essere disposta negli stessi termini indicati dall'art. 18, lett. e).

La giurisprudenza prevalente, peraltro, sostiene che non é causa di abnormità o di nullità della decisione la trattazione congiunta, nel giudizio di appello, delle posizioni di imputati giudicati con il rito abbreviato e di imputati processati nelle forme ordinarie, poiché la coesistenza delle due diverse tipologie di procedimenti comporta solo la necessità che, al momento della decisione, siano tenuti rigorosamente distinti i regimi probatori rispettivamente previsti per ciascuno di essi (Cass. V, n. 9266/2014; contra Cass. VI, n. 21591/2002).

Per converso, l'unicità della sentenza separatamente impugnata da più imputati non determina l'obbligo della riunione e trattazione congiunta degli appelli. Si è infatti affermato che diversamente dal codice di rito civile, dove il principio di verità del procedimento di gravame si realizza con la necessità del «simultaneus processus» attraverso la previsione che le diverse impugnazioni contro la medesima sentenza devono, in ogni caso, essere decise con unica pronuncia e non con pronunce l'una distinta dall'altra, nel codice di procedura penale un analogo precetto di inderogabilità alla regola del simultaneo processo non è stato espressamente stabilito. Con la conseguenza che, nella esplicitazione di due autonome facoltà di impugnazione del medesimo provvedimento, la trattazione unitaria di entrambe, cui si può pervenire attraverso lo strumento della riunione (art. 19), non è imposta come necessitata, ma è consigliata come ragionevole ed affidata a provvedimento del giudice che, anche per il procedimento di impugnazione, deve ritenersi a carattere meramente ordinatorio e discrezionale, sottratto ad ogni mezzo di impugnazione (Cass. VI, n. 1720/1996).

In Cassazione, invece, la separazione può essere disposta quando giovi alla speditezza della decisione tenuto conto che l’indispensabilità o meno del simultaneus processus va verificata in relazione alle peculiarità della fase in cui versa il procedimento, e può essere negata nella fase di legittimità, nella quale - lungi dal dovere assumere prove, la cui reiterazione potrebbe essere inopportuna – le uniche attività processuali dovute sono quelle della discussione e della decisione (art. 610, comma 3). Con ordinanza resa all’udienza del 29/04/2020, la Corte di cassazione (Sez. II) ha consentito la trattazione separata di alcuni ricorsi proposti avverso la medesima sentenza da imputati in stato di custodia cautelare in carcere in considerazione della speciale situazione di emergenza COVID, che nell’ottica della Corte comporta pur sempre apprezzabili difficoltà organizzative tali da giustificare il differimento del processo con sospensione dei termini di prescrizione e di custodia cautelare in carcere. Ciò sul rilievo che se anche dovesse ritenersi la necessità del simultaneus processus, si tratterebbe di esigenza meramente processuale, certo non prevalente rispetto al diritto alla vita ed alla salute, entrambi di rilievo costituzionale, e quindi di rango superiore, oltre che tutelati dall’art. 2 CEDU ed incoercibili ex art. 13 CEDU, che la normativa dell’urgenza intende tutelare.

Casistica

La separazione dei processi, a norma dell'art. 18, comma 1, lett. b), nonostante la clausola di riserva iniziale concernente la necessità di mantenere unita la regiudicanda, deve ritenersi imposta in caso di sospensione del procedimento nei confronti di uno o più imputati, in special modo nelle ipotesi, in cui la causa della sospensione risulti protrarsi sostanzialmente «sine die». (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure il provvedimento di separazione del processo nei confronti di un coimputato in conseguenza di un'incapacità mentale sopravvenuta determinata dal morbo di Alzheimer) (Cass. VI, n. 22065/2015);

la garanzia costituzionale del giudice naturale riguarda l'ufficio giudiziario, non la persona fisica del giudice. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il provvedimento con cui il gip, in un procedimento a carico di più soggetti, aveva separato la posizione di un imputato per la definizione con il rito del patteggiamento, trasmettendo il fascicolo stralciato ad altro magistrato dello stesso ufficio per evitare incompatibilità) (Cass. II, n. 5391/2015);

in tema di indagini preliminari, il Pubblico Ministero, qualora venga accertata, nel corso delle investigazioni relative ad un determinato fatto di reato, la flagranza di altri reati per i quali siano configurabili ragioni di connessione con tale fatto, non ha alcun obbligo di svolgere indagini contestuali e congiunte relativamente ai reati ulteriori, né di effettuare la relativa iscrizione ex art. 335 nell'ambito dell'originario procedimento, ma può procedere separatamente, anche al fine di rispettare l'obbligo di procedere ad arresto in flagranza e, nello stesso tempo, di tutelare l'interesse investigativo a non rivelare notizie pregiudizievoli per gli accertamenti in corso, in quanto la citata disposizione si limita ad imporre che l'Autorità giudiziaria inquirente iscriva le notizie di reato, al fine di segnare la decorrenza del termine di durata delle indagini e, nei limiti previsti dalla legge, di assicurare agli aventi diritto la cognizione della pendenza. (Fattispecie in tema di indagini e di reati concernenti il traffico e la detenzione di sostanze stupefacenti) (Cass. III, n. 13831/2021Cass. VI, n. 22145/2015);

quando il Tribunale ritenga illegittimamente instaurato il giudizio immediato per una parte delle imputazioni, può disporre lo stralcio degli atti relativi a tali contestazioni e deve valutare la necessità della unitarietà del giudizio alla stregua di quanto stabilito dal primo comma dell'art. 18, non avendo alcun rilievo il principio fissato dall'art. 453, n. 2, nell'ambito del quale per «indagini in corso» vanno intese esclusivamente le indagini connesse relative ad altri imputati o altri reati per i quali si procede nelle forme ordinarie e con stretto riferimento alla fase delle indagini preliminari (Cass. II, n. 5046/2020; Cass. II, n. 14672/2013);

non lede il diritto di difesa l'esercizio da parte del pubblico ministero, ex art. 130 disp. att., del potere di formare il fascicolo di cui all'art. 416, comma 2, mediante l'inserimento soltanto degli atti che si riferiscono alle persone ed alle imputazioni per cui richiede il rinvio a giudizio, a meno che non risulti da concreti elementi, recuperati anche attraverso investigazioni difensive, che la selezione abbia sottratto alla integrale «discovery» atti rilevanti per gli interessi della difesa. (La Corte aggiunge che, in ogni caso, la sanzione per la violazione dell'obbligo di cui all'art. 416, comma 2, è esclusivamente quella dell'inutilizzabilità degli atti non trasmessi, non essendo prevista la nullità dell'udienza preliminare e del decreto di rinvio a giudizio) (Cass. VI, n. 33435/2006);

qualora, nella fase del giudizio, ricorrendone le condizioni, venga emessa un'ordinanza di sospensione dei termini di custodia cautelare a norma dell'art. 304, comma 2, tale provvedimento esplica i suoi effetti per tutta la durata del giudizio, anche se nel corso del dibattimento sia stata stralciata la posizione relativa ad alcuni imputati. Ne consegue che anche nel caso di separazione dei processi l'ordinanza di sospensione dei termini di custodia cautelare si estende automaticamente al processo in corso derivante dallo stralcio, sempre che persistano le condizioni relative alla complessità del dibattimento (Cass. II, n. 19510/2012);

deve ritenersi legittimo e non abnorme, in quanto esercizio di un potere attribuito dalla legge, il provvedimento con il quale il giudice dell'udienza preliminare, rilevata la mancata notifica dell'avviso di conclusione delle indagini nei confronti di alcuni imputati, dichiari la nullità della richiesta di rinvio a giudizio limitatamente a tali posizioni e disponga la separazione dei procedimenti connessi, con la restituzione di parte degli atti al pubblico ministero (Cass. II, n. 36933/2011);

la separazione dei processi ai sensi dell'art. 18, comma 1, lett. c), può essere disposta anche nel caso di procedimento oggettivamente, e non solo soggettivamente, cumulativo (Cass. VI, n. 15080/2010);

in caso di processo nei confronti di un solo imputato per più imputazioni, la richiesta di giudizio abbreviato non può essere proposta solo per taluna ma, a pena d'inammissibilità, deve avere riguardo a tutte le imputazioni (Cass. II, n. 20575/2008);

in tema di giudizio abbreviato, sono utilizzabili le dichiarazioni testimoniali rese nei confronti dell'imputato in un processo separato, ma oggettivamente cumulativo, relative a fatti oggetto di sentenza di proscioglimento, in quanto la valutazione della prova è insuscettibile di essere atomizzata in presenza di reati addebitati alla medesima persona e commessi in concorso formale o in continuazione (Cass. III, n. 19725/2008);

in tema di separazione dei processi, la norma dell'art. 18, comma 1, lett. e) disciplina l'ipotesi in cui per una imputazione l'istruzione dibattimentale risulta conclusa, mentre per altra imputazione è necessario il compimento di ulteriori atti che non consentono di pervenire prontamente alla decisione. La norma prevede la separazione come soluzione normale, mentre la esclude solo in via eccezionale, quando «il giudice ritenga la riunione assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti». Ne consegue che la motivazione della ordinanza di separazione deve limitarsi a mettere in evidenza il fatto che per una imputazione la istruzione è conclusa mentre per l'altra sono necessari ulteriori accertamenti. Solo se il giudice ritenga eccezionalmente di dover tenere uniti i processi, deve indicare specificamente i motivi per i quali la riunione è “assolutamente necessaria” (Cass. I, n. 5943/1996);

quando il Tribunale ritenga illegittimamente instaurato il giudizio immediato per una parte delle imputazioni di cui al giudizio, può disporre lo stralcio degli atti relativi a tali contestazioni e deve valutare la necessità della unitarietà del giudizio alla stregua di quanto stabilito dal primo comma dell'art. 18, che esclude la separazione solo quando la riunione sia «assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti» mentre non ha nessun rilievo il principio fissato dall'art. 453 n. 2, per il quale la separazione va evitata quando possa determinare grave pregiudizio per le indagini in corso, poiché per «indagini in corso» vanno intese esclusivamente le indagini connesse relative ad altri imputati o altri reati per i quali si procede nelle forme ordinarie e con stretto riferimento alla fase delle indagini preliminari (Cass. III, n. 273/1996);

la richiesta di rito abbreviato in relazione ad alcuni dei reati contestati è ammissibile soltanto qualora l'imputato richieda, per i residui reati, l'applicazione della pena concordata, atteso che, in tal modo, non viene eluso il fine di deflazione processuale del giudizio speciale (Cass. VI, n. 2251/2011);

mentre nell'ipotesi di processo soggettivamente cumulativo, la personalizzazione della responsabilità penale e la individualità di ogni singola posizione personale consentono, specie in presenza di differenziate situazioni probatorie, la separazione dal processo principale delle posizioni di singoli imputati cui può essere applicato — ricorrendone le condizioni di legge — il rito abbreviato in luogo di quello ordinario, altrettanto non può avvenire nel caso di processo oggettivamente cumulativo (nel quale cioè si faccia carico di una pluralità di contestazioni ad un imputato): in tale ipotesi permane, per via della connessione, l'unicità del processo e non è possibile l'adozione del rito speciale per parte delle imputazioni e l'adozione del rito ordinario per la restante parte, come risulta dal testo dell'art. 440 comma 1, che consente il giudizio abbreviato solo quando, allo stato degli atti, sia possibile «definire il processo», cioè risolvere tutte le accuse. La contraria soluzione, con la conseguente moltiplicazione dei processi, frustrerebbe la «ratio» dell'introduzione del rito abbreviato, finalizzata alla deflazione delle pendenze processuali attraverso procedure rapide con la prospettiva per l'imputato di uno sconto di pena (Cass. VI, n. 9344/1995; Cass. II, n. 20575/2008);

in materia di sospensione dei termini di custodia cautelare nell'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 304, la separazione del processo in fase dibattimentale può incidere sulla efficacia della ordinanza di sospensione. Ciò nel caso in cui, a seguito della separazione, uno o più imputati si trovino ad essere tali in un dibattimento diverso da quello originario, che presenti difformità strutturali rispetto a quelle che costituivano la base dell'ordinanza di sospensione dei termini; quest'ultima, in base al principio del «rebus sic stantibus» che informa i provvedimenti in materia cautelare e del quale l'art. 299 costituisce applicazione, può essere rivista alla luce della nuova situazione creatasi, perché sia verificata la sua coerenza rispetto al dibattimento impostato a seguito della separazione ed al livello di novità che lo contraddistingue. In questa prospettiva compete al giudice di merito riconsiderare alla luce del presupposto normativo le imputazioni in esame, (alcune delle quali, pur se non riferite a tutti gli imputati, devono rientrare nella previsione dell'art. 407, comma 2, lett. a ), e valutare se persista quella particolare complessità del dibattimento che della sospensione già disposta costituiva supporto (Cass. I, n. 6540/1997).

Bibliografia

Campilongo, sub art. 18, in Codice di procedura penale, a cura di Canzio e Tranchina, Milano, 2012, t. I, 285 ss.; Cercola, Patteggiamento parziale: ancora resistenze dei giudici di legittimità, in Cass. pen. 2014, 2581; Macchia, Sub art. 18, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, a cura di Lattanzi e Lupo, Milano, 2012, 185 e ss. V. anche sub art. 12.

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