Codice di Procedura Penale art. 23 - Incompetenza dichiarata nel dibattimento di primo grado.Incompetenza dichiarata nel dibattimento di primo grado. 1. Se nel dibattimento di primo grado il giudice ritiene che il processo appartiene alla competenza di altro giudice, dichiara con sentenza la propria incompetenza per qualsiasi causa e ordina la trasmissione degli atti al giudice competente (1) (2). 2. Se il reato appartiene alla cognizione di un giudice di competenza inferiore, l'incompetenza è rilevata o eccepita, a pena di decadenza [173], entro il termine stabilito dall'articolo 491, comma 1 [21 1]. Il giudice, se ritiene la propria incompetenza, provvede a norma del comma 1 [516-517]. (1) La Corte cost., con sentenza 11 marzo 1993, n. 76 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente comma «nella parte in cui dispone che, quando il giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompetenza per materia, ordina la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo». Successivamente la Corte cost., con sentenza 15 marzo 1996, n. 70, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del medesimo comma «nella parte in cui prevede la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo quando il giudice del dibattimento dichiara con sentenza la propria incompetenza per territorio». (2) Per i reati di competenza del giudice di pace, v. art. 48 d.lg. 28 agosto 2000, n. 274. InquadramentoLa norma indica il modo con cui deve essere verificata la competenza nel giudizio di primo grado disciplinando le relative conseguenze. L'incompetenza per materiaLa norma disciplina due ipotesi, a seconda che il giudice sia incompetente per materia o per territorio. Nel primo caso, il giudice può declinare la propria competenza in ogni stato del processo solo se essa appartiene ad un giudice “superiore” (la Corte di assise, in caso di processo celebrato dal tribunale, o quest'ultimo in caso di processo celebrato dal giudice di pace). Altrimenti, se l'eccezione non è stata sollevata (o l'incompetenza non è stata comunque rilevata) nel termine di cui all'art. 491, comma 1, il giudice “superiore” deve trattare il processo di competenza del giudice “inferiore” (art. 21, comma 1). Tale competenza resta ferma anche nel caso in cui la competenza del giudice inferiore derivi dalla accertata diversità del fatto rispetto a quello descritto nell'atto con cui è stata promossa l'azione penale (art. 516, comma 1), o sia contestato un reato connesso o una circostanza aggravante ai sensi dell'art. 517, comma 1. Anche l'incompetenza del tribunale a conoscere di reati appartenenti alla competenza del giudice di pace deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine stabilito dall'art. 491, comma 1, non rilevando, in senso contrario, il disposto di cui all'art. 48 d.lgs. n. 274/2000, il quale non deroga al regime della non rilevabilità d'ufficio dell'incompetenza per materia del tribunale a favore del giudice di pace, limitandosi a stabilire che il giudice, qualora debba dichiarare l'incompetenza per materia a favore del giudice di pace, la dichiara con sentenza e trasmettendo gli atti al P.M. e non direttamente al giudice di pace (Cass. V, n. 35293/2018; Cass. V, n. 25499/2015; Cass. V, n. 15727/2015; Cass. V, n. 15727/2014, secondo cui l'incompetenza del tribunale a conoscere dei reati di competenza del giudice di pace non può più essere rilevata, né eccepita, nemmeno in sede di legittimità, se non eccepita tempestivamente ). In senso contrario, si era espressa soltanto Cass. III, n. 12636/2010. Il contrasto è stato risolto da due sentenze pronunciate a Sezioni Unite; in particolare, da Cass. S.U. n. 28908/2019 che ha affermato il seguente principio di diritto: L'incompetenza a conoscere dei reati appartenenti alla cognizione del giudice di pace deve essere dichiarata dal giudice togato in ogni stato e grado del processo ex art. 48 d. lgs. 28 agosto 2000, n. 274, in deroga al regime ordinario di cui agli artt. 23, comma 2, e 24, comma 2, c.p.p., ferma restando, in caso di riqualificazione del fatto in un reato di competenza del giudice di pace, la competenza del giudice togato in applicazione del criterio della "perpetuatio iurisdictionis" purché il reato gli sia stato correttamente attribuito "ab origine" e la riqualificazione sia dovuta ad acquisizioni probatorie sopravvenute nel corso del processo; e da Cass. S.U. n. 28909/2019 che ha affermato il seguente principio di diritto: L'incompetenza a conoscere dei reati appartenenti alla cognizione del giudice di pace deve essere dichiarata dal giudice togato in ogni stato e grado del processo ex art. 48 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, in deroga al regime ordinario di cui agli artt. 23, comma 2, e 24, comma 2, c.p.p., fermo restando che la sopravvenuta mancanza del vincolo di connessione, giustificativo della competenza del giudice togato anche per il reato minore, non determina, in applicazione del criterio della "perpetuatio iurisdictionis", il venir meno di quest'ultima, purché "ab origine" correttamente individuata. L'incompetenza per territorio Nel secondo caso, come si è visto (art. 21), la competenza territoriale del giudice non risente degli sviluppi successivi alla fase introduttiva del dibattimento, a meno che — come si è visto in sede di commento all'art. 21 — l'eccezione, pur tempestivamente sollevata, non sia stata decisa. Le forme e i contenuti della dichiarazione di incompetenzaL'incompetenza deve essere sempre dichiarata con sentenza. Tuttavia, non si è ritenuta abnorme l'ordinanza dettata a verbale con la quale il giudice di pace trasmetta gli atti al P.M. dichiarando la propria incompetenza per materia, trattandosi di provvedimento che riveste, comunque, natura sostanziale di sentenza, suscettibile di dare luogo a conflitto di competenza, a norma dell'art. 28 (Cass. V, n. 51165/2015; Cass. V; n. 10947/2011; contra l’isolata Cass. V, n. 44287/2005). Con la sentenza deve necessariamente essere indicato il giudice competente e disposta la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso di lui (Corte cost. n. 76/1993 e Corte cost. n. 70/1996). Ove si ritenga la sussistenza di uno dei reati di cui all'art. 51, commi 3-bis, 3-quinquies e 3-quater, gli atti devono essere trasmessi al pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente (Cass. V, n. 47097/2014), a nulla rilevando, secondo un indirizzo interpretativo, che si tratti dello stesso tribunale e dello stesso ufficio del pubblico ministero che ha esercitato l'azione penale (Cass. I, n. 37037/2010; nello stesso senso Cass. V, n. 21587/2009, secondo cui ove sia stata affermata l'incompetenza per materia con riguardo a taluni reati a causa di esclusa connessione, nel caso in cui il giudice a quo trasmetta gli atti concernenti i reati per i quali si ritiene incompetente all'ufficio del pubblico ministero, quest'ultimo deve riproporre la richiesta di rinvio a giudizio anche quando, trattandosi di reati di cui all'art. 51, comma 3-bis, il giudice competente per l'udienza preliminare sia il medesimo che ebbe a svolgere la precedente per tutti i reati ritenuti connessi, in quanto, essendo diverso l'oggetto, limitato ai reati per cui è stata dichiarata la competenza, sussiste l'interesse dell'imputato al rinnovo di tale udienza al fine di esercitare il proprio diritto alla scelta del rito, nella specie il giudizio abbreviato). Secondo la tesi contraria (sostenuta da Cass. V, n. 18710/2013), la trasmissione degli atti direttamente al giudice competente, anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo, è illegittima soltanto ove si tratti di un pubblico ministero e di un giudice dell'udienza preliminare diversi da quelli che, rispettivamente, avevano esercitato l'azione penale e celebrato l'udienza. Tale interpretazione si fonda sulla sentenza della Corte cost. n. 104/2001 che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 23, comma 1, e 24, comma 1, nella parte in cui, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 70/1996, impongono al giudice che dichiari nel dibattimento di primo grado la propria incompetenza per territorio, ovvero al giudice di appello che annulli la sentenza di primo grado per incompetenza territoriale, la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice competente, anziché direttamente a quest'ultimo, anche nei procedimenti per i delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis. Osserva il Giudice delle leggi che la trasmissione degli atti al giudice competente anziché al pubblico ministero presso quest'ultimo viola l'art. 24 Cost. in quanto l'imputato non viene posto in condizione di esercitare nell'udienza preliminare le facoltà connesse al proprio diritto di difesa, né accedere al rito abbreviato davanti al giudice naturale. Tale esigenza, tuttavia, non ricorre nei casi di procedimenti per i delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, attratti alla sede distrettuale per quanto riguarda l'individuazione sia dell'ufficio del pubblico ministero incaricato delle indagini, sia del giudice dell'udienza preliminare competente ai sensi dell'art. 328, comma 1-bis, In tali procedimenti, infatti, la competenza territoriale infradistrettuale acquista rilievo solo nella fase del dibattimento, mentre nelle fasi delle indagini e dell'udienza preliminare l'ufficio titolare dell'azione penale è unico per l'intero distretto e uno solo è il giudice territorialmente competente a celebrare l'udienza preliminare. Ne consegue che la ratio decidendi della sentenza Corte cost. n. 70/1996 può riferirsi ai procedimenti per i delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, solo ove sia messa in discussione la stessa competenza distrettuale, cioè nell'ipotesi in cui venga ritenuto competente un giudice dell'udienza preliminare di altro distretto. Ne deriva che la portata di tale decisione trova un limite nelle situazioni in cui l'imputato non è stato sottratto al proprio giudice naturale. Sulla questione è intervenuta Cass. S.U., n. 39746/2017 che ha affermato il principio di diritto secondo il quale il tribunale, con la sentenza dichiarativa di incompetenza per materia per uno dei reati previsti dall'art. 51, comma 3-bis, attribuiti alla competenza della corte di assise, deve trasmettere gli atti direttamente alla corte di assise per il giudizio, semprechè non sia stata dichiarata la competenza del giudice di un altro distretto. Le conseguenze della sentenza di incompetenzaL'azione penale una volta esercitata è irretrattabile anche da parte del pubblico ministero presso il giudice investito di competenza ex art. 22, comma 3; la trasmissione degli atti a seguito della ritenuta incompetenza territoriale non determina, infatti, la regressione del procedimento alla fase antecedente rispetto a quella già instaurata. Ne consegue che, a seguito della declaratoria di incompetenza adottata dal giudice delle indagini preliminari originariamente richiesto di disporre il rinvio a giudizio, al pubblico ministero presso il giudice competente, al quale siano stati trasmessi gli atti, sarebbe preclusa la possibilità di richiedere l'archiviazione, mentre egli potrà formulare al giudice per le indagini preliminari la richiesta di non luogo a procedere (Cass. III, n. 24050/2018; Cass. VI, n. 20512/2003). La giurisprudenza maggioritaria è di opinione contraria (cfr. da ultimo, Cass. V, n. 44345/2019, secondo cui dopo la sentenza dichiarativa di incompetenza da parte del giudice dell'udienza preliminare, e la conseguente trasmissione degli atti al P.M. presso il giudice ritenuto competente, lo stesso P.M. può liberamente determinarsi in ordine all'esercizio dell'azione penale, e può dunque formulare anche una richiesta di archiviazione del procedimento ciò perché il comma terzo dell'art. 22, con l'espressa ed originaria previsione della trasmissione degli atti al P.M. e non direttamente al giudice cui viene attribuita la competenza, esprime la volontà legislativa di una deroga al principio di irretrattabilità dell'azione penale). Il principio di irretrattabilità dell'azione penale non vincola il pubblico ministero a esercitare l'azione penale con le stesse modalità (Cass. V, n. 42483/2012) e non comporta la necessità di un nuovo avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis, (Cass. VI, n. 8998/2007; Cass. VI, n. 6879/2008; cfr. Cass. III, n. 20765/2010, secondo cui la rinnovazione è necessaria solo se vengono svolte ulteriori indagini o vengono contestati altri reati o circostanze aggravanti diverse, altrimenti, in presenza di un quadro probatorio invariato, essa avrebbe solo l'effetto di ritardare il processo, danneggiando in primo luogo l'imputato presunto innocente) trattandosi di adempimento procedurale che conserva la sua ragion d'essere laddove il pubblico ministero intenda coltivare una prospettiva di esercizio dell'azione penale, e non quando tale esercizio è imposto dal giudice a seguito di un contraddittorio già assicurato all'imputato (Cass. III, n. 43809/2014). Secondo Cass. VI, n. 925/1999, il pubblico ministero presso il giudice competente, cui sono stati trasmessi gli atti a seguito della dichiarata incompetenza, può compiere nuovi accertamenti, emettere una richiesta di rinvio a giudizio anche con una descrizione dei fatti diversa rispetto a quella prospettata dal primo inquirente e chiedere la archiviazione per alcune o per tutte le ipotesi di reato già contestate; egualmente nella suddetta fase di nuove indagini preliminari, emergendo altri fatti idonei a giustificazione della richiesta, può essere emessa un'altra ordinanza di custodia cautelare. Con la conseguenza che rispetto ad essa, fino a quando non intervenga altro rinvio a giudizio per i fatti di cui alla prima ordinanza cautelare, non sussiste al momento alcun limite cronologico impeditivo degli effetti ex art. 297 comma 3, ove ne ricorrano le altre condizioni, dato che la regressione ex lege del processo a procedimento ha tolto ogni valenza attuale al rinvio a giudizio innanzi al giudice incompetente (cfr., in senso parzialmente contrario, Cass. I, n. 29196/2017, secondo cui il pubblico ministero cui siano trasmessi gli atti del procedimento ai sensi dell'art. 23 pur essendo libero nelle sue determinazioni circa l'esercizio dell'azione penale, qualora la eserciti, deve attenersi alla configurazione del fatto definita dall'organo giudicante dichiaratosi incompetente, costituendo tale decisione una preclusione processuale all'esercizio dell'originaria imputazione, sicché, nel caso in cui ciò non avvenga, il secondo giudice, investito dell'originaria ed immodificata contestazione, non può declinare la propria competenza ma deve sollecitare il pubblico ministero alla corrispondente modifica dell'imputazione e, in mancanza, dichiarare la nullità del decreto di citazione a giudizio, disponendo la restituzione degli atti al P.M.). La questione va risolta avuto riguardo alla ratio della declaratoria di parziale illegittimità costituzionale della norma in commento, giustificata, come visto, esclusivamente dal fatto che la diretta trasmissione degli atti al giudice competente priva l'imputato della possibilità di spiegare le proprie difese (ivi compresa l'opzione per un rito alternativo) dinanzi al giudice naturale. Sicché l'azione che il pubblico ministero presso quest'ultimo deve esercitare, altro non è se non la prosecuzione di quella già esercitata altrove presso il precedente giudice. Le ulteriori conseguenze. Rinvio Sulle conseguenze in ordine al regime delle prove assunte e alla perdurante efficacia della misura cautelare pendente, si rinvia al commento degli artt. 26 e 27. Casistica.Non è abnorme il provvedimento con il quale il giudice dichiari la propria incompetenza per territorio e contestualmente rigetti l'eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio per omessa celebrazione dell'udienza preliminare, in quanto gli atti assunti dal giudice incompetente conservano la loro efficacia solo se validamente compiuti e presentano l'attitudine a produrre effetti, ben potendo l'interessato riproporre l'eccezione di nullità al giudice competente che ha il dovere di esaminarla (Cass. III, n. 11486/2014). La declaratoria di incompetenza per territorio non determina la caducazione degli effetti della sospensione o dell'interruzione della prescrizione intervenute anteriormente a tale pronuncia (Cass. II, n. 30627/2017). Il tribunale del riesame, investito dell'impugnazione di un provvedimento impositivo di misura cautelare reale, può sindacare la competenza territoriale del giudice che ha emesso la misura stessa, solo se l'azione penale non è stata ancora esercitata, essendo, successivamente, riservata al giudice di merito ogni valutazione sulla competenza (Cass. III, n. 16478/2017). È abnorme la sentenza con la quale il giudice dibattimentale, avendo accertato che il fatto è stato commesso al di fuori della circoscrizione del proprio Tribunale, dichiari di non doversi procedere nei confronti dell'imputato per mancanza di una condizione di procedibilità, anziché dichiarare la propria incompetenza per territorio e disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice ritenuto competente (Cass. II, n. 31469/2014). La Corte d'Assise, essendo giudice superiore rispetto agli altri giudici di primo grado ai sensi dell'art. 38 l. n. 287/1951, una volta verificata la regolare costituzione delle parti, non può più spogliarsi della competenza investendo il Tribunale in composizione collegiale. (Nella specie, relativa ad un conflitto fra Corte d'Assise e tribunale in composizione collegiale, la S.C. ha chiarito che l'avvenuto mutamento del collegio di Assise per incompatibilità del giudice a latere non comporta la regressione del processo alla fase che precede l'apertura del dibattimento) (Cass. I, n. 25076/2012). BibliografiaCampilongo, Sub art. 23, in Codice di procedura penale, a cura di Canzio e Tranchina, Milano, 2012, t. I, 307 ss.; Di Salvo, Principio d'irretrattabilità dell'azione penale, regressione del procedimento e poteri del pubblico ministero, in Cass. pen. 2000, 3327 ss. |