Codice di Procedura Penale art. 33 quinquies - Inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale 1 2 .

Aldo Aceto

Inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale1 2.

1. L'inosservanza delle disposizioni relative all'attribuzione dei reati alla cognizione del tribunale in composizione collegiale [33-bis] o monocratica [33-ter] e delle disposizioni processuali collegate [33-quater] è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell'udienza preliminare [421] o, se questa manca, entro il termine previsto dall'articolo 491 comma 1. Entro quest'ultimo termine deve essere riproposta l'eccezione respinta nell'udienza preliminare.

 

[1] V. nota al capo VI-bis.

[2] La Corte cost. 22 dicembre 2023, n. 225, dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 33-quinquies cod. proc. pen., sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, paragrafo 3, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

Inquadramento

La norma scandisce i tempi della rilevabilità, d'ufficio o su eccezione di parte, della inosservanza delle disposizioni relative alla attribuzione del reato (o dei reati) al tribunale in composizione collegiale o monocratica, uniformandoli a quelli relativi alla rilevabilità (d'ufficio o su eccezione) dell'incompetenza per territorio o per connessione (art. 21).

La rilevabilità dell'errata composizione del tribunale

I termini sono fissati a pena di decadenza, il che impedisce che, una volta superata inutilmente la fase introduttiva del processo, la composizione del giudice che procede possa essere messa in discussione, nemmeno in sede di impugnazione.

Per il giudice dell'udienza preliminare il termine coincide con quello della deliberazione [GARGIULO].

Non si è mancato, in dottrina, di stigmatizzare la scelta del legislatore di trattare la questione relativa alla erronea composizione del giudice, che comunque incide sulla naturalità del giudice stesso, ispirandosi alla disciplina della incompetenza per territorio piuttosto che a quella della competenza per materia [BACCARI, 476], così avvalorando la tesi di chi sostiene che il difetto di attribuzione costituisce vizio meno grave della incompetenza per materia [DELLA RAGIONE, 84, secondo cui il concetto di attribuzione evoca una mera questione di divisione interna del carico di lavoro; nello stesso senso, ancorché con spirito critico, TONINI-CONTI, 95, DI CHIARA, 80; per CORDERO, 137, la divisione del lavoro tra i due tribunali costituisce altrettante competenze ma il legislatore schiva acrobaticamente questa parola].

In ogni caso il giudice investito nella sua errata composizione non è un giudice incapace (art. 33, c. 3; TONINI-CONTI, 95).

Si discute, piuttosto, in dottrina, sul tipo di nullità derivante dalla errata composizione del giudice. Per taluni si tratta di nullità atipica, per altri di nullità relativa, ancorché rilevabile d'ufficio, per altri ancora di nullità intermedia. Altri Autori escludono che si tratti di nullità e optano per un vizio di incompetenza funzionale o per un difetto di attribuzione [per una panoramica, CIARNIELLO, 194].

La parte che intenda rilevare l'incompetenza del giudice monocratico, a cui erano stati trasmessi gli atti da quello collegiale, deve sollevare la relativa eccezione, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall'art. 33-quinquies, non essendo sufficiente, per evitare la preclusione, l'impugnazione con l'atto di appello dell'ordinanza trasmissiva degli atti (Cass. I, n. 7090/2012).

L'eccezione di parte costituisce, dunque, onere imprescindibile anche della sua riproposizione in sede di appello o di legittimità (art. 33-octies).

La norma in commento deve essere letta in correlazione con quanto prevedono gli artt. 516, commi 1- bis e 1- ter , e 517, commi 1 e 1- bis, che stabiliscono i termini entro cui rilevare o eccepire, a pena di decadenza, l'errata composizione del giudice quale conseguenza della contestazione, in dibattimento, del fatto diverso ovvero di una circostanza aggravante o di un reato connesso ai sensi dell'art. 12, lett. b.

In questi ultimi casi, infatti, sono previsti i rimedi processuali che consentono alla parte privata di recuperare la fase dell'udienza preliminare, se non tenuta, o di spostare il giudizio dinanzi al collegio.

Quel che conta evidenziare, però, è che: a) l'eventuale inosservanza delle disposizioni di cui agli artt. 33-bis, 33-ter e 33-quater, può e deve essere valutata dal giudice non solo sulla base della contestazione contenuta nell'originario capo di imputazione, ma anche degli atti a sua disposizione (l'intero fascicolo del pubblico ministero e del difensore in sede di udienza preliminare; il fascicolo del dibattimento in sede di giudizio); b) la decadenza dalla rilevabilità anche d'ufficio della violazione delle suddette disposizioni non opera se il fatto, così come contestato, risulti diverso in base ad acquisizioni probatorie successive al termine decadenziale (art. 521).

Si discute in dottrina se il giudice possa, nel termine previsto dall'art. 491, comma 1, rilevare d'ufficio la questione, mai precedentemente proposta nell'udienza preliminare oppure non riproposta, relativa alla attribuzione del reato alla cognizione del giudice in composizione collegiale o monocratica. L'opzione favorevole fa leva sulla lettura dell'art. 33-septies, c. 1, quella contraria sulla rigida preclusione del termine decadenziale che opera anche nei confronti del giudice [BACCARI, 476; GARGIULO, 212].

Il termine di decadenza entro il quale l'imputato deve proporre l'eccezione circa il difetto di attribuzione non postula la necessità che il pubblico ministero indichi, con la richiesta di rinvio a giudizio, il giudice (in composizione collegiale o monocratico) successivamente investito della cognizione (Corte cost., ord. n. 395/2001). Il problema si è posto a seguito della entrata in vigore della legge n. 479/99 che ha previsto l'udienza preliminare anche per taluni reati precedentemente attribuiti al tribunale in composizione monocratica. Mentre, in precedenza, il pubblico ministero esercitava l'azione penale con la richiesta di rinvio a giudizio per i reati attribuiti al tribunale in composizione collegiale e con la citazione diretta a giudizio per i reati attribuiti al tribunale in composizione monocratica, rendendo previamente conoscibile la composizione del giudice dinanzi al quale l'imputato sarebbe stato tratto a giudizio, con la riforma del '99 veniva meno questa corrispondenza tra le forme dell'esercizio dell'azione penale e la composizione del giudice investito della plena cognitio. Sicché l'imputato erroneamente rinviato a giudizio dinanzi al giudice monocratico piuttosto che a quello collegiale (o viceversa) non avrebbe potuto eccepire alcunché se non avesse proposto l'eccezione in sede di udienza preliminare. Con ordinanza n. 395/2001, la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 33-quinquies, 416 e 417, sollevata, in riferimento agli artt. 3,24 e 111 della Costituzione, nella parte in cui le disposizioni censurate non prevedono che la sanzione processuale della decadenza, conseguente alla mancata proposizione, prima della conclusione dell'udienza preliminare, dell'eccezione concernente l'erronea attribuzione dei reati alla cognizione del tribunale in composizione monocratica o collegiale, sia “correlata allo specifico obbligo del pubblico ministero di indicazione del giudice davanti al quale chiede il rinvio a giudizio”. Secondo i Giudici delle leggi, la soluzione che vorrebbe collegare la sanzione processuale della decadenza "ad uno specifico obbligo imposto al pubblico ministero di indicazione del giudice davanti al quale chiede il rinvio a giudizio" si rivela del tutto inadeguata, posto che, quale che sia il contenuto della richiesta del pubblico ministero, spetta comunque al giudice dell'udienza preliminare individuare nel decreto che dispone il giudizio l'organo avanti al quale verrà celebrato il dibattimento. Sicché, l'interpretazione dell'art. 33-quinquies secondo la quale il termine di decadenza dovrebbe continuare ad essere riferito all'udienza preliminare, malgrado l'inosservanza delle disposizioni relative all'attribuzione dei reati sia concretamente eccepibile, analogamente alle ipotesi nelle quali manca l'udienza preliminare, solo dopo la 'vocatio in ius' e, cioè, in un momento in cui il termine indicato dalla disciplina censurata è ormai decorso, è priva di significato logico e razionale.

Secondo Cass. SU, n. 48590/2019 la previsione di termini preclusivi richiede necessariamente la preesistenza, e quindi la conoscibilità per le parti, del presupposto per l'esercizio della facoltà, sicché il regime dell'eccezione di parte di cui all'art. 33-quinquies e la relativa decadenza devono necessariamente riferirsi all'imputazione originaria così come formulata dal pubblico ministero e non si applicano alla diversa ipotesi del mutamento dell'imputazione per effetto di una sopravvenuta diversa valutazione da parte del giudice dell'udienza preliminare. Diversamente opinando, annotano le Sezioni Unite, si determinerebbe un vulnus all'esercizio dei poteri della difesa (le Sezioni Unite ipotizzano il caso in cui la modifica nell'attribuzione, monocratica o collegiale, consegua all'adozione di una sentenza di non luogo a procedere che determini il venir meno della connessione rilevante ex art. 33-quater; in tal caso, l'imputato verrebbe in concreto privato della possibilità di sollevare la relativa eccezione, atteso che quella pronuncia e la contestuale adozione del decreto di rinvio a giudizio per i reati residuali intervengono a chiusura dell'udienza preliminare e, quindi, egli non avrebbe più la possibilità di sollevare l'eccezione nei termini perentori previsti dall'art. 33-quinquies).

La Corte costituzionale con sentenza n. 225/2023 ha dichiarato non fondate , nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale – sollevate dal Tribunale di Nocera Inferiore in riferimento agli artt. 3,24,111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 3, CEDUdell'art. 33- quinquies, nella parte in cui prevede che l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza , prima della conclusione dell'udienza preliminare. Poiché – afferma il Giudice delle leggi - il sistema processuale penale – in ossequio a esigenze costituzionali e convenzionali di tutela della ragionevole durata dei processi penali –, mira ad affrontare e risolvere prima possibile sia le questioni di competenza per territorio e derivante da connessione, sia quelle relative all'attribuzione della cognizione della causa al tribunale in formazione collegiale o monocratica, in modo da evitare regressioni o, comunque, stasi in fasi avanzate del processo, con conseguente dispersione delle attività già svolte, ne deriva che il luogo privilegiato per affrontare tali questioni è l'udienza preliminare, quando prevista . Pertanto, laddove l'imputato intenda negare ogni connessione tra i reati a sé addebitati e quelli che, in ipotesi, radichino l'attribuzione della cognizione della causa al tribunale in formazione collegiale, egli sarà tenuto a sollevare sin dall'udienza preliminare la relativa eccezione, eventualmente in via subordinata rispetto alla richiesta di non luogo a procedere per i reati che lo riguardano. Così facendo, egli conserverà tra l'altro la possibilità di reiterare la richiesta in sede di questioni preliminari al dibattimento. Una lettura costituzionalmente orientata della disposizione censurata – fornita dalle Sezioni unite con la sentenza n. 48590 del 2019 , per cui essa può operare soltanto laddove all'imputato sia chiaro, già nel corso dell'udienza preliminare, quale sarà la composizione del tribunale al quale la causa sarà assegnata, nel caso in cui egli sia effettivamente rinviato a giudizio – consente di ritenere non fondati tutti i profili di censura articolati dal rimettente. Anzitutto, l'art. 3 Cost., perché non sussiste alcuna irragionevole disparità di trattamento tra le ipotesi in cui il procedimento passi, o meno, attraverso l'udienza preliminare; né sussiste alcuna indebita parificazione tra la disciplina in esame e quella relativa al rilievo dell'incompetenza per territorio o derivante dalla connessione di cui all'art. 21, c. 2 e 3: ché, anzi, le due discipline sono in grado di operare in perfetta simmetria; né, infine, può ritenersi che la disciplina in esame ponga irragionevolmente a carico delle parti l'onere di eccepire, in via preventiva, una violazione soltanto futura delle regole sul riparto di attribuzione. Per le medesime ragioni non sussiste la lamentata lesione del diritto di difesa : la lettura delle Sezioni unite attribuisce l'onere di formulare, in udienza preliminare, soltanto le eccezioni relative a profili che siano già desumibili dalla richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero (ovvero dalle eventuali modificazioni dell'imputazione avvenute in contraddittorio durante l'udienza preliminare), e non già quelle che concernano profili desumibili per la prima volta dal decreto di rinvio a giudizio, rispetto ai quali l'onere di eccezione non potrà che essere posposto all'inizio del dibattimento . Infine, la predetta interpretazione costituzionalmente conforme dell'art. 33- quinquies ne esclude ogni profilo di contrarietà con il principio del contraddittorio, consentendo all'imputato di interloquire, a seguito della proposizione tempestiva dell'eccezione, su tutti i profili dai quali dipende l'attribuzione della causa alla cognizione del tribunale in formazione collegiale o monocratica (FONTE: Ufficio del massimario della Corte costituzionale; nel senso che la ragionevole durata del processo è oggetto, oltre che di un interesse collettivo, di un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelato non meno di quello ad un giudizio equo e imparziale, e che costituisce un connotato identitario della giustizia del processo ,Corte cost., sent. n. 116/2023, sent. n. 78/2002, sent. n. 74/2002 ).

La stessa sentenza, Corte cost. n. 225/2023, ha dichiarato inammissibili, per inconferenza del parametro evocato, le questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Nocera Inferiore in riferimento all'art. 101, secondo comma, Cost., dell'art. 33-quinquies, nella parte in cui prevede che l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell'udienza preliminare. Il principio della c.d. indipendenza “interna” del giudice, pure desumibile dal parametro evocato, non osta affatto, secondo la Corte costituzionale, a che la sua potestas iudicandi sia delimitata, in conformità alla legge processuale vigente, da provvedimenti di altri giudici, dovendosi più in generale escludersi che possa prodursi un vulnus all'art. 101, secondo comma, Cost. in presenza di vincoli alla potestas iudicandi del singolo giudice stabiliti dalla legge processuale, anch'essa parte integrante di quella “legge” a cui il giudice è soggetto (FONTE: Ufficio del massimario della Corte costituzionale; nello stesso senso, Corte cost., ord. n. 28/2023; Corte cost., n. 375/1996; Corte cost., n. 50/1970).

In dottrina si ritiene che il difetto di attribuzione possa essere sollevato per la prima volta entro il termine di cui all'art. 491, c. 1, quando il giudice dell'udienza preliminare disponga il rinvio a giudizio dinanzi a un giudice in composizione diversa da quella ritenuta dalle parti [BACCARI, 477; CIARNIELLO, 195].

Casistica

L'annullamento senza rinvio, per abnormità, dell'ordinanza con cui il tribunale monocratico, oltre i termini previsti dall'art. 33-quinquies, comma 1, abbia, nel dibattimento, per reato la cui cognizione appartenga al tribunale in composizione collegiale, restituito gli atti al P.M. anziché al tribunale stesso, comporta la trasmissione degli atti al tribunale collegiale laddove la decadenza, per inosservanza dei termini, del giudice monocratico dal potere di rilevare la violazione, non abbia formato oggetto di ricorso (Cass. I, n. 43193/2012).

Nel caso in cui in sede di appello sia stata data al fatto, giudicato in primo grado dal tribunale in composizione monocratica, una diversa e più grave qualificazione giuridica , per effetto della quale esso rientri nelle attribuzioni del tribunale in composizione collegiale, la Corte di cassazione, ove il giudice di appello non abbia provveduto in tal senso e l'eccezione di incompetenza risulti proposta con i motivi di impugnazione, deve annullare senza rinvio la sentenza di primo grado e quella di appello e trasmettere gli atti al pubblico ministero (Cass. V, n. 19900/2023; .Cass. VI, n. 48390/2008; contraCass. VI, n. 23315/2021, secondo cui, invece, la diversa qualificazione giuridica del fatto data dal giudice di appello, per effetto della quale il reato doveva essere giudicato dal tribunale in composizione collegiale anziché monocratica, non impone l'annullamento della sentenza di primo grado al fine di consentire la celebrazione del giudizio dinanzi all'organo nella corretta composizione, in quanto, dalla lettura coordinata degli artt. 24 e 597, comma 3, cod. proc. pen., si evince che è consentito al giudice del gravame procedere alla riqualificazione, purché non sia superata la competenza del giudice di primo grado, mentre a nulla rileva l'inosservanza delle disposizioni sull'attribuzione degli affari al giudice collegiale anziché al giudice monocratico.

Nel caso in cui la Corte di cassazione dia al fatto una nuova e diversa qualificazione giuridica, con conseguente riconducibilità del reato nelle attribuzioni del tribunale in composizione collegiale e nel novero di quelli per i quali è prevista la celebrazione dell'udienza preliminare, e questa non si sia tenuta, deve annullare senza rinvio la sentenza impugnata e trasmettere gli atti al pubblico ministero presso il tribunale competente in primo grado (Cass. VI, n. 51151/2019; Cass. VI, n. 22813/2016).

Bibliografia

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