Codice di Procedura Penale art. 45 - Casi di rimessione 1 .Casi di rimessione 1. 1. In ogni stato e grado del processo di merito, quando gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo ovvero la sicurezza o l'incolumità pubblica, o determinano motivi di legittimo sospetto, la Corte di cassazione, su richiesta [46] motivata del procuratore generale presso la corte di appello o del pubblico ministero presso il giudice che procede o dell'imputato [60], rimette il processo ad altro giudice, designato a norma dell'articolo 11.
[1] Articolo così sostituito dall'art. 11l. 7 novembre 2002, n. 248. Il testo originario era: «1. In ogni stato e grado del processo di merito, quando la sicurezza o l'incolumità pubblica ovvero la libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo sono pregiudicate da gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, la corte di cassazione, su richiesta motivata del procuratore generale presso la corte di appello o del pubblico ministero presso il giudice che procede o dell'imputato, rimette il processo ad altro giudice, designato a norma dell'articolo 11». V. la disposizione transitoria dettata dall'art. 1 5 l. n. 248, cit. InquadramentoIl processo penale (e il più delle volte anche i suoi attori protagonisti) vive nell'ambiente in cui si celebra ed è ad esso permeabile. Il processo è “ragione”, non “passione, sentimento, intuizione”; è applicazione razionale della legge, non cieco atto di vendetta né luogo di assoluzioni imposte. Se l'ambiente rischia di inquinare la ragione, tutto il processo perde la sua ratio essendi e questo spiega l'eccezionale istituto dello spostamento in un luogo in cui la ragione possa tornare ad esser se stessa. I presupposti e l'ambito di applicabilità della norma. L'eccezionalità dell'istitutoLo spostamento del processo ad altra sede costituisce presidio di garanzia della terzietà del giudice (sotto il profilo della imparzialità del suo giudizio), della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo (P.M., difensore, imputato, testi, periti e simili, secondo Cass. I, n. 5723/1994) e della inviolabilità del diritto di difesa (Cass. I, n. 926/1990; Cass. I, n. 3402/1994; Corte cost. n. 168/2006) quando possano essere pregiudicate da motivi che non riguardano il giudice come persona fisica (provvedendo in tal senso l'istituto dell'incompatibilità e i rimedi dell'astensione e della ricusazione) ma l'intero ufficio giudiziario al quale appartiene (Cass. I, n. 5682/1997). È strumento processuale che tutela l'imparzialità e la serenità del giudizio sul piano oggettivo, preservandolo dal rischio concreto, effettivo, non opinabile e di incontrovertibile attualità di essere inquinato da fattori esterni all'ufficio giudiziario chiamato a svolgere la sua funzione giurisdizionale (Cass. III, n. 24050/2018); è strumento la cui applicazione è saldamente ancorata ai presupposti di fatto che possono menomarlo la cui espressa previsione esclude ogni possibile applicazione discrezionale (sulla sua applicazione anche al procedimento di prevenzione, in virtù della natura pienamente giurisdizionale di esso e dell'espresso richiamo, contenuto nell'art. 4, comma 8, l. n. 1423/1956, alle norme del codice di procedura penale per il suo svolgimento, si veda Cass. I, n. 944/2000; si veda altresì Cass. S.U., n. 13687/2003 che ha dichiarato manifestamente infondata, in relazione all'art. 25, comma 1, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 45, come modificato dall'art. 1 l. n. 248/2002, in tema di rimessione per legittimo sospetto, in quanto la rilevanza di quest'ultimo ai fini della «translatio iudicii» è subordinata alla sua derivazione, come effetto, da gravi situazioni locali idonee a pregiudicare oggettivamente e concretamente l'imparzialità del giudice, circostanza, quest'ultima, che esclude la possibilità di uno spostamento della competenza per territorio affidato alla mera discrezionalità della Corte di cassazione). Come ha ben spiegato la Corte costituzionale, «siffatto eccezionale presidio — a garanzia della serenità ed imparzialità del giudizio e, quindi, in ultima analisi, dello stesso valore del “giusto processo” — è, da sempre, previsto soltanto per il processo penale, giacché a garantire le parti dai rischi della non imparzialità e terzietà del giudice soccorrono, nelle altre sedi giurisdizionali, i diversi istituti della astensione e della ricusazione. Questa indubbia peculiarità si fonda sulla constatazione che soltanto il processo penale è, per sua natura, idoneo a suscitare gravi emozioni e perturbamenti, specie nel luogo in cui esso si celebra. Tali turbamenti — sia che rilevino sul piano dell'ordine pubblico processuale, sia che attengano al diverso profilo della serenità del giudizio — sono comunque riconducibili all'intervento di “elementi esterni”. Questi ultimi — come ha più volte sottolineato la giurisprudenza di legittimità — più che incidere direttamente sul valore della imparzialità e terzietà del giudice investito della cognizione della regiudicanda (il “sospetto” di condizionamento non riguarda, infatti, il singolo giudice, ma l'intero ufficio giudiziario), finiscono per coinvolgere la stessa possibilità di celebrare un “giusto processo”. Le gravi situazioni locali che turbano lo svolgimento del processo, di cui è menzione nell'art. 45 c.p.p., non possono, pertanto, che fondarsi e riflettersi su quello che è il naturale oggetto del processo penale: vale a dire, una specifica accusa mossa nei confronti di un determinato imputato; quindi, un contesto ambientale che genera una turbativa a favore o contro l'accusa o, reciprocamente, a favore o contro l'imputato (...) È ben vero, infatti — come la giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni sottolineato — che la locuzione “giudice naturale” «non ha nell'art. 25 [Cost.] un significato proprio e distinto, e deriva per forza di tradizione da norme analoghe di precedenti Costituzioni, nulla in realtà aggiungendo al concetto di “giudice precostituito per legge”» (v., ad es., sentenza n. 88 del 1962 e ordinanza n. 100 del 1984); ma deve riconoscersi che il predicato della “naturalità” assume nel processo penale un carattere del tutto particolare, in ragione della “fisiologica” allocazione di quel processo nel locus commissi delicti. Qualsiasi istituto processuale, quindi, che producesse — come la rimessione — l'effetto di “distrarre” il processo dalla sua sede, inciderebbe su un valore di elevato e specifico risalto per il processo penale; giacché la celebrazione di quel processo in “quel” luogo, risponde ad esigenze di indubbio rilievo, fra le quali, non ultima, va annoverata anche quella — più che tradizionale — per la quale il diritto e la giustizia devono riaffermarsi proprio nel luogo in cui sono stati violati.» (Corte cost. n. 106/2006). L'istituto ha dunque carattere eccezionale poiché implica una deroga al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge e, come tale, comporta la necessità di un'interpretazione restrittiva delle disposizioni che lo regolano, in esse comprese quelle che stabiliscono i presupposti per la «translatio iudicii». Ne consegue che: a) per grave situazione locale deve intendersi un fenomeno esterno alla dialettica processuale, riguardante l'ambiente territoriale nel quale il processo si svolge e connotato da tale abnormità e consistenza da non poter essere interpretato se non nel senso di un pericolo concreto per la non imparzialità del giudice (inteso come l'ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito) o di un pregiudizio alla libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo medesimo (Cass. III, n. 24050/2018; Cass. VI, n. 17170/2016 secondo cui la grave situazione locale che giustifica l'applicazione dell'istituto deve necessariamente essere rappresentata da fenomeni esterni alla dialettica processuale, a tutela del principio della precostituzione per legge del giudice naturale, in linea con quanto affermato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in relazione agli artt. 6, par. 1, e 13 della CEDU); b) i motivi di legittimo sospetto possono configurarsi solo in presenza di questa grave situazione locale e come conseguenza di essa. Pertanto, ai fini della rimessione del processo, i provvedimenti e i comportamenti del giudice possono assumere rilevanza a condizione che siano l'effetto di una grave situazione locale e che, per le loro caratteristiche oggettive, siano sicuramente sintomatici della mancanza di imparzialità dell'ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo medesimo, così come anche gli atti e i comportamenti del pubblico ministero, quando censurabili, possono costituire presupposto per la rimessione del processo a norma degli artt. 45 e ss., purché abbiano pregiudicato la libera determinazione delle persone che vi partecipano ovvero abbiano dato causa a motivi di legittimo sospetto sull'imparzialità dell'ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo medesimo (Cass. S.U., n. 13687/2003; nell'affermare i principi appena esposti, la S.C. ha anche dichiarato la manifesta infondatezza, in relazione all'art. 25, comma 1, Cost., della questione di legittimità costituzionale dell'art. 45, come modificato dall'art. 1 l. n. 248/2002, in tema di rimessione per legittimo sospetto, in quanto la rilevanza di quest'ultimo ai fini della «translatio iudicii» è subordinata alla sua derivazione, come effetto, da gravi situazioni locali idonee a pregiudicare oggettivamente e concretamente l'imparzialità del giudice, circostanza, quest'ultima, che esclude la possibilità di uno spostamento della competenza per territorio affidato alla mera discrezionalità della Corte di cassazione). È stato ulteriormente precisato che, per la sua eccezionalità, la rimessione può trovare applicazione solo quando si sia effettivamente determinata una situazione obiettiva tale da sconvolgere l'ordine processuale, inteso quale sottospecie dell'ordine pubblico e, più specificamente, quale complesso di mezzi strumentali approntati dallo Stato per l'attuazione delle proprie finalità nell'esercizio della giurisdizione e per garantire la serenità e attendibilità del risultato del giudizio (Cass. I, n. 3402/1994, che ha tuttavia affermato che il richiamo al concetto di libertà, implicando l'idea di una vera e propria coartazione, fisica o psichica, preclusiva per il giudice di ogni possibilità di scelta, non consente di prendere in considerazione turbamenti di carattere solo morale, derivanti da fatti che riguardino persone diverse dai magistrati investiti del giudizio o che, pur riguardando tali magistrati, non coinvolgano l'organo giudiziario nella sua totalità, ma singoli soggetti nei cui confronti sarebbe esperibile la procedura della ricusazione. Nel senso che il richiamo all'ipotesi del pregiudizio per la libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo deve implicare l'idea di una vera e propria coartazione, fisica o psichica, preclusiva per coloro che intervengono nel processo, e segnatamente per l'organo giudicante, di ogni possibilità di scelta, cfr. Cass. I, n. 4024/1996; Cass. I, n. 5533/1996). Si deve in ogni caso trattare di situazioni non altrimenti eliminabili, a cui cioè non possa porsi rimedio con l'adozione di speciali accorgimenti e cautele idonee a impedire l'insorgere di tumulti o la perpetrazione di azioni violente e lesive in danno di un numero indeterminato di persone o di uno o più dei soggetti che partecipano al processo ovvero con il ricorso agli strumenti predisposti dall'ordinamento per i casi di possibile alterazione del corso normale della giustizia (artt. 36 e 37: astensione e ricusazione del giudice; art. 52: astensione del magistrato del pubblico ministero; art. 53: sostituzione del magistrato del pubblico ministero, che può essere sollecitata anche dall'interessato, il quale possa dimostrare la sussistenza di una delle situazioni previste dall'art. 36, comma 1, lett. a, b, d, e) (Cass. I, n. 740/1995; nello stesso senso anche Cass. I, n. 3665/1995, Cass. I, n. 634/1996). La natura eccezionale dell'istituto impedisce, come detto, di estenderne l'ambito applicativo oltre gli stretti confini delineati dalla norma. Il richiamo al “processo” rende priva di rilevanza la grave situazione locale coeva alla fase procedimentale o addirittura anteriore ad essa, in quanto, in quel momento, il processo da rimettere eventualmente ad altra sede non esiste ancora (Cass. S.U., n. 13687/2003, cit.). Ed, infatti, prima della formulazione dell'imputazione da parte del pubblico ministero ai sensi dell'art. 405, l'indagato non assume la qualità di «imputato» (art. 60), né esiste un giudice avanti al quale si proceda, che possa essere ricusato (Cass. I, n. 3356/1994, che ne ha tratto la conseguenza che non è possibile il ricorso all'istituto della remissione nella fase delle indagini preliminari e la relativa richiesta deve essere dichiarata inammissibile; per l'applicabilità dell'istituto sin dall'udienza preliminare, cfr. Cass. V, n. 6409/2009). Sulla premessa che le condizioni per la rimessione devono ritenersi operanti non solo rispetto a quelle attività processuali riconducibili nella categoria del processo vero e proprio, ma anche in tutti i casi nei quali la legge processuale affida al giudice il compito di emettere decisioni corrispondenti all'esercizio della funzione giurisdizionale, anche se non sia stata ancora promossa l'azione penale a norma dell'art. 405 e, quindi, non sia stato ancora instaurato il rapporto inquadrabile nello schema concettuale del processo, la giurisprudenza ha ritenuto ammissibile la richiesta di remissione anche se proposta nella fase di chiusura delle indagini preliminari quando, a seguito della richiesta avanzata dal P.M. a norma dell'art. 408, il giudice per le indagini preliminari è chiamato a decidere se disporre, o non, l'archiviazione, essendo indubbio che, in tale situazione procedimentale, il giudice è investito di poteri decisori, di merito e di carattere processuale, che corrispondono all'esercizio della giurisdizione (Cass. II, n. 44868/2019; Cass. I, n. 1597/1997; contra, Cass. I, n. 212/1997 secondo cui l'istituto della rimessione è circoscritta alla sola fase del processo di merito). Segue . Casistica La giurisprudenza ha escluso la ricorrenza dei presupposti della rimessione nei seguenti casi: l'adozione, in un diverso procedimento celebrato a carico del medesimo imputato, di un'ordinanza ex art. 521, con la quale il tribunale aveva disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica, il tutto in un contesto in cui il pubblico ministero d'udienza aveva dichiarato il proprio pregiudizio nei confronti dell'imputato e di tutto il distretto giudiziario nel quale quest'ultimo aveva in precedenza svolto le funzioni di presidente di tribunale (Cass. VI, n. 29413/2018); una campagna di stampa, che pur se aspra, continua ed astiosa, può ripetere l'opinione dell'ambiente da cui è tratta l'informazione, ma non per questo è significativa del venire meno dell'imparzialità del giudice locale nel momento in cui assolve le sue funzioni (Cass. II, n. 55328/2016; cfr., altresì, Cass. I, n. 2651/1992, secondo cui non può ritenersi una campagna di stampa distorta e tendenziosa la pubblicazione di articoli che, anticipando il giudizio dei giudici, indichi gli imputati come responsabili del grave fatto di sangue, dato che nella pratica quotidiana un siffatto tipo di informazione, ancorché distorto, costituisce costume quasi costante dell'attività giornalistica. Sullo stesso tema si vedano anche Cass. III, n. 45310/2009, secondo cui le locali campagne di stampa e manifestazioni di piazza non legittimano di per sé la rimessione del processo, e Cass. VI, n. 11499/2014); la presenza di uno stato di tensione e di un turbamento dell'ordine pubblico meramente possibili, dovendo di questi darsi carico le forze di polizia nell'ambito dei loro compiti preventivi, essendo invece necessario che la situazione paventata ed addotta a sostegno della richiesta di rimessione emerga in modo ragionevolmente certo e non costituisca invece la proiezione di preoccupazioni e di timori che, pur essendo ancorati a dati di fatto, non consentono di prevedere reali ostacoli ad un corretto svolgimento del giudizio (Cass. I, n. 1787/1991; si veda altresì Cass. I, n. 4045/1995 che ha affermato che le situazioni paventate e addotte a sostegno della richiesta devono emergere in modo certo dagli atti del processo e non costituire solo la proiezione di generiche preoccupazioni e timori che non consentono di ipotizzare la sussistenza di fatti reali, collegati a situazioni locali, idonei per la loro gravità a turbare il sereno svolgimento del processo e a compromettere in tal modo la corretta amministrazione della giustizia. Nel caso specifico, relativo al cosiddetto «processo Enimont», pendente dinanzi al Tribunale di Milano, a sostegno dell'istanza di rimessione si era dedotto che nel processo in esame: a) — era stato in concreto negato il diritto di difesa, sul rilievo che erano state revocate ordinanze ammissive di prova, erano state rigettate istanze difensive volte all'acquisizione di documenti, erano stati disposti d'ufficio nuovi mezzi di prova, da cui il P.M. era decaduto per inattività, era stato negato il diritto di esaminare i coimputati rifiutatisi di rendere l'interrogatorio ed erano state ritenute manifestamente infondate alcune eccezioni di incostituzionalità, tra cui quella dell'art. 511-bis; b) — v'era il pericolo di condizionamento del giudice nei confronti dell'organo inquirente, avuto riguardo alla circostanza di un esposto, risalente al 1985, di uno dei pubblici ministeri del processo, nei riguardi del presidente del collegio giudicante, c) — c'era sovrapposizione tra inquirenti e inquisiti all'interno della stessa inchiesta giudiziaria, essendo stati inquisiti per corruzione alcuni appartenenti al nucleo regionale della G.d.F., che avevano svolto attività di indagine, d) — il metodo di assegnazione del processo era tale da consentire la scelta del giudice; e) — il ruolo della stampa e della televisione aveva determinato una concreta turbativa, sia per l'autorizzazione a riprese televisive, sia per il contenuto di interviste rilasciate dal presidente del collegio, che lasciava intravedere una sua soggezione nei confronti dell'organo di accusa. La S.C. ha respinto tutte le deduzioni difensive, osservando: quanto a quelle esposte sub a)-, che tutte le decisioni assunte dal giudice di merito rientravano nell'ambito dei suoi poteri e che la loro non condivisibilità non può costituire causa di rimessione, essendo previsto allo scopo il diritto all'impugnazione come rimedio per rimuovere decisioni eventualmente non corrette; quanto ai rilievi sub b)-, che l'esposto citato era stato archiviato e che, pertanto, non poteva offrire motivi di sospetto, così come la disposta assunzione di nuovi mezzi di prova ex art. 507, adottata nel rispetto del vigente codice di rito; quanto agli argomenti sub c)-, premessane l'irrilevanza nel processo de quo, che essi si riferiscono a situazione interna al processo e, come tale, ineliminabile anche in caso di suo trasferimento ad altra sede giudiziaria; quanto al punto d)-, che quel metodo aveva carattere di generalità e, quindi, non era suscettibile di critica nel caso di specie; infine, quanto alle ragioni di cui al punto e)-, che lo operato dei media nel caso di specie non aveva turbato la serenità del processo, essendo rimasto nell'alveo dell'esercizio del diritto di cronaca, e comunque non sarebbe stato eliminabile neanche con il trasferimento ad altra sede del processo, e che il contenuto della intervista del presidente del collegio costituiva semplice manifestazione di stima verso un collega, senza alcuna incidenza sulle decisioni da adottare. In senso analogo, per il cd. “processo Enimont 2”, cfr. altresì Cass. I, n. 6743/1995); il rischio di un attentato terroristico da parte di un'organizzazione criminale operante sull'intero territorio dello Stato (Cass. VI, n. 25809/2014, che ha altresì aggiunto che gli articoli di stampa che riportano stralci di intercettazioni — nella specie, ancora coperte da segreto — relative ad una ipotesi di attentato nei confronti di magistrati non costituisce, di per sé sola, prova dell'esistenza di una situazione di turbativa per lo svolgimento del giudizio, tale da imporre la «translatio iudicii», ma può al più rappresentare uno spunto per procedere ad ulteriori accertamenti); l'esistenza di sospetti, congetture, illazioni, ancorché gli stessi abbiano trovato espressione in interrogazioni parlamentari e in pubblici discorsi tenuti «in loco» da esponenti politici (Cass. I, n. 322/1992; nello stesso senso Cass. I, n. 848/1993); i semplici dubbi o le personali opinioni che si indirizzano peraltro sul titolare dell'Ufficio della Procura della Repubblica e non sui componenti del collegio giudicante (Cass. I, n. 1431/1992); una vicenda giudiziaria, che per la sua rilevanza, abbia suscitato interesse e scalpore in ambito nazionale (con esclusione, pertanto, di una “grave situazione locale”; Cass. I, n. 2925/1992); la presenza di contrapposte iniziative e prese di posizione assunte da una parte della cittadinanza del luogo del giudizio in ordine a provvedimenti giudiziari adottati in epoca precedente all'esercizio dell'azione penale ed ormai superati in molti dei loro effetti (Cass. I, n. 52976/2014); la pluralità di procedimenti a carico dell'imputato trattati dallo stesso pubblico ministero e le locali campagne di stampa in assenza di prova della loro incidenza sulla libera determinazione dei giudici (Cass. II, n. 2565/2015); la risonanza e la gravità dei fatti che formano oggetto del processo, ampiamente trattati da tutta la stampa nazionale, i commenti della stessa stampa e delle opposte fazioni politiche, con conseguenti aspettative contrastanti sull'esito del processo che, non essendo limitabili al solo ambiente in cui si svolge il processo, hanno riflessi che si estendono a tutto il territorio nazionale e, quindi, si presentano nei confronti di tutti i giudici della Repubblica (Cass. I, n. 3673/1992); omicidio di soggetto molto noto per la sua attività di aiuto ai bisognosi, sì che la sua scomparsa aveva dato luogo ad un profondo e diffuso turbamento, alimentato anche dalla stampa locale e manifestatosi, tra l'altro, con la costituzione di comitati e associazioni (Cass. I, n. 773/1993); l'acquisizione parziale, da parte del tribunale, di una lettera di ritrattazione di accuse rivolte da un «pentito» che affermava di essere stato oggetto di indebite pressioni da parte del P.M. (Cass. I, n. 3465/1993, che ha escluso che in base a ciò potesse ipotizzarsi una situazione di soggezione di tutti i giudici di un tribunale ai magistrati della Procura della Repubblica insediata presso di esso); la mera prospettazione di un clima di tensione e di ostilità fra componenti etniche — nella specie tra minoranza e popolazione italiana di origine istriana e dalmata (Cass. I, n. 1821/1994); l'appartenenza di taluni dei magistrati che esercitano le loro funzioni nella sede giudiziaria competente ad associazioni massoniche, segrete o non segrete, non potendosi ipotizzare che dei magistrati siano condizionati da colleghi solo a cagione dell'appartenenza di costoro alle associazioni anzidette (Cass. I, n. 2963/1994; cfr., sul punto, Cass. V, n. 1536/1997, secondo cui l'appartenenza alla massoneria perché essa, indipendentemente dalla segretezza della loggia o della obbedienza, determina, per il giudice, l'impossibilità di esercitare le proprie funzioni in modo imparziale e indipendente, ed è astrattamente idonea a sorreggere una richiesta di ricusazione); quando sia lo stesso richiedente ad aver dato origine, con le proprie iniziative nei confronti di persone ed autorità del luogo e con generalizzate denunzie nei confronti del locale corpo giudiziario, alla situazione di disagio che viene poi invocata come fondamento della richiesta di rimessione (Cass. I, n. 2990/1994); la molteplicità di denunzie e querele presentate da cittadini, che avevano dato luogo ad astensioni di magistrati, ad archiviazione e conseguenti azioni penali per calunnie nei confronti dei denuncianti, a prosieguo, tuttavia, delle indagini ad opera della Procura Generale (Cass. I, n. 3670/1994); il dedotto coinvolgimento nella vicenda a titolo personale di alcuni appartenenti alle forze dell'ordine che svolsero attività di indagine. Infatti tale circostanza riguarda una situazione interna al processo e, come tale, ineliminabile, non essendo suscettibile di modifica anche nel caso che il processo fosse trasferito in altra sede giudiziaria (Cass. I, n. 5316/1996; non così per Cass. I, n. 5723/1994, in un caso in cui 1) il processo scaturiva da un'indagine per reati di corruzione ex artt. 319-321 c.p. concernente un ampio disegno criminoso che vedeva coinvolto, nella quasi totalità, il nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza, i cui membri avevano operato, in qualità di organi di P.G., in diretta delega della Procura della Repubblica, rivestendo a un tempo la duplice posizione di organi investigatori e preservatori delle fonti di prova inerenti alle indagini nonché di imputati nell'ambito della stessa inchiesta, per lo più confessi e chiamanti in reità o correità altri soggetti venutisi a trovare nella medesima situazione; 2) l'ampiezza del fenomeno e la verificazione del medesimo all'interno della stessa inchiesta giudiziaria, nonché le specifiche modalità di accertamento dei fatti di reato, così come emergenti dai provvedimenti giudiziari allegati alla richiesta di rimessione facevano sussistere quella grave situazione locale che può essere idonea a turbare lo svolgimento del processo; 3) si trattava non di normale indagine penalmente rilevante delegata dalla magistratura inquirente ad organi di polizia giudiziaria del medesimo corpo di appartenenza del (o dei) singolo (i) indagato (i) per fatti di reato non scaturenti dallo stesso oggetto della delega, ma di investigazioni mirate all'accertamento dei comportamenti di valenza penale implicanti, per loro specifica natura, la possibilità e probabilità di concreto svolgimento delle indagini delegate da parte di soggetti intenzionati ad occultare i propri coinvolgimenti ovvero a sviare le indagini su altri sino al momento della scoperta delle condotte criminose da essi perpetrati proprio in costanza di esecuzione della delega. Si vedano, in senso contrario, le due massime che seguono); il rapporto di colleganza con coloro che hanno contribuito alla ricerca della prova, diventando testi in sede di accertamento giurisdizionale. (Fattispecie relativa ad assistente della Polizia di Stato in forza a nucleo antidroga, imputato di triplice omicidio, le indagini nei cui confronti erano state affidate a membri dello stesso reparto di polizia giudiziaria al quale egli apparteneva) (Cass. I, n. 2086/1995); i rapporti di collaborazione instauratisi tra la Procura della Repubblica e la Polizia Giudiziaria delegata alle indagini su episodi di corruzione nei quali erano stati coinvolti numerosi ufficiali e sottufficiali di quella medesima PG (Cass. V, n. 2259/1995); le pubbliche manifestazioni di appoggio alla tesi accusatoria da parte di amministrazioni locali e dalla rappresentazione di detta tesi come sicuramente fondata da parte del procuratore generale, in sede di inaugurazione dell'anno giudiziario, osservando, a tale ultimo proposito, che quelle espresse dal procuratore generale erano e rimanevano soltanto delle mere opinioni, prive di qualsivoglia valenza cogente nei confronti dei giudici e del pubblico ministero d'udienza (Cass. I, n. 5300/1995; nello stesso senso anche Cass. I, n. 2046/2000); la prevenzione mostrata nei confronti dell'imputati dal magistrato che svolgeva le funzioni di pubblico ministero (Cass. V, n. 2560/1995, che ha precisato che la temuta parzialità del pubblico ministero rimane estranea alle possibili turbative al corretto esercizio della giurisdizione. Ciò perché l'organo della pubblica accusa è parte, sicché i suoi comportamenti, pur se ispirati a «conflittualità preconcetta ed abnorme», sono apprezzabili sotto lo specifico profilo solo se coinvolgono tutti i componenti dello stesso ufficio e, superando i limiti dell'ordinaria dialettica processuale, siano suscettibili di produrre riflessi negativi sulla serenità e sulla correttezza del giudizio; nello stesso senso anche Cass. I, n. 5682/1997); la circostanza che il Procuratore della Repubblica abbia espresso sostegno al Sostituto Procuratore designato - bruscamente "redarguito" in aula dall'imputato - affiancando il suddetto magistrato alla successiva udienza dibattimentale, trattandosi di evenienza processualmente consentita in ragione della impersonalità dell'ufficio del pubblico ministero (Cass. II, n. 55328/2016); la semplice appartenenza dell'imputato all'ufficio giudiziario giudicante (Cass. II, n. 28849/2015) (Fattispecie relativa a un dipendente del tribunale, con mansioni di autista, imputato innanzi il tribunale medesimo, del reato di truffa aggravata in danno dell'amministrazione della giustizia); il coinvolgimento di singoli membri, per quanto autorevoli, di un ufficio giudiziario in inchieste giudiziarie (Cass. I, n. 3471/1996; Cass. VI, n. 35779/2007); il fatto che la parte offesa rivestisse la qualifica di collaboratore della segreteria del P.M. titolare dell'indagine relativa al procedimento, senza considerare che persona diversa dal detto Pubblico Ministero era il P.M. di udienza in cui la richiesta di rimessione veniva proposta, e che alcuna deduzione era stata svolta in ordine ad elementi concreti idonei a turbare lo svolgimento del processo o a condizionarlo nel suo esito (Cass. V, n. 22275/2011); il coinvolgimento, quali imputati, di appartenenti alle forze dell'ordine, impegnati nell'istituzionale collaborazione con l'autorità giudiziaria, non trattandosi di situazione ambientale esterna al processo ed alla relativa dialettica. Infatti, la dedotta partecipazione di tali soggetti alle attività di indagine relative alla stessa vicenda costituisce un dato ineliminabile anche con il trasferimento del processo ad altra sede giudiziaria, attenendo ad un particolare rapporto degli imputati con il processo in sé, e non con l'ufficio giudiziario presso il quale lo stesso si svolge; tale situazione è, comunque, interna al processo e non presenta quei caratteri di abnormità idonei a pregiudicare l'imparzialità del giudice e la libera determinazione dei soggetti che partecipano al processo.(Cass. V, n. 13287/2011); le esternazioni pubbliche della locale articolazione territoriale dell'A.N.M. e di magistrati estranei al processo in conseguenza dell'accoglimento dell'istanza di ricusazione nei confronti del presidente del collegio giudicante che stava procedendo alla trattazione del giudizio in primo grado (Cass. III, n. 23962/2015); il comunicato dell'A.N.M. locale, in cui veniva stigmatizzato il comportamento processuale dell'imputato, in ragione del fatto che un'eventuale iniziativa del gruppo associativo della magistratura rimane comunque un'iniziativa esterna al corpus dell'ufficio giudiziario locale e che mancavano gli elementi per affermare una compatta adesione all'iniziativa (Cass. II, n. 3055/2005); diversamente, Cass. V, n. 41694/2011, ha ritenuto sussistente la grave situazione locale atta a legittimare l'accoglimento della istanza di rimessione proposta da un avvocato, imputato in un processo di diffamazione a seguito di accuse rivolte ai magistrati dell'Alto Adige, in quanto la stessa Associazione di categoria della Magistratura locale con un comunicato aveva evidenziato come tale condotta potesse pregiudicare i diritti fondamentali dei clienti assistiti dall'istante; l'avvenuta effettuazione, da parte di locali associazioni ambientaliste, di pubbliche manifestazioni, ampiamente riprese dalla stampa, in cui, tra l'altro, si proclamava la necessità di evitare «processi farsa» e si esprimevano dubbi sulla imparzialità e serenità dell'organo giudicante (Cass. I, n. 56/1996, che ha ricordato che la libera espressione del pensiero a proposito di vicende socialmente rilevanti, costituisce dato ineliminabile nell'assetto democratico della società, per cui da essa, quando non trasmodi in attacchi diretti e insistiti, non possono sorgere pericoli effettivi per la capacità di determinazione del giudice, tenuto anche conto delle qualità morali, psicologiche e di esperienza che normalmente corredano le persone di coloro che sono chiamati al disimpegno di funzioni giurisdizionali. Sicché le manifestazioni delle associazioni ambientaliste, oltre ad attestare una «vivace o anche aspra presa di posizione dello ambientalismo locale», potevano «al più dimostrare una diffidenza dei promotori, in generale, nei confronti della magistratura del luogo», il che, peraltro, doveva “ritenersi connotazione pressoché fisiologica di posizioni critiche, spesso aspre, se non esasperate, di ambienti che hanno lo scopo programmatico della tutela della pubblica salute in tutte le direzioni possibili come dimostra la frequenza di manifestazioni consimili in occasione di procedimenti dello stesso genere”); il solo fatto dell'apertura di indagini preliminari a carico di magistrati (Cass. I, n. 1597/1997; Cass. V, n. 49612/2014); i rapporti conflittuali tra magistrati del pubblico ministero, già inquirenti e poi trasferiti ad altro incarico, e difensori dell'imputato, chiamati a rispondere in sede disciplinare e civile per affermazioni ritenute dai primi diffamatorie (Cass. VI, n. 42773/2003); il fatto che il magistrato responsabile di una precedente fase del giudizio aveva promosso vari procedimenti giudiziari in relazione a servizi giornalistici di segno critico circa il suo operato e di orientamento favorevole alle posizioni della difesa del ricorrente (Cass. VI, n. 44570/2004); una conversazione telefonica intercettata nel corso della quale uno degli imputati esprimeva il convincimento che i magistrati di quel distretto potessero essere «più morbidi» rispetto a quelli operanti in zone con più larga diffusione mafiosa, così causando, secondo i ricorrenti, una reazione sproporzionata dei giudici nei confronti degli imputati calabresi (Cass. IV, n. 35854/2006); lo stretto legame di parentela esistente tra l'imputato ed il magistrato con funzioni apicali dell'ufficio procedente (nella specie: il presidente reggente della Corte d'appello) posto che eventuali condizionamenti devono essere superati attraverso i diversi istituti della ricusazione o dell'astensione, salva la possibilità — qualora vengano accolte le dichiarazioni di astensione o ricusazione di tutti i giudici appartenenti all'ufficio, con conseguente impossibilità di procedere alla sostituzione, ai sensi dell'art. 43 — di rimettere il processo al giudice ugualmente competente determinato a norma dell'art. 11 (Cass. VI, n. 22077/2015); la proposizione da parte dell'imputato, a seguito della disciplina sulla responsabilità civile introdotta con l. n. 18/2015, di una azione per il risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie nei confronti di più magistrati appartenenti allo stesso ufficio (Cass. VI, n. 16924/2015, che ha anche escluso, sia pure incidentalmente, che l'esercizio di tale azione costituisca ragione idonea e sufficiente ad imporre la sostituzione del singolo magistrato). La legittimazione a proporre la richiestaLegittimati a chiedere la rimessione del processo sono solo i soggetti tassativamente indicati dalla norma, con esclusione, pertanto sia delle parti private diverse dall'imputato (Cass. I, n. 3006/1992) che del difensore dell'imputato stesso (Cass. I, n. 5148/1995). La parte civile non è legittimata a chiedere la remissione del processo e la relativa previsione non contrasta con gli artt. 3, 24, comma 2, e 111, comma 2, Cost., in considerazione del fatto che «perché l'imputato possa ragionevolmente subire lo spostamento del processo dal suo “giudice naturale”, deve essere il “suo” processo (vale a dire quello penale) ad essere turbato da gravi situazioni locali. Quindi, solo i protagonisti necessari sono logicamente abilitati ad attivare il relativo ed eccezionale meccanismo di scrutinio, e non altri, che possono assumere soltanto la veste di cointeressati o controinteressati rispetto alle posizioni assunte dall'imputato e dal pubblico ministero. D'altra parte, ove così non fosse, l'imputato convenuto in sede propria avrebbe la garanzia del suo giudice civile “naturale”, senza possibilità per l'attore (parte offesa o danneggiato dal reato) di far “rimuovere” la causa da quella sede giudiziaria; invece, nella ipotesi, in cui l'imputato assuma la veste di “convenuto” in sede penale, a seguito della costituzione di parte civile della medesima parte offesa, esso potrebbe subire la rimessione del processo su domanda della stessa parte. Una disparità in peius, fatta dipendere dalla scelta unilaterale del danneggiato, il quale — giova ripeterlo — ben può tenersi indenne rispetto alla gravità della situazione locale, sviluppando la propria azione in sede civile» (Corte cost. n. 168/2006, cit.). L'avvocato generale della Repubblica presso la Corte d'appello è legittimato a richiedere la rimessione del processo qualora sia evidente che l'istante non agisca a titolo personale, ma quale componente dell'ufficio della Procura Generale della Repubblica (Cass. I, n. 344/1999). BibliografiaAnselmi, Continua la... «messa a punto» della rimessione per legittimo sospetto, in Giur. it. 2005, 2374; Caputo, Sub art. 45, in Codice di procedura penale, a cura di Canzio e Tranchina, t. I, Milano, 2012, 568 ss.; Grevi, La Suprema Corte fa retromarcia: i precedenti «rapporti di collaborazione» tra inquirenti ed inquisiti non giustificano la rimessione del processo, in Cass. pen. 1996, 1249; Lozzi, Corte Costituzionale, Sezioni Unite e il legittimo sospetto, in Riv. it. dir. e proc. pen. 2002, 1425; Masiello, Richiesta di rimessione e indagini preliminari, in Giur. it. 1995, fasc. 11, parte II^, 638; Marzaduri, Solo la presenza di gravi situazioni locali può giustificare una richiesta di spostamento, in Guida dir. 2003, fasc. 16, 55; Paulesu, Conflitti etnici e rimessione del processo, in Giur. it. 1995, fasc. 5, parte II^, 296; Paulesu, Presupposti della rimessione e giudice naturale precostituito per legge, in Giur. it. 1996, fasc. 2, parte II^, 120; Santalucia, L'applicazione ai procedimenti in corso della Legge cosiddetta Cirami: un breve e circoscritto commento all'ordinanza del 27 gennaio 2003 delle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione, in Diritto e Formazione 2003, 710; Spangher, Azione di responsabilità del magistrato e rimessione dei procedimenti, in Giur. it. 2015, 995; Tonini, Manuale di procedura penale, Milano, 2012, 103 ss.; Trevisson Lupacchini, Rimessione del processo e misure di prevenzione, in Giur. it. 1993, fasc. 4, parte II^, 278. |