Codice di Procedura Penale art. 50 - Azione penale (1).

Aldo Aceto

Azione penale (1).

1. Il pubblico ministero esercita l'azione penale [112 Cost.; 326, 358, 405; 27 min.; 231 coord.] quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione [408, 411, 415].

2. Quando non è necessaria la querela [336], la richiesta [342], l'istanza [341] o l'autorizzazione a procedere [343], l'azione penale è esercitata di ufficio.

3. L'esercizio dell'azione penale può essere sospeso o interrotto soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge [3, 41, 47, 70, 71, 343, 344; 27-29 min.] (2).

(1) V. art. 2 d.lg. 20 febbraio 2006, n. 106, come da ultimo sostituito dall'art. 1 2b) l. 24 ottobre 2006, n. 269, che così dispone: «Art. 2. (Titolarità dell'azione penale). - 1. Il procuratore della Repubblica, quale titolare esclusivo dell'azione penale, la esercita personalmente o mediante assegnazione a uno o più magistrati dell'ufficio. L'assegnazione può riguardare la trattazione di uno o più procedimenti ovvero il compimento di singoli atti di essi. Sono fatte salve le disposizioni di cui all'articolo 70-bis dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12. - 2. Con l'atto di assegnazione per la trattazione di un procedimento, il procuratore della Repubblica può stabilire i criteri ai quali il magistrato deve attenersi nell'esercizio della relativa attività. Se il magistrato non si attiene ai principi e criteri definiti in via generale o con l'assegnazione, ovvero insorge tra il magistrato ed il procuratore della Repubblica un contrasto circa le modalità di esercizio, il procuratore della Repubblica può, con provvedimento motivato, revocare l'assegnazione; entro dieci giorni dalla comunicazione della revoca, il magistrato può presentare osservazioni scritte al procuratore della Repubblica». Il riferimento all'art. 70-bis r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, contenuto nel comma 1 dell'art. 2 d.ls. n. 106, cit., è da intendersi ora all'art. 102 d.ls. 6 settembre 2011, n. 159.

(2) Per la sospensione del procedimento penale ai fini della definizione delle pendenze collegate ad alcune violazioni tributarie, v. l'art. 8 6 d.l. 16 marzo 1991, n. 83, conv., con modif., nella l. 15 maggio 1991, n. 154. In precedenza, analoga disposizione era stata introdotta dall'art. 8 6 d.l. 14 gennaio 1991, n. 7, decaduto per mancata conversione in legge. V. successivamente l'art. 67 s. l. 30 dicembre 1991, n. 413 e l'art. 2 3 d.P.R. 20 gennaio 1992, n. 23. Per la sospensione connessa alla definizione delle pendenze derivanti dalla violazione delle disposizioni sugli assegni bancari, v. l'art. 11 comma 2 l. 15 dicembre 1990, n. 386. Per la sospensione conseguente al verificarsi della fattispecie di cui all'art. 371-bis c.p. (False informazioni al pubblico ministero), v. il comma 2 di tale articolo, aggiunto dall'art. 25 l. 8 agosto 1995, n. 332. Per la relativa disciplina transitoria, v. art. 28 1 l. n. 332, cit. V. in tema di sanatoria edilizia l'art. 45 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. In materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato, v. art. 1 l. 23 luglio 2008, n. 124, tuttavia tale articolo è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con C. cost. 9 ottobre 2009, n. 262. V., inoltre, art. 318-sexies d.ls. 3 aprile 2006, n. 152, per la sospensopne del procedimento penale in materia di reati ambientali.

Inquadramento

La pretesa punitiva deve essere esercitata obbligatoriamente dallo Stato quando ne sussistono i presupposti. Il pubblico ministero, cui è attribuita, sul piano ordinamentale e processuale, la titolarità esclusiva dell'azione penale, non può però disporne in base a scelte discrezionali.

L'obbligatorietà dell'azione penale

L'azione penale è obbligatoria (art. 112 Cost.).

Ne è titolare esclusivo il pubblico ministero (cfr. anche art. 231 disp. coord.) che, ove non subordinata a condizioni di procedibilità (alcune delle quali codificate dagli artt. 336 ss.), deve esercitarla in uno dei modi previsti dall'art. 406 se, a seguito delle indagini preliminari, la prospettiva di coltivare proficuamente l'accusa in giudizio (scilicet nei confronti di un imputato individuato) è ragionevolmente fondata, dovendo altrimenti sottoporre la scelta dell'inazione al vaglio giurisdizionale (artt. 326, 408 e ss., 125 disp. att.).

L'obbligatorietà dell'azione penale è garanzia di uniforme applicazione della legge (art. 3 Cost.), sin dalla fase delle indagini preliminari, non potendo il pubblico ministero determinarsi in base a valutazioni discrezionali, estranee a quelle che riguardano l'obbligatoria applicazione della legge penale (art. 3 c.p.) e che gli derivano dal suo ruolo ordinamentale di magistrato.

Predicato dell'obbligatorietà dell'azione penale è la sua irretrattabilità (per una espressa deroga, si veda 459, comma 3; in senso contrario, l'isolata Cass. I, n. 35185/2009). Il pubblico ministero ne è l'esclusivo titolare, ma una volta esercitata, l'azione penale può essere sospesa, interrotta, ma mai ritrattata.

Il pubblico ministero. Profili ordinamentali

Il pubblico ministero è, infatti, un magistrato che appartiene all'ordine giudiziario, che esercita funzioni giurisdizionali (art. 102 Cost.) in piena autonomia e indipendenza da ogni altro potere (art. 104 Cost.), che si distingue dal giudice esclusivamente per le funzioni (requirenti) svolte (art. 107, comma 3, Cost.). Pubblico ministero e giudice sono entrambi magistrati di medesima ed unica carriera professionale, le cui nomine hanno luogo per concorso (unico a tutti gli effetti, non essendo previsti concorsi distinti per giudici e pubblici ministeri) (art. 106 Cost.), che godono della garanzia dell'inamovibilità e che possono esercitare, nei limiti stabiliti dall'ordinamento giudiziario (art. 13, d.lgs. n. 160/2006), indifferentemente l'una e l'altra funzione, in base alla sede e all'ufficio giudiziario in cui decidono di esercitarla. L'indipendenza e l'autonomia del pubblico ministero, pur piena verso ogni altro potere, non lo è all'interno dell'ufficio giudiziario di appartenenza, organizzato in modo gerarchico ed impersonale.

Il pubblico ministero (in particolare, il Procuratore della Repubblica) è un potere dello Stato in quanto autorità giudiziaria che dispone direttamente della polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 109 Cost., e perciò titolare delle attività d’indagine finalizzate all'esercizio obbligatorio dell’azione penale in virtù dell’art. 112 Cost. (Corte cost. n. 229/2018; Corte cost. n. 1/2013; Corte cost. n. 88/2012; Corte cost. n. 87/2012 e Corte cost. n. 420/1995; Corte cost. ,ord. n. 17/2013).  

L'ufficio del pubblico ministero è costituito presso la Corte di cassazione, le corti di appello, i tribunali ordinari e i tribunali per i minorenni (art. 2 r.d. n. 12/1941). Le relative funzioni sono esercitate dal procuratore generale presso la corte di cassazione, dai procuratori generali della Repubblica presso le corti di appello, dai procuratori della Repubblica presso i tribunali per i minorenni e dai procuratori della Repubblica presso i tribunali ordinari. Le funzioni di pubblico ministero davanti al tribunale di sorveglianza e ad al magistrato di sorveglianza sono esercitate, rispettivamente, dal procuratore generale della Repubblica presso la corte di appello nel cui distretto ha sede il tribunale di sorveglianza e dal procuratore della Repubblica presso il tribunale della sede dell'ufficio di sorveglianza (art. 71-bis, l. n. 354/1975).

Per i reati di cui all'art. 51, commi 3-bis, le funzioni di pubblico ministero sono esercitate, nella fase delle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado, dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia costituita nell'ambito dell'ufficio del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte di appello (art. 102, d.lgs. n. 159/2011).

Presso la procura generale della Corte di cassazione è istituita la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, alla quale sono attribuite, in relazione ai procedimenti per i delitti indicati dall'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, ed in quelli di prevenzione antimafia ed antiterrorismo le funzioni previste dall'art. 371-bis (art. 103, d.lgs. n. 159/2011). Il procuratore generale presso la Corte di cassazione esercita la sorveglianza sul procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo e sulla relativa Direzione nazionale (art. 104, d.lgs. n. 159, cit.).

I titolari degli uffici del pubblico ministero dirigono l'ufficio cui sono preposti, ne organizzano l'attività ed esercitano personalmente le funzioni attribuite al pubblico ministero dal codice di procedura penale e dalle altre leggi, quando non designino altri magistrati addetti all'ufficio. Possono essere designati più magistrati in considerazione del numero degli imputati o della complessità delle indagini o del dibattimento. Nel corso delle udienze penali, il magistrato designato svolge le funzioni del pubblico ministero con piena autonomia e può essere sostituito solo nei casi previsti dal codice di procedura penale. (art. 70, commi 1, 3 e 4, r.d. n. 12/1941; art. 53).

Nelle udienze penali per reati per i quali si procede con citazione diretta a giudizio, le funzioni del pubblico ministero possono essere esercitate anche da magistrati non di carriera (vice procuratori onorari) (art. 71-bis, r.d. n. 12/1941), articolo ora  abrogato dall’art. 33 d.lgs. n. 116/2017),  da magistrati in tirocinio, ufficiali di polizia giudiziaria in quiescenza da non più di due anni, laureati in giurisprudenza (art. 72, r.d. n. 12/1941), articolo ora  abrogato dall’art. 33 d.lgs. n. 116/2017.

Segue . La titolarità dell'azione penale

Il procuratore della Repubblica, quale preposto all'ufficio del pubblico ministero, è titolare esclusivo dell'azione penale di cui assicura il corretto, puntuale ed uniforme esercizio (art. 1, d.lgs. n. 106/2006) e che esercita personalmente o mediante assegnazione a uno o più magistrati dell'ufficio (art. 2, d.lgs. n. 106/2006). Con l'atto di assegnazione per la trattazione di un procedimento, il procuratore della Repubblica può stabilire i criteri ai quali il magistrato deve attenersi nell'esercizio della relativa attività. Se il magistrato non si attiene ai principi e criteri definiti in via generale o con l'assegnazione, ovvero insorge tra il magistrato ed il procuratore della Repubblica un contrasto circa le modalità di esercizio, il procuratore della Repubblica può, con provvedimento motivato, revocare l'assegnazione; entro dieci giorni dalla comunicazione della revoca, il magistrato può presentare osservazioni scritte al procuratore della Repubblica (art. 2, d.lgs. n. 106/2006).

Al fine di verificare il corretto ed uniforme esercizio dell'azione penale ed il rispetto delle norme sul giusto processo, nonché il puntuale esercizio da parte dei procuratori della Repubblica dei poteri di direzione, controllo e organizzazione degli uffici ai quali sono preposti, il procuratore generale presso la corte di appello acquisisce dati e notizie dalle procure della Repubblica del distretto ed invia al procuratore generale presso la Corte di cassazione una relazione almeno annuale.

Nell'ambito delle sue prerogative di preposto all'ufficio del pubblico ministero e di titolare esclusivo dell'azione penale, il procuratore della Repubblica determina: a) i criteri di organizzazione dell'ufficio; b) i criteri di assegnazione dei procedimenti ai procuratori aggiunti e ai magistrati del suo ufficio, individuando eventualmente settori di affari da assegnare ad un gruppo di magistrati al cui coordinamento sia preposto un procuratore aggiunto o un magistrato dell'ufficio; c) le tipologie di reati per i quali i meccanismi di assegnazione del procedimento siano di natura automatica. I relativi provvedimenti devono essere trasmessi al Consiglio superiore della magistratura a soli fini conoscitivi, non essendo sottoposti alla sua approvazione (art. 1, commi 6 e 7, d.lgs. n. 106/2006).

Il principio della domanda

La titolarità esclusiva dell'azione penale da parte del pubblico ministero impedisce al giudice di procedere d'ufficio, anche nel corso delle indagini preliminari, in assenza di specifica domanda (comprese le domande cautelari). Qualsiasi violazione delle prerogative relative all'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale è sanzionata dalla nullità insanabile rilevabile in ogni stato e grado del procedimento (artt. 178, lett. b, 179).

Quando non è necessaria la querela, la richiesta, l'istanza o l'autorizzazione a procedere, l'azione penale deve essere esercitata d'ufficio. Sicché il pubblico ministero può, nell'esercizio delle sue funzioni, prendere notizia dei reati anche di propria iniziativa (art. 330). Se, invece, fuori dell'esercizio delle sue funzioni, conosce di fatti che possano determinare l'inizio dell'azione penale o di indagini preliminari, può segnalarli per iscritto al titolare dell'ufficio (art. 70, comma 5, r.d. n. 12/1941).

Casistica

In tema di procedimenti per reati relativi alla gestione dei rifiuti nella Regione Campania, l'esercizio dell'azione penale in violazione della speciale competenza attribuita ai magistrati degli uffici giudiziari di Napoli dall'art. 3, comma 1, d.l. n. 90/2008 (conv. con modificazioni, dalla l. n. 123/2008), non dà luogo alla nullità assoluta di cui agli artt. 178, comma 1, lett. b), e 179, né comporta l'inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti (Cass. Fer., n. 35520/2013).

È affetto da abnormità il provvedimento con il quale il giudice del dibattimento, rilevando che il reato per il quale si procede può essere attribuito alla responsabilità anche di soggetti ulteriori rispetto agli imputati, restituisce il fascicolo al P.M., senza assumere decisioni nei confronti dei soggetti già tratti a giudizio e senza dichiarare l'invalidità degli atti di esercizio dell'azione penale. (Nella fattispecie il giudice dibattimentale aveva adottato una formula processuale di definizione, la «estinzione del processo», inesistente) (Cass. IV, n. 8103/2013).

L'azione penale una volta esercitata è irretrattabile anche da parte del pubblico ministero presso il giudice investito di competenza ex art. 22, comma 3; la trasmissione degli atti a seguito della ritenuta incompetenza territoriale non determina, infatti, la regressione del procedimento alla fase antecedente rispetto a quella già instaurata. Ne consegue che, a seguito della declaratoria di incompetenza adottata dal giudice delle indagini preliminari originariamente richiesto di disporre il rinvio a giudizio, al pubblico ministero presso il giudice competente, al quale siano stati trasmessi gli atti, è preclusa la possibilità di richiedere l'archiviazione, mentre egli potrà formulare al giudice per le indagini preliminari la richiesta di non luogo a procedere (Cass. VI, n. 20512/2003; contra, Cass. VI, n. 7681/2004).

È illegittima la modifica dell'imputazione, «sub specie» di esclusione dell'aggravante contestata — effettuata nel corso del dibattimento dal P.M. mediante una correzione del capo di imputazione formulato nel rinvio a giudizio —, in quanto, in virtù del principio di irretrattabilità dell'azione penale, il P.M., a norma degli artt. 516 e 517, ha il solo potere di integrare l'accusa, mentre non può procedere autonomamente alla correzione o riqualificazione delle condotte, potere che attiene alla decisione di merito e che spetta al giudice, il quale nel suo esercizio deve fornire adeguata motivazione sulle questioni di fatto e di diritto concernenti la sussistenza o meno di tali circostanze (Cass. V, n. 9806/2006; Cass. II, n. 6905/2010).

È legittimo, nell'ipotesi di restituzione degli atti al pubblico ministero da parte del giudice del dibattimento, l'esercizio dell'azione penale con modalità diverse da quelle in precedenza utilizzate, atteso che è consentito al titolare della funzione d'accusa operare le scelte processuali funzionali a detto esercizio ritenute più opportune nelle diverse situazioni e che tale potere-dovere non incide sul principio di irretrattabilità dell'azione penale (Cass. V, n. 42483/2012).

La mancata contestazione di un'aggravante, poiché concerne l'iniziativa del P.M. nell'esercizio dell'azione penale, comporta una nullità assoluta ed insanabile, che può essere rilevata dal giudice in ogni stato e grado del procedimento ai sensi degli artt. 17, lett. b) e 179 (Cass. I, n. 156/1994).

Poiché il P.M. è l'esclusivo titolare dell'azione penale, è abnorme il provvedimento con il quale il giudice inibisca all'organo dell'accusa —nel corso del dibattimento- l'esercizio dell'azione penale nell'ambito dei poteri relativi alla modifica della imputazione ed alla contestazione di reati concorrenti o di circostanze aggravanti (Cass. V, n. 2673/1999; Cass. VI, n. 37577/2010).

Una volta emessi la richiesta di rinvio a giudizio o, nel procedimento pretorio, il decreto di citazione a giudizio, il P.m. non può revocarli ostandovi il principio della irretrattabilità dell'azione penale, sancito sia dall'art. 50, comma 3, sia dall'art. 60, comma 2, ne consegue che l'eventuale provvedimento di revoca emesso deve essere considerato abnorme (nella specie la Cassazione ha annullato senza rinvio, per abnormità, un provvedimento del P.m. di revoca di un decreto di citazione, stabilendo altresì che tale annullamento si estendeva anche, a norma dell'art. 185, comma 1, ad un decreto di archiviazione emesso nel medesimo procedimento e per gli stessi fatti successivamente alla revoca di quello di citazione) (Cass. VI, n. 2702/1990).

È abnorme il provvedimento del giudice della udienza preliminare che disponga la restituzione degli atti al P.M. senza rilevare, né dichiarare alcuna invalidità dell'esercizio dell'azione penale. (Fattispecie in cui il G.u.p., disposta la separazione degli atti relativi alla contestazione suppletiva eseguita, ai sensi dell'art 423, dal P.M., ne ha ordinato la restituzione all'ufficio di quest'ultimo, in quanto relativi ad altri procedimenti pendenti «sul medesimo tema» in fase di indagini preliminari) (Cass. V, n. 4145/2000; Cass. VI, n. 16711/2003).

La formulazione da parte del pubblico ministero di una richiesta di archiviazione e respinta dal G.i.p. non preclude, nel corso del procedimento, l'assunzione di diverse determinazioni da parte dello stesso P.M. sulla base di nuove emergenze o, anche semplicemente, «re melius perpensa», atteso che nessuna norma attribuisce carattere di irrevocabilità alla richiesta in parola (Cass. I, n. 25834/2012).

Spetta esclusivamente al P.M. la competenza relativa alla determinazione da assumere circa l'esercizio dell'azione penale. Ciò importa non solo che il giudice non abbia il potere di procedere ex officio, e quindi in mancanza di una richiesta del P.M., ma anche che il giudice può conoscere dei fatti processuali unicamente nei limiti dell'investitura ricevuta essendo compito del P.M. anche la delimitazione del «quantum» della materia processuale sulla quale il giudice si dovrà pronunciare. (fattispecie di richiesta del P.M. di archiviazione per due delitti e di restituzione degli atti per una contravvenzione, mentre il G.i.p. aveva disposto l'archiviazione anche per tale reato richiamandosi al disposto dell'art. 129) (Cass. VI, n. 3473/1990).

Bibliografia

Di Salvo, Principio d'irretrattabilità dell'azione penale, regressione del procedimento e poteri del pubblico ministero, in Cass. pen. 2000, 3327; Galluzzo, È ipotizzabile una rinuncia parziale all'imputazione?, in Cass. pen. 2010, 2740; Tonini, Manuale di procedura penale, Milano, 2012, 110 ss.; Vergine, Sub art. 50, in Codice di procedura penale, a cura di Canzio e Tranchina, t. I, Milano, 2012, 612 ss.

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