Codice di Procedura Penale art. 56 - Servizi e sezioni di polizia giudiziaria.

Aldo Aceto

Servizi e sezioni di polizia giudiziaria.

1. Le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte alla dipendenza e sotto la direzione dell'autorità giudiziaria [58, 59]:

a) dai servizi di polizia giudiziaria previsti dalla legge [12-15 att.] (1);

b) dalle sezioni di polizia giudiziaria istituite presso ogni procura della Repubblica e composte con personale dei servizi di polizia giudiziaria [5-11, 15, 20 att.; 5 min.; 6 att. min.];

c) dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria [57] appartenenti agli altri organi cui la legge fa obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato [347].

(1) Vedi l'art. 17 l. 1° aprile 1981, n. 121 e l'art. 12 1-5 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, conv., con modif., nella l. 12 luglio 1991, n. 203. In precedenza, analoghe disposizioni erano state introdotte dagli artt. 15 e 16 d.l. 13 novembre 1990, n. 324, 12 d.l. 12 gennaio 1991, n. 5 e 12 d.l. 13 marzo 1991, n. 76, tutti decaduti per mancata conversione in legge. Vedi ancora l'art. 8 d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, conv., con modif., nella l. 15 marzo 1991, n. 82. Sulla istituzione della direzione investigativa antimafia, v. il d.l. 29 ottobre 1991, n. 345, conv., con modif., nella l. 30 dicembre 1991, n. 410. V. inoltre d.m. 14 giugno 2007 (G.U. 21 dicembre 2007, n. 296) recante «Istituzione del Nucleo investigativo centrale della Polizia penitenziaria».

Inquadramento

L'art. 56 individua chi è preposto allo svolgimento delle funzioni di polizia giudiziaria descritte dalla norma precedente, secondo un ordine crescente di diretta dipendenza dall'autorità giudiziaria (ufficiali e agenti di PG, servizi e sezioni di PG).

Anatomia della polizia giudiziaria

La polizia giudiziaria è composta da:

  • servizi di polizia giudiziaria;
  • sezioni di polizia giudiziaria;
  • ufficiali e agenti di polizia giudiziaria.

La Relazione preliminare al progetto del codice di rito spiega che tale articolazione «appare conforme alla volontà espressa dal legislatore nel corso di tutti i lavori preparatori, anche relativi ai precedenti progetti di delega, a partire dal 1965 e fino al 1987, tenendo conto che in tutti i progetti in questione la formula della direttiva proposta ricalcava sempre l'art. 109 Cost. Infatti, nel precedente lungo iter parlamentare, protrattosi per tre legislature (la IV, la V e la VI), fu ampiamente discusso il problema e, dall'esame del dibattito svoltosi in merito, emerge chiaramente che il Parlamento, da una parte volle escludere, con la formulazione della direttiva 29 della legge-delega del 1974, l'istituzione di un autonomo corpo di polizia giudiziaria posto alle dirette dipendenze della magistratura ovvero del ministro di grazia e giustizia, e, dall'altra parte, volle superare, attraverso un sistema più funzionale e razionale, le contraddizioni e le carenze che l'attuale sistema di rapporti tra polizia giudiziaria e magistratura importa nel concreto operare della polizia giudiziaria (...) è stata ribadita la netta opposizione all'istituzione di un corpo separato di polizia giudiziaria alle dirette dipendenze del magistrato e la decisione di soddisfare l'esigenza che il legislatore delegato realizzi un'effettiva dipendenza funzionale ma non gerarchica della polizia giudiziaria dalla magistratura (...) l'abolizione della fase istruttoria ed il conseguente ben più importante ruolo assunto dalle indagini preliminari (...) hanno comportato la necessità di una migliore definizione e, in certo senso, di un ampliamento dei poteri-doveri e degli obblighi della polizia giudiziaria». Non si è voluto creare un nuovo corpo di polizia giudiziaria, ma si sono volute rendere «più efficienti e funzionali le attuali strutture, assicurando a tutti gli organi giudiziari effettivi poteri di disponibilità e di controllo sulle forze di polizia che svolgono funzioni giudiziarie», sicché «la soluzione non può essere ricercata che in un potenziamento degli attuali nuclei di polizia giudiziaria ed in una più razionale strutturazione dei rapporti con l'autorità giudiziaria. Si tratta cioè di tradurre in norme positive la diffusa e ferma volontà del Parlamento di superare le attuali disfunzioni organizzative e strutturali dei rapporti tra polizia e magistratura, tenendo conto della volontà del legislatore delegante di porre gli organi che svolgono continuamente ed in via esclusiva funzioni di polizia giudiziaria alle effettive dipendenze, sia pur soltanto funzionali, dei singoli uffici giudiziari ed in particolare, degli uffici del pubblico ministero, gestori delle indagini preliminari».

La Relazione richiama la sentenza Corte cost. n. 122/1971 che aveva affermato «i seguenti importanti principi: 1) la disponibilità diretta da parte dell'autorità giudiziaria, coi particolari poteri che essa comporta, non può riferirsi a tutte le forze di polizia; 2) in via eccezionale l'autorità giudiziaria può servirsi del personale non appartenente ai nuclei specializzati di polizia giudiziaria: tale personale è tenuto ad eseguirne gli ordini; 3) la formazione dei nuclei predetti è legittima e trova fondamento nella finalità di «garantire negli addetti una particolare specializzazione e di sottrarli, per quanto possibile, ai superiori gerarchici delle rispettive armi di appartenenza»; 4) è auspicabile, in relazione alle note carenze organizzative riscontrate nella realtà di fatto, "che i nuclei specializzati di polizia giudiziaria siano formati in modo tale da garantire in ogni momento, sia per il numero e sia per la qualità degli addetti, una loro costante ed efficace utilizzazione da parte del magistrato, e che... gli allontanamenti temporanei dei dirigenti siano ridotti al minimo e sia sempre assicurata la supplenza con altro personale idoneo”».

Si tratta - prosegue la Relazione - «di tradurre in norme positive la diffusa e ferma volontà del Parlamento di superare le attuali disfunzioni organizzative e strutturali dei rapporti tra polizia e magistratura, tenendo conto della volontà del legislatore delegante di porre gli organi che svolgono continuamente ed in via esclusiva funzioni di polizia giudiziaria alle effettive dipendenze, sia pur soltanto funzionali, dei singoli uffici giudiziari ed in particolare, degli uffici del pubblico ministero, gestori delle indagini preliminari».

La Relazione parte così dalla ricognizione di queste disfunzioni organizzative e strutturali: il sovrapporsi di diversi indirizzi organizzativi da parte dei corpi di polizia, la cronica mancanza di mezzi, l'insufficiente iniziativa e le carenze tecnico-professionali dell'autorità giudiziaria, il personale, assegnato in via non esclusiva alle squadre di polizia giudiziaria, distolto per altri compiti, seguendo criteri di gestione e di razionalizzazione commisurati soltanto alle necessità interne dei singoli corpi ed alle numerose finalità loro attribuite dalle leggi istitutive, l'allontanamento temporaneo dalle funzioni di polizia giudiziaria, il potere di determinare il numero dei funzionari destinati ai servizi di polizia giudiziaria, nonché il potere di assegnarveli o di rimuoverli lasciato alle gerarchie per gli ufficiali non dirigenti e per gli agenti, con conseguente eccessiva mobilità del personale, la promiscuità d'impiego che ha impedito una seria specializzazione ed un'adeguata conoscenza del personale da parte del magistrato, la doppia dipendenza organizzativa e funzionale che ha creato conflitti di lealtà all'interno e all'esterno, inframmettenze nello svolgimento delle indagini nonché diffidenze pregiudizievoli per l'efficace svolgimento del servizio. «Gli articoli riguardanti la polizia giudiziaria sono stati redatti tenendo presente tutto quanto fin qui esposto». A tal fine «è stata stabilita una triplice graduazione nella disponibilità della polizia giudiziaria e nella conseguente sua dipendenza funzionale dalla magistratura. Ad un primo e più ampio livello si è previsto che i magistrati possono servirsi di qualsiasi organo di polizia giudiziaria e correlativamente che tutti gli ufficiali ed agenti hanno il dovere di compiere le attività loro affidate. La norma non tocca i rapporti di dipendenza amministrativa degli ufficiali ed agenti dai corpi di rispettiva appartenenza e non innova, perciò, la disciplina vigente, anche se ne dà una formulazione tecnicamente più precisa. Ad un secondo livello, e fermo restando il principio di piena disponibilità, è stata prevista una dipendenza più stretta per i servizi di polizia giudiziaria istituiti ed organizzati a norma dell'ultima parte dell'art. 17 l. n. 121/1981, sopra riportato (servizi istituiti presso le questure, i comandi dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza, e quelli speciali e interforze) adibiti, in via esclusiva e con carattere di continuità al compimento di indagini conseguenti ad una notizia di reato. La dipendenza di questi servizi si sostanzia nella particolare responsabilità dei dirigenti, per il buon andamento del servizio svolto, verso il procuratore della Repubblica, se si tratta di servizi costituiti per attività da svolgere in ambito territoriale circondariale, e verso il procuratore generale del distretto ove ha sede il servizio, se si tratta di servizi costituiti per attività da svolgere in ambito territoriale più vasto di quello circondariale. Correlativamente si è stabilito che, per l'allontanamento dalla sede e la promozione di detti dirigenti, occorre rispettivamente il consenso ed il parere del procuratore della Repubblica o del procuratore generale. Anche questa direttiva non innova la disciplina in vigore; si è ritenuto, infatti, che una rigida separazione all'interno dei corpi di polizia fra il personale impiegato nella polizia giudiziaria e quello adibito ad altre funzioni, con conseguente destinazione esclusiva alle une e alle altre, fosse irrealizzabile ed urtasse contro le opposte e pur valide esigenze organizzative dei corpi stessi. Per contro si è pensato che le anzidette esigenze potessero trovare una più agevole soddisfazione a livello delle sezioni di polizia giudiziaria istituite presso le procure della Repubblica (...) Qui è stato attuato il massimo di dipendenza funzionale attraverso una destinazione esclusiva all'attività di polizia giudiziaria di personale qualificato e predeterminato nel numero. A tal fine la normativa ha inteso riprendere e potenziare l'esperienza positiva delle piccole squadre di polizia giudiziaria presso le procure della Repubblica, prevedendo un organico prestabilito delle singole sezioni e fornendo il divieto di adibirne gli appartenenti a funzioni diverse, onde assicurare un personale sufficiente e stabile».

Poiché la forma è funzionale alla sostanza, è utile richiamare il passaggio della Relazione in cui si afferma l'importanza di «sottrarre alla polizia giudiziaria il potere (di fatto) di formazione della prova per orientarla, piuttosto, alla ricerca della prova stessa, sotto la direzione del pubblico ministero che deve intervenire immediatamente. Ora, se l'esigenza dell'utilizzazione di una polizia giudiziaria priva di interferenze gerarchiche resta attenuata in un contesto che assegna la formazione della prova prevalentemente all'organo giurisdizionale (imparziale), la stessa esigenza viene invece ad essere fortemente accentuata in relazione alla funzione di ricerca della prova, che si è voluta potenziare. Infatti, se il pubblico ministero deve dirigere fin dal primo momento l'indagine, all'uopo delegando alla polizia singole attività, e se l'indagine deve concludersi, almeno agli effetti di formulare l'imputazione, al più presto e comunque entro i termini ristretti fissati dalla legge, diviene assolutamente necessario che i rapporti con il personale della polizia giudiziaria siano caratterizzati dalla massima fiducia, snellezza, continuità e che sia eliminata ogni interferenza ritardatrice».

Tali concetti sono stati ribaditi dalla sentenza Corte cost. n. 229/2018 che ha ricordato che l’art. 109 Cost., prevedendo che l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria, ha il preciso e univoco significato di istituire un rapporto di dipendenza funzionale della seconda nei confronti della prima, escludendo interferenze di altri poteri nella conduzione delle indagini, in modo che la direzione di queste ultime ne risulti effettivamente riservata all'autonoma iniziativa e determinazione dell’autorità giudiziaria medesima. Tale rapporto di subordinazione funzionale, se non collide con l’organico rapporto di dipendenza burocratica e disciplinare della polizia giudiziaria nei confronti del potere esecutivo (secondo la logica della duplice soggezione, che lo stesso art. 109 Cost. delinea: Corte cost. n. 394/1998), non ammette invece che si sviluppino, foss'anche per legittime esigenze informative ed organizzative, forme di coordinamento investigativo alternative a quello condotto dal pubblico ministero competente (nel caso di specie, la Corte costituzionale, pronunciando sul conflitto tra poteri sollevato dal Procuratore della Repubblica di Bari, ha dichiarato che non spetta al Governo adottare una disciplina che prevede che i responsabili di ciascun presidio di polizia interessato trasmettono alla propria scala gerarchica le notizie relative all'inoltro delle informative di reato all'autorità giudiziaria, indipendentemente dagli obblighi prescritti dalle norme del codice di procedura penale, e ha conseguentemente annullato l’art. 18, comma 5, d.lgs. n. 177/2016 che tale obbligo prevedeva).

I servizi di polizia giudiziaria

Agli effetti di quanto prevede la norma in commento, sono servizi di polizia giudiziaria tutti gli uffici e le unità ai quali è affidato dalle rispettive amministrazioni o dagli organismi previsti dalla legge il compito di svolgere in via prioritaria e continuativa le funzioni indicate nell'articolo 55 del codice (art. 12, disp. att.; si veda altresì l'art. 17, l. n. 121/1981, Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza) e, dunque, principalmente, Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Corpo della Guardia di Finanza.

Per assicurare il collegamento delle attività investigative relative a delitti di criminalità organizzata, sono stati costituiti servizi centrali e interprovinciali della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza che, a fini informativi, investigativi e operativi, si coordinano fra loro, nonché, se necessario, con gli altri organi o servizi di polizia giudiziaria previsti dalla legge e con gli organi di polizia esteri eventualmente interessati. Quando procede a indagini per delitti di criminalità organizzata, il pubblico ministero si avvale di regola, congiuntamente, dei servizi di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e, se richiesto dalla specificità degli accertamenti, del Corpo della guardia di finanza, ai quali, a norma dei commi 1 e 2, è attribuito il compito di svolgere indagini relative a tali delitti. Il pubblico ministero impartisce le opportune direttive per l'effettivo coordinamento investigativo e operativo tra i diversi organismi di polizia giudiziaria (art. 12, commi 1, 2 e 3, d.l. n. 152/1991; si veda anche quanto prevedono gli artt. 371, 371-bis, 372).

Con l'art. 3 d.l. n. 345/1991 (, oggi interamente sostituito dall'art. 108, d.lgs. n. 159/2011, Codice delle leggi antimafia), è stata istituita, nell'ambito del Dipartimento della pubblica sicurezza, una Direzione investigativa antimafia (D.I.A.) con il compito di assicurare lo svolgimento, in forma coordinata, delle attività di investigazione preventiva attinenti alla criminalità organizzata, nonché di effettuare indagini di polizia giudiziaria relative esclusivamente a delitti di associazione di tipo mafioso o comunque ricollegabili all'associazione medesima.

La Direzione investigativa antimafia nell'assolvimento dei suoi compiti opera in stretto collegamento con gli uffici e le strutture delle forze di polizia esistenti a livello centrale e periferico e si avvale di personale dei ruoli della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, nonché, per effetto (e nei limiti) delle modifiche introdotte con art. 8, comma 1, lett. c) d.lgs. n. 218/2012, del Corpo di polizia penitenziaria e del Corpo forestale dello Stato. Tutti gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria debbono fornire ogni possibile cooperazione al personale investigativo della D.I.A.. In particolare, gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria dei servizi centrali e interprovinciali di cui al citato art. 12, d.l. n. 152/1991, devono costantemente informare il personale investigativo della D.I.A., incaricato di effettuare indagini collegate, di tutti gli elementi informativi ed investigativi di cui siano venuti comunque in possesso e sono tenuti a svolgere, congiuntamente con il predetto personale, gli accertamenti e le attività investigative eventualmente richiesti. Il predetto personale dei servizi centrali e interprovinciali della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, a decorrere dal 1° gennaio 1993, è stato assegnato alla D.I.A., nei contingenti e con i criteri e le modalità determinati con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri della difesa e delle finanze.

Il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo dispone direttamente della D.I.A. e dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia per i delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis e dei (soli) servizi centrali e interprovinciali per i reati di cui all'art. 51, comma 3-quater. In entrambi i casi impartisce direttive intese a regolarne l'impiego a fini investigativi (art. 371-bis).

La sentenza della Corte cost. n. 345/2001, ha dichiarato inammissibile il conflitto di attribuzione proposto dal Procuratore distrettuale della Repubblica presso il Tribunale di Napoli nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione al decreto del Ministro dell'interno 4 marzo 2000 n. 1070/M/22(6) Gab., relativo alla delegabilità delle attività di polizia giudiziaria ai servizi centrali delle varie forze di polizia da parte dei Procuratori della Repubblica.

Ha spiegato la Corte che « il decreto in questione può essere inteso soltanto quale atto normativo di organizzazione dettato dal Ministro dell'interno - secondo il preambolo del decreto stesso - per la migliore utilizzazione di strutture, quali i servizi centrali e i servizi interprovinciali della Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza, che fanno parte degli apparati di polizia dello Stato, inquadrati nelle strutture del potere esecutivo. Esula invece dalla disciplina contenuta in tale decreto qualunque definizione vincolante dei rapporti tra tali strutture, in quanto operanti quali organi di polizia giudiziaria, e l'autorità giudiziaria: rapporti che trovano già la loro disciplina nella legge (...). Il decreto impugnato, a sua volta, non contraddice la natura delle funzioni dei servizi, quali configurati dall'art. 12 d.l. n. 152/1991 e dalle altre norme citate. Esso prevede l'attività d'indagine di polizia giudiziaria, relativamente ai delitti indicati nell'art. 51, comma 3-bis, svolta dai servizi interprovinciali e l'eventualità della richiesta ai servizi centrali di «concorso» a tali indagini, qualora si tratti d'indagini aventi caratteristiche di particolare complessità, specificate nel decreto. In questo modo, viene confermata la natura di polizia giudiziaria, già prevista dalla legge, non solo dei servizi interprovinciali ma anche del servizio centrale, superandosi così i dubbi interpretativi, e anche di legittimità, sorti relativamente alla configurazione di quest'ultimo quale struttura adibita esclusivamente a compiti «di analisi, di raccordo informativo e di supporto tecnico-logistico relativamente alle attività investigative svolte dai servizi interprovinciali», secondo la formulazione dell'art. 1, lett. a), del precedente d.m. 25 marzo 1998. In quanto servizi di polizia giudiziaria, dunque, i servizi in questione e i poteri dell'autorità giudiziaria di avvalersi degli stessi ricadono pienamente nella vigente disciplina, generale e speciale, dettata nel codice di procedura penale: una disciplina che - soprattutto in relazione ai rapporti tra i poteri del Procuratore nazionale antimafia e gli altri organi del pubblico ministero - può dare luogo a problemi interpretativi ma la cui ricostruzione sistematica esula dai limiti del presente giudizio, nel quale si tratta esclusivamente di stabilire se il decreto ministeriale impugnato ha inciso, contro gli artt. 109 e 112 Cost., sui poteri del pubblico ministero (...). L'intera procedura prevista configura evidentemente, secondo la stessa formula utilizzata dal decreto, una delle possibilità che non esclude le altre, previste dalla legislazione vigente. In particolare, non esclude l'esercizio da parte dei Procuratori della Repubblica, nelle indagini per i delitti indicati nell'art. 51, comma 3-bis, dei poteri di utilizzazione dei servizi di polizia giudiziaria, secondo le norme del codice di procedura penale già ricordate. Il decreto ministeriale impugnato, dunque, contiene norme imperative per i servizi, conformemente alla sua natura e alla sua dichiarata finalità; ma, nella parte in cui la disciplina dell'attività dei servizi stessi - quali strutture di polizia giudiziaria - incontra i poteri dell'autorità giudiziaria, esso finisce per configurarsi come l'indicazione di una possibile via collaborativa ma non imperativa né esclusiva».

Segue . Altri servizi della polizia giudiziaria.

Quando i servizi di polizia giudiziaria sono costituiti per attività da svolgere in ambito territoriale più vasto del circondario, l'ufficiale preposto è responsabile verso il procuratore generale del distretto dove ha sede il servizio, altrimenti è responsabile solo verso il procuratore della Repubblica presso il Tribunale. A tal fine il nome e il grado degli ufficiali che dirigono i servizi di polizia giudiziaria e specifici settori o articolazioni di questi sono comunicati al procuratore generale presso la corte di appello e/o al procuratore della Repubblica presso il tribunale (artt. 12 e 13 disp. att.).

Per l'allontanamento, anche provvisorio, dalla sede oppure per l'assegnazione ad altro ufficio dei dirigenti dei servizi di polizia giudiziaria o di specifici settori o articolazioni di questi, le amministrazioni dalle quali essi dipendono devono ottenere il consenso del procuratore generale presso la corte di appello e del procuratore della Repubblica presso il tribunale che può opporre un diniego motivato. Tuttavia, se l'allontanamento si renda necessario ai fini della progressione in carriera, il consenso non può essere negato (art. 14 disp. att.).

Le promozioni degli ufficiali che dirigono i servizi o specifici settori o articolazioni di questi non possono essere disposte senza il parere favorevole del procuratore generale presso la corte di appello e del procuratore della Repubblica presso il tribunale.

Le sezioni di polizia giudiziaria

Le sezioni di polizia giudiziaria sono istituite presso ogni procura della Repubblica e sono composte dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria della polizia di Stato, dell'arma dei carabinieri e del corpo della guardia di finanza nonché del Corpo forestale dello Stato. Quando lo richiedono particolari esigenze di specializzazione dell'attività di polizia giudiziaria, su richiesta del procuratore generale presso la corte di appello e del procuratore della Repubblica interessato, possono essere applicati presso le sezioni, con provvedimento delle amministrazioni di appartenenza, ufficiali e agenti di polizia giudiziaria di altri organi (art. 5 disp. att.).

In ciascuna procura della Repubblica presso i tribunali per i minorenni è istituita una sezione specializzata di polizia giudiziaria alla quale è assegnato personale dotato di specifiche attitudini e preparazione (art. 5, d.P.R. n. 448/1988; art. 6, d.lgs. n. 272/1989).

L'organico delle sezioni di polizia giudiziaria è costituito da personale in numero non inferiore al doppio di quello dei magistrati previsti nell'organico delle procure della Repubblica, ma almeno due terzi sono riservati ad ufficiali di polizia giudiziaria. Il personale applicato a norma dell'articolo 5, comma 2, non viene calcolato nell'organico delle sezioni (art. 6, disp. att.).

Il personale delle sezioni di polizia giudiziaria delle procure della Repubblica presso gli uffici giudiziari soppressi in conseguenza di quanto disposto dal d.lgs. n. 155/2012 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero) è stato di diritto assegnato o applicato alle sezioni di polizia giudiziaria delle procure della Repubblica presso i tribunali cui sono trasferite le funzioni degli uffici soppressi. L'assegnazione e l'applicazione non costituiscono nuove assegnazioni o applicazioni ovvero trasferimenti (art. 7, d.lgs. n. 155/2012, cit.).

Lo stato giuridico e la carriera del personale delle sezioni sono disciplinati dagli ordinamenti delle amministrazioni di appartenenza (art. 10 disp. att.).

I trasferimenti del personale della sezione di polizia giudiziaria sono disposti dall'amministrazione di appartenenza su proposta motivata del procuratore della Repubblica presso cui è istituita la sezione ovvero, su iniziativa dell'amministrazione, previo nulla osta del medesimo e del procuratore generale presso la corte di appello. Qualora il trasferimento si renda necessario in relazione alla progressione in carriera, è sufficiente il tempestivo avviso al capo dell'ufficio e al procuratore generale da parte dell'amministrazione (art. 11 disp. att.).

La giurisprudenza amministrativa di merito ha affermato che la norma va interpretata nel senso che l'assegnazione e la permanenza del personale di polizia alle Sezioni di P.G. istituite presso le Procure della Repubblica, comportando una stretta collaborazione tra i pubblici ministeri e gli addetti alle Sezioni nello svolgimento dell'attività di indagine, presuppone un rapporto fiduciario con il Procuratore della Repubblica, cui compete un potere di scelta e ingerenza nella gestione di quel personale. La scelta dei componenti delle sezioni e il loro mantenimento presso le stesse sono posti, in altri termini, a garanzia dell'indipendenza funzionale dell'attività giudiziaria, di modo che una volta cessato il rapporto di fiducia tra il titolare dell'ufficio giudiziario e quanti vi collaborano in posizione di dipendenza, ivi compresi gli addetti alla sezione di P.G., costoro non possono vantare alcuna pretesa tutelata alla permanenza nell'ufficio medesimo (T.A.R. Toscana I, n. 345/2014).

Le promozioni degli addetti alle sezioni di polizia giudiziaria non possono essere disposte senza il parere favorevole del procuratore generale presso la corte di appello e del capo dell'ufficio di Procura presso cui è istituita la sezione.

Gli appartenenti, a qualsiasi titolo, alle sezioni di polizia giudiziaria non possono essere distolti dall'attività di polizia giudiziaria se non per disposizione del magistrato titolare dell'ufficio dal quale dipendono (art. 59, comma 3).

Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria. Rinvio

Si tratta di ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria diversi da quelli appartenenti ai servizi e alle sezioni di polizia giudiziaria.

Si rinvia, sul punto, al commento della norma che segue.

Le sanzioni disciplinari

Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, di cui agli artt. 56 e 57, che senza giustificato motivo omettono di riferire nel termine previsto all'autorità giudiziaria la notizia del reato, che omettono o ritardano l'esecuzione di un ordine dell'autorità giudiziaria o lo eseguono soltanto in parte o negligentemente o comunque violano ogni altra disposizione di legge relativa all'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, sono soggetti alla sanzione disciplinare della censura e, nei casi più gravi, alla sospensione dall'impiego per un tempo non eccedente sei mesi. Nei confronti degli ufficiali e degli agenti assegnati alle sezioni di polizia giudiziari può essere altresì disposto l'esonero dal servizio presso le sezioni (art. 16 disp. att.).

L'azione disciplinare è promossa dal procuratore generale presso la corte di appello nel cui distretto l'ufficiale o l'agente presta servizio. Dell'inizio dell'azione disciplinare è data comunicazione all'amministrazione dalla quale dipende l'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria. Competente a giudicare è una commissione composta: a) da un presidente di sezione della corte di appello che la presiede e da un magistrato di tribunale, nominati ogni due anni dal consiglio giudiziario; b) da un ufficiale di polizia giudiziaria, scelto, a seconda dell'appartenenza dell'incolpato, fra tre ufficiali di polizia giudiziaria nominati ogni due anni rispettivamente dal questore, dal comandante di legione dei carabinieri e dal comandante di zona della guardia di finanza. Se l'incolpato non appartiene alla polizia di Stato, ai carabinieri o alla guardia di finanza, a comporre la commissione è invece chiamato un ufficiale di polizia giudiziaria appartenente alla stessa amministrazione dell'incolpato e nominato ogni due anni dagli organi che la rappresentano. Nel procedimento disciplinare si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dell'articolo 127. L'accusa è esercitata dal procuratore generale che ha promosso l'azione disciplinare o da un suo sostituto. L'incolpato ha facoltà di nominare un difensore scelto tra gli appartenenti alla propria amministrazione ovvero tra gli avvocati iscritti negli albi professionali. In mancanza di tale nomina, il presidente della commissione designa un difensore di ufficio individuato secondo le modalità previste dall'articolo 97 (art. 17 disp. att.).

Contro la decisione l'incolpato e il procuratore generale presso la corte di appello possono proporre ricorso a una commissione che ha sede presso il Ministero della giustizia ed è composta: a) da un magistrato della corte di cassazione che la presiede e da un magistrato che esercita funzioni di appello, nominati ogni quattro anni dal Consiglio superiore della magistratura; b) da un ufficiale di polizia giudiziaria scelto, a seconda dell'appartenenza dell'incolpato, fra i tre nominati ogni quattro anni rispettivamente dal capo della polizia e dai comandanti generali dei carabinieri e della guardia di finanza. Se l'incolpato non appartiene alla polizia di Stato, ai carabinieri o alla guardia di finanza, a comporre la commissione è chiamato un ufficiale di polizia giudiziaria appartenente alla stessa amministrazione dell'incolpato e nominato ogni quattro anni dagli organi che la rappresentano.

L'accusa è esercitata da un magistrato della procura generale presso la corte di cassazione.

L'incolpato ha facoltà di nominare un difensore scelto tra gli avvocati iscritti negli albi professionali. In mancanza di tale nomina, il presidente della commissione designa un difensore di ufficio individuato secondo le modalità previste dall'articolo 97 (art. 18 disp. att.).

Le commissioni disciplinari possono disporre la sospensione cautelare dell'ufficiale o dell'agente dalle funzioni di polizia giudiziaria (art. 19 disp. att.).

Contro la decisione della commissione di secondo grado era prevista la possibilità di proporre ricorso per cassazione per violazione di legge (art. 18 comma 5, disp. att.).

La Corte cost. n. 394/1998, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 18, comma 5, disp. att., osservando quanto segue: gli artt. 16, 17 e 18 disp. att., «vanno inquadrate nel contesto delle norme del codice di procedura penale le quali, in attuazione del precetto costituzionale che attribuisce all'autorità giudiziaria il potere di disporre direttamente della polizia giudiziaria (art. 109 Cost.), stabiliscono che le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte alle dipendenze e sotto la direzione della stessa autorità: dalle apposite sezioni di polizia giudiziaria istituite presso ogni procura della Repubblica, dai servizi di polizia giudiziaria inquadrati presso le diverse amministrazioni cui tale compito sia rimesso, dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria appartenenti ad altri organi, che hanno l'obbligo di compiere indagini a seguito di una notizia di reato (art. 56). Mentre lo stato giuridico del personale che svolge funzioni di polizia giudiziaria rimane disciplinato dagli ordinamenti delle amministrazioni di appartenenza (art. 10 disp. att.), anche quando esso è inquadrato nell'organico delle sezioni di polizia giudiziaria, vi è sempre, in tutte le distinte configurazioni organizzative, un diretto legame funzionale con l'autorità giudiziaria, che si riflette in vario modo sulle condizioni sia di stato che di impiego degli addetti. Questa duplice dipendenza (dall'amministrazione di appartenenza e, per l'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, dall'autorità giudiziaria) determina la soggezione alle sanzioni disciplinari stabilite dall'ordinamento proprio di ciascun ufficiale o agente ed applicate dagli organi amministrativi competenti, e, ad un tempo, la soggezione distinta alle sanzioni disciplinari specificamente previste per le trasgressioni relative alle funzioni di polizia giudiziaria, comminate da organi appositi (art. 16 disp. att.). Per queste ultime trasgressioni, difatti, le sanzioni disciplinari sono applicate da commissioni di disciplina nelle quali è prevalente la presenza di magistrati rispetto a quella di una rappresentanza dell'amministrazione di appartenenza dell'incolpato. La struttura e la funzione di tali commissioni non sono dissimili da quelle di ogni altro organo collegiale cui sia rimesso il giudizio sulle trasgressioni disciplinari e l'applicazione delle relative sanzioni (...) Pertanto la regolamentazione del procedimento dinanzi alle commissioni di disciplina non vale, di per sé, a qualificarle come organi di giurisdizione. È invece (...) la prevista possibilità di impugnare la decisione disciplinare proponendo ricorso alla Corte di cassazione, per violazione di legge (art. 18, comma 5, disp. att.), a far pervenire a tale qualificazione. Ciò perché, nel nostro sistema, il ricorso per cassazione è diretto al controllo su provvedimenti di natura giurisdizionale (Corte cost. n. 284/1986). Il tipo di impugnazione e l'organo cui essa è rivolta valgono a qualificare, con la natura della decisione impugnata, quella dell'organo che l'ha emessa. Nell'attribuire l'esercizio della funzione giurisdizionale a magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario, la Costituzione (art. 102, comma 2, Cost.) vieta la istituzione di giudici straordinari o speciali, consentendo soltanto l'istituzione, presso gli organi giudiziari ordinari, di sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura. Le commissioni per i procedimenti disciplinari nei confronti degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, qualificate come giurisdizionali essenzialmente in ragione del tipo di gravame previsto per i loro provvedimenti, non possono essere considerate sezioni specializzate di organi giudiziari ordinari. Composte da due magistrati nominati dal consiglio giudiziario (per le commissioni di primo grado) o dal Consiglio superiore della magistratura (per la commissione di secondo grado che ha sede presso il ministero di grazia e giustizia) e da un ufficiale di polizia giudiziaria nominato dall'amministrazione di appartenenza dell'incolpato (artt. 17 e 18 disp. att.), esse non sono in alcun modo incardinate presso un organo giudiziario ordinario, cui accedano componenti estranei alla magistratura (cfr. Corte cost. n. 83/1998). Né si tratta di organi disciplinari preesistenti alla Costituzione, per i quali, in ipotesi, si possa richiamare la VI disposizione transitoria e finale della Costituzione per sostenerne la sopravvivenza come giudici speciali (cfr. Corte cost. n. 284 /1986 e Corte cost. n. 380/1992). Il sistema disciplinare per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria si pone, dunque, in contrasto con il divieto costituzionale di istituire giudici speciali. La illegittimità costituzionale non si estende tuttavia alla disciplina del procedimento ed all'esistenza delle commissioni, ma è limitata alla norma che, nelle disposizioni denunciate, vale a configurare come giurisdizionale l'attività delle commissioni di disciplina e quindi a connotare le stesse come giudice speciale. Dipendendo tale qualificazione dalla prevista possibilità di proporre direttamente ricorso per cassazione contro le pronunce della commissione di secondo grado (art. 18, comma 5, disp. att.), è sufficiente dichiarare l'illegittimità costituzionale di tale norma per superare i vizi denunciati».

Bibliografia

Caló, Sub art. 56, in Codice di procedura penale, a cura di Canzio e Tranchina, t. I, Milano, 2012, 704 ss.

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