Codice di Procedura Penale art. 33 bis - Attribuzioni del tribunale in composizione collegiale 1 .1. Sono attribuiti al tribunale in composizione collegiale i seguenti reati, consumati o tentati: a) delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), numeri 3, 4 e 5, sempre che per essi non sia stabilita la competenza della corte di assise; b) delitti previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice penale, esclusi quelli indicati dagli articoli 329, 331, primo comma, 332 3, 334 e 335; c) delitti previsti dagli articoli 416, 416-bis, 416-ter, 420, terzo comma, 429, secondo comma, 431, secondo comma, 432, terzo comma, 433, terzo comma, 433-bis4 , secondo comma, 440, 449, secondo comma, 452, primo comma, numero 2, 513-bis, 564, da 600-bis a 600-sexies puniti con reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, 609-bis, 609-quater e 644 del codice penale; d) reati previsti dal Titolo XI del libro V del codice civile, nonché dalle disposizioni che ne estendono l'applicazione a soggetti diversi da quelli in essi indicati 5; e) delitti previsti dall'articolo 1136 del codice della navigazione; f) delitti previsti dagli articoli 6 e 11 della l. cost. 16 gennaio 1989, n. 1; g) delitti previsti dagli articoli 216, 223, 228 e 234 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, in materia fallimentare, nonché dalle disposizioni che ne estendono l'applicazione a soggetti diversi da quelli in essi indicati; h) delitti previsti dall'articolo 1 del decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43, ratificato dalla legge 17 aprile 1956, n. 561, in materia di associazioni di carattere militare; i) delitti previsti dalla legge 20 giugno 1952, n. 645, attuativa della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione; i- bis) delitti previsti dall'articolo 291-quater del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 6; l) delitto previsto dall'articolo 593-ter del codice penale7; m) delitto previsto dall'articolo 2 della legge 25 gennaio 1982, n. 17, in materia di associazioni segrete; n) delitto previsto dall'articolo 29, secondo comma, della legge 13 settembre 1982, n. 646, in materia di misure di prevenzione; o) delitto previsto dall'articolo 512-bis del codice penale 8; p) delitti previsti dall'articolo 6, commi 3 e 4, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa; q) delitti previsti dall'articolo 10 della legge 18 novembre 1995, n. 496, in materia di produzione e uso di armi chimiche. 2. Sono attribuiti altresì al tribunale in composizione collegiale, salva la disposizione dell'articolo 33-ter, comma 1, i delitti puniti con la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, anche nell'ipotesi del tentativo. Per la determinazione della pena si osservano le disposizioni dell'articolo 4 9.
[1] L’ art. 169 d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51 ha sostituito l’intero contenuto del capo, originariamente costituito dal solo art. 33, con effetto dal termine indicato sub art. 6 , salvo per quanto riguarda gli artt. 33-bis e 33-ter , per i quali è stata stabilita come data di efficacia quella del 2 gennaio 2000, ai sensi dell'art. 247, comma 2-bis lett. a) d.lg. n. 51, cit., inserito dall'art. 3 d.l. 24 maggio 1999, n. 145, conv., con modif., dalla l. 22 luglio 1999, n. 234. Vedi anche il comma 2-ter dell'art. 247 d.lg. 19 febbraio 1998, n. 51, introdotto dall'art. 3 d.l. 24 maggio 1999, n. 145, conv., con modif., in l. 22 luglio 1999, n. 234. [2] Articolo prima modificato dall'art. 13 l. 3 agosto 1998, n. 269 e successivamente così sostituito dall'art. 10 l. 16 dicembre 1999, n. 479. Il testo previgente recitava: «1. Sono attribuiti al tribunale in composizione collegiale i seguenti reati, consumati o tentati: a) delitti indicati nell'articolo 407 comma 2, lettera a), sempre che per essi non sia stabilita la competenza della corte di assise; b) delitti previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice penale, esclusi quelli indicati dagli articoli 329, 331, comma 1, 332, 334 e 335; c) delitti previsti dagli articoli 416, 416-ter, 419, 420, comma 3, 426, 428, 429, comma 2, 430, 431, comma 2, 432, comma 3, 433, comma 3 434, comma 2, 440, 449, comma 2, 452 comma 1, numeri 1 e 2, 499, 513-bis, 564, 578, comma 1, da 600-bis a 600-sexies puniti con la reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni, 609-bis, 609-quater, 609-octies, 644, 648-bis e 648 ter del codice penale; d) delitti previsti dagli articoli 2621, 2628, 2629 e 2637 del codice civile, nonché disposizioni che ne estendono l'applicazione a soggetti diversi da quelli in essi indicati; e) delitti previsti dagli articoli 1135, 1136, 1137, 1138 e 1153 del codice della navigazione approvato con regio decreto 30 marzo 1942, n. 327; f) delitti previsti dagli articoli 6 e 11 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1; g) delitti previsti dagli articoli 216, 223 e 228 della legge 16 marzo 1942, n. 267, in materia fallimentare, nonché dalle disposizioni che ne estendono l'applicazione a soggetti diversi da quelli in essi indicati; h) delitti previsti dall'articolo 1 del decreto legislativo 14 febbraio 1948, n. 43, in materia di associazioni di carattere militare; i) delitti previsti dalla legge 20 giugno 1952, n. 645, attuativa della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione; l) delitto previsto dall'articolo 18 della legge 22 maggio 1978, n. 194, in materia di interruzione volontaria della gravidanza; m) delitto previsto dall'articolo 2 della legge 25 gennaio 1982, n. 17, in materia di associazioni segrete; n) delitto previsto dall'articolo 29 comma 2 della legge 13 settembre 1982, n. 646, in materia di misure di prevenzione; o) delitto previsto dall'articolo 12-quinquies comma 1 della legge 7 agosto 1992, n. 356, in materia di trasferimento fraudolento di valori; p) delitti previsti dall'articolo 6 commi 3 e 4 della legge 25 giugno 1993, n. 205, in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa; q) delitti previsti dall'articolo 25 comma 1 della legge 9 luglio 1990, n. 185 e dall'articolo 10 della legge 18 novembre 1995, n. 496. 2. Sono attribuiti altresì al tribunale in composizione collegiale i delitti puniti con la pena della reclusione superiore nel massimo a venti anni. Per la determinazione della pena si ha riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato, consumato o tentato, tenuto conto dell'aumento massimo di pena stabilito per le circostanze aggravanti». [4] Le parole « 433-bis, secondo comma, » sono state inserite dall'art. 8, comma 2, l. 28 aprile 2015, n. 58. [6] Lettera inserita dall'art. 5, comma 1, l. 19 marzo 2001, n. 92 . [7] Lettera sostituita dall'art. 2, comma 2 d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21. Il testo della lettera era il seguente: «l) delitto previsto dall'art. 18 della legge 22 maggio 1978, n. 194, in materia di interruzione volontaria della gravidanza». [8] Lettera così sostituita dall'art. 4, comma 2, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21. Il testo della lettera era il seguente: «o) delitto previsto dall'articolo 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, in materia di trasferimento fraudolento di valori». InquadramentoLa norma indica i criteri di attribuzione della competenza del tribunale in composizione collegiale. Il d.lgs. n. 21/2018 (Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale), in vigore dal 6 aprile 2018, ne ha operato il restiling avendo provveduto a sostituire le precedenti norme incriminatrici di fonte extra-codicistica in essa richiamate con le corrispondenti “nuove” norme incriminatrici ricollocate dal decreto legislativo delegato all'interno del codice penale. Si tratta, in particolare, del reato di interruzione di gravidanza non consensuale di cui all'art. 593-ter, c.p., indicato nella lettera l) e corrispondente all'abrogato art. 18, legge n. 194/1978, e del reato di trasferimento fraudolento di valori di cui all'art. 512-bis, c.p., indicato nella lettera o) e corrispondente all'abrogato art. 12-quinquies, d.l. n. 306/92, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 356/1992. La composizione collegiale o monocratica quale riparto interno di competenza dello steso ufficio giudiziarioCon la soppressione dell'ufficio del pretore (art. 1, d.lgs. n. 51/1998), giudice monocratico per definizione, e la redistribuzione delle sue competenze tra il giudice di pace (giudice monocratico la cui competenza penale — che non ha assorbito per intero quella del pretore — è stata istituita e regolamentata con d.lgs. n. 274/2000) e il tribunale, giudice da sempre collegiale, si è avvertita l'esigenza, ispirata a finalità di razionalizzazione ed efficienza del sistema, snellimento e accelerazione dei tempi di definizione dei processi ed economia delle risorse, di rimodulare le ampliate competenze del tribunale ritagliando al suo interno l'inedita figura del tribunale in composizione monocratica cui sono stati attribuiti tutti i reati già di competenza del pretore (art. 550), al netto di quelli di competenza del giudice di pace, e altri ben più gravi (tra i quali, espressamente, l'art. 73, d.P.R. n. 309/1990) che già venivano trattati dal tribunale nella sua tradizionale composizione collegiale. La distinzione fra tribunale in composizione collegiale o monocratica non incide sulla competenza per materia, per territorio e per connessione, ma costituisce articolazione interna di distribuzione degli affari del medesimo (ed unico) ufficio giudiziario, che riflette le sue conseguenze sul piano procedurale ed, in particolare, sul modo con cui può essere esercitata l'azione penale. Sicché, esclusi i casi del giudizio direttissimo e del giudizio immediato, per i reati attribuiti alla cognizione del tribunale in composizione collegiale è sempre prevista l'udienza preliminare, e l'azione penale deve essere esercitata con richiesta di rinvio a giudizio. Per i reati attribuiti al tribunale in composizione monocratica, invece, il codice opera la distinzione tra quelli per i quali il pubblico ministero procede con citazione diretta (art. 550 — si tratta, sostanzialmente dei reati che già appartenevano alla competenza per materia del pretore) e quelli, più gravi, per i quali è prevista l'udienza preliminare (e dunque con richiesta di rinvio a giudizio) (si veda il commento agli artt. 33-quinquies ss.). I criteri selettivi della competenza monocratica e collegialeI criteri di attribuzione dei reati al tribunale in composizione collegiale sono due: a) il primo, di tipo formale/nominalistico, prescinde dalla gravità dei reati (delitti o contravvenzioni) elencati nel primo comma e dalla loro forma (tentata o consumata), dalla contingenza che siano aggravati da una circostanza per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o di quelle ad effetto speciale; b) il secondo, di tipo sostanziale, si basa sulla gravità del reato e riguarda i soli delitti puniti con pena superiore, nel massimo, a dieci anni di reclusione, determinata ai sensi dell'art. 4. L'elenco dei reati di cui al comma primo può essere esteso o ridotto solo con legge, nemmeno, in ipotesi, con sentenza additiva della Corte costituzionale (su quest'ultimo punto, si veda Corte cost. n. 182/2007, che, nel dichiarare inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 33-bis, comma 1, lett. b, nella parte in cui non comprende tra le esclusioni dalla competenza collegiale il reato previsto dall'art. 316-ter c.p., esclude espressamente che la Corte possa “procedere ad aggiustamenti delle norme processuali per mere esigenze di coerenza sistematica e simmetria, in ossequio ad un astratto principio di razionalità del sistema normativo”, a meno che non “si possano rilevare lesioni di principi o regole contenuti nella Costituzione o di diritti costituzionalmente tutelati”). La riserva di collegialità non è, dunque, suscettibile di interpretazione estensiva perché espressione di un'insindacabile scelta legislativa secondo la quale in materia civile e penale il tribunale giudica di regola in composizione monocratica ed eccezionalmente, nei soli casi previsti dalla legge, in composizione collegiale (art. 48, r.d. n. 12/1941, come sostituisce dall'art. 1, l. n. 188/1998, cit.; Cass. I, n. 18725/2001). È stata pertanto dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 33-bis, là dove non prevede che il reato di commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate (art. 442 c.p.), seppure punito con la stessa pena prevista per il reato di commercio di sostanze alimentari nocive (art. 440 c.p.), non sia di competenza, come quest'ultimo, del Tribunale in composizione collegiale (Cass. I, n. 46946/2004). CasisticaIn applicazione del combinato disposto degli artt. 4 e 33-bis, comma 2, rientra tra i reati attribuiti alla cognizione del tribunale in composizione collegiale il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, circostanziato ai sensi dell'art. 339, comma secondo, c.p., da considerarsi come circostanza aggravante ad effetto speciale (Cass. I, n. 1656/2013). La competenza per tutte le ipotesi di reato contenute nell'art. 416-bis c.p., a prescindere dalla pena edittale prevista in riferimento alla violazione contestata, appartiene al Tribunale anche con riguardo ai procedimenti avviati precedentemente al momento dell'entrata in vigore del d.l. 12 febbraio 2010, n. 10, salvo che a quella data il giudizio non fosse già iniziato dinanzi alla Corte d'Assise (Cass. VI, n. 21063/2011). L'applicazione retroattiva dell'art. 5 (nel testo vigente), che assegna alla competenza del tribunale i reati associativi, «quoad titulum», comunque aggravati, in deroga alla generale competenza «quoad poenam» della corte d'assise, risulta imposta dall'interpretazione letterale della norma di diritto transitorio (art. 1, comma 1, lett. a, d.l. n. 10/2010, conv. in l. n. 52/2010), secondo il senso «fatto palese dal significato proprio delle parole» e affatto coerente con la inequivocabile “intenzione del legislatore” (Cass. I, n. 47655/2011). Competente per il delitto di diffamazione a mezzo stampa è il Tribunale in composizione monocratica, considerato che l'art. 21 l. n. 47/1948, che affermava, al riguardo, la competenza del tribunale quale organo pluripersonale, è ormai superato dalle nuove norme di ordinamento giudiziario e da quelle processuali che enunciano la regola generale della composizione monocratica del tribunale salvo tassative deroghe espressamente stabilite dalla legge, sicché deve essere esclusa l'interpretazione estensiva che prefiguri ulteriori riserve di collegialità per fattispecie di reato, in origine attribuite da leggi speciali al tribunale o al pretore, in relazione alla particolare rilevanza della materia o del bene giuridico tutelato (Cass. V, n. 19576/2007; Cass. I, n. 18725/2001). Il delitto di cui all'art. 316-ter c.p. rientra tra i reati attribuiti alla cognizione del giudice collegiale, ex art. 33-bis, comma 1, lett. b) (Cass. VI, n. 7951/2008). L'art. 589, comma 3, c.p. (morte e lesioni colpose in danno di più persone) non prevede un'autonoma figura di reato complesso, ma integra un'ipotesi di concorso formale di reati, nella quale l'unificazione è sancita unicamente quoad poenam, con la conseguenza che ciascun reato resta autonomo e distinto ai fini della determinazione del giudice competente per materia. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto la competenza del tribunale in composizione monocratica, sul rilievo che l'art. 33-bis richiama espressamente l'art. 4 dello stesso codice, a norma del quale, per determinare la competenza si ha riguardo alla pena stabilita per legge per ciascun reato consumato o tentato, e non a quella risultante dall'applicazione delle norme sulla continuazione e sul concorso formale di reati) (Cass. I, n. 27019/2001). Il reato di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommesse (art. 4 l. n. 401/1989) è attribuito alla cognizione del tribunale in composizione monocratica, in quanto le attribuzioni del tribunale nelle due diverse composizioni, monocratica e collegiale, sono disciplinate dagli artt. 33-bis e 33-ter (introdotti dall'art.169 d.lgs. n. 51/1998) e non più dai previgenti criteri di competenza per materia stabiliti dal codice, cui l'art. 210 disp. att. prevedeva di derogare nel caso di diverse disposizioni di leggi speciali. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso l'applicabilità dell'art. 21 l. n. 4/1929) (Cass. I, n. 49419/2004). La regola dettata dall'art. 665, comma 4-bis, per la quale la competenza in ordine all'esecuzione di più provvedimenti emessi dal tribunale in composizione monocratica e collegiale appartiene in ogni caso al collegio, è riferita alla sola ipotesi di pluralità di provvedimenti pronunciati dallo stesso tribunale, mentre, nel caso di provvedimenti emessi da giudici diversi, trova applicazione la regola generale fissata dal comma quarto dell'art. 665, cit., secondo cui è competente il giudice, monocratico o collegiale che ha pronunciato il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo (Cass. I, n. 49893/2015; contra la massima che segue). In tema di competenza all'esecuzione di una pluralità di provvedimenti emessi da giudici diversi, il criterio previsto dall'art. 665, comma 4 (prevedente la competenza del giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo) va integrato col criterio di cui al successivo comma 4-bis del medesimo articolo (introdotto dal d.lgs. n. 51/1998), secondo il quale, in relazione a provvedimenti emessi dal Tribunale in composizione monocratica e in composizione collegiale, competente all'esecuzione è in ogni caso il collegio, atteso che tale ultima disposizione è applicabile non solo nell'ipotesi di provvedimenti provenienti dal medesimo Tribunale, ma anche in quella di provvedimenti emessi da Tribunali diversi (Cass. I, n. 4914/2000). Il disposto di cui all'art.33-bis, comma 1, lett. n), per il quale è attribuita al tribunale in composizione collegiale la competenza per il «delitto previsto dall'art.29, comma 2, l. n. 646/1982 in materia di misure di prevenzione», trova applicazione soltanto con riguardo a reati che abbiano natura finanziaria, valutaria o societaria e siano stati commessi da soggetti sottoposti con provvedimento definitivo a misura di prevenzione in quanto indiziati di appartenenza ad associazione mafiosa ovvero siano stati condannati con sentenza definitiva per il delitto di associazione per delinquere di tipo mafioso. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte, risolvendo un conflitto, ha affermato la competenza del tribunale monocratico a conoscere del reato — ritenuto non finanziario — di omessa comunicazione delle variazioni patrimoniali, previsto dall'art.31 della citata l. n. 646/1982) (Cass. I, n. 45798/2001). Al processo penale militare non si estendono — nel silenzio della legge di riforma ordinamentale e processuale sull'istituzione del giudice unico di primo grado — le novellate disposizioni contenute nel libro VIII del codice di procedura penale sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, in quanto dal principio di complementarità di cui all'art. 261 c.p. mil. p. non può impropriamente desumersi l'esistenza di un meccanismo di automatica operatività, nel processo militare, delle regole generali del diritto processuale comune, salvo che nell'ipotesi di palese e radicale incompatibilità della disposizione speciale derogatoria con le linee-guida del modello accusatorio e con l'opzione garantistica in tema di libertà personale, cui risulta ispirato il nuovo sistema processuale in riferimento ai valori fondamentali espressi nella Carta costituzionale. Ne consegue che il tribunale militare continua a giudicare, nella fase dibattimentale, in composizione collegiale mista, con l'intervento di due giudici togati e di un membro laico, ufficiale delle Forze armate di grado almeno pari a quello dell'imputato, il cui apporto qualificato nel ruolo di esperto della vita e dell'ambiente militare, quantunque non vincolato costituzionalmente, è stato ritenuto dal legislatore, con scelta discrezionale non irragionevole, opportuno e non altrimenti surrogabile nel giudizio (Cass. I, n. 4488/2000). BibliografiaCiarniello, Sub art. 33-bis, in Codice di procedura penale, a cura di Canzio e Tranchina, t. I, Milano, 2012, 395 ss. |