Codice di Procedura Penale art. 66 - Verifica dell'identità personale dell'imputato.

Irma Conti

Verifica dell'identità personale dell'imputato.

1. Nel primo atto cui è presente l'imputato [60, 61], l'autorità giudiziaria [349] lo invita a dichiarare le proprie generalità e quant'altro può valere a identificarlo [21 att.], ammonendolo circa le conseguenze cui si espone chi si rifiuta di dare le proprie generalità o le dà false [495, 496 c.p.].

2. L'impossibilità di attribuire all'imputato le sue esatte generalità non pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell'autorità procedente, quando sia certa l'identità fisica della persona. In ogni caso, quando si procede nei confronti di un apolide, di una persona della quale è ignota la cittadinanza, di un cittadino di uno Stato non appartenente all'Unione europea ovvero di un cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea privo del codice fiscale o che è attualmente, o è stato in passato, titolare anche della cittadinanza di uno Stato non appartenente all'Unione europea, nei provvedimenti destinati a essere iscritti nel casellario giudiziale è riportato il codice univoco identificativo della persona nei cui confronti il provvedimento è emesso1.

3. Le erronee generalità attribuite all'imputato sono rettificate nelle forme previste dall'articolo 130 [668].

[1] Comma modificato dall'art. 2, comma 7, l. 27 settembre 2021, n. 134, in vigore dal 19 ottobre 2021, che ha aggiunto, in fine, il seguente periodo: «In ogni caso, quando si procede nei confronti di un apolide, di una persona della quale è ignota la cittadinanza, di un cittadino di uno Stato non appartenente all'Unione europea ovvero di un cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea privo del codice fiscale o che è attualmente, o è stato in passato, titolare anche della cittadinanza di uno Stato non appartenente all'Unione europea, nei provvedimenti destinati a essere iscritti nel casellario giudiziale è riportato il codice univoco identificativo della persona nei cui confronti il provvedimento è emesso».

Inquadramento

Tale accertamento rappresenta una preliminare ed essenziale verifica prodromica alla corretta celebrazione del processo nei confronti di colui o coloro nei cui confronti deve essere esercitata l’azione penale.

Profili generali

Il processo, ed a monte la fase delle indagini, deve essere celebrato nei confronti di un essere umano vivente che deve essere correttamente identificato. Per agevolare la coincidenza dei due profili ed evitare la possibilità di errori nell'esercizio dell’azione penale, il legislatore ha posto all'autorità procedente l’obbligo di dover invitare la persona indagata/imputata a rendere le proprie generalità, ovvero cognome, nome luogo e data di nascita. Da ciò si desume la ratio della norma ossia assicurare che alla persona nella sua materialità ne corrisponda anche l’identità anagrafica.

Necessità dell'identificazione

L’esigenza di una reale e corretta identificazione sorge non solo in fase processuale, ma sin dall'inizio delle indagini. Per tali motivi, sin dal primo atto in cui è presente l’imputato, si dovrà procedere alla summenzionata identificazione che produrrà le sue conseguenze su tutto il procedimento prima ed eventualmente, sul giudizio poi. In ogni caso la corretta individuazione della persona costituisce un obbligo per l’autorità procedente e che va circoscritto alla necessità di identificare la persona.

Al fine di adempiere l’obbligo imposto dalla legge non è, comunque, necessario lo svolgimento di specifici accertamento e può ritenersi legittimamente assolto anche in presenza delle mere dichiarazioni del soggetto da identificare, qualora non emergano elementi di fatto che facciano ritenere la falsità delle suddette dichiarazioni (Cass. II, n. 37103/2003). Va da sé che, all'inverso, se la p.g. non ritenga affidabile la dichiarazione della persona possa e debba procedere a una sua più sicura identificazione. Non a caso si è sostenuto che le sole dichiarazioni rese dall'imputato, privo di documenti e non fotosegnalato, alla polizia giudiziaria in ordine alle proprie generalità non siano sufficienti a fondare con sicurezza l'identificazione dello stesso, incombendo in tal caso alla polizia giudiziaria di procedere ai rilievi di cui all'art. 349, commi 2 e 2-bis, (Cass. II, n. 3603/2011). Da quanto esposto emerge che, pur sussistendo un obbligo di identificazione della persona che grava sull'A.G. procedente, sia a questa riconosciuta una facoltà in ordine alle modalità dell'identificazione stessa, che legittima il ricorso a modalità coattive di accertamento.

Fermo di identificazione

Nel caso in cui manchi o sussistano incertezze in merito alla corretta identificazione della persona spetterà all'autorità procedente svolgere accertamenti necessari a tal fine. A questo scopo la p.g. può procedere al cd. fermo di identificazione (art. 349) che autorizza a trattenere il soggetto per un arco di tempo ristretto ed al solo fine di procedere alla sua identificazione. E’ bene precisare che sarà possibile effettuare tale particolare forma di fermo solo nel pieno rispetto dei limiti di cui al comma 4 della norma, ossia nei casi in cui le generalità fornite non forniscano una piena garanzia dell'identità della persona. Qualora i limiti previsti siano superati, il comportamento degli operanti va qualificato come arbitrario e l'eventuale reazione deve ritenersi scriminata ai sensi dell'art. 4 d.lgt. n. 288/1944 (Cass. VI, n. 36162/2008).

Obblighi dell'imputato

Agli obblighi per l'autorità procedente, corrispondono, ovviamente, degli obblighi anche per l'imputato/indagato il quale a è tenuto a fornire le proprie generalità e non può in alcun modo sottrarsi a tale obbligo in quanto non costituisce esercizio del diritto di difesa. La violazione di tale obbligo, configurabile nel caso in cui il soggetto non le renda ovvero le dia false, è penalmente sanzionabile ai sensi dell'art. 495 c.p. e può ritenersi idonea ad integrare anche il delitto di calunnia (art. 368 c.p.). Naturalmente il fornire false generalità non comporterà la violazione della norma di cui all'art. 368 c.p. in caso di arresto in quanto in tal caso la certezza dell'identità personale della persona responsabile, non potrà comportare il rischio che dalle false generalità possa insorgere un giudizio penale nei confronti di persona diversa da quella in vinculis. In tal caso, invero, le indagini risultano in ogni caso condotte ed espletate a carico della persona tratta poi in flagranza di reato.

Ne consegue che mancando ogni incertezza sull'identità fisica deve escludersi che l'attività investigativa possa essere orientate verso altra persona fisica, e più specificamente verso quella di cui il soggetto si era falsamente attribuito le generalità, con conseguente inconfigurabilità del delitto in esame (Cass. VI, n. 34696/2010).

Estensione dell'obbligo

La norma prevede che, oltre alle generalità come sopra intese, l'imputato sia tenuto a fornire tutte le notizie utili alla sua identificazione, che sono in parte specificate dall'art. 21 delle norme di attuazione secondo il quale l'imputato deve essere invitato ad indicare anche l'esistenza di eventuali soprannomi o pseudonimi, le sue condizioni di vita ovvero il possesso di beni patrimoniali, la pendenza di altri procedimenti, la sussistenza di precedenti condanne nello Stato o all'estero e, se del caso, l'esercizio di uffici o servizi pubblici o di pubblica utilità e se ricopre o ha ricoperto cariche pubbliche e pur in assenza di specifica indicazione da parte della norma, può ragionevolmente ritenersi che anche queste ulteriori indicazioni siano assistite da tutela penale.

Certezza identità fisica della persona

La corretta identificazione della persona è finalizzata ad evitare che possano essere celebrati processi nei confronti di persone inesistenti o, peggio, estranee ai fatti. Essendo questa la ratio della norma, quando l’identità fisica della persona sia certa — si pensi all'indagato arrestato in flagranza di reato — l’assenza di una puntuale identificazione anagrafica non può in alcun modo costituire ostacolo al compimento di ulteriori atti né l'eventuale errore nell'attribuzione delle generalità ha particolare valenza. Ed invero sarà sempre possibile addivenire anche successivamente all'individuazione delle sue generalità, come correttamente previsto dal legislatore.

Proprio al fine di rendere più certa l’identificazione di alcune categorie di persone sottoposte a procedimento penale, il secondo comma è stato modificato dall’art. 2 comma 7 della L. n. 134/2021 (cd. “Riforma Cartabia”). In particolare, è stato previsto che nei provvedimenti destinati a essere iscritti nel casellario giudiziale è riportato il codice univoco identificativo destinatario del provvedimento emesso, quando si procede nei confronti delle persone indicate nel comma 2.

Ne consegue che potranno essere regolarmente svolte tutte le attività proprio per la certezza che “all'imputato appartenga il corpo presente”. In tal caso, l'erronea attribuzione delle generalità costituirà solo un mero errore materiale sanabile con la procedura prevista dall'art. 130, non comportando alcuna nullità perché è sicura l'esistenza della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini o viene celebrato il giudizio. Allo stesso modo la prescritta procedura possa essere adottata anche in sede esecutiva atteso che quando è dedotta l'erronea indicazione delle generalità del condannato dopo la sentenza irrevocabile di condanna, il giudice dell'esecuzione procede con la correzione dell'errore materiale della sentenza (Cass. I, n. 14046/2014).

Falso imputato

Nel caso in cui, invece, non si sia addivenuti ad una corretta e sicura identificazione dell’identità personale del soggetto e non vi sia neanche la certezza del corpus, sussiste il concreto rischio di un errore che non riguardi solo il nome del soggetto ma la sua stessa identità. In una situazione del genere si potrà avere quello che viene definito come falso imputato formula con la quale si intende inglobare tutte le ipotesi in cui non si abbia certezza della esatta rispondenza tra il nome e la persona che potrà essere inesistente, ovvero diversa ed estranea rispetto a quella che ha commesso e verso cui va indirizzata la pretesa punitiva. In casi del genere naturalmente non può essere svolta alcuna ulteriore attività ed il giudice dovrà procedere ai sensi dell'art. 68, pronunciando sentenza ai sensi dell'art. 129.

Casistica

La violazione del delitto di cui all'art. 495 c.p. è stata riaffermata nel caso della condotta dell'indagato che, colpito da mandato di arresto internazionale, abbia fornito false generalità alla polizia giudiziaria che procede alla sua identificazione e ciò in quanto non è configurabile alcuna esimente atteso che il diritto al silenzio dell'indagato o la facoltà di mentire non comprendono le generalità, rispetto alle quali l'indagato l'obbligo di dire la verità, senza poter rifiutare o fornire delle false generalità (Cass. V, n. 15654/2014);

in applicazione dell'esposto principio la Cass. ha stabilito che in caso di certezza sull'identità personale ed in presenza di un errore sulle generalità, il giudice deve limitarsi ad emendare il vizio a norma dell'art. 66 comma 3, senza dichiarare alcuna nullità con conseguente restituzione degli atti al P.m. in quanto in questo caso il provvedimento regressivo, presupponendo una pronuncia demolitoria attestante la esistenza di una nullità, si pone, nella specie, al di fuori dell'ordinamento processuale, determinando un non consentito ripristino della esaurita fase delle indagini, e ponendo in tal modo arbitrariamente nel nulla l'atto di esercizio della azione penale, attraverso l'esercizio di un potere di annullamento, nel frangente non consentito (Cass. II, n. 50679/2014);

non può essere messa in discussione l'identità fra la persona nei cui confronti è stato instaurato il processo e quella che si giudica allorquando l'imputato, tratto in arresto in flagranza di reato, era stato identificato fisicamente attraverso i rilievi dattiloscopici che avrebbero consentito in qualsiasi momento, anche in sede di esecuzione, di acquisire la certezza della persona contro cui si procedeva, di talché l'avere egli fornito generalità diverse in distinte occasioni, è suscettibile di rettificazione mediante procedura di correzione dell'errore materiale (Cass. I, n. 3949/2007);

l'incertezza circa le generalità dell'imputato, della cui identità fisica si abbia però certezza, non legittima né la pronuncia di assoluzione «per non aver commesso il fatto», né la dichiarazione di non doversi procedere «per essere rimasti ignoti gli autori del reato», trattandosi di formule che presuppongono un'assoluta incertezza sulla identità fisica dell'imputato e non una semplice incertezza circa le sue generalità (Cass. V, n. 45513/2014);

 ai fini dell'accertamento della responsabilità penale, l'incertezza sull'identificazione anagrafica dell'imputato è irrilevante quando sia certa l'identità fisica della persona nei cui confronti sia iniziata e proseguita l'azione penale, potendosi in seguito pur sempre provvedere alla rettifica delle generalità erroneamente attribuite a norma dell'art. 130 c.p.p. (Cass. V., n. 32641/2018);

nel caso in cui sia stata processata la persona vera, ma erroneamente generalizzata con le indicazioni personali di altro soggetto e non sia più sperimentabile l'istituto della correzione di errore materiale, tale situazione processuale non può essere altrimenti risolta che con l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e la trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica competente, affinché possa procedere ritualmente nei confronti dell'imputato esattamente generalizzato (Cass. V, n. 32082/2014).

Bibliografia

Conso-Grevi-Bargis, Compendio di procedura penale, Padova, 2012; Conso-Illuminati, Commentario breve al c.p.p., Padova, 2015; Dominioni, Imputato, in Enc. dir., XX, 1970; Pisa, “Furto di identità” e delitto di calunnia, in Dir. pen. proc., 2011, 1463; Tonini, Manuale di procedura penale, Milano, 2012.

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